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Buona settimana e lunga, felice estate: vi presentiamo alcuni cortometraggi nient’affatto malvagi, siamo The Untouchables?


09 May

intoccabili kevin costner

Ebbene, la pandemica situazione ingeneratasi e innescatasi per via del famelico, mefitico, mellifluo e mefistofelico, tetrissimo e angustiante, mortificante e mortifero Covid-19, c’ha logorato, oserei dire spossato, sfibrato, angosciato, represso e incatenato in lockdown forse estenuanti e un Tarantino, no, un tantino esagerati.

Avevo scritto Tarantino? Mi son sbagliato? Ah, me giammai invero sbadato. Io tutto ho capito nella vita e azzeccato. Come no… In passato, come tutti, molte volte ho metaforicamente sbadigliato. Ancora sbadiglierò? Mi pare ovvio. Lo sbadiglio è un moto involontario del tutto congenito e incurabile.

Anche lo sbaglio. Come dice il detto, sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Ma io, essendo Falotico, voglio nuovamente sbagliare, su una donna sbavare, forse ammirarla quando, di rossetto sbavato, stringe le labbra per sottintendere a qualcosa di entusiasmante, vicendevolmente a venire… spumeggiante!

Ebbene, vogliamo qui mostrarvi una scena d’antologia, tratta da uno dei massimi capolavori intoccabili della Settima Arte. Eh sì, Gli intoccabili… ah ah.

Detto ciò, il verbo tocciare (sì, non toccare, bensì toccare con la i di Imola nel mezzo) non esiste in italiano.

Ma a Bologna, forse anche nell’imolese, si suole dire gergalmente… hai tocciato stasera?  Espressione volgarissima… che avete capito benissimo…

Vi presentiamo, dunque, due veri masterpiece indiscutibili.

Il primo ad opera d’un uomo amante di Spielberg, di Harrison Ford e di Sean Connery.

Certosina opus di montaggio perfettamente bilanciato alla musica di Morricone di The Hateful Eight? No, de La cosa? Macché, del succitato capodopera di Brian De Palma.

Il secondo firmato invece dal David Lynch della pianura emiliano-romagnola, autodefinitosi il Genius-Pop.

Essere anomalo, visionario e creativo inimmaginabile, spesso un cretino sesquipedale e inenarrabile, a suo modo l’unico uomo capace d’incarnare il miglior Cinema di Cecil B. DeMille e la faccia da schiaffi di Stephen Dorff di Cecil B. Demented.

Il Falò, ladies & gentlemen. Un uomo angelico che però ne sa una più del diavolo. Egli volteggia nel mondo con levità mansueta, egli si gongola, dondola, va al Festival di Venezia e ama le gondole, anche le vongole. Odia però i mongoli ma non quelli della Mongolia. Eh sì, egli esemplifica l’ossimoro vivente, la contraddizione incredibile più splendente.

È un uomo a volte del volgo, talvolta dei borghi, conosce Borgo Panigale, conobbe anche un tipo dal cognome Paganelli, da non confondere con l’ex celeberrimo violinista Niccolò Paganini.

Da piccolo, collezionava le figurine Panini ma state buonini. Lui ama un panino di Burger King ma anche Pannofino.

È un uomo assai fine, un uomo sopraffino. Un uomo, osiamo dire, oltre l’umanità, un uomo disumano, in passato sfigato abnorme, forse oggi un uomo abbastanza piacente e piacevole, diciamocela!

È un piacione!

Nella sua vita, s’impiegò per essere brutto ma non riuscì a vincere la sua natura indubbiamente, ciò è evidente, molto concupente… odiamo dire concupiscente.

No, non è un deficiente, è un man travolgente. Soventemente sganciato dalla mediocrità della gente.

di Stefano Falotico

La mia previsione per la nomination Oscar al BEST ACTOR: poi basta con Woody Allen, con Cameron Diaz, con Fellini e i rincoglioniti, evviva De Palma e De Niro!


03 Jan

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Sì, questa è la mia previsione. Se risulterà azzeccata, non offrirò da bere a nessuno. Tantomeno a me.

Gli Oscar sono un gioco, un giochino, una lotteria e anche quest’anno non ho vinto quella di Capodanno anche perché non la giocai.

Per anni sognai però che Brian De Palma realizzasse un suo progetto mai compiutosi, ovvero Toyer, tratto da un libro di Gardner McKay.

Brian, non quello di Nazareth, bensì De Palma, covò a lungo il sogno di trasporre sullo schermo l’opera di McKay. Qualche anno fa, parve che tutto fosse pronto per i primi ciak. Il protagonista doveva essere Colin Firth.

Sì, io adoro Brian De Palma. È uno dei veri geni del Cinema anche se, ultimamente, va ammesso che non è più quello d’una volta, quello di film sensazionali e, appunto, al cardiopalma. Thriller magnifici come Vestito per uccidere, classici epici come Gli intoccabili, emozionanti parabole discendenti e tragedie scespiriane come Scarface e Carlito’s Way, pellicole potenti e indimenticabili come Blow Out e Omicidio a luci rosse.

Brian è l’incarnazione del suo maestro preferito, Alfred Hitchcock, misto all’essere un virulento e poliedrico, anche caleidoscopico, poeta del surreale. Un esteta, un abissale perfezionista, un uomo strano, amante dei noir, delle notti torbide, dei misteri irrisolti da lasciare brividi sulla schiena da accapponare la pelle.

Prendete Omicidio in diretta e Redacted. Due grandi film. Memore anche di Orson Welles, Brian ribalta tutte le aspettative dello spettatore a ogni scena, depistando l’occhio di guarda e accecandolo di piani sequenza da capogiro. Brian, vertiginoso, uomo che idolatra Vertigo, volteggia nell’anima dello spettatore e lo perturba, lo angoscia, lo mette a disagio, sconvolgendo ogni sua certezza bacata.

Quando credi di aver capito come andrà a finire la storia, Brian ti stupisce, regalandoti twist che M. Night Shyamalan si sogna, poveri baccalà. Ah ah.

Brian è un genio inarrivabile, uno dei miei registi preferiti in assoluto. Allora, prese James Ellroy e rielaborò Black Dahlia, donandoci un film che travisò il romanzo in più parti e allo stesso tempo lo reinventò, lo scompose e poi, essendo lui campione dei puzzle, nuovamente lo architettò secondo il mosaico della sua mente barocca, bizzarra e bizantina a forma della sua magica Arte cristallina.

Sì, assomiglio parecchio a Brian, altrimenti non mi piacerebbe.

Cioè canalizzo, introietto, capto, inghiottisco, sublimo e reinvento le mie peggiori paure nel dare a esse una forma espressionistica con tendenza al cubismo.

The Mask, rielaborazione banale delle Folli notti del Dottor Jerryll, gli ho sempre preferito il più veritiero e agghiacciante Doppia personalità, sebbene quest’ultimo non sia fra i film migliori di Brian.

Sì, come il protagonista di Toyer, nella mia vita fui etichettato come “psicotico” con tendenze mortifere da semi-pervertito e necrofilo, fui accusato di essere un mezzo pedofilo poiché adorai e ancora venero Melanie Griffith di Bersaglio di notte di Arthur Penn. Di mio, dicono che a volte assomigli a William Baldwin di Sliver ma sono gli altri a spiarmi. Sì, la gente è come Robert De Niro di Hi, Mom.

Allora, cosa dovremmo dire del grande Antonio Banderas? Sposato da anni con Melanie, interprete di Femme Fatale? Ah, questo dovremmo dirgli. Avrà anche interpretato Picasso ma la sua vita è ora Dolor y gloria poiché, anziché sposare Melanie, avrebbe dovuto dare Lezioni di anatomia a Rebecca Romijn.

Sai uno spagnolo che spagnole?

