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True Detective 2 il finale che (non) vi merita(va)te, tu, donna, non deserve, la serva serve, il Falotico che mi merito, tu, sgualdrina, non ti mariterai
È finita la seconda stagione della serie “capolavoro” e già annunciano la terza, d’altronde non c’è 2 senza tre e quattro per quattro fa otto… episodi, quindi, stando al “quando”, sedici in tutto, esclusi i/le 24(h) di fuso orario, quasi in contemporanea con gli Stati Uniti, ché son 50, da noi non doppiati in differita alle ventidue e 10, minuto più e tu più robusto di quelli minuti, non sei secondo al “primo”, di 90 l’episodio che conclude le noir avventure di Velcoro e Frank il semi-gangster servito “freddo” sulla moglie rossa e caliente eppur non s(oddis)fatta… Ecco fatto, Pizzolatto rovina tutto, eh sì, facendo “mori’ ammazzati” tutti gli uomini e lasciando “scampo(li)” alle donne, per la gioia delle femministe, da cui il detto “te la do(ro) e siamo noi a mettervi al mondo che ci meritiamo”. Uomini, non ammogliatevi, “mollateglielo/a”. Da cui il “dato” di “fallo” che buon “morto” è meglio del buonismo femminile dell’amaro maritozzo, come questo finale che m’è stato sullo stomaco. Fe(ga)ti, ribellatevi, di rabbia ribollite, vogliamo l’ambigua destrezza ferita a vi(t)a di Cohle e non questo qui… da Colin e colica.
Querce secolari e figli handicappati sangue del proprio DNA, imprenditori che lo prendono dopo tanto aver fatto gli impos(i)tori. Tirata moralistica sulla (di)partita di Frank, con tanto di apparizioni simil-(mi)raggio fantasmatico del padre “violentatore”, scatenante la turba che spinse il povero a cercar fame, di greed assetato eppur indebitato. “Turbo”-lento di sequenza (in)dimenticabile, più che altro da bili(ardo). E le donne salveranno la Terra, in questo silenzio degli innocenti, perché the man is the cruelest animal.
Ma vaffancul’, che stronza(t’)!
di Stefano Falotico
“Into the wild” – Recensione e dedica
Dedicato a Elena.
La Natura incontaminata dell’amore
C’è un nome che ha risuonato per tutta la visione di questa opera magna di Sean Penn: Elena.
No, non scherzo, sto conversando da qualche Giorno con una creatura che m’ammalia e ha sedotto un Cuore infranto, restaurandolo con “canagliesco seviziarlo” al fin taumaturgico di ripristinarne l’aroma troppo smaltato da una patina dolciastra che, di corrosive, taglienti “redini”, opprime, attimo dopo attimi a oscurarmi, l’anima mia più eccelsa per cui nacqui: l’astrazione, innata di divinatoria concezione metafisica della vita.
Le ho dedicato una poesia, vergata nei capelli suoi “lagrimosi” di melanconico umorismo furbetto, per odorarla, anche da lontano, nella porpora viva d’un fruscio erotico che eccita l’eclissata pulsione d’amarla, tergerne gli occhi in baci d’addolcir in tramonti che “piangan” l’estasi della nostra folgorazione in un Mondo sempre più divorato da crudeli brame di falsità.
Il suo nome vero è Elena.
M’irride, giuocandosi imprudentemente delle mie pazienze, ma poi non “stacca”, allacciata d’ipnotiche empatie, e attratta da come non cedo nel mio danzarle, sobrietà medioevale schiumata d’alcol fantasmatici, nei vagiti sinuosi in cui smania di troneggiante passione pura. Già “invisibile”.
Sì, me ne sono invaghito, e quest’incantesimo non si spezzerà in luci offuscate di borghese, “melenso” crogiuolo d’obblighi o circuito dall’inganno maligno in cui molti, di consapevole pattuirsi da ipocriti, rinnegano l’essenza per poi rapirsi, sì, rattrappiti d’ischeletriti battiti strozzati, d’ingiallite vene a “onorare” pragmatiche d’un ematico dolore mai sviscerato, mai urlato e disincarnato come un sogno mistico che “ferisco” nella lirica contemplazione d’onirici intrecci spirituali, d’agon sensuale e “cristologico”, ascetica finezza del sospiro e del gemerci.
Perché peccare di “virtuosa” pacatezza quando i profumi della vita riscoccano in ansiti d’assoluta e messianica libertà?
Sì, la amo…
E questo mio pensiero si concilia con questo capolavoro. Indecifrabile viaggio esistenziale, d’una strada da lastricar di sangue “appuntito” nei polmoni, d’urgenze impellenti e denudanti a esplorar, “violentare” la deflorazione cosmogonica dell’interiorità umana più profonda, come raggi di “vitrea seta” d’un assetatissimo, inesausto Sol battagliero (t)ersissimo, intrepidamente fiero e “(in)cosciente” nell’ululato lunare di notturne, guascone “morti” d’euforia folle del nostro man walking rinascente.
Un’evirazione sofferentissima ma vivifica, illuminante dalla società, come intona un “triste” Eddie Vedder nell’utopia dell’happiness angosciante, anelata, disperata e forse celestialmente “immersa” nelle aspersioni d’iridi toccate da un Dio armonioso dell’imman beatitudine della salvezza.
Colonna sonora “fluviale”, tene(b)ra come già detto del leader dei Pearl Jam in rifulgenti (as)soli intinti di fluorescenza temp(e)rata, anche allucinatoria, che urla “cupamente” abba(gl)iata proprio nel picco di “The Wolf”, nona track, l’unica ch’è un vagito, una sprigionata, inafferrabile, “ferina” redenzione dalle ibernazioni del mellifluo grigiore, e vola incorniciando, sghemba e dissolventemente turgida, dinamicamente statuaria, il selvatico liquore del primordiale, creatural incanto.
Culmina, rocciosa di montagne, nella sua sommità.
Il candore di Chris McCandless muterà, traslucido, nel febbrile Alexander Supertramp, eruzione nella sua licantropica, vulcanica, irrefrenabile voglia di fuga dalle istituzioni e dall’asservimento logorante, asfissiante e caudino.
Capitoli scanditi dall’evoluzione che corre veloce, scalpita ed è illiquidito “marmo” (im)perfetto del senso, sfiora occhi innocenti (una Kristen Stewart “tragicamente” magnifica) e preferirà l’innevata e florida Alaska d’un magic bus perso tra le “foglie” fotografiche del Tempo, nella memoria istantanea, memorabile d’un autoscatto a immortalare un Uomo.
Nel planarci, soffici, d’un ricordo inestinguibile.
Forse, il valore e grondante dolore di questo film è inciso nello Sguardo (dis)illuso di Vince Vaughn, uno dei tanti compagni dell’avventura in cui Alexander s’è imbarcato, quando lo lascia solo al “volante”, come a “mordergli” amorevole un “Vivi e ama come desideri, come imparerai da solo”.
E non si coagulerà…
(Stefano Falotico)