Posts Tagged ‘Taxi Driver’

Bringing Out the Dead, il migliore Scorsese degli ultimi vent’anni, finalmente ce l’ho in dvd, che società era?


24 Apr
 
Film misterioso, fallimentare dal punto di vista commerciale, film che alla sua uscita videro in tre gatti, Al di là della vita, titolo enormemente sbagliato appioppatogli in maniera new age soltanto perché, appunto, viviamo in Italia e inserire la parola morto in un titolo, in questo popolo di arretrate persone scaramantiche, l’avrebbe sin dapprincipio precluso dai buoni incassi. Che comunque non sono arrivati in nessuna parte del mondo. Essendo stato, Al di là della vita, un flop colossale.Per fortuna che, a parte i soldi spesi per un paio di pirotecnici effetti speciali della Industrial Light & Magic, il budget fu risicato. No, non è un colossal o kolossal che dir si voglia.

Una catastrofe al box office. Un film pressoché mai citato da nessuno quando si parla di Scorsese. Tant’è vero che non ne esiste a tutt’oggi l’edizione in home video sul mercato italiano. Prima c’era ma, visto che non vendeva neppure il dvd, anzi, visto che in pochissimi l’hanno visto e vogliono vederlo, non esistono ora più copie in circolazione audio-visive di questa pellicola. Scandalo da The Last Temptation of Christ!

L’altro giorno, mi sono comprato l’edizione inglese di questo straordinario film. Che possiede la traccia audio nella nostra lingua. Ma è pur sempre un dvd. Il Blu-ray non c’è praticamente da nessuna parte.

Esiste invece ancora chi, sulle insegne stradali, scrive dio c’è?

No, questa scritta, un tempo messa anche sulle panchine dei parchi, non so se a Central Park, ah ah, serviva per identificare i luoghi di spaccio. Ove i pusher, segretamente, rifornivano i loro clienti.

Non lo sapevate? Ora, lo sapete. Vi ho svelato l’arcano ermetico.

Mi ricordo, or che le mie memorie, ottenebrate da offuscamenti farmacologi inutili, sguinzagliate dopo le coatte compressioni tremende, son ritornate nella superficie neuronale dei miei più vitali spasmi, sì, mi ricordo di quando lo vidi al cinema, qui a Bologna, città probabilmente più tetra e mortifera della New York descritta da Martin Scorsese, appunto, in questo suo ultimo grande film incendiario ed emozionatissimo. Al primo spettacolo delle tre pomeridiane. Non vi era anima viva in sala. Tranne me e due lerci che si sbaciucchiavano a manetta. Più dell’incipit frenetico a luci purpuree di questo capolavoro purissimo.

Immerso in una livida New York spaventosa. Prima della rifondazione fascista effettuata dal braccio ferreo del terribile Rudolph Giuliani. Che ripulì le strade dai barboni e dalla feccia. Rendendo Hell’s Kitchen una bomboniera. Sì, a livello superficiale. Perché la metropolitana fauna alla Taxi Driver, di cui questo film è una sorta di continuazione ideale, infatti Paul Schrader n’è ancora sceneggiatore, esiste ed esisterà sempre, sebbene sia stata addolcita e sepolta sotto un cumulo di apparenti levigatezze forse ancor più funeree nella loro ipocrita patina dolciastra.

Da allora, Scorsese ha girato solo film mediocri. Io ho le mie riserve anche su Silence.

Sì, non sto bestemmiando. Io sono un patito di Scorsese. Nel senso di amante sfegatato del suo Cinema cupo, veritiero, privo di quelle melense retoriche che invece, oggigiorno, par che tanto allettino quest’imbellettamento di massa e un mondo nel quale io non più tanto mi riconosco.

In Italia poi, lasciamo stare. Roba da Cinema pietistico. Vedo gente di cinquant’anni regredita alla prima adolescenza che si scatta selfie più patetici di Mick Jagger. E vedo settantenni che, essendo arrivati alla pensione, si crocifiggono, ascoltando J-Ax in un tripudio anacronistico teribile con una sola r romanesca, come direbbe Carlo Verdone. Ah ah.

