In questa società, io riconosco le mie colpe, ammetto i miei sbagli e, come dico io, i miei sbadigli. I miei esistenziali assopimenti. Mentre molta gente censura, ricatta, boicotta e, con le intimidazioni, vuole piegarti al loro solipsismo, al loro egoismo, al loro arrivismo. Come vedete, posso fingere di aver accettato le regole ma, al solito, riacquisisco coscienza e mi ribello giustamente. Sono infermabile e vero, cari esseri falsi, bugiardi, mentitori che vi spacciate per influencer e mentori. Siete deboli e patetici. Vi leccate in modo vergognoso, vi appoggiate in modo schifoso.
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L’ESORCISTA di WILLIAM FRIEDKIN? No, ho le corna in testa, miei cornuti. Mangiate e usate i cornetti, evviva Il rito!
Questa è la video-recensione gigionesca. Oserei dire giullaresca. In tempi di quaresima, no, quarantena, questo è il film che fa per voi. Per me, non lo so. Per molti anni infatti fui monastico, forse solo iconoclasta. Ah ah.
Il ritratto iconografico di un uomo sfigato, sfigurato, indemoniato, sfregiato, crocifisso o forse solo appeso a un chiodo, cioè il mio giubbotto di pelle. Fui sul punto di sfiorare la santità. Invero, persi la mentale sanità. Ma la recuperai, sì, diventando superiore a ogni monaca superiora di clausura e battendo pure ogni monco. Adesso, anche le donne angelicate vogliono possedermi ma continuo a preferire Maruschka Detmers di Diavolo in corpo a L’ora di religione.
Non sono per niente fin… o, bensì un uomo alla Bellocchio, è inutile che mi facciate il malocchio, figli di ntrocch’.
Non potete farmi nulla se non, per rabbia, divenire blasfemi e malsani, inverecondi e iracondi da Pugni in tasca.
Comunque, L’esorcista non fa paura a nessuno. Neanche a gente ingenua e campagnola che adora L’esorciccio. Cari ciccini, da piccolo massaggiai il mio topolino Ciccillo, regalatomi da miei parenti lucani. Ricordate, non si sevizia un paperino…
Ah, parenti serpenti, anche loro spesso irascibili, dunque vulcanici. Però Ciccillo è un nomignolo partenopeo, suvvia, non facciamo i napoletani e i vesuviani.
In Sicilia vi è l’Etna, scrissi il libro Il diavolo è un giocattolaio ma, a differenza di ciò che afferma Anthony Hopkins in questo film, non sono un ingannatore. Anthony dice, a ragione, che la gente mente a sé stessa per non affrontare la realtà.
Dunque, spesso magnifica C’era una a… Hollywood di Tarantino perché, secondo me, è più frustrata di Charles Manson.
Diciamo che io fui ingannato, quasi scannato, da gente troppo perbenista sistemata, come si suol dire, perbenino.
Insomma, Rambo mi fa un baffo. Anzi credo che, come Mefistofele, sia pure cornuto. Infatti, Rambo è ascetico. In tutti i film della saga, il secondo peraltro è una sega, cavalca solo stalloni di razza.
Comunque, sì, Rambo è un puro. Un unicorno.
Facciamo i seri!
Ma aggiungerei questo. Conobbi molti psichiatri. Sono fissati con la schizofrenia. Per forza, la loro moglie è posseduta dai loro pazienti più deliranti. Gli psichiatri fanno credere loro di essere pazzi quando in verità vi dico che vogliono solo sedarli, altrimenti chiederebbero il divorzio, da soli impazzirebbero e comincerebbero a seguire le repliche di Gabriele Amorth.
Questa battuta o la capite oppure siete da manicomio come il fratello della co-protagonista di questo film. Internato a 19 anni.
Oggi, recensiamo una pellicola piuttosto recente. A nostro avviso, leggermente sottovalutata dalla Critica, ovvero Il rito di Mikael Håfström (1408).
Il rito dura un’ora e cinquantotto minuti e fu distribuito, tramite la Warner Bros, sui nostri schermi l’11 Marzo del 2011.
La sceneggiatura è di Michael Petroni ed è ispirata (suggested by…) al libro saggio di Matt Baglio, cioè The Rite: The Making of a Modern Exorcist, da noi tradotto ne Il rito. Storia vera di un esorcista di oggi.
Trama:
Michael Kovak (l’esordiente al lungometraggio Colin O’Donoghue) è un giovane statunitense che lavora per suo padre Istvan (il compianto, grande Rutger Hauer), impresario di pompe funebri.
Per emanciparsi dalla tradizione di famiglia piuttosto macabra, funerea e cimiteriale, controvoglia s’iscrive in seminario. Michael non possiede alcuna vocazione religiosa ma, durante una notte lugubre e tempestosa, assiste una ragazza scampata, per miracolo, a un grave incidente stradale.
Il suo mentore spirituale, Padre Matthew (Toby Jones), assistendo all’evento, rimane impressionato dal modo graziosamente caritatevole e fino col quale Michael s’approcciò alla ragazza, consolandola e benedicendola con parole di estrema, profonda delicatezza.
Al che, stupefatto e commosso dalla spiccata, forse innata indole di Michael per le persone disperatamente angosciate, lo dissuade dall’abbandonare il suo percorso ecclesiastico, raccomandandolo invece, come rappresentante speciale della diocesi, a Lucas Trevant (Anthony Hopkins).
