Ebbene, è uscito sfolgorante questo trailer devastante. Sì, nell’accezione di devastante più entusiasmante.
E lo sapevo sì… come canta Loredana…
Questo è un breve video in cui, far molto serio ai limiti dell’insopportabile più altezzoso, con gamba accavallata sul divano e jeans morbidi, però non inquadrati, discetto in merito a questo filmato che m’ha stupito ed esaltato.
Gustatevelo e assaggiate il mio scandire ogni parola con distinta signorilità amabile e altolocata.
Al che un dubbio, oserei dire nervoso come il volto tirato di Gioacchino, all’improvviso m’ha assalito in maniera morbosa e portentosa.
Rileggo la frase di lancio della locandina originale: Put On A Happy Face.
Non mi soffermo sul put on anche se so che molti di voi si fermano con le putten’…, è su a happy face che, da sorridente che ero per aver realizzato il mio libro in inglese su Carpenter (in attesa che venga distribuito anche in Corea, lo trovate qui), vengo mangiato, divorato, spellato da un dubbio amletico quasi da saggio ieratico.
E il mio sorriso si squaglia in un’espressione perplessa e pensierosa da pagliaccio sconsiderato, da uomo da nessuno cagato.
Sì, so bene che vi è molta confusione per l’articolo indeterminativo a/an nella lingua, appunto, inglese.
Se ad esempio si scrive, come ho scritto io, il film dura un’ora e…, si deve scrivere an hour.
Si usa invece A davanti alle parole che iniziano con una consonante o con “h” aspirata.
Vi è anche la h muta di parole, pochissime, come hotel. No, HOTEL è aspiratissima.
Ma io avevo, anzi ho scritto nel testo, an hallucinatory way.
Cazzo, ora devo chiedere la riedizione per una n di troppo. La forma corretta è infatti a hallucination e, di conseguenza, si dice a hallucinatory…
Oh Signore benedetto, comincio ad avere le allucinazioni. M’informo su Yahoo Answers e su Google.
Al che una risposta mi tranquillizza più del Valium:
Meilleure réponse: the general rule is to use ‘an’ before a word that begins with a vowel sound, and ‘a’ before a word that begins with a consonant sound
HOWEVER, there is sometimes variation in how people who speak different varieties of English tend to classify words beginning with the letter H, with people who speak British English showing more of a tendency to classify it as a vowel sound.
Bene, risolta questa cosmica, comica diatriba e peraltro so che molti di voi non sanno che sia DIÀTRIBA e DIATRÌBA sono corrette lo stesso, vado a lavarmi i denti, risollevato.
E mi guardo allo specchio come Gioacchino.
Sì, sono odioso, soprattutto permaloso. Se qualcuno mi offende, no, figuratevi (non sfiguratevi come Gioacchino) non me la prendo. Faccio molto peggio. Ah ah.
A tal proposito, essendo io un intrattenitore clownesco, un jolly per gli spettacoli di corte ove, coi miei istrionismi, rendo allegre vite noiose di borghesi annacquati, ossessionati solo dai soldi e dal sesso, vi voglio far ridere.
Vi ho già narrato delle mie scorribande scapestrate, delle mie peripezie intrepide e anche bellamente incoscienti?
Certo, ma voglio ancora allettarvi e indurvi al sorriso.
Sì, con le ragazze sono un campione delle figuracce. E me le vado spesso a cercare con far balzano perché azzardo troppo di mano, no, scusate, sono troppo sincero e un pessimo attore, altro che questo magnifico Phoenix, quando loro si accorgono che sto mentendo con una spudoratezza immonda e mi rifilano sberle e insulti a raffica.
Molti anni fa, per colpa della mia avventatezza, della mia scarsa esperienza in materia, conobbi una e lei mi aspettò alla stazione.
Avevamo chattato per mesi e lei, a quanto pare, incantata dalla mia indifferenza assoluta, mi aveva trovato irresistibile.