Sì, Melanie fu sopravvalutata così come Cameron Diaz. Codesta oca s’è ora ritirata dopo aver tirato molte oche e, di conseguenza, essersela tirata da porca, no, orca, no, topa.

Ma smettiamola. Voi sbavate facilmente, vi conosco, sapete? Cameron, sì, certamente è una cubana dal culo da cubista. Essendo natia di Cuba, forse è ancora castrista. Insomma, solo a un castrato non piacerebbe ma io vi dico che ha una bocca da papera ed è rifatta più di Pamela Anderson.

Voglio tirarmela da Daniel Day-Lewis, detto “Il macellaio”, di Gangs of New York. Va fatta a fette, diciamocela, è solo una ladra, una sgualdrina, una mentecatta, una suina buona solamente per la mortadella. È pure troppo pallida come la mozzarella.

Piace tantissimo a Enrico Magrelli. Per forza, Magrelli si accoppia con carne magra. Magrelli però non è magrino ma ha una bella pancetta, detta anche bacon.

Insomma, prendete questa Cameron, datela in pasto a un affamato del Camerun e conditela con salsa piccante assieme ad altre patate al forno. Spruzzatevi sopra della maionese e strapazzatela.

Guarda un po’ se devo perdere tempo con questa polla che vuole solo la quaglia arrosto.

Cari porcellini, finitela di cazzeggiare.

Sta arrivando nei cinema l’ultimo film di Clint Eastwood. Arrivate voi a novant’anni con questa classe e poi ne riparliamo. Vi vedo già sul moscio.

Clint non è mai pensionabile.

Woody Allen invece sì. Sono anni che s’è rimbambito.

E poi basta con questa magnificazione di Federico Fellini. Nacque a Rimini, girò i Vitelloni ma io l’avrei ficcato a Parma, patria del prosciutto e dei tortelloni.

A proposito, voi davvero credete alle cazzate che dico?

Ah sì?

Fate bene, tanto ne sparate più di me.

E questo è quanto.

Pigliatevi questo video e buon Fantasma del palcoscenico, no, buon Joker a tutti.

Ricordate, sono o non sono Il falò delle vanità? Certo che lo sono.

Finisco con questa: se pensate che io sia felice, vi sbagliate. Se pensate che io sia infelice, lo stesso vi sbagliate. Di mio, riesco a essere sia Michael J. Fox di Vittime di guerra che Tom Cruise di Mission: Impossible.

Insomma, un casino mai visto.  Adesso comunque voglio farvi ridere.

Come molti di voi sapranno, nella notte di San Silvestro fui a Monaco di Baviera.

Per anni vissi, fra l’altro, da mon(a)co.

Al che, mentre passeggiai per le strade tedesche, pure le olandesi mi fissarono, lanciandomi occhiate furtive e vogliose. Mi sentii male, sì, a me spesso il sesso, anziché darmi piacere, mi crea panico.

Da questo turbamento, nascono le mie malinconie, le mie creazioni, le mie dissociazioni-associazioni e il mio stream of consciousness.

Ora, dopo cinquemila anni, avete compreso di non aver capito un cazzo di me. Nemmeno io.

Ah, è davvero orribile essere come Stephen Dorff ed essere spacciati per Cecil B. DeMented. Si tratta di una cattiveria mostruosa.

Eppure, ribadisco, evviva Sean Connery, Kevin Costner ed Andy Garcia!

A parte le auto-celebrazioni, ma che film che è The Untouchables. Piango sempre quando ammazzano Sean.

Così come sarebbe uno scandalo non candidare agli Oscar Bob De Niro per The Irishman.0040030480860230_10215369939304568_7375210608242720768_o

 

di Stefano Falotico

I morti non muoiono, i dementi per fortuna sì


08 Jun

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Ora, a quanto pare, già l’avevamo capito dalle prime recensioni arrivateci direttamente dal Festival di Cannes, The Dead Don’t Die pare essere davvero il film, non dico più brutto, ma più irrisorio, irrilevante e soprattutto irrisolto di Jim Jarmusch.

Regista che tengo in auge e che, a mio avviso, sino a oggi non ha mai sbagliato un solo colpo. Ancora stupendamente infatti m’immalinconisco, silentemente gemo nello specchio languido d’una bellezza soave e inaudita soltanto rammemorando alcuni frame di Dead Man.

Emozionandomi al solo scoccare nei titoli di testa della musica di Neil Young, incantato dalla prodigiosa, turbinosa, rugginosa fotografia in b/n oserei dire morbida e ondosa del compianto Robby Müller.

Opera capitale di Jarmusch. Assai incompresa e non poco ostracizzata dalla cosiddetta intellighenzia, ah ah, ai tempi della sua uscita. In pochi infatti immantinente s’accorsero di essere di fronte a un film stratosferico e accusarono Jarmusch di essere stato troppo meditativo e lento.

Sono le stesse critiche, espresse nei medesimi termini, peraltro che vengono scaraventate addosso adesso a I morti non muoiono. Accusato, oserei dire imputato da più parti di essere una pellicola, appunto, soporifera che affastella troppi temi senza riuscire a centrarne efficacemente nessuno.

Staremo a vedere.

Ma torniamo a Dead Man.

Un film che, per le sue abbaglianti, funeree, cimiteriali e tristi atmosfere mortifere, eh sì, ricorda La morte corre sul fiume.

Lo stesso Jarmusch fu molto chiaro a riguardo. Dicendo espressamente che The Night of the Hunter è stato per lui un film imprescindibile nella sua formazione artistica.

Non solo per lui, anche per me. La morte corre sul fiume è uno dei più grandi film di tutti i tempi. Un film che, in un sol boccone come il lupo cattivo Harry Powell/Mitchum, si mangia vivo ogni Elephant Man lynchiano e tutti i possibili Twin Peaks.

L’aggregatore di medie recensorie metacritic.com, sito comunque alquanto inattendibile date le cantonate tremende che spesso, tuttora piglia, gli assegna un incredibile, insuperabile, imbattuto 99%.

Cioè, inutile evidenziarlo e peccare di pleonastico trionfalismo, La morte corre sul fiume è forse il film, permettetemi sfrontatamente di dirlo, più bello di sempre.

Sì, non lo sapevate? Assieme a Taxi DriverRusty il selvaggioL’infernale Quinlan e forse Mulholland Drive, ah ah, secondo il mio modesto dunque superbo parere insindacabile, è uno di quei film che m’ha cambiato la vita e, nella fattispecie, diciamo, ha positivamente sconvolto e stravolto la mia percezione della realtà.

Unico film da regista del grandioso Charles Laughton, perla fra le perle d’incomparabile, mastodontica, immane bellezza suprema.

Dominato dalla spettrale figura gigantesca d’un Mitchum da incorniciare, oserei dire titanico.

Ecco, a mio avviso, inoltre sono davvero pochissime le interpretazioni che possono, se prese singolarmente, elevare un attore a mito immortale.

L’interpretazione di Mitchum è una di queste così come quella di Marlon Brando in Fronte del porto, quella appunto di De Niro in Taxi Driver, quella di Matthew McConaughey, eh sì, in True Detective, quella perfino di Christoph Waltz in Bastardi senza gloria.

Attori che, trasfondendosi illimitatamente nei loro rispettivi personaggi iconici, sono ascesi in un batter d’occhio a monumentali anfitrioni della Settima Arte tutta più ribalda. True Detective, così come Twin Peaks stagione 3, infatti non è una semplice, ordinaria serie televisiva.  Così come non lo è The Night Of.

Ah, scusate, avevo dimenticato di citare nel sopraccitato, succitato, super eccitante, ah ah, listino anche Scarface e dunque Al Pacino.

E ora permettetemi di essere maschilista, forse femminista, misantropo e un po’ De Niro di Cape Fear.

Sì, Johnny Depp in Dead Man si chiama esattamente come uno dei poeti più maledetti della storia, ovvero William Blake.