Anche se in quel periodo venivo considerato un patibolare sfigato, il mio Falotico era proprio sintomatico.

Che società era quella di allora? Da poco tempo erano approdati i primi pc degni di nota. E, per vedere integralmente in anteprima, appunto su Internet, il primo trailer di questo film targato Paramount Pictures, dovevi aspettare circa mezz’ora. Affinché il caricamento su QuickTime fosse arrivato alla fine.

Non vi era l’ADSL, la connessione era lentissima. E non era come oggi. Oggi sappiamo tutto di un film ancor prima che inizino a girarlo. All’epoca, nonostante il film fosse totalmente completato, al massimo potevi vedere qualche immagine di scena appiccicata in riviste internazionali come Studio o Premiere magazine.

Neppure Ciak infilava più di due/tre images al suo interno, essendo questo un film ostico poco adatto a una rivista patinata.

Io non sono mai stato di questo mondo, forse come Edgar Allan Poe. Poeta del mesmerismo, maestro estroso e nerissimo della trascendenza più metafisica. Ancora oggi, nonostante le mille esperienze accumulate nella mia strana e lunatica vita stramba, non mi si può definire una persona gioviale.

Sono molto spiritoso, oserei dire spiritato. Fantasmatico come la ragazza morta e semi-resuscitata nel film.

Appaio, scompaio, danzo al plenilunio e considero Lullaby dei The Cure, diciamocelo, un’emerita stronzata.

Vivo senz’infanzia, senz’adolescenza, senz’infamia e senza lode. No, che me ne faccio delle lodi se son solo effimere glorie? Meglio Gloria, donna gloriosa e anche molto golosa. Ah, ha sempre fame…

Sono giovanissimo adesso e fra tre minuti vecchissimo. In un interminabile continuum spazio-tempo pieno d’intemperie esistenziali, di precipitazioni umorali più grandinanti e forse gravi di un lurido temporale, perennemente angosciato da una luce del giorno crepuscolare e opalescente. Poi son di nuovo vividamente fluorescente come la fotografia di Robert Richardson. Con traslucidi battiti di mie ciglia pittate a mo’ di pagliaccio sciocco, incastonate nel mio cuore asmatico, ficcate nei miei polmoni che profumano aromatici di sigarette lisce come l’olio. Ah ah.

Arrabbiato come la musica dei Clash, melanconico come lo sguardo in ambulanza, giocoso, innamorato e simbiotico fra Nicolas Cage e Patricia Arquette.

Io non ho mai vissuto la mia epoca, essendomi già allontanato dai miei coetanei chiassosi e volgari.
Eppur vissi, vidi, vigilai, confabulai e fui io stesso una vivente favola.

Ho vissuto di attimi, di frenetici frangenti, di amori quasi mai sessualmente tangenti, di viaggi in tangenziale, di virtuose, magmatiche, liquide incandescenze, anche caratteriali, ah ah. Crateriche come la peggiore crisi isterica di Marc Anthony. Qui fa il cavallo imbizzarrito, con Jennifer Lopez è stato uno stallone e basta.

Ho incontrato nella mia vita uomini bifolchi davvero pazzi come Tom Sizemore. Ché, mentre ero assorto nelle mie riflessioni profonde, dimenandosi appunto da matti, mi battevano le mani per spronarmi a vivere da idiota. Incitandomi al porcile generale.

Ma non come nel capolavoro omonimo di Dostoevskij.

Persone ossessionate dal sesso, poco cristologiche, casinari da Chemical Brothers, impasticcati nell’anima da troppo lerciume quotidiano, ah, pacchiani imitatori del peggiore grunge.

Quindi penserete: ah, allora Eddie Vedder, con la sua musica malinconicamente rock, deve piacerti un casino.

No, mi fa schifo.