Un prete ritiratosi a vita privata che, a Roma, esercita la missione di esorcista. Da lui praticata nella segretezza spettrale della sua fatiscente casa immersa, forse, nella quietezza e nel buio misterico e ancestrale non soltanto della città eterna per antonomasia, bensì metaforicamente nelle viscere dell’eremo, potremmo dire ermetico e persino dogmatico, del suo cuore tenebroso di uomo afflitto da una perpetua fede perennemente, religiosamente tormentata. Interiormente combattivo contro ogni ateo e indefesso, caparbio sostenitore del suo dubbioso eppure inscalfibile, permanente credo religioso granitico e incrollabile. Anche forse infallibile…
Trevant è infatti convinto, malgrado le perplessità e lo scetticismo della medicina psichiatrica, che il diavolo esista realmente e che davvero, in molti casi di ragazze possedute, nelle loro menti e nelle loro anime sconvolte, non risiedano ragioni di natura psicologicamente perturbante. Sì, secondo lui, il maligno alberga viscidamente in loro e se ne celi con scaltra, pericolosa malizia. Quindi, a suo avviso, gli scompensi delle donne e anche degli uomini affetti, potremmo dire, da deliri demoniaci, fermamente non credo che siano spesso razionalmente e scientificamente spiegabili.
Intanto Michael, nel frattempo ancora incredulo e miscredente, incontra una giornalista, Angelina (Alice Braga), giunta nella capitale per prendere informazioni da vicino, facendo ricerca sul campo, come si suol dire, riguardo lo strano, occulto fenomeno dell’esorcismo. Frequentando, d’altronde come Michael, le lezioni a riguardo, tenute dall’inquietante Padre Xavier (Ciarán Hinds, religioso ambasciatore in Silence e il suo ruolo, per l’appunto di Mefisto in Ghost Rider – Spirito di vendetta, probabilmente docet).
Ovviamente, nell’ultima mezz’ora, a Michael salteranno molte certezze poiché verrà divinamente messo alla prova quando lui stesso sarà costretto a esorcizzare il suo maestro.
Ecco, Il rito è un film mediocre, certamente. Ma, come scrittovi a inizio recensione, le bassissime medie recensorie piovutegli addosso impietosamente, ai tempi della sua uscita nelle sale, col senno di poi c’appaiono ingiustificate e del tutto ingrate. Diciamo, furono superficiali ed esagerate.
Poiché Il rito, a dispetto di molte banalità e di alcune gratuite scene ad effetto piuttosto scontate, può vantare una bella, suggestiva scenografia e può avvalersi, come soventemente accade, di un Hopkins in ottima forma gigionesca e carismatica. Il cui ruolo sarebbe da confrontare, di parallelismi meta-cinematografici, col suo meraviglioso papa Ratzinger de I due papi.
Il suo Trevant, peraltro, è una sorta di versione religiosa, antipsichiatrica del suo celeberrimo cannibale Hannibal Lecter. Come sappiamo, freddo, analitico e spietato esploratore dell’animo più antropofago e carnale, sottile, perfido e viscerale indagatore perfino del suo corpo e della sua psiche totalmente sconsacrata, elevata, intellettuale ma anche animale.
Inoltre, la tetra fotografia di Ben Davis non è quasi mai da cartolina. Come invece purtroppo accade coi film stranieri girati nel nostro Paese.
Il rito mantiene anche un buon ritmo e, in più punti, sa intrattenere con dialoghi intelligenti, inchiodandoci alla sua visione con una ben distillata tensione.
Il rito è un film che merita un’immediata, ampia rivalutazione.
L’unico, vero difetto vistoso che possiamo imputargli è sinceramente quello di avere, nel suo eterogeneo e multinazionale cast, Maria Grazia Cucinotta. Presenza qui, come non mai, puramente accessoria e inutile, per di più mal utilizzata.
La Cucinotta interpreta, con pochissime battute all’attivo, Andria. Vale a dire la madre di Rosaria, la ragazza indemoniata, incarnata invece dalla brava Marta Gastini.
L’esorcista dei vostri demoni interiori: The Irishman è un capolavoro, i cinecomic non valgono Joker, Marra e il critico Alò sono Linda Blair indemoniata e io invece il curatore di ogni grammatica, anche cinematografica di tutte le anime malate
Ora, l’altra sera rividi Il rito con Anthony Hopkins.
Già vi narrai degli antefatti che stettero alla base della mia illuminazione, ah ah.
Sì, eppure con perizia, non psichiatrica, bensì minuziosa e ponderatamente calibrata, discendendo alle origins del mio Joker o forse del mio Superman, dopo le furie mie vendicative da Uma Thurman di Kill Bill defraudata della sua purezza delicata da donna forse quasi angelicata, perdonando ogni inventore di fandonie e combinatore di porcate come David Carradine, uno che, più collezionista di fumetti fu solo un fumato archivista di nefandezze, benedicendolo dall’alto della mia maestria e della mia giusta sofisticatezza, senza trucidarlo con mosse da disciplina di Hokuto alla Ken il guerriero, su musica epica di Ennio Morricone, volai nel vento, sublimando ogni trauma patito nella costernazione più evidente.