Credo che in quei mesi avesse pensato… ma questo è umano? Qualsiasi ragazzo farebbe carte false per avermi, sfoderando il suo Joker come in una partita di poker, e invece guarda qua tal bellimbusto. È insensibile a ogni mia spudorata avance. Voglio appurare se ci è o ci fa. Secondo me, è un gambler.
Mi propose un incontro. Dapprima declinai la gentile offerta, dicendole che dovevo andare a comprare delle gomme da masticare.
Ma la sua insistenza fu talmente ostinata che alla fine abdicai, sebbene mi fossi premunito, furbescamente, con rimmel simil-Johnny Depp di Cry Baby, onde evitare suoi pensieri malsani.
Sì, con le donne bisogna esporre una faccia dolce e un po’ lagnosa alla Johnny Depp per apparire un bravo ragazzo.
Sì, semmai lo sei ma, se ti presenti a una di queste col giubbotto di Al Pacino di Cruising, be’, ci siamo capiti.
Ci vuole la faccia da Corvo alla Brandon Lee che dia un tocco di dolce maledettismo peperino. Sì, sì, sì. Evviva Paperino!
Bisogna dar loro l’impressione che la tua vita sia stata una tragedia sul set dell’esistenza e che sei oramai un fantasma nelle notti brucianti. Sì, sin da quando uscisti dall’utero materno, ti spararono a sangue freddo, ledendo il tuo orgoglio con freddure lancinanti che divelsero la tua anima pura e mansueta.
Insomma, eri già spacciato. Affranto, un’innocenza infranta ancora prima che tu potessi controbattere questi vili truccatori delle regole con del make–up formato scaltrezza. E sana, intelligente irriverenza.
Ah, misero me, più che altro risero di me, un povero derelitto, un genio forse scambiato per inetto da questi omaccioni stronzoni, abbisognante di baci per dimenticare l’orrore d’un trapasso già avvenuto. Eh già, forse da quando nacqui, da quando anche tu, amico, nascesti, è stato tutto un horror maudit di ascesi per non soffrire ma soprattutto di ascessi e nessun piacere gengivale.
Che cesso.
Delusioni su delusioni, insomma una schifezza. Qualche barlume di gioia, qualche istante di requiem for a dream e poi un taxi driver smarritosi nella malinconia più vera.
Hai vagato nottambulo fra lune pallide e il tuo volto cianotico, visto che la luce del giorno non più hai visto ma, malato di depressione invincibile, hai assunto farmaci e antibiotici. Perdendoti, da unicorno alato, in una cupezza quasi malfamata.
La gente festante, attorno a te, mangiava maccheroni e ti trattava da coglione, uomini macrobiotici, forse soltanto bionici.
Macchine carnascialesche senz’alcun sentimento che ambiscono soltanto al tuo spossamento. Al tuo illanguidimento, al tuo deperimento, al tuo, diciamocelo, esistenziale impoverimento. Al tuo rimbambimento.
Alla tua totale disfatta in preda a patetici lamenti, gioendo dei tuoi piagnistei da “malato di mente” mentre loro ballano con qualche gallina allegramente.
Ah, che bellezza, eh?
Comunque, per farla breve, incontrai questa sciroccata. Entrò in macchina e, su due piedi, mi saltò addosso:
– Ehi, che stai facendo? Sei una poco di buono! Via da qui, mentecatta!
– Stai scherzando, spero. Dai, su, fattiti baciare. Ora, adesso!
– No, vuoi la verità?
– Sì, hai ragione. Qui c’è troppa gente sospettosa.
– Sì, infatti. Tornatene fra questa gente. Addio.
Sono indubbiamente un personaggio. Una marionetta melanconica.
Meglio di tanti idioti che ascoltano scemenze e canzonette.
Scendo le scale e me la rido da solo. Di tutto quanto.
Perché sono il Principe. E come tale so che la condizione umana è una tragicommedia per gli uomini di belle speranze e invece un film demenziale per quelli di panza con la loro arroganza.
Vi saluto.
di Stefano Falotico