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Il bar dello yakuza


16 Jul

kitano hana bi

Salve,
mi hanno appena licenziato.

E ho voglia di spararmi in testa e son qui, nell’abitacolo della mia macchina mezza scassata, già su di giri. Andrò a schiantarmi contro un albero. Sì, tanto è già finita. Ho cinquant’anni. E ora chi darà un lavoro a me? E dire che sono sempre stato un ottimo padre, ligissimo e gran educatore dei miei figli. E mi son sempre guadagnato la pagnotta senza mai andare nemmeno una volta a mignotte. No, ho sempre amato mia moglie, sempre, inderogabilmente. E non l’ho mai tradita. Adesso, lasciamo stare… ultimamente, mi son un po’ lasciato andare ma, sino a qualche anno fa, ero un signore che faceva la sua figura. Alto, slanciato, sempre impeccabilmente vestito e in ufficio tutti mi rispettavano, dal primo all’ultimo. E non mi puzzava mai l’alito. Mi presentavo ogni mattina perfettamente sbarbato, ben abbottonato in giacca e cravatta, tutto bello azzimato. No, non ho mai guadagnato tanto, a dire il vero, ma davo l’impressione, per via del mio portamento fiero, in riga e raffinato, di essere un pezzo grosso molto altolocato.

Ma cinque mesi fa mi sono ammalato di cancro. E ho cominciato a stare male. A tossire come un dannato e, naturalmente, in questi mesi mi son spesso assentato dal lavoro. Ed ecco che il capo, fregandosene della mia precaria salute, ha cominciato a fare lo stronzo. Pretendeva che mi presentassi al lavoro, nonostante questa terribile malattia che mi sta mangiando il fegato, e quindi mi facevo doppio fegato amaro a lavorare in quello stato pietoso. Neanche un briciolo di compassione da parte di quel bastardo. Ma io stavo male, vomitavo sangue in bagno e avevo spesso fortissimi giramenti di testa. Così, questo qui ha deciso di licenziarmi. Adducendo come motivo non il fatto che fossi e sono malato, e che quindi non potessi adempiere con concentrazione e lucido impegno alle mie mansioni da ragioniere, bensì fottendomi con la scusa tristissima e falsa che non sono semplicemente più efficiente. Insomma, mi ha liquidato, e forse non avrò neppure la liquidazione, e cacciato via a calci in culo. E ho provato… sì, a cercare un avvocato che potesse difendermi da quest’abuso, ma nessuno se la sente di appoggiarmi in questa mia battaglia e non ho gli elementi che possano comprovare le mie ragioni. Come devo fare? Sto impazzendo.

Ed eccomi qui a guidare come un folle in questa città deserta, a mezzanotte. La gente è in casa e dorme sogni tranquilli, mentre io vedo davanti a me soltanto la strada desolante della disperazione più allucinante.

Sì, mi ammazzo. Mi piazzerò in mezzo ai binari e aspetterò che un treno m’investa in tutto il suo schiacciante fragore. Le mie ossa scricchioleranno di gran clangore ma, in un nanosecondo, non sentirò più nessun dolore! Morirò sul colpo. Sì, è solo un attimo. Nessun dolore, sì, nessun dolore, quando ti passa sopra un treno merci è un istante crepare spappolato. Sarebbe molto peggio buttarmi giù dalla finestra della mia abitazione e, semmai, non morire ma rimanere paralizzato sulla sedia a rotelle.

Meritavo di meglio in questa vita, ma non ho alternative. Sarebbe molto più doloroso tentare di vivacchiare, mantenuto dall’assistenza sociale, aspettando che questo cancro mi divori lentamente. Soffrirei come un cane. E farei passare i giorni fissando il vuoto nel mio irreversibile, soffocante, lancinante strazio.

Ma, prima di morire, voglio bere il mio ultimo caffè in questo bar. Sì, un bar cinese ove mi fermavo spesso dopo il lavoro.

– Buonasera, il solito.

– Macchiato o nero?

– Il solito… ah, ma lei non è la barista che vedo sempre. Mi scusi.

– Sì, sono Takeshi. La barista ha smontato alle undici, e le ore notturne le faccio io. Scusi, ma c’è qualcosa che non va? È molto pallido in viso. Sicuro di stare bene?

– Be’, signor Takeshi, ho cinquant’anni, sono malmesso, ho il cancro in stadio avanzato e stasera mi hanno licenziato. Lasciamo perdere…

– Non deve buttarsi giù. Ma non è colpa sua. È colpa della sua cultura.

– Della mia cultura?

– Eh sì. Lei è un occidentale. La vostra vita è tutta, tutta sbagliata, dalla A alla Z.