Bene, cazzoni e cazzoncelli, cazzari e bovari, se avete quarant’anni e non avete mai letto integralmente Songs of Innocence and of Experience, ecco prevedo per voi una vita da falliti come Steven Bauer di Scarface, appunto.

È inutile che v’impomatiate alla vostra età per una febbre del sabato sera da John Travolta della riviera romagnola. Siete oramai andati a puttane. Diciamocela.

Io non ho letto, nella loro interezza, i due masterpiece umanistici par excellence sopra menzionativi del Blake ma io so, sono io e io posso. Voi no, ah ah. Perché avete solo sonno.

Così come posso gigioneggiare al pari di Max Cady/De Niro di Cape Fear, stuzzicando le voglie peccaminose e, ahinoi, ancora illibate di giovani ninfee come Juliette Lewis.

Per provocarle, cito loro Henry Miller e il suo Sexus – Plexus – Nexus.

Non ho mai letto questa roba ma sogno anche una notte da motherfucker con la Jessica Lange dei bei tempi, parlandole tutte le lingue di Babele e salvandola dal cancro della sua privata vita piatta, regalandole fantasie erotiche da Tropico del Capricorno.

Con me Jessica Rabbit, no, scusate, Jessica Lange capisce che il King Kong di John Guillermin non è nulla in confronto alla potenza da gorilla del mio sexy beast da mandrillo. Io non ho bisogno di stupirla con effetti animatronici e speciali da Carlo Rambaldi ma so che, con Nick Nolte, lei fa la brava signora imborghesita, mentre con me capisce di essere Jane poiché Tarzan è solo una scimmia in confronto al sottoscritto, sopra di lei ritto.

Non dovete ridere come scimpanzé dinanzi alle stronzate che puntualmente vi dico, io ho carisma e dunque basta che mi diate sventole in faccia.

Sì, le prendiamo tutte. Quella sberlona lì di nome Giovannona e anche quell’altra figona di nome Susannina.

In verità, io e le donne non leghiamo molto. No, altro che liane da amori selvaggi nella giungla. Le donne mi fanno girare solamente i coglioni e le mando sovente a farsi fottere. Stanno sempre a cucire le maglie di lana d’estate e d’inverno hanno caldo, sessualmente parlando.

Sono cioè delle ipocrite.

Sì, le donne sono falsissime. Noi uomini invece siamo più alla bona.

Vi racconto questa.

Una scrittrice-poetessa-attrice teatrale scespiriana con cinque lauree in Letteratura Arcaica, specializzata nell’arabo, soprattutto in quello odiato da Salvini ma da lei (a)dorato, in sanscrito, esperanto, francese della Papuasia e celtico di Bombay, ha esibito la sua magnifica minigonna su Facebook:

– Complimenti, sei una donna molto bella.

– Grazie. Guarda però che oltre alle gambe c’è di più. Non mi fanno piacere certi complimenti. Io voglio essere apprezzata, venerata per il mio intelletto.
Insomma, questa qui era mezza smutandata. Se voleva essere ammirata per il suo cervello, dico io, perché mai s’è mostrata a ogni u… lo spensierato con tale posa sbracata e forse svaccata?

Insomma, non ci crede nessuno.

Sì, le donne sono come Michelle Pfeiffer di Scarface. Consapevoli di essere molto belle, capiscono altresì che Robert Loggia è oramai un rincoglionito sputtanatosi e allora sposano Al Pacino. Un tipo losco e alla Fabrizio Corona con cui hanno ancora molto tempo per divertirsi e spassarsela.

Le donne non sanno che farsene di Dante Alighieri, vogliono il macho volgare che le riempia, soprattutto di soldi, che le porti a ballare e a cui non devono dimostrare di essere Rita Levi Montalcini o di avere la mente di Margherita Hack.

Che se ne fanno queste super patonze dell’astrofisica e della neurologia quando invero desiderano solo un nuovo, brillantissimo orologio e uno yacht ove esporre nudamente la propria merce e tutta la pregiata bigiotteria stronza?

Oggi, nessuna donna vuole diventare astrofisica. Vanno tutte in palestra per divenire fighe galattiche.

E di quell’altro povero cristo di Bob De Niro di Casinò ne vogliamo parlare?

Un genio dall’intuito infallibile la cui unica, vera colpa è stata quella di essersi affiliato alla mafia.

Per il resto, è intoccabile quasi quanto Kevin Costner di The Untouchables.

Ah, che testa il Sam Rothstein/De Niro ma finisce peggio di Al Capone. Uh uh.

S’innamora pure perdutamente della troia per antonomasia del locale, Ginger/Sharon Stone, ed è emotivamente legato a quel matto scriteriato di Nicky Santoro/Joe Pesci.

Ginger lo tradisce platealmente col figlio di bagascia Lester Diamond/James Woods ma ogni volta Sam chiude un occhio anche se, su queste scopatelle-scappatelle, non ci dorme la notte.

Alla fine, Ginger va pure con quel nano del suo amico del cazzo. Roba che, in confronto a Pesci, il grande, deceduto Verne Troyer di Io, me & Irene è elevatissimo, non solo di statura. Sì, Verne fu decisamente più alto di André René Roussimoff, ex lottatore artisticamente, si fa per dire, conosciuto col soprannome The Giant.

Gli uomini, comunque, sono peggio. Ci sono gli operai disperati che non sanno che Joe Pesci, no, pesce pigliare e allora vendono lo squalo al mercato. Ci sono dunque gli intellettuali della minchia che, avendo molto tempo per cazzeggiare, parlano di film che manco hanno capito.

Mentre io sto sempre più diventando Mel Brooks, John Belushi e pure Bill Murray. Io so benissimo chi sono. Io non sono. Voi invece, oltre che pazzi, siete idioti. Pensate di essere vivi ma siete già nell’anima da una vita morti.

Ma davvero vogliono fare lo scambio fra Ancelotti e Conte? E quella veramente è una scambista?

È una cubista? Nel senso che ama Picasso? O s’è ritoccata il culo con Picasa?

Che tragedia mostruosa.

Terrificante, agghiacciante.

Non importava quanto uno fosse grosso, Nicky partiva alla carica. Se lo attacchi con i pugni, Nicky torna con una mazza. Se lo attacchi con un coltello, lui torna con una pistola. E se lo attacchi con una pistola, ti conviene ucciderlo, perché continuerà a tornare e tornare fino a quando uno di voi due non è morto.

(Robert De Niro con la voce di Gigi Proietti)

di Stefano Falotico

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Lars von Trier non è un genio, Brian De Palma, sì, anche questo Starman…


02 Mar

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Ecco, come sappiamo è uscito ieri, in tutte le sale italiane, La casa di Jack di Lars von Trier.

E, sempre ieri, io mi son pronunciato in merito a questa “boiata pazzesca”. Geniale “nefandezza”, genialità pura o tronfia, manieristica immoralità sconcia spacciata per adamantina Arte assoluta?

È sempre la domanda che ci si pone dinanzi a un’opera di Lars.

Che, personalmente, non reputo un genio. No, non gli sono severo e impietoso come Paolo Mereghetti che, nel suo Dizionario dei Film, eccezion fatta per un paio di film, lo stronca puntualmente a man bassa, come in uno slasher movie, martoriandolo di offese forse un po’ troppo tagliate con l’accetta, definendo boiate i suoi film, sì, ma nel senso di cagate. A proposito di fantozziane sparate e La corazzata Potemkin

Eisenstein non era Einstein, per fortuna. Ché i geni troppo raziocinanti e matematici mi han sempre stufato e dato allo stomaco. Sì, Einstein ha inventato la teoria della relatività. Un’intuizione a dir poco sovrumana. Ma cosa ce ne facciamo della teoria se, in pratica, ancora non abbiamo messo piede su Marte?