Ogni mio trauma fu rinsavito, non so però se sarà beatificato o glorificato, miei uomini ingrati.
Dopo lotte fratricide assolutamente evitabili eppure tremende, dopo varie amnistie concesse ai miei contendenti che provarono a distruggermi psicologicamente con bieche reprimende dolorose quanto le ferite inferte da oggetti appuntiti e contundenti, dopo tanto mio e loro ottundimento, dopo psicanalisi miei reminiscenti un passato non proprio lucente, dopo tanti equivoci e fraintendimenti, dopo perfino che persi la mia mente, dopo molti anni passati nell’oscurità del mio tenebroso solstizio assai poco brillante, sì, mi tolsi qualche sfizio e mi liberai di vecchi, patetici vizi aberranti.
Ritornando lindo, fulgido, forse ancora un po’ dal mondo fuggitivo eppure non più schivo né schiavo.
Insomma, risorsi rifulgente, digrignando dapprima i denti, enormemente soffrendo. Quindi sciogliendo ogni mio interiore nodo poco smagliante con indagini riflettenti questa vita vostra da fetenti, persino sbudellandomi le interiora tormentosamente, mi mostrai non più mostruoso o malmostoso, bensì mi denudai più esteriormente ancora ruggente. Non più arrugginito.
Giammai fatiscente, talvolta volontariamente deficiente e maledetto decadente eppure non ancora decaduto né perduto in questa società rabbrividente.
Applauso! E che sia sc(r)osciante.
Confessando l’atroce verità con ilare onestà straziante, redimendomi da una vita troppo mia mentalmente abbiente, dunque malvista dai ricchi possidenti moralistici però ipocritamente materialistici e loro, sì, davvero nella vita perdenti anche se nella figa indubbiamente spesso scalpitanti e molto ficcanti, ridendo di me stesso con autoironica beltà auto-strafottente, mi ridestai nuovamente. Gioendo interminabilmente.
Smascherando molti vili che, mentendo a sé stessi con gratuità sconvolgente, si credettero fortemente virili quando in verità vi dico che furono e sono ancora uomini inutili adatti al porcile solamente.
Parliamo ora, con cognizione di causa e forse il mio ancora aperto caso, della malattia mentale, delle possessioni demoniache reale e dei vostri mali di vivere soventemente immaginari da ipocondriaci incurabili… irreversibilmente.
Fate venire il latte alle ginocchia, sì, voi uomini che vi credete mentori ma, invero, malgrado le vostre maschere da vincenti, non valete niente.
Parlate di gnocche, pensando di essere fighi nell’apostrofare il prossimo con superficiali patenti di sfigato e/o stolto nullafacente quando in verità vi dico che è esattamente nell’inverno del nostro chiuderci dentro che gli uomini e le donne trovano un’esistenza pienamente sentita, dunque interamente soddisfacente.
Ora, va fatto però un importante distinguo. Se gli uomini si aprono troppo, fanno la figura dei pagliacci. Se le donne chiudono eternamente, diciamo ermeticamente anche le loro gambe infinitamente, finiscono a fare le suore imperituramente.
Detto questo, voi credete all’esorcismo?
L’esorcismo è innanzitutto tutt’ora in voga, una pratica oscurantistica giammai superata e ancora segretamente attuata.
Molte donne possedute, forse non dai mariti, neppure dagli amanti, non vi credono e trovano la catarsi delle loro isterie nello yoga. Forse solo mangiando molti yogurt.
L’esorcismo viene praticato anche negli ospedali psichiatrici.
Sì, provate a recarvi all’Ottonello di Bologna o in cliniche specializzate ai mentali (mal)trattamenti come Villa Baruzziana, ne prenderete coscienza, orrendamente.
Persone addolorate, scioccate da tristissimi eventi a loro occorsi per sfortunate circostanze agghiaccianti, finiscono al pronto soccorso di tali posti orridi ove vidi molti preti benedire gli ammalati, lavandosene poi le mani dopo aspersioni poco nell’acqua benedetta. Semplicemente perché, bestemmiando, i traumatizzati furono scambiati per esseri indemoniati.
Perciò per assatanati malati.
Ora, assistetti dal vivo anche a delle ninfomani e a dei maniaci sessuali. Internati poiché, diciamo, troppo le loro voglie bollenti furono da loro, senza vergogne/a, esternate con far esageratamente, incontenibilmente effervescente. Ma non andarono sconsacrati, a mio avviso avrebbero meritato l’assoluzione abluente e spurgante ogni loro peccato carnalmente affliggente nel perdonare i loro desideri più ardenti delle fiamme dell’inferno.
Torniamo a Il rito.
Anni fa, come già vi raccontai, incontrai un ragazzo col quale divenni amico.
Fu lui a propormi di andare a vedere, nell’oramai remoto, mica tanto, 2011, tale film assai sottovalutato.
L’anno prima, peraltro, mi portò a vedere l’inguardabile L’ultimo esorcismo.
Mentre, quando m’invitò a casa sua per bere assieme amichevolmente un caffè, di notte si collegò spesso su Rai 3 per visionare le repliche molto serali concernenti le pratiche esorcistiche di Gabriele Amorth. Oggi morto.
A cui fu dedicato un film particolare, recentemente, da William Friedkin. Indimenticabile autore de L’esorcista.