– Che c’entra questo col fatto che sto morendo di cancro?

– Vede, io capisco bene che lei vuole farla finita ancor prima di morire a causa della sua malattia.

– Da cosa l’ha capito?

– Lo so e basta. Si goda gli ultimi giorni di vita, dandosi alla pazza gioia. Tanto la sua, la vostra vita è tutta sbagliata. Voi occidentali siete ossessionati dal culto del successo, fin da piccoli v’insegnano a primeggiare e a sopraffare il prossimo vostro più debole, la vostra è una folle rincorsa a un benessere illusorio e plastificato che vi ha ucciso dapprincipio. Sì, lei sta morendo ma in realtà è già morto da quando è nato.

– Scusi, lei chi è? Ma la smetta! Lei è solo uno squallido barista annoiato di questo bar scalcagnato. E poi, scusi, io sto morendo! Perché mi viene a fare queste prediche?

– Io le ho già detto che lei è bello che morto da quando è nato. Voi siete tutti morti. Conducete una vita che vi sembra felice ma avete sbagliato tutto.

Sa chi sono io? Io non sono un semplice barista. Io sono uno yakuza e questo locale è mio.

– E non si vergogna del “lavoro” che fa? A proposito, gli yakuza sono giapponesi. Questo bar invece è cinese.

– Ecco, questo lo dice lei. Chi gliel’ha detto che è cinese? Perché ha visto che la barista e i camerieri hanno gli occhi a mandorla? No, noi siamo giapponesi. Per voi, occidentali, noi orientali siamo tutti cinesi. Ci sono i coreani, quelli del Nord e del Sud, eccetera… Ma che glielo dico a fare? M’intenda bene. Io non sono uno yakuza che va in giro ad ammazzare le persone e a trucidare quelli delle triadi rivali. Sono uno della mafia, sì, ma non deve farsi idee strane. Appartengo a quest’organizzazione, certo, ma per fini benefici. E col nostro modo di fare, mentre tutti gli altri bar italiani falliscono, noi invece resistiamo alla grande. Abbiamo monopolizzato sanamente questa città con una rete di profitti che ci permettono, in caso di scarsi guadagni, di appoggiarci a vicenda, e facciamo girare il denaro e donarlo a chi versa in condizioni precarie. Paghiamo ed estirpiamo i loro debiti e loro, in segno di riconoscenza, ci elargiscono a loro volta dei favori. E non le starò a dire quali. Da noi funziona così. E, come vede, questa città è oramai sotto il nostro impero. E noi abbiamo sempre il sorriso sulla bocca. Mentre voi siete avvelenati e marci.

Voi occidentali siete degli spregevoli egoisti, dei cinici e disillusi opportunisti, mettete su le attività senza sapere i rischi a cui andate incontro. E, se fallite, non avete nessuno che vi possa aiutare. E perché mai infatti vi dovrebbe aiutare? Voi vi siete mai preoccupati, prima di fallire, dell’altro vostro simile?

Fallite e poi vi lamentate perché avete un’erronea, innata concezione del lavoro e della società. È tutto improntato, secondo voi, al piacere individuale e vi prodigate per gli altri soltanto se potete farci dei soldi. Ma in realtà ve ne fregate sin dapprincipio del prossimo. E ben vista, quindi, quando poi cadete e nessuno può tirarvi su. Perché il prossimo vostro sta combinato peggio di voi.

Anche lui è malato… di aridità. Svuotato e spento. Prima, per tutta la vita inseguite valori falsi come la rivalità e la competizione, e disdegnate chiunque se non voi stessi e il vostro tornaconto. Poi, quando per circostanze sfortunate, per vostra ottusa testardaggine o per sfighe varie, perdete tutto, finalmente comprendete che avete preso un immane abbaglio e contemplate con indicibile amarezza e costernazione, per i giorni che vi rimangono, i tramonti, riflettendo sul senso della vita. Che schifo!

Lei vuol far persino di peggio. Visto che ha perso tutto, vuole addirittura ammazzarsi prima ancora di morire per cause naturali. E non si vuol godere neanche gli ultimi istanti di pace.

Beva questo caffè e rifletta sulle mie parole.

Noi orientali andiamo in guerra, quando c’è, perché crediamo davvero che bisogna combattere per l’armonia fra i popoli, mentre voi andate in guerra solo quando ne siete costretti e disertate pure. Perché parlate tanto di Patria ma non ve ne frega un cazzo di niente e nessuno. Leggete un libro per far bella figura con gli amici che vi leccano il culo, e non riuscite ad amare davvero quei momenti di contemplazione della bellezza.

Mi dispiace, ma avete sbagliato tutto.

Buona morte.

 

 

di Stefano Falotico

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