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L’ultima notte di speranza


21 Nov

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Dolore, vita marcescente che si fa pacata riflessione poi arrabbiata e singhiozzi di quest’ira accesa che lacera le certezze. Lacerazione dell’io allo specchio che si pone ancora domande, mentre il mondo coi suoi frastuoni e con l’isteria delle sue sconce bruttezze, protervo e irreversibilmente “vivo”, continua a strisciarti negli occhi, lacrimanti un’anima zombi o forse più viva nella sua apparente alienazione di tante maschere grottesche che inseguono soltanto il faceto gioco illusorio di vite artefatte, finte, probabilmente inesistenti.

C’è chi da sbronzo per tutte le notti continua a rimanere lucido e angosciato, chi invece da sobrio rimane euforico di vita per tutta una vita, d’altronde dice l’autore, Costanza, nelle sue primissime righe del suo sofferto e “disturbante” romanzo. Sì, questioni di punti di vista, dell’ottica ingannevole dei nostri occhi collegati all’anima che filtrano la realtà da come la esperiscono, dal proprio vissuto, dal conflitto lucentemente emozionale, dunque anche opalescente, di come vediamo il mondo, se propensi ad amarlo per come invece fa obiettivamente schifo, o se lo rinneghiamo, creandoci la nostra realtà, fatta di sogni bui più luminosi di tanta oscenità falsamente allegra. O forse a certa gente lo schifo piace e lo compiace, non se ne può sottrarre oppure non possiede un’anima pura tale da trascenderlo, da sfuggire la mediocre, lercia, puttanesca esistenza. Un ossimorico respingere e poi amare la vita, attratti e poi reietti a ritrarci nel nostro beato (?) guardarla da una finestra. Per non inzozzarci, per non inquinarci, per rimanere agganciati alla nostra integrità psicofisica.

C’è molta verità in questo libro ma anche delusione che traspare, disillusione enorme, e le parole lucide si alter(n)ano a pensieri “vomitevoli”, in cui il turpiloquio si fa grido inascoltato. Urlare al vento la propria solitudine, il puzzo rancido della vita, della “vista” anzi del Pasto Nudo alla Burroughs. Spesso questo disagio di vivere si sente magniloquente, echeggia nelle nostre viscere apparentemente acchetate, e squarta di dubbi le certezze. La scrittura diventa un flusso di coscienza, incarnazione in prosa di un’anima inquieta che singhiozza, latra il suo dolore. No, non sta bene questa vita, non è calma, ma forse per Costanza il raggiungimento della pace interiore è impossibile, persino un mostro da schivare, da schifare. Perché la vita, pare dirci lui, è appunto abominevole, non risparmia colpi bassi efferati, ferini, potentissimi, e dobbiamo forse solo (r)esistere all’osceno che ci circonda, renderci “ciechi” dinanzi all’orrore, fingere d’illuderci e lusingare il nostro Male per sedarlo con la verità, solo la nudità e l’essenza possono condurci alla ragione dell’essere terribilmente nati umani, creature sbagliate fra creature ancor più ripugnanti dei nostri peccati, del nostro essere tutti merde, come dice lui. Allora ecco la figura del detective, un filosofo dell’anima, uno che come nel Lungo Addio di Altman espia le sue colpe nel cercare colpe altrui, per razionalizzarle, per scappare dal proprio sé erroneo, errante, agghiacciante. Per non esplorare il suo didentro… guardando negli orrori commessi dal prossimo per non specchiarsi dinanzi al suo uomo bestia.

Il libro pian piano si sfalda, diventa un delirio “concentrico” di parolacce e di rabbia che ancora monta, cresce vistosamente, e in qualche punto potrebbe stufare. Poi, all’improvviso sterza verso il suo messaggio, quello che Andrea Costanza, o meglio Andrea SPERANZA, eh eh, ci teneva a dirci.

Siamo tutti forse zombi, condizionati e morti nell’anima, perché così vuole omologante una società che appiattisce i nostri io, e procede in quest’orrida distruzione, “istruendoci” con le sue gabbie istituzionali, dalla scuola, che uniforma il sapere, alla televisione che lobotomizza le coscienze di chi, ora dopo ora, ne è succubo e ragiona come la falsa “giustezza” asettica pretende che ragioniamo. Perché i ribelli non piacciono, sono mele marce da curare, perché si creano sogni che sogni non sono ma asservimento alle logiche di massa.

E il linguaggio si fa sincopato, volgare appunto, perché è fortissimamente iroso, quindi diventa disillusione sofisticata. Un libro forse senza vera trama, la trama è l’alternarsi di pensieri liberi e incendiari, sprigionati da un’anima insofferente che scalcia il dolore di essere nata.

 

di Stefano Falotico

Sono Frank Sinatra o siete anatre?


02 Jul

La Donna a umanità credo sia all’origine del mio colorito pallido, ed è per questo che alle smancerie preferisco l’emaciato senza “violacea”. Sì, sono allergico alle graminacee ma…

mangio la gramigna, metto su qualche grammo, ci sta anche la birra sulla pizza in faccia, infiacchito batto tutte le (s)chiappe.
E “stappo”, essendo molti strappi al mio topo che ama le tope ma di topaia è onomatopeico di abbaio. Bau bau, e loro miagolano coi lupi!