Io non esisto. Hanno provato a curarmi, a rendermi normale. Per me la parola normalità fa rima con baccano, superficialità, con scemenza e bieca carnalità, con puttanesca svendita della mia anima notturna.

Io sono immortale. Sì. Quando pensi che sia morto, ecco che esco dai sepolcri delle mie depressioni e ti dico ciao, sorseggiando lo zucchero delle mie labbra amarognole ma sincere.

E non c’è stato verso. Inutile che mi facciate i versi. Io versai sangue e mi feci il culo per scrivere da dio. Voi che fate? Ma che cinguettate? Cosa ciangottate? Che farneticate? Ma che cazzeggiate?

Sono un paramedico delle mie ossessioni, delle mie stanche ossa, del mio teschio ambulante come una rossa ambulanza sfrecciante nel fascino intermittente del suo (neo)n alla Bob De Niro.

Se tu pensi che io sia un Don Chisciotte e che dunque necessiti quanto prima di un pronto soccorso, devi prima aver letto questo.

Se pensi che mi piaccia Jennifer Connelly, adesso non più, è anoressica. Ma ricordo che impazzii quasi quando vidi il suo seno della madonna per la prima volta. Quello, sì, che fu un istante da manicomio. Le mie orbite oculari subirono disconnessioni più cataclismatiche della neuronale demenza senile mista a un semi-infarto sesquipedale.

Pur di averla come Eva, ignuda e impudica, mi sarei genuflesso a ogni afflittiva pena che dio mi avrebbe inflitto con severità impietosa. Mi avrebbe sbattuto all’inferno. E allora? Ma almeno avrei goduto del paradiso più celestiale.

Ero un fuoco. Dovevate vedermi. Il mio corpo, incendiato come questo capolavoro esplosivo, subì numerose detonazioni. Credo che, se Jennifer in quel momento, fosse stata vicino a me in quel fatale putiferio mio ormonale, avrebbe avuto solo due possibilità. O chiamare i pompieri oppure sentire davvero la furente passione vibrante di un uomo totalmente datosi e denudatosi senza remissione di peccati a colei che simboleggiava la mela di Lucifero. Altro che quel baccalà freddissimo che s’è pigliato, Paul Bettany.

Sono un personaggio eastwoodiano. Adoro Blood Work, tratto dalla novella di Michael Connelly.

Se credi che io sia schizofrenico, sì, stammi bene. Se credi questo, te lo dico io, sei insalvabile. Ti do l’estrema l’unzione. Inutile cercare di estrarti dalle tenebre e dalle lamiere della tua anima arrugginita.

Mentre in questi giorni, Nicolas Cage è impazzito del tutto, io posso oramai affermare che sono un miracolato.

È oramai visibile, conclamato. Allucinante come questo film lisergico.

Sono un Nic Cage. E anche Van Damme di Lionheart!

– Ho scommesso quello che avevo su Atilla!

– Hai fatto male…

 

Un Man on Fire.

    dio pronto soccorso  

di Stefano Falotico


Visualizza questo post su Instagram

After Hours #martinscorsese #rosannaarquette #fuoriorario #griffindunne

Un post condiviso da Stefano Falotico (@faloticostefano) in data:

Joker, reazioni al trailer: tutte le banalità e le idiozie scriteriate che ho sentito


05 Apr

jokerstefano

Innanzitutto, chiariamoci una volta per tutte definitivamente. Non si dice Giacchin’ bensì IOACHIN. Di mio indosso un giacchino. Non voglio apparire pedante ma sono più puntiglioso di Giovanni Storti in Tre uomini e una gamba.

Ah, che storture, che torture. Che rotture, che brutture.

Sì, io della precisione e della meticolosità son maestro leziosissimo. E ci tengo a esserlo. Mi mantiene disciplinato. Addomesticato nelle mie sane manie di composta formalità impeccabile, di forma psicofisica imbattibile.

Mi preserva dal caos, dallo sconquasso, dall’entropia di un mondo sull’orlo perennemente di un collasso nervoso. Di un traviamento oscenamente libidinoso e ferocemente morboso.

