Posts Tagged ‘Valerio Vannini’

Amici alla falotico, nel senso del termine bizzarro


18 Aug

Agosto sta svanendo, svenevole si scioglie e io abbandono ogni remore e disancoro gli ormeggi, ai miei amici ancorandomi. Arpionato in me, ballerino in tal vita di danzatori ipocriti, porgo il mio ringraziamento a chi, appunto, ipocrita non è e invece naviga soavemente nel mare, ondulato di grazia, delle persone vere. Alle quali porgo i miei omaggi, poi sarà Settembre, mese caduco dei primi crepuscoli autunnali, dunque giungerà a noi la Primavera, stagione delle prime fertilità adult(er)e, poi Maggio e or si va di piumaggi, in quanto io son un puma che nella vita corre, inseguendo ancor affamato attimi di (in)felicità in tal giungla che è la metropoli ricattatoria e crudelmente subdola.

Ringrazio, or dunque, da casa mia e (non) a cas(acci)o, Germano Dalcielo, mio editor oramai collaudato, scrupoloso e intransigente correttore delle mie bozze letterarie, indagatore dei refusi dai raggi x (im)perscrutabili a trovar ogni (s)vista ed errore di (im)possibile strafalcione, quello che io chiamo (in)volontario orrore, Anton Giulio Onofri, amante come pochi ci son rimasti, purtroppo, anche per fortuna (della serie, la classe non è acqua e il buon gusto è degli eletti), di Clint Eastwood, di cui, dovete sapere, che conosce vita, morte e non solo miracoli, bensì anche, in quale mensola, Clint ha lo spazzolino per i suoi sempre bianchissimi denti su celeberrimi, imbattibili occhi di ghiaccio da texano che non deve chiedere mai il dopobarba, Vera Qwérty, scrittrice che, indubbiamente, è più folle di me, e ce ne vuole, sappiatelo, la nostra è una amicale rivalità di pazzie prosaico-poetiche da uomini troppo fuori di testa per adattarci alle limitatezze di una triste umanità conformista, uomini veri, anche se lei è Vera di nome e di fallo, no, di fatto, una donna che parla spesso, nei suoi libri, di maschi (de)relitti, in quanto marci maniaci piccolo borghesi piccolissimi, e li sputtana mentre mangia la marmellata fra un cucchiaino non tanto dolce nei lor confronti, un frontespizio cazzuto e una visione al congelatore della nostra (r)esistenza difficile per congenita presa di coscienza che chi sente, è anche portato a raggelarsi dinanzi a tal mondo inaridito che si scalda per fanatismi e fondamentalismi cagionanti sol fegato spappolato, Valerio Vannini, intrepido cinefilo che crede fortemente in me e alla mia (in)credibile storia, insistendo nel darmi manforte, Gianluca Marzani, attore di Teatro che si contraddistingue per la sua colorita, eccentrica unicità interpretativa (im)pari solo al grande Al Pacino unito a John Belushi, insomma, un performer coi fiocchi e inimitabile, Giancarlo Buzzi, uno che deve aver capito il senso della vita a soli 15 anni, e da allora patisce (in)giustamente la grandiosità del suo essere-non essere oltre, Raffaele Costanzo, ché non ho ancor capito come fa ad amare, al contempo, sia Sylvester Stallone che Woody Allen, a leggere Stephen King e poi a farsi fotografare vicino a una croce da Madre Teresa di Calcutta, ma il suo bello rebel è questo, Davide Viganò, un uomo che è meglio di Stalin ed è durissimo amante di von Trier mentre accarezza il suo gatto, ascoltando musica rock.

Requiescat: Indagine sulle morti di Čajkovskij


07 May

Pëtr Il’ič Čajkovskij, figura emblematica della Musica, genio e compositore indimenticabile.

Ottavio Plini e Alberto Luchetti hanno pensato d’indagare sulla sua misteriosa morte, girando questo corto straordinario, che ospito qui nel mio sito e di cui sono anche la voce inquisitrice.

Centoventi anni fa, la notte del 6 novembre 1893, Piotr Ilic Čaikovskij moriva a San Pietroburgo, nell’appartamento del fratello. Le cause della morte sono a tutt’oggi misteriose, con almeno tre ipotesi molto diverse fra loro. Cosa accadrebbe se fossero chiamati tre testimoni vicini al compositore negli ultimi giorni a raccontare ciascuno una di queste versioni? E chi, se non Čaikovskij stesso, potrebbe avere l’ultima parola sulla questione? Le note della sua sesta sinfonia, conclusa poche settimane prima, ci saranno compagne in questo viaggio, dischiudendoci le estreme verità di questo grande uomo.

