Iniziamo così, poi arriviamo a Clint.
Ribadisco e non me ne frega un cazzo.
Bohemian Rhapsody è un bel film, anzi, un gran bel film.
Io ne sottolineato i difetti. Che sono tanti, madornali. Ma mi spiace contestare la bischerata che ha detto Frusciante. Definendo questa pellicola una ciofeca imbarazzante con un Malek ridicolo e macchiettistico.
No, il caro Fede ha pigliato, come si suol dire, una cantonata tremenda. La sceneggiatura è, sì, in effetti, molto puerile. Sino a un certo punto, però. Ci sono molte scene sentite, vere e commoventi. E Malek mi ha indotto a trattenere le lacrime più di una volta durante la visione. È stato magnifico. Vulnerabile, fragilissimo quanto invincibile.
Grandioso, larger than life come quando, prima di morire, prende finalmente consapevolezza che la sua linea del tempo è giunta pressoché alla fine. E allora regala a tutti un concerto straordinario.
Perché Freddie Mercury non è nato per avere una vita “normale”. È nato per soffrire come un animale, per combattere ora dopo ora la sua diversità, lottando perennemente contro un mondo ostinato e testardo che avrebbe preferito che lui si adattasse ai dettami burocratici e impiegatizi di una vita “tranquilla”. Senza troppe inquietudini, soprattutto dell’anima/o.
E allora tutta la gente come lui, disperata e sconfitta si riunisce a Wembley e si esalta dinanzi a quest’uomo che, contro tutto e tutti, soprattutto sempre in conflitto con sé stesso, con le proprie contraddizioni, prende su il microfono, nonostante la sua malattia sia già in stato piuttosto avanzato, e ricorda a tutti cos’è la vita.
La storia è stata scritta, peraltro, da Peter Morgan. Che non è il primo scemo del villaggio.
E sul mio profilo Instagram ho inserito due scene tratte da Bohemian Rhapsody che mi hanno molto emozionato. Quella in cui Freddie, dopo la festona, capisce che è un uomo terribilmente solo. E non saranno i soldi e il sesso a consolarlo. E allora bacia Jim Hutton in bocca. Jim Hutton ricambia passionalmente ma poi gli dice che sarà davvero il suo amante soltanto quando Freddie Mercury, cioè LUI, avrà capito chi è e soprattutto quando Freddie amerà sé stesso. E non farà le cose per compiacere soltanto gli altri di cui forse di lui non importa molto. Trovando la forza delle sue scelte.
Alla gente interessa la maschera, il divo, la star. Ma non sa…
E la scena quando Freddie si trova nel suo appartamento di lusso, già perduto nella sua solitudine immensa. Come un Nosferatu di Herzog. E Roger Taylor/Ben Hardy va a fargli visita.
E rifiuta di cenare con lui perché ora il nostro Roger non ha più tempo da “perdere”. Ha famiglia e figli.
E Freddie accetta suo malgrado ancora di stare solo e non potersi confidare.
Peter Morgan…
Ha sceneggiato Hereafter di Clint Eastwood. E ho detto tutto.
Si è scatenata una simpatica discussione su Eastwood in zona Facebook.
Al che, all’improvviso qualcuno, sprezzante, entrando a gamba tesa, ha azzardato di offese pesanti contro il sottoscritto, del tutto gratuite e decisamente forti.
Io ho detto che chi non ama Blood Work necessita di operazioni al cuore. E lui, con villania inusitata, mi ha risposto:
– E tu necessiti di operazioni al cervello.
Proseguendo nel vile affronto in maniera esponenzialmente invereconda. A far da paciere a tale duello infernale, ecco che sono intervenuti perfino dei luminari.
Io ho lasciato stare, preferendo glissare, in quanto la mia signorilità eastwoodiana non può scomporsi per quattro pomodori in faccia. Non siamo a Carnevale ma, da dietro un pc, diamo lo screanzato diritto a chiunque d’insultare in modo inusitato senza che costui voglia aprirsi a un confronto educato ma soprattutto reale.