Impazza l’arroganza, spuntano come funghi nuovi pazzi che pazzi non sono, i centri di salute mentale son presi d’assalto da una mandria di “malati” che, in fila indiana, ricevono farmaci da psichiatri che, anziché curare le loro anime, li comprimono nei loro slanci vitali più veri, sopprimendo i loro cuori, anestetizzando, rattrappendo e anchilosando i loro sentiti respiri, paralizzandoli in lobotomie non solo cerebrali bensì fisiche a furia di somministrare coattamente ai pazienti droghe contenitive, neurolettici che acquietano soltanto a livello comportamentale le loro presunte aggressività maligne. Sintomi benigni, diagnosi di schizofrenia un tanto al chilo come fossero noccioline, tranquillanti e analgesici rifilati con superficialità immonda. Malinconia bellissima scambiata per pericolosa depressione, disturbi bipolari faciloni e poi trattamenti in prognosi non tanto riservata.

Perché, se entri in cura, lo sanno perfino in capo al mondo. La gente parla, ti schiva, ti emargina come se fossi un lebbroso, un contagioso, pernicioso freak untore.

Circuizioni, occipitali evirazioni dei sentimenti in castrazioni non solo sessuali.

Gente savia ingannata da medici con le salviette che medici non sono, pseudo-curatori di un pacato, falso quieto vivere ipocrita.

Tutori ed educatori che invero son bifolchi maleducati che si prendono licenze assurde (oltre a essersi pigliati lauree comprate e ridicole) la briga arbitraria di legiferare sulle scelte, persino lavorative, addirittura sentimentali dei pazienti da erudire e livellare a una visione formato cloro, da ricattare in una visione insipida e insapore di ogni vitale calore. Affinché nessuno canti o urli fuori dal coro. E chiunque al conformismo più becero, menzognero e politicamente corretto si affili in adattamenti illusori.

Quanti scandali abbiamo sentito, quanti orrori e mostruosità son state taciute dall’omertà malavitosa di queste gerarchiche, nazistiche istituzioni. Che vorrebbero professarsi portatrici di valori, di benessere e vita felice, invece son soltanto una burocratica ramificazione del più umano squallore, del più disarmante grigiore, dell’asettico fetore che appiattisce ogni candore. Ogni magnifico pudore, ogni libertà troppo esuberante accusata ingiustamente d’esser demente, disturbata, disturbante.

Gente diluita, liquidata, obnubilata, obliata nell’ablatore d’ogni vulcanica esplosione gioiosa.

Gente nervosa che diventa nevosa perché troppo calorosa.

Sì, son cattivo e intransigente contro questo sistema viscido e bugiardo di abbindolatori, di buonismi consolatori, di queste taumaturgie schematiche all’acqua di rose, di questi abbreviatori della complessa, perciò inquieta varietà stupenda d’ogni vita che non si attiene ai binari imposti della sociale ordinazione.

Ah, evviva la follia dei poeti, degli esistenzialisti, degli ascetici, la contemplativa acquiescenza dei mistici e la forza immaginifica dei visionari. Che splendore!

Ne ho sentite tante su questo trailer.

Partiamo da Lorenzo Signore, youtuber che stimo ma che, in tal caso, s’è lasciato andare alle solite frasi fatte.

Al che il Joker diventa un ragazzo buono e, a detta di lui, perfino tardo e tonto che, dopo aver subito mille beffe, all’ennesimo scherzaccio di troppo, perde la bussola e la testa.

No, la questione è molto delicata, non generalizziamo con dell’esegesi fumettistiche così semplicistiche.

Ora, Todd Phillips, dopo solo due minuti e mezzo di filmato, è diventato un grande regista.

Potrebbe anche esserlo e questo Joker, perché no, non vedo l’ora che sia davvero un capolavoro.

Sarà una notte da leoni quella dell’agnellino Phoenix.