Fu allora che cominciai benevolmente a nutrire dei sospetti su di lui da fine indagatore à la Mindhunter.
No, non mi trovai di fronte a Dente di fata di Manhunter né dinanzi a Errol di True Detective.
Bensì dirimpetto a un ragazzo che sublimò le sue mancanze, anche sessuali, nel delirio maniaco-religioso meno a sé stesso provvidenziale. Forse però assistenziale…
Poiché alle superiori fu immondamente bullizzato da coetanei empi che lo umiliarono in maniera pazzesca ed allucinante. Cosicché il suo vuoto s’illuse di riempire, sublimando nel suo solipsismo spirituale ogni angoscia, frustrazione sua mal assorbita e mai sopita, nel fare molto l’elevato sofista amante degli esorcisti.
Naturalmente, per esorcizzare sé stesso, inconsciamente, liberandosi in modo effimero, sterile ed estemporaneo da ogni male oscuro suo di natura irrazionale.
Detto questo, Hannibal Lecter mi fa un baffo.
Andiamo avanti.
Vedo ogni giorno persone derelitte che, pur di appagare le loro vite miserabili, comprano pure dei rettili orripilanti da tenere in casa. Dato che, a quanto pare, il loro fare i vermi solitari non basta. Indossano pure gli anfibi più schifosamente colorati. Alcuni hanno anche i capelli cotonati come se non bastasse la loro vita ovattata.
Sì, la gente è viscida ma questi sono sinceramente ancora più repellenti e andati…
Ah, incontro un altro malandato per strada. La sua vita, come si suol dire, andò completamente a puttane.
Le uniche donne che, fra l’altro, non solo da tale individuo furono e vengono mal pagate, bensì mal palpate, più toccate di lui comunque, che gli donarono momenti di grazia.
Diciamo anche di fazzoletto e garze.
Ora, che c’entra The Irishman?
Da me il primo, così come disse Terry Gilliam, l’ultima sua mezz’ora m’apparve senilmente girata e scontata, addirittura retorica e didascalica.
Ma a ben vedere, rivedendola…
Frank Sheeran/De Niro sta nella sua stanza e l’infermiera gli misura la pressione. Lui le mostra la foto dell’amico Jimmy Hoffa. Personaggio che, ai suoi tempi, fu famoso quasi quanto John Fitzgerald Kennedy.
Hoffa fu da lui sciaguratamente assassinato.
L’infermiera non sa chi sia Hoffa e dice a Sheeran di stare soltanto buono e calmo ché deve misurargli, per l’appunto, la pressione.
Pensando già, fra sé e sé, che presto avrebbe smontato dal lavoro per incontrare il suo moroso. Andando al cinema a vedere Checco Zalone. Cado dalle nubi!
Quindi, come poterono avere il coraggio Marra e Francesco Alò ad affermare che The Irishman sia un filmetto?
Che dio vi benedica.
Come si suol dire, se non v’arrivate, andate riabilitati.
Ma, per caso, dove mai abitate?
No, non m’interessa. Mi piacerebbe però sapere come fate a vivere felici se il vostro cervello è disabitato?
Forse perché l’abito fa il monaco?
Capisco…
di Stefano Falotico
Talvolta, vivaddio, nasce qualcuno come Ben Richards/Schwarzenegger de L’implacabile
Ma che film! L’ho rivisto e ieri l’ho recensito.
Sì, nella mia vita mi è successa una cosa simile a quella che accade allo Schwarzy di questo film.
Ovvero mi piovvero addosso, per sfrontato gusto sadico e invidioso, delle accuse infamanti. Soltanto perché non sono mai stato un uomo comune.
E ho voluto crescere a modo mio. Vederla coi miei occhi.
Durante la mia adolescenza, mi son beccato le patenti più discriminatorie.
Così, l’elevatezza poetica diveniva, agli occhi dei superficiali burini cafoni, un mio cammino da Il mondo secondo Garp.
La mia gentilezza veniva scelleratamente paragonata a quella idiota di Forrest Gump. Il mio gentleman veniva travisato con estrema malevolenza e apparivo, anziché come James Bond, come Lando Buzzanca di James Tont operazione U.N.O.
Il mio percepirla, introiettarla, filtrarla, scandagliarla, inocularla in maniera portentosamente sofisticata indusse molta gente miope e, appunto, ottenebrata dalla sua ottusa visione limitata, a trattarmi come Al Pacino di Scent of a Woman.
La mia cinefila passione per Robert De Niro fu associata alla “schizofrenia” di Travis Bickle e, di conseguenza, fui visto come lo stesso De Niro. Sì, però quello de Il clan dei Barker.
Cosicché molta gente, farisea e stupidamente burlona, oscenamente pagliaccesca al pari di Killian/Richard Dawson, pensò bene di tirarmi uno scherzo immondamente crudele, brutale, truculento e asfissiantemente, ostinatamente menzognero e capzioso.
Sottoponendomi a estenuazioni sconsiderate per soddisfare lo psicopatico lor gioco ricattatorio del volermi indottrinare secondo fallaci, distorsive regole sociali, prudenziali e stolte.
Scaraventandomi, con superbo, sprezzante, ripugnante sberleffo, davvero nel mondo dei “folli”.