Regia di Ottavio Plini e Alberto Luchetti da un soggetto di Ottavio Plini. Fotografia di Alberto Luchetti e Marco del Rosso. Aiuti operatori Tommaso de Brabant e Andrea Prandini. Interpreti: Giacomo Beria, Valerio Vannini, Attilio Costantino, Monica Maria Seksich, Stefano Falotico.

 

Recensione di Stefano Falotico

 

Ipnotico, “breve” capolavoro che racchiude, in lirismo d’immagini fuori d’ogni epoca, l’assoluta anima di un genio “vergato” nei patibolari ultimi suoi giorni prima dell’addio definitivo ma immortale per l’umanità. Magnetiche presenze s’intersecano a gravitar di congiura e testimonianze discordanti, diluite in plumbei nitori fra inquadrature accorate, soffuse, “al liquore”, avvinghiate all’enigma per sempre misterioso, aura di fascino “arsenico”, dolce-amara visione del Tempo scandito nelle lucenti, incantevoli note della sua impareggiabile colonna sonora colore Bellezza.
Spettralmente, appare dalle nebbie L’Inquisitore, figura “mascherata” flamboyant, voce gotica che s’incarna (in)visibile dalla penombra, si sviscera dalle e dentro le tenebre profonde di quest’indagine maestosa. Quindi, sfilano i suoi amici, i suoi conoscenti, i suoi “assassini”. Il rimpianto dell’amore e di una vita sacrificata per un bene altissimo, estremo. Poi, il Cielo lievissimo s’increspa nella Notte.

Complimenti a tutti gli interpreti, con particolare menzione per il protagonista, nel cui “vegliardo” volto brilla la saggezza vivida di un grande Uomo, per Valerio Vannini, perfetto, stupendo sentire ad aderenza del dolore così elegantemente espresso, e a Ottavio, “fantasma” inquietante da “lugubre” cerimoniere.

Dizionario dei film 2012 – I migliori film dell’anno (“L’alba del pianeta delle scimmie”), parte prima


01 Aug

Prefazione di Stefano Falotico, il Genius, Travis Bickle 1979, nato per essere Lui.

Un altro magico journey nelle favole incantatorie del Cinema, nostro diletto supremo e convergenza delle più alte emozioni nel tenue sospirarle e vagabondo adorarle.

 

Un’immersione dentro la celluloide ad abisso dei suoi punti focali, nevralgici, fra tramonti di color alabastro “arrossito” nell’intingerci sui nostri pudori svelati romanticamente, sfocato spalmarcene come febbre divorante per attraccare focosi ai suoi polmonari respiri infatuati dell’immenso, fluttuante arcobaleno, “inghiottirli”, “incenerire” le angosce che ci turbano, veleggiar armonici nel sobrio “assopire” la realtà e mutarla a specchio dell’infinità mastodontica. Come artisti, “sofferenti” gioiosamente nei cunicoli del meandro esplorato, come ricercatori d’oro in questo tripudio di triste, spesso, cinica società che non crede più nei sogni, nella traspirazione onirica a “proiezioni” del grande schermo ottico, o forse finge di non vedere all’interno di tal stupenda, fotografica, dunque immortal profondità con quell’illusorio ma riprovevole senso pragmatico che a noi mai si accor(d)a.

 

Siamo noi i guerrieri dell’amore per l’Arte, e il Cinema rappresenta la montagna più sacra di coloro che protendon alla vetta della Passione.

Dei cieli a limpidezza estrema, a scarnire le nostre combattive anime nel “blob” esplosivo e stordente delle pellicole più suadenti.

N’afferriamo la “disomogenea” miscel(lane)a e inanelliamo prose a venerazione del suo ipnotizzante lirismo.

Come creature di un’altra epoca, “assoldati” al Dio Cuore, piacevolissimevolmente attanagliati dalle sue “morse”, e morsi, appunto divinatori d’eccelso.

D’estrema “unzione” che ci bacia, con delicatezza, d’angelico rinascerci a ogni nuova prodigiosa immagine, a innovarci col nobile fine d’arcuare i nostri lineamenti visi-vi nel “supplicare” altro goderne delle visioni, e innamorati, per sempre, del flusso madido d’intrecci sfavillanti.