Ma, ricollegandomi al discorso sui giudizi troppo affrettati, andiamoci calmi, non esagitiamoci, non lanciamoci in supposizioni e diagnostiche verità ancora non appurate.

Acclareremo a visione avvenuta.

Questo è tutto.

Come diceva Mr. Wolf: non è ancora il momento di farci i pompini a vicenda.

Sapete cosa mi sembrate?

A proposito di Pulp Fiction?

Dei cazzoni, molto più di un paio di cazzoni.

Aspettiamo Ottobre prima di festeggiare da vincitori di gran folclore.

Perché, altrimenti, facciamo la figura dei pagliacci.

O no?

 

 

di Stefano Falotico

Leonardo DiCaprio, lo dico a malincuore, non sarà mai Johnny Boy/De Niro, mi spiace, non è un grande, evviva il Joker, un gigante


02 Apr

denirofaloticojoker-primo-poster-joaquin-phoenix-poster

Sì, non c’è partita fra questo bambagione di Leonardo e Gioacchino.

Sì, cocchetti e ochette, qui parliamo di un Phoenix col labbro leporino. Mica di un DiCaprio col sorriso da bambino.

Dai, suvvia. Leonardo. Vi siete giocati il cervello. Pure Tarantino ora s’è fissato con questo piccolino.

Su Facebook ho scritto che, rispetto a lui, è più bravo Brad Pitt.

Mi pare ovvio che sia così. Guardate Brad ne L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e poi ne riparliamo.

Quindi, sfatiamo subito l’invidia. Brad, già lo dissi, è bello e pure bravo. Anche simpatico. Non me ne frega niente che sia stato con cinquemila donne. E che piaccia a tutte tranne a quella. Invero, le piace eccome ma è ipocrita e dice che ama un attore tedesco di origini curde. Ché fa più intellettuale. La smettesse subito. Ammetta le sue voglie e non se la tiri.

Sì, una donna che vuole spacciarsi per intellettuale, cita sempre quel danese, Mads Mikkelsen. Suvvia, è la brutta copia di Christopher Walken con la mascella di Schwarzenegger.

Brad merita che gli stringa la mano, sì, sì, sì. A Leo invece do un po’ di panettone coi canditi. Ah ah.

Per questa mia uscita, su Facebook si è scatenata la faida.

E io, con sigaretta in bocca, mi son fumato tutte le stronzate. Ridacchiando a mo’ di Bob De Niro.

Io so la verità, filistei. Ah ah.

Fra le maggiori cazzate, ho letto che Brad è bello e Leo un grande attore. Ma de che?

Sapete perché The DepartedShutter IslandThe Wolf of Wall Street e aviator vari non sono dei capolavori?

Perché Leo li ha rovinati. In The Wolf… come dicono a Roma, non se po’ vede’. Un mezzo pappagallo che si agita, declama senza un briciolo di savoirfaire.

Sento dire che in The Aviator era da Oscar. Ma de che?

Ha trasformato Howard Hughes in uno storpio e peraltro non è Kevin Spacey de I soliti sospetti. Qui, sì, che c’era la camminata claudicante.

Non so quanti soldi abbia sborsato a Scorsese per far sì che lo utilizzasse in cinquemila film. Invero solo 5. Presto 6 con Killers of the Flower Moon. Per fortuna, ci sarà pure Bob.

Secondo voi, l’ho sparata grossa? Perché?

Ora, ditemi, qualcuno di voi ha in casa il poster, che ne so, del suo Jack di Titanic? Non parlo delle donne nostalgiche che rimembrano quel loro piccolo grande amore da ex adolescenti che sbavavano per Leo.

Parlo a voi, uomini. Ammesso che lo siate. O ancora armeggiate di sogni che vorreste, oh sì, veleggiassero a prua e invece non sono a poppa.

Eh no. Un oceano di frustrazioni nuoto, no, noto io nelle vostre anime immalinconite che, ogni giorno, disperatamente si danno slancio retorico per non confessare l’atroce verità dello specchio.