Al fine che capissi che non potevo fare la vita del bell’uomo.
Soltanto dopo aver esperito davvero la disumana animalità della società, come tutti loro avrei normalmente abiurato. Questo almeno è ciò che banalmente pensarono.
Insomma, vollero sporcarmi l’anima e la faccia per dimostrare che, in questa vita, non esistono fuggitive vie alternative.
Io non sono mai scappato da nulla. Andate a controllare agli atti. Mi pare che la mia patente di guida non l’abbia ottenuta con un concorso a premi. Che il servizio civile certamente non l’abbia svolto la mia controfigura. E certamente in quel posto non stavo assieme a delle scimmie. Ma in compagnia di gente con tanto di cultura, belli miei.
E i miei libri che stanno sulle maggiori catene librarie online non sono stati scritti da Ewan McGregor de L’uomo nell’ombra.
Quante idiozie che ho dovuto sentire. Quanti appellativi ignobili: castrato, Farinelli, fenomeno da baraccone, scemo del villaggio.
Solamente perché non ero e non sarò mai, appunto, un imbecille qualsiasi.
Sin da quando nasci, vogliono farti capire che si soccombe, si vien sbudellati, macellati, distrutti a livello psicofisico se non ci si attiene a precetti istruttivi, appunto distruttivi, di falsità e ipocrisia generale.
Come Ben Richards, fortunatamente, incontrai gente che mi sorresse, mi diede manforte, gente notturna, gente cazzuta, mica babbei, gente giustamente ribelle quando bisogna esserlo, gente che sa che non ci si può accontentare di essere uomini “normali” e “simpatici” con un lavoretto da due soldi e la ragazzina T.V.B. se la tua natura è quella del pensatore libero, del combattivo running man.
Di uno, diciamocelo senza vergogna e senza più gogne, indubbiamente sopra la media.
Credo davvero che ora la festicciola dei giochini sia finita.
E tu, sì, dico a te, non metti più paura a nessuno, ebete. Azzardati a dirmi un’altra volta demente e a ridermi in faccia da deficiente.
Te la senti adesso di giocare con uno con la mia forza e la mia mente?
Avanti…
Morale della favola: ragazzi, non abdicate mai. Inseguite i vostri sogni.
Ed evviva il Cinema!
Che spettacolo!
di Stefano Falotico
Lezione di nichilismo e religione: Asia Argento e Fabrizio Corona sono quelli che sono, ma anche voi non siete meglio, anzi
Asia Argento e Fabrizio Corona pregano col COR-ano?
Sì, vicino a casa mia c’è una moschea. L’ho già detto e lo ridico. I musulmani, ogni venerdì, dopo l’ora di pranzo, dalle 13 e 30 alle 14 e 30, vanno a pregare Allah. Mentre io sono in quel momento in macchina e li osservo, con in bocca una caramella della Dufour, la Elah.
Ah sì, Nella valle di Elah. L’ultimo bel film di Paul Haggis. La storia di un padre, un grande Tommy Lee Jones, che cerca giustizia perché gli hanno massacrato il figlio. Ma, alla fine, accettata l’ingiustizia immane, alza la bandiera americana come in Salvate il soldato Ryan. Mah…
Fare una strage non servirebbe a niente e indietro non si può tornare.
Vicino a quella moschea, per gli occidentali che credono al potere salvifico della psichiatria, ci sono due vie, Via Basaglia e Via Freud. Non mento, controllate, sono vicine all’università d’ingegneria. Limitrofe a una bellissima gelateria ove la commessa, se le dai dieci Euro in più, ti lecca tutto il cono con tanto di “cremeria”. Sì, uomini depressi, non affidatevi alle cure mentali, ché impazzirete del tutto, strapazzate al bacio il vostro mascarpone con riscaldante “gelato alla fragolina”. Con tanto di cucchiaio e succhiatina.
Fabrizio Corona invece, dopo essere stato in carcere e venir sbattuto ai servizi sociali, ancora grida che ha subito delle sevizie. Mah, di mio so soltanto che praticava il suo “esercizio” con molto vizio. Era corrotto fino al midollo e si è permesso di entrare nella privacy altrui senza averne alcun diritto. Che tipo dritto!
Fabrizio è sempre stato un zacquaro. Ho già spiegato che significa zacquaro. In italiano diremmo tamarro, bifolco, un australopiteco di Neanderthal pieno di tatuaggi d’iguane oltre ai suoi passati guai da viscido serpente. I tatuaggi sono belli solo sulle donne, piazzati nelle attizzanti zone erogene, come le caviglie. Sui maschi sono un pugno nell’occhio.
Il zacquaro è un essere ignorantone, che parla per frasi fatte e si agghinda di crocefissi e anelloni manco fosse Tony Montana/Pacino di Scarface. Sì, Fabrizio infatti, del film di De Palma voleva farne un remake con lui protagonista.
Io ho sempre sperato che potesse realizzarlo. Nella parte di quello che lo trivella alle spalle con la mitragliatrice… il sottoscritto, con tanto di occhialoni a inchiappettarlo da negro.
E dire che, quando Fabrizio annunciò questa fake news, voi pensaste fosse vera.