 

Mercoledì 1 agosto 2012, 10:54

Ebbene, scoccan le ore a noi più intraprendenti, di palpitazioni emotive affilate come sempre di sogni “errabondi”, corroborati e dunque coloratissimi, talvolta, d’intrepida furia a noi più incarnata, scatenata e dalle “catene” slegata. Come scorribande nel “nitrato” di cavalli pazzi, irti in magnificenze nostre, dorate e ancestrali d’“ammaestrarci” solo a briglie sciolte, pittando le nuvole, anche gli umori “ombrosi” d’annuvolate tempeste caratteriali, mai di “cattedra” pomposa o “s(c)ibilante” (pres)untuosamente, ma forbitamente “crateriche”, in tenue “acquerello” che, pennellando “guasconissimo” d’una irriverenza solo nelle reverenze a noi più congeniali d’innata indagine delle nostre variopinte, pindaricissime, fiammeggianti anime, s’“arzigogola” come un dondolarci mesti e poi “mareggianti” nelle lagune veneziane da gondolieri contemplativi nell’ascetico nostro effonder la purezza acquosa d’una foschia via via più rallegrata ed erta, a cangiar i mutamenti oscillanti dei nostri cuori “arsi” dalle piogge o dai gocciolii d’appassionate immersioni stupende ove i raggi della solarità ancorata all’“accorarci”, appunto, di cavalleresco veleggiarci, ci svela in vortici mnemonici d’immagini già (sovra)impresse nei nostri cutanei bagliori di folgori fulminee, dunque profondi sotto l’appariscenza meno visibile ma di visibilio visivo, nel fulminarci di Bellezza.

Atrocemente vivi e fieri.

 

Passeggiai, di motivetto “serenetto”, stamane lungo questa città, tetra d’Inverno e desertica d’Estate, oggi ch’è vigilia d’Agosto, anzi no, è proprio l’1 del mese più rovente dell’anno, mese di spiagge “bikinizzate” per esibizioni “costumistiche” ove una bionda impiegata impiegherà mezz’ora solo per infilarsi nel “bagno”, “estatico” appunto degli occhi allupati di bagnanti già essiccati dal brivido di desideri furibondi, castrati da docili mani “ammogliate” per vol(t)ar la vista verso l’orizzonte tramontato dell’o(r)mone, al fin “taumaturgico” dell’ipocrisia “conciliante” con le nuziali “fedi” d’un anello al dito che ha promesso giuramento e ne ha irreggimentato la lussuria, nel caldo rifiorita, ma da sfiorir ché non riaffiori il maschio che eri, prima che t’evirò.

Sì, immagino la giornalista Elvira, stanca di discorsi “balistici” d’un Calcio che odia ma le mantiene il privilegio d’essere amata dalle videocamere “spioncine” delle sue maestose gambe di minigonna attizzantissima fra un goal e un’esultanza del “volpon” che ferma la cardiaca “serenità” d’un “tifo” molto “afoso”, (s)lanciato, slacciatissimo, “investigativo” a spogliar le sue calze, lì lì, indecisa se mostrar impudica il seno, pezzo forte, o “spezzettartelo” in due, tranciata in “monodose” di pareo “detergente”.

 

Al che, “violentato” dal desiderio riscaturito di gola bruciata dalla temperatura bollente, impazzisco, e decido, come il mio amico di (s)ventura Ismaele, il “mozzo” delle balene bianche, di sguazzar nell’Oceano spirituale d’elevazioni filmiche, forse per “tramarmi” d’intrecci “aggrovigliati” a un casto “cinturar” l’onor valoroso da coltissimo cinefilo, per dimenticare (per un po’, solo “istantanee”) le rive troppo “asciutte”, e navigar di perpetui, “abissali” tuffi, quasi quanto le nostre olimpioniche, “greche”, statuarissime campionesse dei “trampolini carpiati” e da me carpiti in stardust golosità più metafisiche.

Sì, Elvira ha un fisico che ti fa “tribolare” peggio del fisco, è una che se la vedi poi “fischietti”.

E, se ti deluderà d’un “No(do) reciso”, la fiaschetta sarà di consolazione per non esserti “assolato” con Lei. Non confidatelo, amo quella Donna, i suoi tacchi “depredaron” la mia virilità da “macho man” alla Kevin Kline, e mortificarono, “pietrificandomi”, il mio In & Out(ing) in zona “Onoff”, incerta e titubante se corteggiarla o esser avaria, “torpediniera”, del mio “modellino” da nautico in miniatura.