Di mio, sì, sono surreale ma soprattutto irreale. Quello a cui state assistendo della mia persona ha del sovrannaturale, emana una forza sovrumana. Io sono Dio. Se non lo sapete è perché il diavolo vi ha fottuto. Ah ah.
Sì, come è stato possibile un equivoco “giudiziario” di queste proporzioni immani?
Ma è successo, purtroppo.
Io perdono ma non mi fate arrabbiare. Perché Clint sa, anche John Turturro aveva capito tutto dapprincipio.
Altro che le filosofie esistenziali di Rust. The Night Of è un capolavoro abissale. Se amate le “figate” di Pizzolatto, sì, son buone, anzi ottime. Anche la carne alla pizzaiola lo è. Soprattutto se servita da Nic, ma non Pizzolatto, Cage di Stregata dalla luna.
Ma son anche talvolta panzane sofisticate per pessimismi da quattro soldi, utili a teenager mal cresciuti con lo spirito nichilista fra vigliacche mura.
Mi stupisco davvero nel pensare a come possiate considerare The Night Of inferiore a True Detective prima stagione.
True Detective è un eccelso trip ma qui parliamo di una serie nerissima, spettrale, che ha scardinato il sistema giuridico americano dalle fondamenta, ha sbudellato lo schifo di una società marcia.
Che assolve e fa mea culpa oramai quando è davvero, davvero troppo tardi. Benvenuti, come diceva Plissken, nel mondo della razza umana.
La realtà è orrida, mostruosa, terrificante. Ed è sempre buio anche quando ci sono bagliori di splendida luce.
Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera.
Lo scrisse Quasimodo e io non sono quello gobbo di Notre-Dame. Non lo sono mai stato. Che questo vi piaccia o meno, questa è la verità. Guardiamoci in faccia. Ed è magnificamente grandiosa nella sua tremenda, sconcertante infinità.
Il genio! Quanto avrei realmente amato essere colui che volevate immaginare che fossi. Quanto vorrei essere amaro, invece so stare agli scherzi.
Perché giammai avrei sofferto nel vivere in un mondo d’idioti, di superficiali, di frasi fratte e luoghi comuni. Fortunatamente, (vi) sono nato. E, nel quotidiano patire, ripartire e anche talvolta poltrire, rinasco sempre con più stile.
Dunque figlioli, se pensate che la vita sia solo rose e fiori, siete davvero fuori.
Se pensate che io non crollo mai, è proprio così. Perché sono più forte?
No, perché la realtà l’ho sempre conosciuta. Ed è bellissima oggi, domani tristissima, oggi una gioia e domani un dolore atroce.
Se rifiutate ciò, c’è sempre la casa di Big Jim. La trovate dal cartolaio sotto casa mia. Assieme ai pastelli, ai righelli, ai goniometri, alla carta bianca, immacolata contro la penna stilografica noir.
Amo immensamente le sfumature.
Grigio notte, plumbee, malinconiche, tetramente stupende.
E vago di notte con le scarpe tutte rotte, poi domani è un altro giorno e vi saranno nuove rotture di coglioni. E non ci piove. Invece piove. Soprattutto sulle vostre teste. Io ho oramai ombrelli collaudati, a prova di merde di piccioni e piccini.
Scusate, ora una barretta di cioccolato mi aspetta. La gusterò. Sì, sì, sì.
Sì, Debito di sangue è un capolavoro. Ma non perché si tratta di una storia di vendetta cazzuta. Ove Clint scopre che colui che considerava il suo miglior amico è invece colui che lo ammira così tanto da volerlo, paradossalmente, rovinare.
No, il film non è questo. Il film è un film sul TEMPO. Sul cuore che batte, sulla linea d’ombra.
di Stefano Falotico