Ecco, una volta uno psichiatra, uno di questi capoccioni boriosi, sfacciatamente mi disse, scostumato e arrogantissimo, che io non avevo coscienza della mia immagine allo specchio.

E io, come Silvio Orlando, gli risposi: – Ha parlato Brad Pitt!

Ché non sarò mai il Presidente della Repubblica. E chi vorrebbe esserlo? Un uomo serissimo, tutto imbalsamato, lentissimo perché deve scandire ogni sillaba. Sì, poiché si rivolge a ogni classe sociale, deve enfatizzare ogni sua intonazione come se fosse sul pulpito a predicare messa. Nella pia osservanza e nel totale rispetto anche del più ignorante che possa comprendere appieno ogni sua parola ampollosa.

Sì, i discorsi del Presidente sono noiosissimi. Prevedibili. Neanche il Papa è così barboso. Almeno il Papa predica per il bene utopistico del mondo e perfino ci crede.

Il Presidente, invece, non è investito di nessuna missione religiosa ed evangelizzatrice. È spesso un imbonitore, un paciere dei disagi della Nazione e seppellisce molte verità sotto una coltre di frasi fatte a buon mercato.

No, non fa per me. Io sono un tipo ruspante che stappa lo spumante e dunque, spumeggiante, dice le cose come stanno. E non mente soprattutto mai dinanzi a sé stesso. Riconoscendo i propri limiti per apportarvi migliorie. Per studiare la parte e indovinare nuove vie. Oh sì, lagnose zie!

Non s’imbroda, se ne frega dei falsi elogi se son soltanto carezze sciocche che ti blandiscono per tenerti buono e ipocrita. Dico pane al pane, vino al vino, non credo nei miracoli divini, bensì nella mia mente sopraffina. Se non fosse stato per la mia mente, oggi sarei davvero internato come demente. Totalmente incatenato come molti, ahinoi, alla commiserazione e all’isteria, alla nevrosi, alle vostre psicosi, alle vostre gelosie, alle vostre idiozie. Grazie invece al mio acume, al mio ingegno, alla mia creatività dirompente, ho frastornato i poveretti che pensavano tante spiacevoli cose su di me. Appunto, smentendoli con classe sconfinata.

Io do pepe e sale.

Sì, Leo non sarà mai De Niro. Perfino in The Departed, in molte scene con Vera Farmiga, trovo la sua recitazione forzata, caricata. Innaturale. E troppe volte ammicca beffardo come il Bob in maniera disturbante e ridondante. Di Bob ce n’è uno solo. Lui è Johnny Boy, il più grande “matto” del mondo. Perciò the greatest, talento innato. Genio puro.

A volte la gente, mi chiede: ma se sei così bravo, perché non lo dimostri? Facci vedere!

Sono stufo. Non sono dio, non ho bisogno di dimostrarvelo. Dio infatti bisogna venerarlo a prescindere.

Come diceva quell’uomo miracoloso: chi ha orecchie per intendere, intenda, chi non mi crede è solo un povero cristo immisericordioso.

Stringetevi un segno di Pace e che la Madonna v’accumpagn’.

E questo Joker ha trovato forse davvero l’erede di Travis Bickle.

Uno che dice a tutti la verità, a costo che gl’imbrattino il viso. Gli urlano che deve andare a lavorare e lui se ne frega. Lo vogliono ricoverare con accuse infamanti, prescrivendogli cure psichiatriche ma lui non sa che farsene delle cure.

Per cosa? Per sposarsi una, festeggiare San Valentino, guardare partite di calcio e timbrare il cartellino? E poi tradirla con un’altra civettuola raccattata chissà dove? Che se ne fa degli amori da canzoni di Giorgia. O Laura Pausini? Non è un Antonacci, è un marcantonio diavolaccio.

Oppure fingere di essere felice cosicché il prossimo possa ridere da beota, pensando che il mondo è bello ed evviva Salute e benessere? No, non ci siamo capiti. Questo è uno spettacolo mai visto!

Ed è forse la storia della mia vita. Incarnata dal grande Phoenix.