Sì, non merito la sua statura, e Lei non merita il mio cervello e il mio amor visceralissimo per il Cinema.

Perché il chiodo tu batterai, ma non ti schiodi dalla prima, più vera e vivifica infatuazione fastosissima, la Settima Arte, la più grande di tutte, poiché in essa convergono tutte le altre d’amplessi (s)fumatissimi.

Virtualità o realtà più nuda delle maschere carnevalesche di Elvira? Bugiarda della sua sensualità?

Sì, il Cinema mi salverà dalle sue grinfie, e “smalterò” le unghie del mio erotismo in un onirismo catartico.

L’importante, comunque, “ricordatelo” sempre, è unire appunto al “piccante” i neuroni plananti.

Mai platinati, semmai ci pattiniamo sopra, di gusto zuccheroso, poi malinconico, un po’ sal(t)ato. E molto saettante.

Tutto questo preambolo, un po’ “embolo”, per presentarvi il nostro nuovo “Dizionario dei film”, stavolta della stagione appena trascorsa.

 

Come ben sapete, l’anno scorso, io e Valerio Vannini, cioè Travis Bickle 1979 e Spopola, che io scrivo sempre con la “S” di Superman maiuscola, abbiamo allestito un vademecum di recensioni e “bizzarrie” che, oggi, ha trovato sovran diritto di cittadinanza alla Feltrinelli ed è acquistabile sul sito “Ilmiolibro.it”.

 

Tutto partì per affinità elettive, una raccolta entusiastica che “copia-incollò” le nostre opinioni su “FilmTv.it” proprio qui, su “Cinerepublic”.

 

Le potete trovare tutte in tal luogo, già, “guarnite” di clip, curiosità, filmati, locandine, poster trailer.

 

Perché dunque non ripetere la straordinaria, unicissima esperienza e imbastirne un altro, semmai ancor più grande, più completo, più articolato e anche più “ermetico?”.

 

Come sempre, c’avvarremo di “guest star”, le firme più autorevoli del nostro sito per dar voce un po’ a tutti, indiscriminatamente, come già avvenuto per il primo…

 

Ma esagereremo, eccome se remeremo.

 

L’imprescindibile, illuminato nostro M Valdemar  ha dato il suo assenso e la sua magia di “assenzio” per un “Non c’è due senza tre”. A cui, come detto, se ne aggiungeranno altri.

 

Anche il magnifico, titanico ROTOTOM fa parte dei nostri, i quattro moschettieri, quindi. Arditi e “arsissimi” nella celluloide, di spade incalzanti.

 

Sì, dunque vol(t)eremo su incantatori sprazzi e spaziali orbite filmiche, “mirati” nel vento e nelle memorie.

Capitani coraggiosi, cavalieri romantici e romanzeschi, Excalibur nostra per un Sacro Graal perduto, forse dalle inique “modernità” d’un progresso che sta schiacciando progressivamente, appunto, il magma favolistico delle eruzioni più intimamente “evolutive”.

 

Cristo, coi suoi fedeli, apostoli d’un terzetto via via ad allargarsi e prender forma e sembianze.

 

Recensioni quindi personalissime, perle come Atlantide sommersa da “dissotterrare” dall’Oceano, forse (ig)noto, e rifulgerle in tutta eroticissima, erculea, forzuta, energica, adrenalica robustezza.

 

Stoici combattenti.

 

E allora, come Gerard Depardieu/Cristoforo Colombo del capolavoro di Ridley Scott, 1492… La conquista del paradiso, eccoci qua, Io, e le irrefrenabili tre caravelle a imbarcarci per lidi di scoperte magnifiche e immaginifiche, col timon d’un Peter Weir che ci sprona soffiandoci nelle iridi d’ incontaminato idillio visivo e in noi fulgido.

 

Chi è M Valdemar? “Misterico” personaggio d’ascendenza lynchiana, il cui nome, forse, riveleremo più avanti, forse in una Notte tempestosa e solitaria, “nudissima” a confidarci chi (non) siamo, nell’autentico guardarci dentro e negli occhi.

 

Chi è ROTO? Questo genio cinefilo che, dal vivo, è più bello e sexy di Javier Bardem?

Avrete modo d’ appurarlo, forza, salite sulle nostre navi.

 

Miei prodi, noi lodiamo il Cinema!

 

E mi sembra, quantomeno doveroso, iniziare il viaggio con Valerio, mio mentore e raffinatissimo chef che ci fa gustare i film come pietanze prelibate quando apriamo la bocca, anzi no, il boccaporto e pranziamo assieme.