Fabrizio ha sempre esercitato un enorme fascino nei confronti delle donne. Sì, le donne più sono sexy e più sono zoccole. Perché in un uomo guardano al portafogli. Fabrizio poi non è male come uomo, a parte la sua cultura medioevale. Sì, la Rodriguez sapeva che, dietro il suo gel, ci poteva essere un ottimo uccello con tanto di “piscina”. Uno con cui costruirsi un futuro, soprattutto tre ville in montagna. Ove si respira aria pulita…
Adesso è la volta di Asia Argento. Un’altra bagasciona che, pur di avere il suo ruolo in B. Monkey – Una donna da salvare, l’ha da data a quel gorilla di Weinstein, uno che scopava come una scimmia.
Poi l’ha denunciato perché Weinstein, secondo lei, è solo un porco pachidermico, un rinoceronte che deve finire nella giungla a mangiare le banane.
Asia è una delle suine più vendute nelle macellerie. Ma non è una figlia di puttana. La madre Daria Nicolodi forse non era argentea pura, ma era rispettabile. Ah, è vero, Dario è stato il regista de L’uccello dalle piume di cristallo…
Asia però non è nata virtuosamente cristallina. Asia ha definito sua madre una fallita. Invece lei è una donna “fallica”. Lo sa che quell’idiota di Morgan, uno che si è sempre creduto David Bowie e invece ha scritto le canzoni per Giovanni Veronesi. Manuale d’amore…
Questi qua però sono tutti ricchi e trombano come ricci. Qual è l’X Factor del vostro cervello di merda che permette tutto questo?
Quali bacati cromosomi down sono impiantati nella vostra genetica?
Non è colpa vostra. Miei poveri cristiani, sfruttati, umiliati e fottuti, lavorate come cani tutta la settimana per aspettare la domenica e il mercoledì di Champions, urlare in curva che Mourinho è stato partorito da una meretrice e vi esaltate dinanzi alla volée di Ronaldo Cristiano!
E poi piangete perché avete perso per autogoal.
Non vi siete mai ribellati al sistema perché, tutto sommato, il gioco valeva la candela. Sì, quella del candelabro delle vostre lagne da bruciati.
Il potere lo sa e vi piglia per i fondelli. In radio passa Ramazzotti, vita ce n’è, ancora… ripartiremo assieme.
Che non è neanche brutta. Figuratevi le sue altre degli ultimi vent’anni. Ah ah.
E figuratevi la vostra vita fra trent’anni se già a venti accettate ogni stronzata, ogni canzonetta, e riempite la panza delle mezze calzette.
Paolo Sorrentino ha sbagliato tutto con Loro. Già il titolo fa schifo. Doveva intitolarlo… Mi persi in un Silvio oscuro ché Veronica Lario retta era smarrita…
Vediamo se ci arrivate?
Davide contro Golia, contro il moloch…
Sì, è la paura di perdere già il vostro piccolo mondo nano. Paura che, se vi azzardate a combattere per la verità, chi sta a capo di tutto vi distruggerà. Paura di perdere i vostri amici che vi leccano e che compiacete per non turbarli, paura di perdere quella scema inaudita della vostra compagna perché, comunque, almeno due volte a settimana tenete caldo il pistolino… e poi ci ammorbate coi moralistici pistolotti!
Vi professate comunisti ma siete i primi capitalisti. Sfruttate da parassiti la cosiddetta cultura, parola della quale vi riempite la bocca, ché fa intellettuale figo, e poi aspettate al vostro video due visualizzazioni in più per sbarcare il lunario. Dunque, siete degli approfittatori, degli arrivisti come quelli che aspramente criticate.
È proprio vero. E lo diceva quel mafioso di Andreotti… il potere logora chi non ce l’ha.
E la retorica, aggiungo io, serve solo alla donnetta che legge Novella 2000 e assume cinquanta gocce di Valium al giorno perché è triste…
di Stefano Falotico
Il Principe (non) detta legge: basta con gli accampamenti… di scuse, vedete davvero di creare un mondo migliore, partendo dalle fondamenta, anzi, dai fondamentali
Sì, mi son stufato. Oh, io mi stufo e scaldo, non solo di rabbia, quando arriva Ottobre, le caldarroste nelle stufe. Che, profumate, rosolando ben arrostite, emanano una fragranza che entra dritta nelle mie narici, che a loro volta inalano quella gradevolezza della castagna che poi ingurgito nelle mie labbra già saporite per mia natura gustosa.
Sì, bando alle ciance, son uomo stuzzicante, quando son in forma mi rendo squisito, stimolo l’appetito delle donne, che mi mangerebbero in un sol boccone, son sfizioso al loro palato e di lingua lecco con avidità succulenta.
Ah ah.
Sì, io parlo a ragion veduta, come si suol dire. E se dico ciò che vi sto per dire è perché io so, l’ho provato sulla mia pelle, ho conosciuto stati alterati della mia mente così abrasivi alla mia anima, afflitta e sconsolata, che ora non patisco più la pigrizia sconsiderata dell’uomo medio inconsolabile che mangia solo acida insalata, colui cioè che sempre scuse accampa. E ti sfancula, stronzo, con le sue dita medie. Più che vegetariano è un vegetale.