Allora, meglio i geni veri come De Palma. Che ci hanno illuminato di viaggi nel tempo oniricamente cinematografici, citazionisti, omaggiando il capolavoro di Eisenstein nel suo magnifico Gli intoccabili.

No, non ho ancora visto il film di von Trier e credo, sinceramente, che non lo guarderò in sala. Perché la vedo dura… sorbirmi due ore e trentadue minuti di un film così, bello, stupendo o orribile che sia, assieme a spettatori schizzinosi, facili alle grida scandalizzate da piccolo-borghesi spastici, i quali potrebbero mal influenzarmi con le loro inopportune risatine più sadiche del sadismo del macellaio Jack.

Penso piuttosto che lo aspetterò in home video, per gustarmelo, lodarlo o aspramente criticarlo dopo averlo visionato, con estrema calma, nell’intimità delle mie mura domestiche, a mo’ di Sean Connery/Malone.

Ma comunque, premesso ciò, no, credo indissolubilmente, irrevocabilmente che Lars non sia un genio.

I geni sono altri. Lars è, tutt’al più, come ha scritto The Telegraph, uno che adora provocare, squartando la vita e il Cinema a volte indubbiamente in maniera fortemente perturbante che colpisce nel segno. Altre volte, invece, in modo gratuitamente sciocco e “idiota”.

Ho visto alcune clip e già queste comunque non mi hanno convinto. Poi, ovviamente, dovrei appunto vedere il film nella sua interezza e contestualizzarle all’amalgama. Sanguinaria, sanguigna od oscenamente anti-perbenistica che sia.

Jack ci dice che è un ingegnere che voleva fare l’architetto. Perché gli architetti sono artisti, gli ingegneri no. E c’è per lui una profonda, importantissima differenza fra chi fa musica e chi legge la musica…

Quindi, ci dice che lui i problemi li ha sempre avuti. E che ha sofferto e soffre ancora del DOC, ovvero di un grave, debilitante, “asociale” disturbo ossessivo-compulsivo. E che questa sua chiusura sarebbe stata già l’anticamera delle sue sepolture.

Prima banalità. Ahia, Lars. Anche Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato, secondo questo balzano assunto, sarebbe un potenziale omicida della povera Helen Hunt?

Poi, chiariamoci. Perché, visto che non sapete un cazzo di “malattie psichiche”, fate molta confusione tra l’hitleriana psicopatia e la junghiana psicosi.

Di solito, lo psicopatico, qual è Jack, è una persona altamente menefreghista, senza coscienza, a cui non sbatte un cazzo degli altri. E fa male per il piacere di farlo e trarne momentaneo giovamento. Uccidendo, esorcizza il suo incurabile mal di vivere. E continua ad ammazzare, secondo la classica, metodica procedura di un serial killer, nelle stesse pressoché identiche modalità perché, quando ammazza, per un po’ placa i suoi demoni interiori. Poi, ritorna ad ammazzare quando la sua ansia e i suoi disagi incontrollabilmente aumentano.

Lo psicotico, invece, fa esattamente il contrario. Soffre talmente tanto da uccidere sé stesso. E, ogni volta che sta “male”, si fa del male.

Allora, può succedere che, per colpa di un mondo superficiale, cafone, ignorantone, si becchi anche un gravissimo, irreversibile TSO.

L’aberrazione del TSO

Ebbene in Italia vi è davvero poca informazione su tutto. Soprattutto su argomenti scottanti che, ancor ammantati di vivida scabrosità, suscitano pruriginosi pensieri scherzosi e tristemente demonizzanti presso i benpensanti.

Quante volte, ad esempio, sentiamo per radio o alla tv, dinanzi a una persona evidentemente eccentrica, semmai stralunata o sopra le righe, speaker o commentatori che, in modo certamente burlesco o spiritoso, cialtronescamente canzonatorio, si rivolgono con toni irridenti verso questa persona, a volte usando epiteti strafottenti o semplicemente goliardici, lanciandole contro frasi come… be’, fratello e amico carissimo, non ti hanno ancora prescritto un TSO? Guarda, se fossi in te chiamerei la neuro, oppure, io direi di farti vedere da uno bravo o ancora ah, ma tu sei matto da legare.

Questa brutta usanza e questo bieco modo di dire sempre abbastanza in voga, alquanto infamante anche se pronunciato con toni chiaramente, oserei dire, scaramantici o vaporosamente dolci, lo reputo davvero orripilante. Innanzitutto perché, pur dietro una esorcizzante risata diciamo spensieratamente allegrona e sbeffeggiante, si cela uno spauracchio assai potente della nostra società. Cioè l’ombra della temuta, schivata pazzia che potrebbe colpire chiunque. Dunque questo modo di dire, apparentemente innocuo, suona più che altro come un monito scacciapensieri rispetto a qualcosa che, ancora, terribilmente spaventa e inquieta le coscienze borghesi, rimbomba tetramente come uno spettro aleggiante e albergante nelle nostre viscere profonde di esseri umani, perciò anche di persone, come tutti, emotivamente fragili e perennemente preoccupate del contorto, difficile futuro, così com’è infausto il terrore sibillino, inconscio e beffeggiato che un giorno il morbo o il seme della follia possa piombarci giù dal cielo, contagiarci e condurci appunto alla follia più nera.

Ecco, io non scherzerei più su certi argomenti con tanta superficiale faciloneria, nemmeno con tanta spensierata ilarità.

Perché, purtroppo, il TSO è qualcosa di veramente nefasto e orrendamente deprimente.

Che cos’è un TSO? Forse lo sapete ma è meglio puntualizzare con precisione. Il TSO non è altro che la sigla di trattamento sanitario obbligatorio.

Cioè tutta quella serie di disposizioni che vengono prese urgentemente nei confronti della persona a cui è stato, appunto, rifilato il TSO stesso, al fine che, in seguito a suoi comportamenti palesemente lesivi dell’incolumità personale sua o del prossimo suo, non possa più essere di cagione e danno alcuno verso i suoi simili.

La persona spesso, in seguito al generarsi e degenerarsi di una crisi psicotica, viene quindi fermata con la forza e trascinata in ricovero coatto. A intervenire sovente sono addirittura le forze dell’ordine che, allertate del possibile pericolo già avvenuto o messo in atto dalla persona che ha manifestato una psicosi, giungono violentemente a casa sua, nei casi più gravi, e coercitivamente la conducono in clinica o in un ospedale psichiatrico.

Fin qui, seguitemi bene, tutto ciò non avrebbe, almeno in linea teorica e propedeutica per la tutela del bene della nostra comunità sociale, niente di allarmante. Mi pare infatti alquanto normale che, se una persona si mostri aggressiva nei suoi stessi riguardi o nociva nei confronti degli altri, s’intervenga il prima possibile per evitare degenerazioni nella medesima e per frenare, con prontezza, lo scatenarsi di altre azioni gravemente dannose.

Ora, che cosa può aver ingenerato una crisi psicotica in una persona? Be’, le ragioni sono molteplici e disparate. Una persona può crollare e rompersi, fratturarsi nella psiche se è stata vittima, in tempi recenti, di particolari e problematiche, difficoltose condizioni di stress protrattosi troppo a lungo. Una persona può “ammalarsi” se, che ne so, è stata licenziata arbitrariamente e senza una giusta causa dal suo lavoro e di conseguenza, disperata e in preda al più tremebondo e furibondo panico, non ha retto all’accaduto e rovinosamente si è psicologicamente schiantata. Se una persona, in seguito a un lutto inaspettato quanto scioccante, è rimasta devastata e dunque, squassata nell’animo distrutto, è precipitata in qualche agitata, preoccupante crisi.