 

 

In una data indeterminata…

 

L’alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt

 

Will (James Franco), giovane scienziato, sta cercando di sviluppare una cura per l’Alzheimer attraverso la creazione di un virus benigno capace di riparare i danni provocati dal morbo. Quando la ricerca viene chiusa, Will decide di tenere con sé il figlio di una delle sue migliori cavie, lo scimpanzé Caesar. Ben presto, Caesar comincia a mutare a causa degli effetti del virus fino a divenire il capostipite di una nuova stirpe che dichiarerà guerra agli umani.

 

 

Il pianeta delle scimmievero e proprio cult non solo fantascientifico della seconda metà del secolo scorso girato da Franklin J. Schaffner nel 1968 e sceneggiato da Michael Wilson e Rod Serling a partire dal romanzo di Pierre Boulle, con il suo rovesciamento radicale della gerarchia uomo/animale e il bellissimo e inquietante finale pieno di apocalittiche premonizioni sulla stupidità del genere umano e le disastrose conseguenze che ne potrebbero derivare per troppa presunzione e sete di potere, è entrato a buon diritto nell’immaginario collettivo di intere generazioni di spettatori diventando un classico del genere per quel suo essere un thriller sociologico futuribile, ma allo stesso tempo anche una favola filosofica e politica che, ambientata in un domani ancora lontanissimo, parla però di un presente non tanto immaginario pieno di incertezze e di azzardi come quello in cui viviamo.

Il successo del film fu davvero planetario, ed era inevitabile che invogliasse gli studi hollywoodiani a sfruttare le ardite tematiche implicitamente suggerite fino a spolparne l’osso, inventandosi altri episodi intorno e creando di conseguenza una saga organizzata in ulteriori quattro capitoli fra sequel (L’altra faccia del pianeta delle scimmie, 1970) e prequel (nell’ordine, Fuga dal pianeta delle scimmie del 1971, vero e proprio anello di congiunzione fra presente e passato, 1999: Conquista della terra del 1972 e Anno 2670 ultimo atto del 1973) sempre più stanchi e ingarbugliati (nessuno dei quali davvero all’altezza dell’originale), finalizzati soprattutto a raccontare in quale modo si era potuti giungere a quel punto di “non ritorno” messo in scena con appassionato vigore anche visionario (magnifica la fotografia di Leon Shamroy) dalla pellicola di Schaffner.

Quando in America si è a corto di idee, si cerca poi sempre di ripercorrere sentieri conosciuti sperando di rinverdire gli allori correndo pochi rischi, e anche in questo caso ci si è provati a farlo (un po’ maldestramente per la verità) già nel 2001, Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie (diretto da Tim Burton), che si conferma un remake tutt’altro che memorabile e poco necessario, se non per un finale ugualmente inquietante e particolarmente indovinato, comunque insufficiente per riscattarlo interamente e dare un senso compiuto all’operazione di rivisitazione.

La crisi sempre più profonda degli studios, e il progredire delle possibilità offerte dall’evoluzione della tecnica computerizzata degli effetti speciali, ha poi determinato una nuova attenzione “commerciale” sul soggetto che ha generato nel 2011 questo L’alba del pianeta delle scimmie diretto da Rupert Wyatt, con il quale si è cercato di ritornare di nuovo sull’argomento in modo più personale e “realistico”, proprio mettendo in scena il prologo di quella tragedia con una sceneggiatura molto liberamente ispirata al libro di Pierre Boulle (o meglio a quello che tale romanzo poteva suggerire fra le pieghe), ma ben strutturata e credibile, scritta a quattro mani e con intelligenza narrativa da Rick Jaffa e Amanda Silver.

Pur rimanendo nel segmento minato dei blockbuster, il risultato possiamo definirlo un gradevolissimo ibrido fra divertimento e impegno che è riuscito a centrare pienamente entrambi gli obiettivi, fornendo per altro davvero nuova linfa a una impresa che io personalmente avevo immaginato (evidentemente sbagliando) persa in partenza.