Un uomo sincero. Siamo stanchi dei buonismi, invero siamo stanchi di questo mondo.

Doveva finalmente nascere uno che vi ha mandato ove volò il nido del cuculo.

Così è, la seduta è tolta.

Il judge ha deciso: Leonardo non vale un Da Vinci mentre Gioacchino è uomo da veni, vidi, vici. Di nessuno è il vice, in realtà niente vinse, è un vinto, uno che non è interessato ad Alice, neppure a Federica ma ha la pelle del viso colorata come una pernice.

E mangia anche i Pernigotti. Insomma, questo è proprio un duro giovanotto, mica un Jovanotti, miei uomini da Chinotto.

Stavolta abbiamo fatto davvero il botto. Giù, botte.

Sì, suonati cari, suonatemele.

Datemele sul popò, evviva il Genius-Pop.

di Stefano Falotico

Compagni di scuola, anche di suola, adesso parlo io, come il grande Al Pacino di Scent of a Woman


24 Mar

d8102f-20160119-witt scuolacompagni

Sì, la mia vita è stata proprio un Ritorno al futuro, un viavai di smemoratezze, di amnesie, d’ipocondrie, di melanconie, di lascivie, di ragazze con lo sci che facevano lo slalom gigante attorno ai miei ormoni nevosi, spesso nervosi, irrequieti e ghiacciati.

Di pattinatrici che ho amato, spesso da solo, alla follia. Ah, che onanismi deliziosi. Ad esempio, la prima volta che vidi Ronin col grande Robert De Niro (e poi sul Bob, ah ah, ci torneremo sopra, con tanto di giubbotto di pelle per resistere al freddo polare di questa mia depressione invernale, oh oh), persi le rotelle.

Sì, la testa andò a farsi fottere. Anche qualcos’altro. Scusate, l’avete presente? Katarina Witt che pattina sulle note di Andrea Bocelli. Bellissima, donna magnifica, dalle forme perfette. Scivolava dolcemente e basculante come una soave musica melodiosa all’interno dei miei turbamenti adolescenziali, raschiandomi il cuore. E invogliando il mio saliscendi ardente.

Che donna stupenda. Cominciai a prendere informazioni su Katarina. Sì, la sognavo di notte, non prendevo sonno, immaginandola caldissima, avvolta nella valanga del mio uomo non tanto roccioso, bensì friabilissimo. Sì, con lei avrei acceso un falò in uno chalet accogliente…

Togliendole delicatamente lo scialle nell’odorarle i feromoni delle sue profumatissime ascelle.

Katarina, all’epoca, era veramente la donna più sexy del mondo.

Sì, debbo ammettere che anche Carolina Kostner non scherzava. No, anche lei m’innervava e volevo innevarla…

Sì, avere con lei un amore selvaggio come quello di Kevin Costner in Balla coi lupi con la sua indiana.

Invece, sempre solo, afflitto da una grave malinconia incurabile, leccavo… solamente il gelato Indianino e tutti mi chiamavano Stefanino. Eppur la penna, come dicono qui a Bologna, a proposito di quella, mi attizzava.

La mia depressione fu enormemente fraintesa. E, anziché essere accettata, venne apertamente derisa. Io nella follia svenni e per niente venni!

E fui scambiato per Forrest Gump con tanto di piuma d’una vita persa fra le nuvole così come nella famosa scena d’apertura e di chiusura dell’omonimo film di Robert Zemeckis su musica triste ma speranzosa del mitico Alan Sorrenti. No, questo è quello di Figli delle stelle.

Volevo dire Alan Silvestri.

Sì, sognavo con Katarina e Carolina amori rupestri, oserei dire campestri da vivace capriolo, sì, ove potessi morbidamente scivolar fra le collinette delle loro maestose rotondità svettanti come le più alte montagne, per scalare ogni parete liscia dei loro corpi granitici e giocar anche di capriole. Arrampicandomi in ogni cavità, in ogni loro aiuola…

No, non feci mai il “bagnoschiuma” con Katarina, nemmeno con Carolina e mi consolavo, mica tanto, massaggiandomi le scapole da vero scapolo col pino silvestre.