Oppure se una persona, dopo una fortissima delusione affettiva, non avendo saputo gestire le sue turbolente e confuse emozioni, si è spaccata in due. Tanto affranta da non resistere all’urto tonante e devastante indottogli in modo prorompente dalla delusione da lui vissuta in maniera, paradossalmente, sin troppo umana e tanto senziente da portarla a uno sfogo clamorosamente allucinante.

Ok, sin qui ci siamo. E, ribadisco, non vi è nulla di anomalo.

È il dopo che è veramente osceno, un obbrobrio.

Alla persona a cui è stato prescritto il TSO spesso si fa una diagnosi. Che, nel novantanove per cento dei casi, è pressoché schiacciante e impietosa. Ma soprattutto altamente discriminatoria perché l’analisi psichiatrica del soggetto viene eseguita in un momento di enorme sua criticità psicologica. La persona, infatti, come da me già evidenziato, secondo voi in che stato psicologico può trovarsi se ha avuto una psicosi? Certamente, non en pleine forme. Intensamente turbata e alterata.

Quindi, la diagnosi che la persona riceve potrebbe essere (uso il condizionale perché, ahinoi, non è raro che sia invece sbagliata e distorsiva) tutto sommato anche giusta.

Spesso invece, attenzione, è una diagnosi affrettata, senza criterio, molto grossolana e approssimativa che valuta solo e soltanto la condizione patologica del soggetto preso in esame nelle ore e nei momenti susseguenti la crisi da lui manifestata o che, in modo del tutto sbrigativo, ha la presunzione di voler inquadrare un quadro clinico psicologico sulla base di confessate reminiscenze del soggetto stesso (come detto, già profondamente alterato, dunque assai poco lucido), addivenendo a facili, lapidarie conclusioni molto indelicate e soprattutto fallaci.

Non è mia intenzione generalizzare e, a volte, ancor prima di un TSO, è stata eseguita la diagnosi. Se la persona aveva già accennato a qualcosa di pericolosamente minaccioso.

Evidenziato ciò, passiamo oltre.

Quello che non molti sanno, anzi quasi nessuno, vista la diffusa disinformazione e ignoranza in materia, è che una persona che si è presa un TSO; ahinoi, quasi sempre, per non dire sempre, è segnata a vita. Intrappolata dalla diagnosi che ha ricevuto e obbligata, giocoforza, a tutto un martirizzante, abbruttente, penoso e demoralizzante percorso di fantomatica “cura”. Cura che, anziché essere cura nell’accezione positiva del significato della sua parola, diventa più che altro uno sfiancante, svilente, angosciante percorso pseudo-terapeutico spesso ingannevole quanto, se non inutile, sicuramente evitabile e soffocantemente infinito.

La persona, paralizzata e bloccata nell’autodeterminazione, coattamente ricattata nell’obbedire a belluine prescrizioni farmacologiche, anziché riprendersi dal suo momento critico e negativo, viene per così dire “zombificata”.

Lentamente ma progressivamente, spietatamente viene erosa nell’animo, spenta e smorzata nella volontà, spogliata della sua intima, pulsante identità, spersonalizzata, psicologicamente oppressa da dittatoriali, ulteriori obblighi agghiaccianti, repressa chimicamente, oltremodo danneggiata, inibita scelleratamente attraverso l’uso di neurolettici o tranquillanti assai cagionevoli e debilitanti a livello psichico e cognitivo.

E costretta a un calvario mortificante eterno quanto stigmatizzante, fatto d’infermieri impreparati che sono a loro volta il più delle volte dei robotici burocrati, insensibili mandanti di ordini medici autoritari e dispotici. Cosicché, comandati da chi sta sopra di loro, imboccano meccanicamente i pazienti “malati” nel rilasciar loro assunzioni di farmaci dei quali, forse, in molti casi, non conoscono nemmanco essi stessi gli effetti.

Perché si attengono solamente alle disposizioni ricevute loro dai superiori e i pazienti, ai loro occhi, divengono compassionevolmente, soltanto dei casi umani da “laboratori” biologico-chimici. A cui dare e rifilare “medicine”.

Nel caso in cui infermieri e/o operatori sanitari siano invece molto preparati, non hanno comunque facoltà decisionali e, sine qua non, devono agire secondo imperiosi, irrinunciabili ordini impartiti loro.

Come se non bastasse questo abominevole, fascistico “sistema”, aggiungiamoci anche l’altrettanto “anormale” (a proposito di normalità e immaginaria, assurda “sanità”) corollario di educatori poco professionali e di assistenti sociali più “penosi” dei “malati” o presunti tali.

E potete presto immaginare il patibolare percorso di “terapia” falsa, vergognosa e avvilente a cui è sottoposta, senza che possa benché minimamente ribellarsi, una persona che ha avuto solo la sfortuna di essere momentaneamente “impazzita”.

È stata marchiata e annichilita a vita.

Ora perché, nel 2019, accade ancora questo sconcertante orrore?

La risposta è molto semplice quanto molto sconfortante.

Se la persona affetta dalla patologia per cui spesso si è emessa contro una diagnosi sfavorevole venisse liberata, permettetemi di dire scarcerata, da quest’opprimente schiavismo psicologico a cui è stata costretta ad abdicare, gli psichiatri (non tutti per fortuna nostra) credono invero che questa stessa persona, prima o poi, tornata alla sua piena, fluida e non raffrenata coscienza, ripristinata nelle sue efficienti funzioni psicomotorie, a causa dei sintomi e delle “debolezze” di cui ha già sofferto in passato, possa ricommettere un “crimine” per sé stessa o a danno degli altri.

Insomma, siamo dalle parti della più stupefacente, mostruosa fantascienza da Minority Report. Una persona viene “curata” a vita in quanto colpevolizzata di un suo “errore” trascorso, già semmai ampiamente superato da tempo immemorabile, perché si pensa che il “crimine” possa commetterlo nuovamente.

E in virtù di questo debba essere continuamente controllata a vita, anzi, a vista. Sorvegliata permanentemente.

Tutto quello che ho appena scritto corrisponde al vero? Sì, certamente, anzi, mi sono limitato a una panoramica ben più rosea della vera e ancor più terrificante realtà.

Perché permettiamo che nel 2019 esista ancora il TSO? E soprattutto per quale motivo lo si continua ad applicare attraverso questi termini disumani?

È scandaloso che tutti stiano zitti, è quanto mai raccapricciante che nessuno muova un dito per cambiare le cose.

E invece si persevera nell’omertà, questa sì, pericolosissima, bugiarda. Nell’ipocrisia più sleale e mendace.

 

DETTO QUESTO…

A Lars piace scherzare su argomenti delicati e fare il citazionista di William Blake.

E la gente abbocca a ogni sua superficialità perché, semmai, snocciolataci con riprese a mano che fanno “arty”, con spargimenti di sangue che fanno “figo”, con tutta una serie di barocchismi ed esagerazioni che fanno gridare al capolavoro mai visto!

Poveri idioti!

Riguardate i primi film di Dario Argento, i migliori film di Carpenter e soprattutto Vestito per uccidere, Blow Out e Omicidio a luci rosse.

Brian De Palma, un genio vero.

Mica uno da chiacchiere e distintivo!

Ora, riguardate la scena degli Intoccabili quando gli stronzi trucidano Malone.

E poi ditemi se non vi siete commossi.

Questo è grande Cinema, non quello di Lars.

Mi spiace.

E qui c’è tutta la vita di un genio, sulle note di Morricone.