Intendiamoci: niente di eclatante, ma l’intelligenza che il regista ha messo nel narrare per immagini questo “rifacimento inventivo” della Genesi della Storia, lo rende particolarmente interessante proprio perché, nonostante la contiguità tematica e di riferimento, Wyatt è riuscito a lasciarsi definitivamente alle spalle la sudditanza psicologica verso la serie originale, realizzando così un kolossal stimolante per più di un motivo (e soprattutto meno ovvio) che, proprio partendo dalle vestigia un poco arrugginite delle ultime precedenti puntate, ripropone spettacolarmente e narrativamente temi ormai in larga parte sfruttati e forse anche un poco usurati, ma rigenerandoli “a suo modo” e senza troppi timori reverenziali, non perdendo però mai di vista il “timone” che consente comunque di restare inequivocabilmente “dentro” la storia, anche se letta da un’altra prospettiva (anche temporale), un procedimento questo che finisce per rendere il film un prodotto certamente “commerciale”, ma di gran lunga più valido e interessante di quasi tutte le altre pellicole in circolazione e ormai tanto di moda a Hollywood, che hanno organizzato il proprio percorso narrativo come prequel, o reboot proprio per andare sul sicuro.

L’azione è infatti ambientata ai giorni nostri o giù di lì, e parla di uno scienziato, Will Rodman, che ha appena scoperto un farmaco che cura l’Alzheimer attraverso la rigenerazione delle cellule cerebrali. Ma quando uno degli scimpanzé da lui utilizzati come cavia riesce a fuggire, seminando il panico, il progetto va a monte e l’animale viene abbattuto. Il figlio dello scimpanzé, che ha ereditato un’innaturale attività cerebrale, viene adottato quasi come atto riparatorio da Will, ma l’intelligenza dell’animale aumenterà esponenzialmente con la crescita, fino a eguagliare (ed anche superare) quella umana, creando qualche grosso problema di contenimento.

Grande spazio è infatti lasciato proprio al mondo animale, il che potrebbe far pensare persino a un blando tentativo di provare a rinunciare – grazie alle nuove frontiere della teconologia – al ruolo una volta preponderante degli attori in carne e ossa, a favore delle sorprendenti “creazioni” digitalizzate delle scimmie (creature ibride, quasi “realizzate in serie” a opera di Andy Serkis e della Weta, che per la verità sono così perfettamente e realisticamente “(in)naturali” da far ampiamente rimpiangere – per lo meno a me – i più artigianali trucchi scimmieschi su attori in carne e ossa inventati da John Chambers per il film di Schaffner).

Il meccanismo del ribaltamento che punta alla collocazione dell’uomo in un contesto animalesco (e viceversa), vero elemento scioccante (e anche disturbante) di tutti i vari tasselli della serie, rimane evidentemente invariato anche in questo caso, ma rimodellato e vivificato da una ingegnosa riscrittura interna che prova (e ci riesce) a capovolgere ogni “certezza” precedentemente acquisita dagli spettatori (intendo riferirmi soprattutto a coloro che già sanno come nel prosieguo andranno a finire le cose), una condizione di sospensione incredula che crea una costante tensione che si propaga per tutto l’arco di un racconto che altrimenti potrebbe essere considerato persino risaputo, scontato e poco coinvolgente.

Come ci fa giustamente osservare Mauro Antonini su “Segnocinema” n. 172, nel vero e proprio gioco di ribaltamento interno del racconto fatto dagli sceneggiatori e dal regista, i ruoli dei due scimpanzé della saga originale (Cornelius e Zira) vengono questa volta volutamente assegnati a due “umani” (Will e Caroline) che sono però chiamati a svolgere le stesse funzioni narratologiche delle due scimmie (il riferimento è soprattutto al terzo titolo delle pellicole realizzate negli anni ’70) e nel fare esercitare loro persino gli stessi mestieri (scienziato e dottoressa). Nell’incipit per altro viene citato in maniera abbastanza esplicita proprio 1999: Conquista della terraanche se poi l’ombra sinistra della bomba si trasforma qui in una mutazione dei geni (lo sfruttamento di cavie animali per fare esperimenti in laboratorio alla ricerca di nuovi orizzonti per la medicina, un mondo di prigionieri vessati e “torturati” che, trovato in Cesare il loro capo, si ribellano in massa con il furore distruttivo dell’intelligenza acquisita, per sovvertire l’ordine delle cose e “capovolgere” le regole del gioco).

L’alba del pianeta delle scimmie si conferma quindi anche come un’opera che, grazie alla densità tematica e alla forza affabulatrice del racconto, è in grado di compattare e di fonderli insieme i tanti registri e i numerosi riferimenti evidenti, mai banali o superflui, usando come reagenti e catalizzatori, ingredienti tipici dei blockbuster come la suspense, l’azione e la spettacolarità ma con una capacità invero inconsueta, che è poi quella di utilizzarli nel pieno rispetto delle regole del settore, ma dominandoli e addomesticandoli in maniera creativa, senza però renderli una antitesi sostitutiva del cuore pulsante del progetto che forse fra le righe vuole essere anche politico.