Sì, la sua vita non ha scusanti, eppur è corroborata dalla continua testardaggine e dalla più bugiarda scusante. Appena entra a contatto con una realtà che non sa affrontare, come faceva la volpe con l’uva, dice che l’uva è acerba, e che lui merita il “meglio”. Cioè l’immobilità del suo pensiero stabilizzatosi nella mediocrità più egoistica, pusillanime, soprattutto menefreghista. E rinuncia ai piaceri veri della vita, imperterritamente procrastinando il piacere in una dimensione paradossalmente repressa in cui si sente felice. Assurdo, no? Sì, l’uomo medio si auto-inganna in continuazione, ed è incurabile.
Quando era adolescente, costui rifiutava l’amore, sostenendo che lui era superiore a certe smancerie, era già “elevato”. Elevato tanto che non lo “elevava” mai. Preferendo la compagnia di libri, ottimi, per carità di Dio, ma la teoria, anche la più nobile, è bella quando la si applica, perché altrimenti diventa triste retorica, una stupenda argomentazione priva di vita sentita davvero, vissuta, compenetrata… disanimata, è solo disamina sterile, sterilissima come può essere un florido, gagliardo uccello… tarpato.
Io parlo con cognizione di causa, sì, passai tempo infinito, sterminato che ancor oggi mi lecco le ferite, a fissare il soffitto, immaginando un mondo migliore e castigandomi nel più assoluto mutismo. E, tra il dire e il fare, c’era di mezzo il mare. E patii immensamente la mia lontananza da coetanei sicuramente meno intelligenti di me ma certamente più direttamente godenti (ah, godenti è magnifico) l’odore della suzione, sì, succhianti la linfa vitale orgasmica e soprattutto succhiati da ninfe, forse plebee, volgarotte e zoccoline, ma senza dubbio utili a un fottuto pompino. Sì, anch’io dovevo spomparmi, essere diciamo così più invogliato, imboccare quelle “spremute” e lasciar che il succhiotto, no, il succo spruzzasse, no, gioia sprizzasse.
Ora, prendiamo Cape Fear. Chi non l’ha capito, lo rispediamo dalle suore. Che poi anche le suore…
Max Cady è pazzo, questo è fuor di dubbio, ma tanto sano non è neanche il Bowden. Lui se la spassa con le amanti e relega la moglie al ruolo di marionetta, reprimendo la figlia e colpevolizzandola solo perché ha fumato marijuana. Quando lui fan ben di peggio e si comporta nel quotidiano in maniera mostruosa. Si professa credente, non solo della Holy Bible che rinnega a piacimento, ma del Sesto Emendamento. E poi non difende a dovere, sì, un uomo macchiatosi di un crimine orrendo, lo stupro, ma perfino contribuendo a far sì che la sua sacrosanta pena venga prolungata. Inaccettabile, imperdonabile. In parole povere, il Bowden è un porco. Che campa coi soldoni sulle disgrazie altrui. E sta impartendo alla figlia un’educazione farisea e bigotta. La tratta come una bambina quando vuole lui e le compra il gelatino, poi si turba quando vede le sue gambe in bella vista con lei che indossa soltanto un paio di slip da ragazza innocentemente impudica.
Tornando invece a Cady, in carcere è impazzito più di quello che era già prima, ma in qualche modo la durissima esperienza carceraria l’ha illuminato. Perché, dopo tanto errare, sia nel senso di aver commesso mille orrori ed errori, sia nel senso di aver vagato nella perdizione, rinsavisce. Fino a un certo punto. Perché è libero ma è accecato dall’odio e da una voglia inconcepibile di vendetta nei confronti del suo avvocato che ritiene essere il principale responsabile dei suoi patimenti. In questo è pazzo, Cady. Ma, nella sua folle lucidità, è l’involontario salvatore della figlia di Bowden. Le fa capire che sta equivocando la vita, e che i suoi studi sono, sì, nobiliari e corretti, ma che le sta sfuggendo il piacere dalle mani. E dopo lo rimpiangerà soltanto perché voleva la vita “sana”. E la sprona a leggere Miller perché o lo legge subito, in pieni suoi turbamenti adolescenziali, oppure poi non solo non avrà più il tempo di leggerlo ma non lo capirebbe neppure, non lo godrebbe. Perché sarà semmai sposata, con le bollette da pagare e lo stress di un lavoro impiegatizio e frustrante. E allora addio vita selvaggia, addio ai sogni di libertà, addio alla purezza del godimento un po’ euforico com’è lecito e bellissimo che sia a quell’età.
– Stefano, e dire che io pensavo fosse solo un buon thriller.
– Infatti tu non hai capito un cazzo, non solo del film ma della vita.
– No, io ho capito tutto. Guarda questi. Che infami. Stanno sempre a divertirsi e a ballare. Ma chi dà loro tutti quei soldi? Io sono un tipo da Essi vivono.
– Guarda che Essi vivono non è un film contro il piacere della vita. Anzi, tutt’altro.
– In me vige lo spirito guerriero dell’uomo che si spezza ma non si piega.
– Sì, anche quello del tonto. E, in questo tuo vigere, continua pure a barricarti nell’accampamento. Un insediamento, alla lunga, masochistico.
L’altra sera ero in giro per strada. Al che si avvicina una…
– Posso offrirti da bere?
– Ma per l’amor di Dio. Sai chi sono io? Io sono laureata in astrofisica nucleare e in ingegneria aerospaziale.