An extraordinary genius… able to transform himself…

 

STARMAN

di Stefano Falotico

E se fossi Ryan Gosling di DRIVE? Sì, il Batman italiano, anche il JOKER


09 Jan

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Sì, sapete che non l’avevo mai visto? Ah, colpa gravissima. Io, cinefilo incallito e amante del noir più sfrenato, futurista ante litteram e letterato incallito, L’ho anche recensito ma a dire la verità non è che mi sia piaciuto tantissimo. Una mescolanza di Cinema realizzato altrove meglio che, secondo me, come detto, basa moltissimo del suo risultato emozionale per via di questa canzone strepitosa:

Sì, Stefano Falotico, il qui presente sottoscritto, se vogliamo definirlo, è indefinibile, sfuggente, un driver l’imprendibile. Con accenni malinconici alla Travis Bickle innestati, innervati su una carrozzeria del cuore da Cinema di Michael Mann. E veloci schizzi romanticamente violenti.

E questo libro, nonostante le troppe virgolette, qualche neologismo furibondamente eccentrico, rimane un masterpiece.

Sì, io sono l’autista notturno di tutto, soprattutto delle mie emozioni sepolte che, nello sfrecciar di gomme pneumatiche, riempiendomi di calore nelle strade della mia anima dissestata, sbattono contro il mio parabrezza psichico e dilaniano l’anima, spandendola nella lost highway.

Non voglio più sentire stronzate sul mio conto. Anni fa, uno sciroccato di psichiatra, non capendo un beneamato cazzo della mia vita, disse che andavo istradato a una vita normale. Orrore degli orrori. Non voglio ridurmi come una donnetta lagnosa che ascolta Elisa e si consola dalle sue frustrazioni affettive, riguardando alla tv, con la lacrimuccia e rimmel sbavato, Paura d’amare.

Basta, non se ne può più delle assurde dicerie sul mio conto. Se vogliamo dire che io non so cos’è la parola amore, diciamolo pure. Perché io non amerò mai come la maggior parte di voi. Il vostro non è amore, è bisogno di stare con qualcuno per paura di rimanere soli. Per attimi patetici di calore. E confondete spesso il sesso con l’amore. Ché quasi mai sono in congiunzione, se non in rari casi, e allora, soltanto in questo frangente miracoloso, potete considerarvi soddisfatti, pienamente appagati e probabilmente, oltre che fortunati, modestamente felici.

La maggior parte delle persone viene folgorata, da cui il colpo di fulmine a cui io credo, dal sesso opposto, anche dal sesso identico se sono omosessuali o lesbiche, e il primo impulso che brucia in loro è istintivamente l’attrazione fisica, la chimica esplosivamente ormonale.

Poi, se ci scappa una scopata, se con quella persona con cui ti sei accoppiato/a s’instaurano delle affinità elettive, si sviluppa il piacere di starci assieme e non solo a letto, vi fissate con questa parola abusata, amore.

Ve ne riempite la bocca, sciocchi.

Anche perché siete ossessionati dalla moralità piccolo-borghese. E, guardandovi allo specchio, vi reputate ignominiosi se fate sesso senza credere che l’abbiate fatto solo perché vogliosi di lasciarvi andare. Dovete necessariamente, per via del vostro inestirpabile, abominevole retroterra moralisticamente cattolico, affermare che avete fatto sesso perché sentivate qualcosa che andava al di là del puro, carnale, duro, detonante, furioso o dolce rapporto fisico lussurioso. Che voi non siete appaiabili alla sconcia e squallida animalità sanamente, sì lo è, connaturata alle vostre termodinamiche sensoriali e corporee, bensì, essendo figli del vostro illusorio Dio, della vostra bacata idealizzazione di Dio e cosicché anche dell’alterato, anzi adulterato concetto mitizzato e appunto divinizzato dell’amore, voi fate sesso solo quando romanticamente innamorati. Perché, se mentiste a voi stessi, dunque riconoscendo la chiarissima verità, di fronte a questa bugia immane che vi raccontate, per via sempre della vostra educazione distorta, vi sentireste gravemente in colpa, sporchi, e invece siete brave persone, vero?

Non ci crede nessuno, smettetela.

Io ho un concetto dell’amore molto simile a von Trier. Totalizzante. E non limiterei, tumefarei l’emozionalità del significato della parola amore al solo amore fra due persone. L’amore cioè inteso in senso relazionale di coppia.

Amore è anche guardare un bambino e, osservando la cristallina innocenza del suo sguardo, sorridergli, augurandosi che la sua vita sia fottutamente bella, piena di speranza e sogni.

Amore è soffrire nella solitudine più devastante e commuoversi per un attimo fugace di poesia.

Amore è ricevere una telefonata mentre stavi guardando un film con Stanlio e Ollio e sapere che la persona di cui eri innamorato è tragicamente morta.

Sapere che è tutto finito.

Amore è forse Ron Perlman di questa serie televisiva, un uomo che da piccolo mi spaventava a morte.

Amore è l’ingenuo Salvatore de Il nome della rosa e forse, a proposito di poesia e Sean Connery, quest’altra è una delle scene più belle di tutti i tempi.

 

– Scusi, ma lei, Falotico, come fa a sapere de La bella e la bestia con Ron Perlman?

– Io so tutto. Sono o non sono John Connor?

– Falotico, lei mi sta facendo girare le palle! Ma chi crede di essere per vivere così? Lei deve darsi una regolata. Lei non è Superman.

– Io direi molto di più. No?

 

di Stefano Falotico

È crollato e scomparso anche il canale YouTube dell’ex Weinstein Company, tutto scomparirà, siamo abbaglianti fiori che bruciano, incenerendo, ma siamo stati intoccabili


31 Aug

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Sì, che disdetta. Il ciclopico scandalo sessuale di Harvey Weinstein ha arso di netto un archivio pregiatissimo che durava da anni, e annoverava nel suo “carnettrailer e clip inestimabili, originalissime, storiche, come si fosse incendiata la Biblioteca Reale di Assurbanipal, detta di Babilonia, come se stessimo leggendo le ultime pagine de Il nome della rosa. E, trasfigurati nel volto pietrificato di Sean Connery nell’omonimo film di Annaud, dinanzi a tale sfacelo, fossimo stati trafitti da una tristezza incommensurabile. Tutto il materiale è andato perduto. Per fortuna che altri canali, come Movieclips e affini, hanno tutto salvato. Ma vuoi mettere l’incantevole bellezza del filmato teaser di The Hateful Eight, l’inedito Hands of Stone con De Niro, paragonati allo squallido HD di trailer semplicemente copia-incollati e riciclati?

Sì, se digitate Weinstein Company nella ricerca sul Tubo, il canale ufficiale non vi è più. Mai più sarà ripristinato. Uno scempio. E piango di dolore, anche perché ciò ha rovinato molti miei post sui miei siti, che ora dovrò correggere, rimpiazzando i video non più disponibili con i fac-simile. Sì, facsimile, anche senza lineetta, ha solo la forma singolare, miei uomini a me non tanto simili. Ma avrò la pazienza amanuense di aggiustare tutti i miei database? No, non mi va, ne metterò a posto solo qualcheduno.

Sì, ciò m’induce ancora una volta a pensare che tutto il patrimonio della nostra umanità, prima o poi, in un’ecatombe apocalittica, sarà sepolto dalle macerie di quel che diverrà, ahinoi, soltanto un nostalgico ricordo, peraltro per i sopravvissuti, perché gli altri già trapassati saranno. E dunque, essendo io abbastanza ateo, non credo che tali eterni irredenti potranno nemmeno rammemorare le loro lacrime nella pioggia come Rutger Hauer di Blade Runner.

Oggi ci siamo, domani non più. Carpite l’attimo finché non v’intuberanno perché sarete già ridotti alla fine. E sdraiati sul lettino vi commuoverete, sapendo che, comunque sia andata, abbiamo combattuto per i nostri ideali, in un mondo di predatori, di cinici sfruttatori, di arrivisti che ti lasciano affogare.