E proprio grazie a questo insolito modo di organizzarsi e di sostenersi, il regista riesce a evitare gli errori dei suoi protagonisti umani, non perde il controllo della sua stessa creatura, non ne dimentica la specificità e la differenza ma, anzi, le coltiva (Federico Gironi, “Filmcritica” n. 508). Tematiche che spesso si muovono in sottotraccia comunque (è un po’ il destino delle opere realizzate per fare grandi incassi) e supportate da una espressività ridotta delle scimmie che, a parte gli occhi (severi, colmi di odio e di furore), non presenta poi molte altre differenze di “riconoscibilità” differenziata, ma che riesce a diventare una miscela esplosiva quando Cesare, il primate “emancipato”, evade dalla struttura che li imprigionava, portandosi dietro tutti i suoi compagni, e il gruppo, il branco diventa una inarrestabile marea che invade le strade di San Francisco, prima alla ricerca di altre scimmie da liberare, e poi di un luogo in cui esiliarsi momentaneamente per “crescere”, mutarsi definitivamente e passare finalmente al contrattacco. Una vera e propria tattica da guerriglia urbana insomma quella portata avanti con indignata consapevolezza e frustrazione dagli scimpanzé in cerca di riscatto e di “potere” dove, invece e per contro, i tentativi di repressione della rivolta incontrollata della specie da parte delle autorità cittadine, sembrano avvicinarsi con inquietanti analogie comportamentali a quelli messi in atto con analoga virulenza per contrastare e “domare” gli scontri di manifestazioni “libertarie” di ogni tipo in giro per il mondo, quasi che Wyatt intendesse lasciare spazio, fra le regole codificate dei blockbuster dedicati ai supereroi di turno, a qualcosa di più nobile e importante che tende a trasformare Cesare nella metafora evidente di uno Spartaco o un Che Guevara delle scimmie (ognuno con tutta la retorica che si porta dietro, ma con una novità importante e non secondaria: il “potere” che si trasforma da fatto politico in una questione di evoluzione mentale, oltre che di genetica modificata).

Ottima la tecnica complessiva del regista ed eccellenti gli avvolgenti piani sequenza che , soprattutto nelle parti più concitate, si alternano ad acrobatiche carrellate aeree che rendono dinamiche le scene: buona soprattutto la prova di James Franco che, nonostante le premesse fatte sopra (la probabile marginalizzazione degli attori prevista dal progetto), riesce a imporsi con la bravura del consumato interprete portando in primo piano la figura del personaggio a lui affidato, per altro ben coadiuvato nell’impresa da tutte le altre caratterizzazioni “umane” di contorno.

Come conclude proprio Gironi la sua recensione, a questo punto allora resta solo da sperare che l’apocalisse politica e sociale che la pellicola preannuncia inequivocabilmente, possa essere contraddetta in extremis da una nuova consapevolezza: quella che il personaggio interpretato dai James Franco riesce a intravedere, ma solo nelle ultime scene, e che non si tratti invece di uno zuccherino messo a bella posta per mandare a casa lo spettatore con meno nuvolosi presagi sul futuro.

 

 

(Valerio Vannini)

 

 

Un post di Stefano Falotico

 

“Dizionario dei film 2011”, a cura di Stefano Falotico e Valerio Vannini


07 Jun

 

Un anno fa, io e Valerio Vannini, dunque, Travis Bickle 1979 e Spopola, ci siam lanciati in recensioni total recall della stagione trascorsa, “(ap)postandole” anche qui, su “Cinerepublic”.

Oggi, il progetto, dopo innumerevoli revisioni e un immane lavoro di editing, s’è concretizzato in un vero e proprio dizionario.

Che potete trovare, regolarmente in vendita qui, su Ilmiolibro.it, e acquistabile anche attraverso le catene La Feltrinelli.

