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Nella vita ci sono i radical chic ma anche gli sciocchi radicali


24 Nov

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Oggi, tutti detestano i radical chic. Ma Wikipedia insegna bene cosa in effetti siano.

Radical chic è un’espressione idiomatica mutuata dall’inglese per definire gli appartenenti alla borghesia che per vari motivi (seguire la moda, esibizionismo o per inconfessati interessi personali) ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale o comunque opposte al loro vero ceto di appartenenza. Per estensione, la definizione di radical chic comprende anche uno stile di vita e un modo di vestirsi e comportarsi.

Un atteggiamento frequente è l’ostentato disprezzo del denaro, o il non volersene occupare in prima persona quasi fosse tabù, quando in realtà si sfoggia uno stile di vita che indica un’abbondante disponibilità finanziaria o improntato al procacciamento dello stesso con attività che, qualora osservate in altri, un radical chic non esiterebbe a definire in modo sprezzante, come volgarmente lucrative.

Inoltre tale atteggiamento sovente si identifica con una certa convinzione di superiorità culturale, nonché con l’ostinata esibizione di tale cultura “alta”, o la curata trasandatezza nel vestire e, talora, con la ricercatezza nell’ambito di scelte gastronomiche e turistiche; considerando, insomma, come segno distintivo l’imitazione superficiale di atteggiamenti che furono propri di certi artisti controcorrente e che, ridotti a mera apparenza, perdono qualsiasi sostanza denotando l’etichetta snobistica.

Insomma, i radical chic sono quelli che esaltano, che ne so, un film di Baumbach e ascoltano Bach ma poi si scopre che amano anche Battiato e disprezzano Battisti, che dicono agli altri di non far gli urlatori e odiano i bau bau della volgarità di massa, celandosi dietro apparenze fintissime da intellettuali “saputelli” che poi si scopre sono soltanto dei superficialoni di risma zoticona, persone molto giudicanti, borghesi nel senso peggiore e spregiativo del termine, che si mascherando dietro pose bohémien per tirarsela da artisti quando invero sono tutt’al più mediocri servitori, pedanti e noiosi, di una cultura che vera cultura non è, improntata al continuo sfoggio delle loro sopravvalutate e millantate qualità, incapaci di loro di creare davvero, vogliono distinguersi ma in fondo non si elevano dalla pusillanimità dei più scontati luoghi comuni, sono parassitari e vivono di ciò che arbitrariamente considerano personalmente, soggettivissimamente bello, secondo schemi mentali “affinati” da anni di distorta erudizione, persone “acculturate” ma invero non colte, che coltivano interessi che credono alti quando in realtà sono più banali di quel che, di primo acchito, si possa credere.

Insomma, l’orribile intellighenzia di oggi. Pervasa da cervellotiche sciocchezze e incapace di confrontarsi con i veri e puri, questi sì, stimolanti elementi del reale, che è mutevole, vario e variabile. Persone molto squallidamente volubili, umorali dei loro solipsismi.

E De Niro è un radical chic? Sì, veste trasandato quando invero è ricco come pochi, e fa il radicale contro Trump perché fa “bella” sinistra dire così.

Ma è anche De Niro. Abbiate rispetto. Ah ah.

 

di Stefano Falotico

La mia “insana”, malata, schizofrenica, giusta ossessione sacrosanta per Robert De Niro


09 Feb
GUILTY BY SUSPICION, Robert De Niro, 1991

GUILTY BY SUSPICION, Robert De Niro, 1991

È ora di svestirsi della propria “dignità”, quest’orpello creato di “sana pianta” dalla società borghese e rivelar il proprio vizio da lupo che non perde il suo pelo e neanche il ne(r)o di De Niro. Sì, le mie giornate, “asfittiche”, ipocondriache, ove mi nutro di piadine al prosciutto, si cibano soprattutto di De Niro. Ne cerco le notizie su IMDb sperando che Deadline annunci il suo prossimo progetto e in questa “idiozia” i miei dì scorrono angelici e dunque diabolici, non inne(r)vati dall’uomo medio(cre) che vorrebbe annettermi a lavori denigranti e perciò non deniriani. Sono uno dei pochi a sapere che le riprese di War with grandpa inizieranno in quel di Toronto il prossimo 27 Febbraio e che De Niro, per l’occasione, spartirà la scena con Christopher “Il cacciatore” Walken e con la Marisa Tomei di Mio cugino Vincenzo e di The Wrestler, fighetta dalla faccia volpina e aspetto da coniglietta, la cui patatina però poco mi aggrada, avendo io, avvedutamente, da tempo e nelle tempie, raggiunto, agguantato, “inculatomi” un’acquiescenza distante dalla carne, dal desiderio “proibito”, (r)esistendo in uno stato “onomatopeico” in cui, di “gutturale” latrante-iroso isterico, faccio il ver(s)o a me stes(s)o, uomo lontano an(n)i luce dai pettegolezzi e dal comune volgo di questi uomini in doppiopet(t)o e ventiquattrore “arrotolate” nel quotidiano spappolarsi. Uomo qual sono spesso “uovo” strapazzato, essere bizzarro di eccentrico stile falotico, oggi senile, domani infantile, adolescente di scemenze mai cresciuto o forse troppo enfiatosi, dunque già mor(t)o, mai nato, più che altro ammainato, per molti che mi giudicano frettolosamente un topo squinternato Sì, nelle mie fogne, più che altro foghe senza fighe, affondo nell’adorazione deniriana, sperando un giorno di potergli regalare un Trump che gli sia ben augurante per un “trampolino” di lancio di una carriera che promette sempre The Irishman e annacqua in comedian(s) affossati dalla critica del cazzo, forse quella di Birdman, così come questo lungo pian(t)o sequenza. Eppur io e De Niro ci capiamo, vivendo di cazzate in locali bukowskiani ove la notte assomiglia a un sogno lungo un giorno. Quello era Coppola e lui fu anche Marlon Brando.

Sì, voglio rimanere pazzo, pazzo maniaco-ossessivo soprattutto di Bob. E non mi scassate il cazz!

 

di Stefano De Niro, Falotico per chi non conosce il mio (S)The-Fan.

 

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