E non mi stupisco che il grande Brian De Palma voglia preparare un film su Weinstein. Un uomo che ha enormemente sbagliato, a differenza di me, ovvio, ma a cui va accordato un perdono cristiano.

di Stefano Falotico

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Scena magnifica, da brividi

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Attori rinati: Kevin Costner, l’eleganza di Hollywood


27 Jul

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Ed eccoci qua a parlare del sempre bel Kevin Costner. Il cui nome completo all’anagrafe è Kevin Michael Costner, nato il 18 Gennaio del 1955.

Un uomo figlio di un elettricista e di un’attrice. E dunque il nostro Kevin, attratto dal suo lato materno-artistico, con estrema baldanza si dà al Cinema, che quasi subito si accorge di lui. Ha un faccino pulitissimo, è elegante nei modi senza essere affettato, ostenta un’enorme sicumera. E a passi svelti scala i ripidi gradini di Hollywood, per agguantare già il successo dopo soltanto una manciata di film.

Invero, sin dai primissimi anni ottanta, ottiene dei piccolissimi ruoli in pellicole abbastanza trascurabili, imbroccando poi un film che all’epoca fece abbastanza clamore, Il grande freddo, ma le sue scene vennero eliminate dal montaggio finale. E finalmente nel 1985 azzecca da protagonista due film che lo portano alla ribalta, ovvero Fandando e Silverado. Il primo è firmato da Kevin Reynolds, col quale poi Costner lavorerà ancora nell’altrettanto apprezzato Robin Hood – Principe dei ladri ma anche nel “disastroso” Waterworld, il secondo invece proprio da quel Lawrence Kasdan che l’aveva cancellato dal Grande freddo.

Fandando diventa un piccolo cult, tanto da invogliare anche il nostrano cantante Luciano Ligabue a omaggiarlo a squarciagola in una canzone famosissima pressappoco di quel periodo, e Costner pare infermabile.

 

Nel 1987 è il compassato, intransigente, integerrimo Eliot Ness nel capolavoro The Untouchables – Gli intoccabili di un ispiratissimo e antologico Brian De Palma, che riunisce a sé un cast lussuoso (Sean Connery, Andy Garcia e Robert De Niro versione Al Capone), forgiando di afflato epico un’epopeica storia gangsteristica ai tempi del Proibizionismo.

Quindi interpreta due film minori rispetto a quello di De Palma ma che al botteghino vanno forte, Senza via di scampo con Gene Hackman e Bull Durham.

Nel 1989 è il magico, vellutato protagonista de L’uomo dei sogni di Phil Alden Robinson e nel 1990 esce col bruttissimo Revenge di Tony Scott, pellicola pseudo-bollente con una Madeleine Stowe molto avvenente, ma anche con la sua opera capitale, Balla coi lupi, da lui appunto diretta con inaspettata maestria, gusto sopraffino delle immagini, e interpretata con sofisticatezza “liberal” da uomo bellissimo, selvaggio ma al contempo sobriamente affascinante e impossibile. È il film che vale tutta una carriera e Costner ha “solo” trentacinque anni, incassa sette premi Oscar, sbaragliando l’agguerritissima concorrenza del superbo Quei bravi ragazzi. È un anno nel quale però la cinquina dei film candidati come Best Picture, fra lo Scorsese di Goodfellas e il Coppola de Il padrino – Parte III, annoverava anche l’abominevole Ghost!

Ma gli Oscar grandiosamente vinti son comunque meritatissimi, e potevano essere perfino molti di più.

Impazza allora a livello mondiale la Costner mania. E Costner fa la sua figura anche in un altro filmone, JFK di Oliver Stone, sebbene il suo fin troppo perfettino Jim Garrison sia stato incarnato da lui, sì, Costner, chi se no, con noiosa legnosità e pedante monotonia espressiva.

Nel 1992 interpreta una pura schifezza commerciale, Guardia del corpo, ma la colonna sonora e la voce di Whitney Houston elevano il film in gloria e la pellicola primeggia al box office. Consacrandolo ancora una volta come paladino del sex appeal di classe. Da vero, innegabile handsome.

Ma, all’apice apoteotico del suo splendore e anche del suo perlaceo, attoriale fragore, arrivano i primi passi falsi sonori, e si profila la temuta ombra minacciosa della débâcle più vergognosa. L’uomo del giorno dopo, la sua seconda regia, sebbene oggi sia stato leggermente rivalutato, allora fu stroncato in maniera impietosa, perché giudicato iper-retorico e fastidiosamente lunghissimo e pomposo.

Costner, fra romanticherie zuccherose e donne smancerose, si rifà un po’ la faccia, resa troppo insipida e liquorosa, con l’interessante Gioco d’amore di Sam Raimi, tornando di nuovo al baseball, sua inoppugnabile passione focosa…

Ma ne vogliamo parlare del pasticcio immondo La rapina? Oppure di Dragonfly? Filmacci!

E quando nessuno se l’aspettava, voilà, Costner se ne esce col suo stupendo terzo film da regista, Open Range, e dinanzi a questo suo colpo ci siam tolti il cappello, non solo da cowboy. Applaudendolo a scena aperta.

Eppure Costner arranca alla bell’è meglio o mal si arrangia, tra filmetti senz’arte né parte in qualche modo campa, i cosiddetti film alimentari, e poi in un istante rinasce da rapace, da uomo, checché se ne dica, indiscutibilmente capace.

 

E lo vedremo prestissimo in due serie televisive interessantissime, Yellowstone di Taylor Sheridan (negli USA peraltro già uscito fra controverse critiche) ma soprattutto in Highwaymen di John Lee Hancock.

Posso dirlo? Non sono una donna, ma a me nonostante tutto Costner piace.

E spero davvero che ci possa regalare altre sorprese!

 

di Stefano Faloticoattori-rinati-kevin-costner-02 attori-rinati-kevin-costner-01 attori-rinati-kevin-costner-03 attori-rinati-kevin-costner-04

Il mio intellettuale colorato di “nero”, anche De Niro fra notti in bianco e le “luci rosse” del mio decadente uomo a cui fan male i denti


20 Dec

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Ecco uno spicchio della mia folta biblioteca ove la mia mente può spaziare fra letture di Ellroy, cari amici che non credete al mio “antieroe”, e biografie deniriane, nel portrait di me che danza e bascula nella vita con far alle volte smargiasso da gigione imprendibile, altre da chiacchierone insopportabile, altre da (in)sospettabile man, da cui (i) men che non si dica(no), che passeggia cauto nella nube dei suoi pensieri, arrochendo la sua voce fra sigarette Chesterfield dall’aroma abbrustolente i polmoni su di giri e nightmare accesi della mia anima tormentata.

In questi libri rifulgo, fumandomela nello sfumar altero da intellettuale che vuol stare sulle sue e molto sta “lì” a chi non vuol guardare la mia, sua anima. In questa mia anima mi disamino e spesso la mia coscienza esamino, anche se alle volte con qualche donna vorrei “esaminarmi”. Piacevolmente “dissanguarmi”. Ah sì, venir nello “svenarmi”, ma lei mi offende e la mia dignità sventra. Solo angoscia, altro che cosce…

E nell’angosciar mio affatto vacuo scrivo poeticamente implacabile nello “squittio” dei giorni che si trastullano dondolanti a volte nell’apatia, altre volte nel dolore esistenziale che vorrebbe lasciar che ogni dubbio voli via. Eppur mi “violo”, esplorando parti intime della mia violacea anima romantica che crede, nonostante tante disillusioni, che Ronin di Frankenheimer sia un gran film, e che De Niro sia enorme quando gira dei noir.

Prendiamo Angel Heart, avercene di diavoli come quello… un vero giallo delle incognite in questa vita che a volte riserva sorprese. E ti costringe a indagare sui tuoi battiti cardiaci…

Prendiamo Heat, vero “calore” di un amore impossibile, di strade metropolitane dalle vie decumane ove i destini della coralità umana si “stagnano”, nei sogni si stagliano, s’intersecano, viaggiano nelle onde delle emozioni virili per poi squagliarsi in un finale al cardiopalma…

Ah, De Palma, il suo ellroyano Black Dahlia non andò bene, ma avercene di quelle Hilary Swank.