– Ok, come vuoi. Hai visto in cielo? Guarda come la Luna, nella rifrangenza trigonometrica dei suoi crateri asimmetricamente lucenti, irradia la sua luce pallida su noi mortali che viviamo in palazzi di cemento armato e ci armiamo nel fare sempre stupide guerre. Dico, continua così… Ammira e fatti ammirare. Ottimo! Mi serve una statuina nel presepe, mi manca la scema del villaggio.
di Stefano Falotico
The House That Jack Built e la casa che mi sto costruendo io, nonostante in molti la smontino, io la rimonto
Sì, von Trier è un acclarato venditore di aria fritta, un incontestabile smerciatore di fumo negli occhi, cioè uno che nei suoi film sostiene “tesi” senza fondamento/a, prive di qualsivoglia spessore. E racconta di donne cieche la cui indomita volontà di vivere le salva dall’autodistruzione, di ninfomani e uomini al jeu de massacre, e adesso di un serial killer, chiaramente ispirato a Jack lo squartatore, che ha “costruito” la sua casa con le viscere delle sue vittime, coi pezzi sbranati, dilaniati, a lor volta spezzettati delle sue stesse brutalità abominevoli. Ed è fiero, terribilmente perverso nel fingere una normalità che probabilmente non ha mai avuto dalla nascita, sgattaiolando nel silenzio e coprendosi dietro la maschera rispettabile dell’impassibilità meno sospettabile.
Una vecchia barzelletta dei miei tempi recitava… sapete perché invitavano Jack lo squartatore alle feste? Perché portava sempre con sé dei gran pezzi di figa.
Una battuta di rara freddura e raccapriccio, da mettere i brividi, partorita da paninari che adoravano doppi sensi ovvi e scontati come il peggior Cinema di von Trier.
Perché vi piace von Trier? Perché dice la verità in maniera, appunto, nuda e cruda? No, ribadisce luoghi comuni atroci e li “stigmatizza” in riprese scarne, ossute oserei dire, che arrivano al “nocciolo della questione” con pochezza espressiva degna di una videocamera 8mm. Tant’è vero che quando cerca di essere patinato è ancor più finto e alcune sequenze iniziali di Antichrist assomigliano indubitabilmente a uno spot di Lancôme.
Ma quanto da me asserito con tale sfacciato orgoglio potrebbe anche non essere vero perché chiunque, anche Paolo Mereghetti che bellamente stronca quasi sempre Lars, vive di quotidiane finzioni. Dunque la verità, possiamo affermarlo puntualmente, non esiste. Non è di questo mondo e chi si è illuso di averla trovata è più scemo di quello che in effetti stringi stringi è, parafrasando Oscar Wilde secondo il quale l’abito invece fa eccome il monaco.
Se vedi uno per strada che elemosina le possibilità sono due: o sta girando un film sugli homeless oppure è un povero mendicante “realisticamente”.
Come quelli sposati che, visto che temono il divorzio e hanno ora dei bambini da educare, ammettono falsissimamente che loro non guardano più i porno né si recano su Instagram a contemplare i bei culi perché sono “cresciuti” e hanno da fare… cose più “serie”.
Volete la verità? Sono i primi, questi moralisti osceni, ad aver le mani “sporche”. A vivere di perversità che semmai non si esplicitano in purezze fatte di atti impuri ma di sconcezze immonde nella vita di tutti i giorni. Perché costoro emarginano chi non la pensa come loro, sono sempre restii a ogni forma d’innovazione e cambiamento, sono i più stronzi conservatori di un mondo da lor stesso creato e reiterato di azioni meschine, spettegolanti, piccolo-borghesi fradicie, invero assai scostumate perché rinnegatrici della giustezza e dell’equità, della democrazia e della libertà Maniaci indagatori del prossimo, spioni e sostanzialmente coglioni. Esorcizzatori dei loro abomini esistenziali nel rinfacciare agli altri le stesse “colpe” di cui loro sono i primi rei non confessi.
Sì, sono come Samuel L. Jackson di Pulp Fiction… Questo mi piacerebbe. Ma questa cosa non è la verità. La verità è che tu sei il debole, e io sono la tirannia degli uomini malvagi. Ma ci sto provando, Ringo, ci sto provando, con grande fatica, a diventare il pastore.
Ah, fratello carissimo, è una società piena di psicopatici. Ma vedi di non fare la morale a me. Io sono l’incarnazione vivente di tutto ciò più lontanamente possibile dal male. Quindi, per carità, per l’amor di Dio. Vedi di rompere il cazzo a chi se lo merita. E ora vedi di levarti di culo, figlio di puttana, o ti prendo a sprangate e t’infilo il tuo crocefisso ove dico io. Ah ah. E lasciami amare questa Thurman che, cazzo, sarà pure magra, ma ha un paio di tette che neanche la mongolfiera ne Il giro del mondo in 80 giorni…
Cristo, adesso Ethan Hawke gira First Reformed, film trascendente, ma Dio lur… o p… o non deve aver molto trasceso con Uma…
E questa è la verità, per la Madonna.
Adesso scambiatevi un segno di pace e, se la Thurman con voi ci sta, “beneditela”.
Ora, direi che dovreste rileggere il titolo di questo post. Ridete, ridete pure. Ah ah.
Intanto me la ingroppo.
di Stefano Falotico