di Stefano Falotico
Erich Fromm, da me, riceverà solo botte in quel posteriore!
Sezione manicomio cimiteriale del mio nichilismo frenante solo dinanzi a una zoccola pensante
Sì, son misogino, dichiaratamente sfacciato, credo anche misantropo su cazzone d’ordinanza e, modestamente, mi permetto il luss(urios)o di sfog(gi)are una carrozzeria d’erezione pronta all’uso per ficcartelo nel culo. No, non vado per il sottile, non ho stile, vesto “impeccabilmente” i miei peccati e guai a scassarmelo. Prenditi i trattati sulla tenerezza di Erich Fromm e pulisciteli con carta Tenderly, io mi spazzo(lo) col dentifricio ché, piuttosto di effeminarmi con ‘sta roba per checche, checché ne di(re)te, m’annuso il dito e preferisco un po’ di sana merda a queste leccate per vecchiette da ospizio. Sì, da questo punto di vista, son “frocio”. Ma meglio un ano sbattendotelo che anni passati a prenderlo. Anni fa, infatti, ‘sti falliti m’impiegarono come obiettore di coscienza per far il ginecologo apprendista d’una vacca zietta tutta cagona che, fra l’altro, pisciava fuori dal vaso, urlandomi a viso aperto, e sue cosce divaricate, che non le sapevo asciugare la vagina con dell’emolliente ad ammorbidir le sue incontinenze. E mi diede anche dell’impotente perché, secondo lei, l’infermiere sapeva invece come (s)fotterla, ripulendola a dovere dopo avergliela te(r)sa di brodaglia in men(sa) che non si dica. Al che, sfogliai appunto questo semi-gaio di nome Fromm, che nella vita faceva un cazzo e sapeva sol filosofeggiare da pensatore della minchia, anzi diciamocelo, cazzeggiava e vinse anche premi molto ambiti in a(m)bito letterario che a me par solo, dietro la scrivania, par(l)ato e talare. Solo parlare, bla, bla, bla e il mio sputo alla sua vita da confettino a vederla a pois. Ti sputo! Gran puttanazzone! Puah!
Sarà, a me son sempre piaciuti i duri, non questi morbidoni per frustrate depresse che, stese a letto, ma non infornate dentro come si deve, leggono ‘ste consolazioni patetiche da chiesastiche solo perché nessuno le scopa come Dio comanda. Ogni giorno, guardan l’oroscopo speranzose di ricevere la classica botta. Ma state tranquille, io non vi scoperò, E adesso, bagascia, a terra scop(pi)a.
Dammi del povero Cristo sfigato e vedrai il Diavolo a infinocchiarti!
Sono questo, mi dispiace se (non) ti piacerò, non sono tenero e m’innamoro solo quando mi sparo le seghe. Da sequoia che, da secoli, fa una vita arida, b(r)ulla, secolarmente circolare a girarci attorno e spezzarti in due, alzandomi poi il bavero, care papere.
Mi (s)piego? Non mi spezzo? Sì, ma tu ti spezzi e me ne frego del tuo disprezzo.
Ecco la “tenerezza” di questo fascio… di “rose” finte. Leggiamo la merdaccia, fatevi del male!
Per sua natura la tenerezza è qualcosa di fondamentalmente diverso dalla sessualità, dalla fame o dalla sete. Da un punto di vista psicologico, pulsioni come la sessualità, la fame e la sete sono caratterizzate da una dinamica autopropulsiva: crescono d’intensità fino a quando non raggiungono un punto culminante in cui vengono soddisfatte e, per il momento, non si desidera nient’altro. La tenerezza appartiene ad un altro tipo di pulsione. Non è autopropulsiva, non ha scopo, non ha un punto culminante e non termina bruscamente. Trova il suo soddisfacimento nell’atto in sé, nella gioia d essere cordiali e affettuosi, di prestare attenzione, rispettare un’altra persona e renderla felice. Considero la tenerezza una delle esperienze più gioiose e positive. La maggior parte degli uomini sono anche capaci di tenerezza e non la associano all’altruismo o al sacrificio di sé. Solo per chi è incapace di tenerezza questa costituisce un sacrificio. Ho l’impressione che nella nostra cultura ci sia poco spazio per la tenerezza. Ma quante volte in un film troviamo manifestazioni di vera tenerezza tra i sessi o tra adulti e bambini o tra umani? Infatti non si intende affermare che siamo incapaci di tenerezza, ma solo che la nostra cultura scoraggia la tenerezza, e ciò dipende in parte anche dal fatto che è orientata a uno scopo: tutto ha un suo scopo, tutto ha una sua precisa meta che deve essere raggiunta. Il nostro primo impulso è sempre quello di raggiungere qualcosa. Siamo poco interessati al processo vitale in sé che si esaurisce nel vivere, nel mangiare o nel bere o nel dormire o pensare o provare un sentimento o vedere qualcosa. Se la vita non persegue alcun fine, allora ci sentiamo insicuri, ci chiediamo a che cosa serva. Anche la tenerezza non ha alcun fine. Non ha il fine fisiologico di dare sollievo o una soddisfazione repentina come avviene nella sessualità. La tenerezza non ha altro fine se non di godere di un sentimento di calore, piacere, sollecitudine nei confronti di un’altra persona. È questo il motivo per cui temiamo la tenerezza. Gli esseri umani – specialmente gli uomini – provano disagio quando manifestano apertamente tenerezza. E, inoltre, il tentativo di negare le differenze tra i sessi e di omologare uomini e donne ha impedito alle donne di mostrare tutta la tenerezza di cui sono capaci e che costituisce un tratto specificamente femminile.
Sapete che gli dico? Ma vai a dar via il culo!
Appunto!