E De Niro fu un intoccabile Capone in quello che è un poliziesco di amici, di bastardi, di un grande Sean Connery, di Garcia che amano le loro origini italiche, di un Costner che ancora non ballava coi lupi…

Sì, spesso sono un lupo solitario e lo sa il mio “amico” Sean Penn… di Carlito’s Way. Quello ti mette nei guai peggio di Joe Pesci di Casinò…

Ma chi era Gordon Pym? E fresco e veloce come una piuma ecco che di nuovo son brillante come un puma. Eppur fuori girano tanti pullman. Si spera non siano come Bill di Strade Perdute…

 

di Stefano Falotico

Kevin Costner, il fascino “mocassino” di un attore nei suoi jeans di “marchetta”


02 Oct

A parte l’occhio alla “Timberland” (sì, Kevin ha, nel codice genetico del bulbo oculare, un paio di scarpe “comode”) e  una “bellezza” d’acchiappo immediato, Costner non è mai stato così “pessimo” come si “sparla” a (s)proposito

Mi ricordo che la figlia della mia vicina di casa, Cristina partorita da Angela, ne andava di voglia “matta”.
All’epoca avevo, su per giù, undici anni e mi “costrinse” a sorbirmi un “polpettone” di quattro ore “integrali”, il 7 volte premio Oscar Balla coi lupi.
Però, la “durata” del film veniva sempre (sub)ordinata-“discinta” al suo “languorino” ed era, per i suoi ormoni tardoadolescenziali da già impiegatina frustrata (piegatissima dal fidanzato “saldatore” che, fra l’altro, sebbene abbia “inseminato”, incinta non “gliel’ha dato”… almeno, la prole già “romanticuzza” da “Stranamore” non s’è propagata d’altri demoni sotto la pelle), “fermoimmaginata” nel “fotogramma” a raggi x dei suoi occhi “fragolosi” della scena in cui Kevin, il “lupo” ballerino appunto, afferra l’indiana per il (ca)pel(l)o e, sotto la tenda, di “cappella-pelliccia” poi “la” stende da ex Tenente ancora “sull’attenti”. John Dunbar, che si schierò di “soldato blu” contro Wayne e Buffalo Bill, perché capì che Dustin Hoffman, il piccolo grande Uomo, era un idiota nella società “civilizzata” ma, a (con)tatto con la Natura selvaggia, si trasformava in una “pistola incazzata” di duro “caratterino” difficilmente indomabile eppur “dominante” da maschio bestiale, fra praterie di “muschi” e un mustacchio da “Sotto la capanna, il capriolo a pecora te lo fa crescere di capriole e, sopra, di panne ti screpola“.

Per non “par(l)are” del “cul-t” del “suo” Robin Hood.
Quando il nostro “Principe” si spoglia, di fondoschiena amabilissimo dalla femmina in calore (sì, la parte migliore dell’uomo chiamato cavallo è il lato B del “sapiens penis“) nel laghetto, e la Mastrantonio “ammira” il marcantonio sognando la sua “foresta” di “arco”.

Sì, Kevin Costner era l’attore preferito di Cristina.
Ascoltava Claudio Baglioni…

Ho detto tutto.

Comunque, Kevin è stato frainteso solo perché si scopava delle bonazze e gli hanno voluto male.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. The Untouchables – Gli intoccabili (1987)
    Toccami e ti denuncio.
    La battuta più “agghiacciante” è questa, quando il pagliaccio Al Capone urla ad Eliot Ness: “Tu non hai un bel niente, buffon’!“.Sì, la fine che farà quel “montato” del portiere della Juventus a fine campionato.
  2. Terra di confine – Open Range (2003)
    Dopo Gli spietati, Costner gira un capolavoro con Duvall per sfide all’O.K. Corral.
  3. Waterworld (1995)
    Costner capì che Michael Douglas, sebbene basic instinct, non aveva sodomizzato bene Jeanne Tripplehorn.
    E allora “la” illiquidisce del tutto.
    Di scioglimento…Che mostro questo Kevin. Mentre fotte Jeanne, urla alla bambina Tina Majorino: “Me la inculo a terra!”.

    Lo shock sarà devastante, infatti quest’attrice l’abbiamo persa nell’intelligenza artificiale.

E tu che ne sai di Kevin Costner? Mentecatto!


15 Jul

 

Sì, mi “sdoppio” fra Clint Eastwood e Lee Van Cleef, e accendo il mio “sigarino” sulla “gobba” di Klaus Kinski, provocandola “a iosa”. Lui diventa iroso e incazzato, ma “glielo” scazzo sparandolo “a freddo”

Sì, sapete, credo che il “componimento” di Blue Morgan negli end credits di Million Dollar Baby, sia quanto di più commovente, “musicalmente parlando”, la Settima Arte c’abbia regalato in anni di pellicole in cui, “in culo”, a “farlo” da padroni son stati i filmetti adolescenziali di fighi e smargiassi, di gel su “andatura” rizzata per la tettona “pappona” che te la dà solo se sei un “bagnino” di bacino.

L’adolescenza è un periodo tribolato per tutti. Le “racchie” non hanno scampo, e son “preda” dello “scalpo” del “branchetto” indiano con gli scalpiccii su coda da cavallo. I “timidi” vengono presi in mezzo, anche lì fra le gambe, per opere di “castrazione” alla loro sessualità, invero florida o lì lì per “sorgerlo”. I professori “fucilano” le coscienze più svelte, “antipatizzandole” d’inchiostro “simpatico” che cancella, di “bianchetti”, le loro ribellioni “pericolose”. Gli psicologi s’arricchiscono “indementendo” chi, invece, per troppa bontà, non si ribella proprio mai, o quando “schiuma”, gli “starnutiscon” in bocca, sì, di “pilloline”, per una tumefazione delle pa(pi)lle gustative dei neuroni potenti, “dritti” da intirizzir di schiaffi con la torta in faccia ad “addolcir” il ghignettino “furbetto”, forse troppo scaltro, o già scattato in piedi a “menarlo” in adorazione della propria sanissima maschia irruenza.

Ma, il western rimane lì, ci torneremo, fidatevi, outlaw di questo Mondo selvaggio e “imbastardito”, barbarico e, diciamocelo, un po’ barboso.
Le donne non te “la” offrono più come una volta, adesso pretendon che il “grilletto” sia stimolato, non solo dalla stella di latta(nte), ma anche della leccatina Magnum di cioccolato “fondente” coi baiocchi del “profiterole” che “pen” se ne approfitta di “crema” pasticciera su “forchettate” governative da “gustoso” potere da “maialin” porchettaro.
Il prosciuttin, della sua magrezza da modella, ben “cruda” ma saporitissima, stuzzica il “grissino”, con un po’ di “pere” e melone…

In tutto questo “lodabile” pot-pourri, la carne “stufata” vien “potata” dalle patate, recisa di “fiore secco”.

E allora, ricordatevi del grande Kevin Costner, bifolchi del saloon.
Kevin è Uomo che, “di punto in bianco”, fa saltare “il” casino, pigliando lo sceriffo e i suoi ceffi, e riempiendoli di “ceffoni” a base di bang bang (im)mortali, sulla “lapidaria” frase: “Ehi, tu porco, levale le mani di dosso!“.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)
  2.  The Untouchables – Gli intoccabili (1987)
    Ridi, pagliaccio!
  3.  Balla coi lupi (1990)
    Rinascere e amare, nella purezza delle grandi praterie “antiche”.
  4.  Terra di confine – Open Range (2003)
    Ora, cazzo, quei banditi avran pan(na) per i loro denti!
  5.  Ritorno al futuro. Parte III (1990)

 

 

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