 

Le recensioni eccentriche di due bizzarri poeti

Stefano Falotico e Valerio Vannini, poeti, romanzieri e cinefili, “accreditati” sul sito “FilmTv.it” sotto i nick, rispettivamente, di Travis Bickle 1979 e Spopola, vi guidano alla scoperta dei migliori film della stagione 2010/11. Libro assolutamente da non perdere, colmo di bizzarrie, compresa la “formattazione” (dis)ordinata, alcuni “voluti” refusi, a rimarcare alcune “usanze”, la nostra “falibilità” umana da “report” dickiani e non la “dattilografia” (im)perfetta da anime-macchina, l'”hereafter” eastwoodiano che si dilata, “giustificato” senza razionali spiegazioni, incognita di sé dickensiana, e il giochino finale, il “Prologo”, coi puntini di sospensione, anziché l'”Epilogo”, come dire, (r)iniziamo ad amare il Cinema, a credervi. Che si riaccendano le emozioni, si “spengan” le luci, s'”assopiscano”, e lo schermo (ri)prenda vita. Si colorisca come all’alba, della vita, dell’Incipit…

Nei link seguenti, tutte le puntate.

A partire dal titolo designato, “fuori categoria”, eletto il nostro preferito, The Fighter.

E poi tutti gli altri, enumeriamoli: 1, 2, 3, 4, 5, 67, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24.

 

In tutto, quindi, 25 post. Il numero dei film, lascio contarli a voi.

 

Dizionario che si avvale della partecipazione straordinaria di Cineteca John Frankenheimer e del nostro Maurizio…

 

 

Come dico io.

 

Applauso!

 

(Stefano Falotico)

 

Dizionario dei film 2011


01 Jun

Non scherzo mai, quando il mio Cuore respira, se, come Micky Ward, dopo “travagli”, ferite, pugni presi, mi rialzo, e, se come Christian Bale, con le gambe “spezzate”, apparentemente “rammollito”, “fallito”, fratturato, frantumato, in mezzo all’appannamento generale, sfodero il mio fisico ricostruito da dark knight rises, salgo in Cielo e decido che è giunto il momento d’essere leggendario.

Molti anni fa, in molti scherzarono su di me, “schernendomi” perché mi “schermavo” nel Cinema, e mi “(s)cremarono.

E, sotto i baffi, “motteggiavano” un “Simpatico coglione, sogna, sogna…”.

Con cura puntigliosa, cominciai a ballare loro in tondo, con atletica sottigliezza da Ali, sempre più “dispettoso”, capricciosetto di provocazioni, e mi lasciai “picchiare”.

Poi, come il grande Mohammad, il più grande, ho aperto la porta, ho corso per le strade, tifandomi in Michael Mann.

E, come sempre, ho vinto io.
Con tutta la folla, sotto la pioggia ad applaudire, oserei dire, commossa!

E oggi sono, assieme agli altri poeti, la creatura per cui Dio, ogni Notte, non sa se prendermi a sberle, o invitarmi in piscina assieme ai suoi “luciferini” cherubini, a baciare le acque.
Fra una Donna che “saluto”, quanta salute…, un’opera letteraria, e il mio “aspettando” un altro capolavoro che uscirà a Settembre, intanto sono, oggi Iron Man, domani Aladino.

Fratelli, quando Tom Waits gridava che il Maestro sarebbe tornato, Anthony Hopkins lo “coccolò”, ma poi, “terrorizzato”, gli prese un coccolone quando poi capì che era tutto vero.

Dizionario dei film 2011
Stefano Falotico e Valerio Vannini, hanno finalmente completato il loro “Dizionario dei film…”, che presto sarà in vetrina, ove hanno raccolto un anno di Cinema, “apparso” direttamente su “Cinerepublic”, e ne han elaborato un sofisticatissimo omaggio personale, creativo, letterario e immaginativo.

Presto, sarà acquistabile, dotato di codice ISBN, e disponibile, appunto, per la vendita.

Chi ne fosse interessato, ci contatti.

Oggi, è in vetrina.

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Come Terence Hill, guardo il babbeo, gli sfilo un’altra volta la pistola, lo schiaffeggio un “pochino”, poi gli chiedo se (ci) ha capito qualcosa…

La prossima volta si sceglierà un amico scemo quanto la sua idiozia.

Sì, qualcuno volle “spaccarmi la testa”, “igienizzandola”.
Be’, c’è anche, oltre all’opzione “Hill”, anche quella Bud Spencer.

Un altro colpo assestato di malrovescio, e lo rispediamo nel fango.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1.  Lo chiamavano Trinità… (1970
  2.  The Fighter (2010)
  3.  Kinski – Il mio nemico più caro (1999)
  4.  I mercenari. The Expendables (2010)
  5.  Machete (2010)
  6.  Dracula di Bram Stoker (1992)
  7.  Léon (1994)

 

 

 

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