Una delle giornate più deprimenti del mio alterato stato umorale. Ho urlato nel chiasso collettivo ma nessuno ha udito perché son sempre a pranzo spaparanzati nel gabinetto con quel cesso della segretaria. Ah, questi colletti bianchi. Son da bavagli e da sottomesse di gambe “apparecchiate” che ragliano mentre sgambettano di tradimenti “sghembi”.
Ella è “cappuccino” a tutte le cappelle e il maccherone frustrato, all’arrabbiata, zucchera per poi amareggiarlo quando dall’amplesso canino s’abbandona per la “Pubblicità progresso”. Lascivo… il segno, il seggiolin elettorale della carina “sedentaria”.
“Tonificata” di tornito “rassodare”. Ah, come suda il capoufficio.
Ah, quest’esistenza è una schifezza. Si litiga, s’è ligi al dovere solo quando son io a ordinare la frutta. Mi rubano il primo, il secondo e anche il “tiramisù”. Per fortuna, ho la mia banana. La mensa piange, il piatto d’argento della vendetta?
E come si fa? Non c’è neanche quello d’argilla. Ah, per arrivare “secondi” di podio, il podismo è fatica. Ma quali fighe! Ho altro a cui pen(s)are!
Sì, donna pubica, lusingata dalle “meringhe” ed “erigente” avvocatessa d’arringa. “Tutti” in righello (o)metti e tu t’arroghi la ruga nella depilazione pelo contro pelo con tanto di trasparenze vedo-non vedo nella tonaca pruriginosa ma “dotta” in Giurisprudenza. Ma quale verdetto. Come ti sei permessa? No! La galera è meglio di queste gonnelle al mio “gabbiano”. Va la passera, finta solitaria, a un altro la dà, a te passerà? E chi lo sa? Chi la conosce quella coscia? Il direttore è megagalattico e fin sopra se n’allatta di pastorizia. Dicesi caffè “macchiato” di cornetti alla moglie. Consorte che insegna ai pargoli ad amar con “classe”.
Mentre il marito “inforna” il maritozzo e, tosto tosto, testa i testicoli nelle code della “permanente”, sciacquando di shampoo ed effervescenti schizzi del fegato corrotto.
Corruzione!

Ognuna è libera di “fare”… quello… che vuole. Siamo in Italia, il moralismo è un mostro imbattibile. Tutte santarelline ma poi scopri che hanno dieci amanti di “Destra” e a manca di manico con Lega del ce l’abbiamo duro!
Che cosa? L’uccello? No, il culo loro prima di conoscermi.

Io a questi scoscio e di spaccata incrociata rompo d’acciaio contundente. Tremano e a puttane vanno. Di vacca in vacca, io dico “Vaffanculo!”.

Entro in un bar, ficco la crema pasticcera e pastrocchio le occhiaie della gastroenterologa che di bocche abbocca nel leccar il dottore nello “YouTube” digerente su risate da mal di panc(i)a.

Panchinari, è ora di sfacchinare. Questa è farina del nostro sacco, tu di merda “saccente” dovrai sgobbare. Altro che gobbi, prendiamo la giornalista, le solleviam la gonna e deve fissare il gobbo con buona “suzione”.
Ah, le dizioni. Addendi, deficienti da calcoli renali nell’algebra glabra di rasatura “posata” ma poco a spos(s)arle, ecco l’Uomo che se ne frega e spupazza in quanto Pippo.

Alziamo la voce, accentuiamo, eccitati siam acidi.

Mortacci tua! Ecco l’accidia che t’accid’.
Se ciò che ho scritto ti par una stronzata, tu sei stronzo e basta(rdo)!

E ricordate: accattare i miei libri e attaccare al muro chi millanta ma è invero già a novanta!

Guarda come “sventola”. Altro che sberle. E crisi passeggere. I passeggeri son pregati di far posto al comandante che desidera l’hostess “in volo” a schiantarla. Ha il panico dopo tante “crociere”.

Aiuto! Si salvi chi può! Saltiam dall’aeroplano. Cazzo, oh, stiamo volando bassi con questa cazzata. Allora, mettiamo i piedi per Terra. Dunque, impegnatevi a scrivere alto(piani).

Ah ah!

Io non cambio opinione! Questo Settentrione malato di prosciutti che mette a cuccia… da me sarà solo che sodomizzato con tanto di banda e aspirarli a mo’ di cannuccia! Da cani gemeranno, in ginocchio imploreranno, la pietà è un mio “sentimento” che l’innato romanticismo di cui son fiero s’oppone e platealmente dichiara: “Evviva il mio stare al Mondo”.

Io disserto d’Arte, tu accusi di sfighe e plagi, animale! Da me solo che “discoteche” ai tuoi neuroni. E impazzendo… oh oh sale la montagna russa del mio in cima contemplare. Don Chisciotte. Basta coi discoli!

Se mi va, eremita sono. Tu critichi, tu deridi, da me una museruola e vedrai come la lingua “canterà”.

Io credo nei valori e tu li deturpasti per ambizioni becere da trombatore. E io ti ficco la trombetta lì, mio trombon’.

Con fanfara e “obbligo” ai tuoi oboli. Denunciami e tornerò Annunciazione! Oblio! Oh, mio Dio!

Della tua vita falsamente “onesta”, mi son stancato. Guido il carro a tutt’andare. E viaggio mentre ti cago da piccione viaggiatore, appunto.

Ecco il mio puntino. Ecco il mio paletto. Ecco voi polli da me ammaestrati stavolta come bestie.

Soma(ri). Dammi dei cazzi “amari”, e t’afferro dalle tue marine onde bisonte, ove t’accoppi in apnea, da me solo che “pene”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Chi dice donna dice donna (1976)
  2. E.L.i.S.A. – Amore, Zombie e Panini al Tonno (2012)
  3. Benvenuti a Zombieland (2009)

Genius-Pop

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