Ah, e dire che ci fu un tempo in cui ero uno Stallone. Proprio come Sylvester. Poi, rimasi solo pure nella notte di San Silvestro.

Il mio primo amore, come detto, si chiamava Tiziana, ribattezzata da tutti Titti.

A proposito di gatte e, appunto, Gatto Silvestro, non riuscivo mai ad acchiapparla, con lei fu soltanto uno stupendo amore platonico. Fu solo un’inchiappettata… Diciamocela!

Uno struggimento, oserei dire, daltonico. La pensavo e penavo. Non capendo più niente. Sì, ne risentì la vista. Da quella delusione d’amore immane, non mi ripresi mai più. Fidatevi.

Tiziana era un angelo biondo. Come Philip K. Dick, sublimai la realtà amara, mangiando spaghetti alla marinara, sì, marinai tutto e mi diedi a una vita rustica e favolistica.

Cybill Shepherd di Taxi Driver e Penelope Ann Miller di Carlito’s Way mi parevano Tiziana. E idealizzai il mio amore fantascientifico, credendomi rispettivamente Robert De Niro e Al Pacino.

Ma da Tiziana ottenni solo compassionevoli bacini. Ah, però aveva un gran culo, che bacino!

Peraltro, pure a questi machi andò malissimo. Travis Bickle/De Niro, in un impeto del suo “orgasmizzarsi” schietto, senza peli sulla lingua, portò da “bestia” la bella a vedere un porno.

Lei, troppo sofisticata e piena di sovrastrutture, anziché venir… emozionata da un uomo tanto puro, lo mandò a fanculo.

Alla fine, dopo la missione salvifica di Travis, eh sì, lei gli avrebbe dato eccome la figa. Aspettava solo che lui si lanciasse, finalmente. Che s’infiammasse…

Ma Travis era proprio schizofrenico.

Lui le disse: – Lei non mi deve niente.

 

E si perse in un’altra notte in bianco fra le luci fluorescenti di Michael Chapman.

In Carlito… invece, quel Brigante di Charlie non aveva avuto problemi di quella topa, no, di quel tipo. Prima che lo sbattessero in carcere, si era eccome sbattuto quella gnoccona di Penelope come Ulisse prima che la sua vita andasse lontano dalla sua Troia. E, una volta uscito, le entrò ancora.

Alla fine, vorrebbero entrambi felicemente convolare e virare verso una meta idilliaca. Ma il destino bastardo aspettò Carlito e lui fu ammazzato per colpa di un traditore.

Così, anche lui perse un’altra volta il treno.

Voglio però, dopo tanti patimenti e tristizie, rassicurare voi tutti e augurarvi davvero, dal più profondo del cuore, una vita piena di gioie e calore.

Sì, miei ex compagni di scuola, vi ricordate l’omonimo film di Carlo Verdone?

In questo film sono tutti diventati tristi, patetici, passatisti. Tutti più brutti, soprattutto nell’anima. Alcuni, come Massimo Ghini, si son corrotti, altri la prendono alla Amici miei, combinando ancora porcate e zingarate, altri forse si son ridotti a guardare Zingaretti de Il commissario Montalbano, sognando la sua donna, attrice pessima ma altra femmina infinita, Luisa Ranieri. Che dio ti benedica. Che figa!

Evviva il pino silvestre. Ma anche Pino Daniele!

Luisa, così liscia, con cui esserle liso, una che non dovrebbe aprire bocca… È una donna dalle gambe mozzafiato ma, per piacere, non recitasse più. Aprisse quelle, appunto, paradiso ove ogni uomo vorrebbe salire… un’ascensione come l’ascensore che fa su e giù, poi pigia… alt, ah, Carol Alt, fatemi riprendere fiato.

Katarina, Carolina, Carol, donne per cui anche l’ex Wojtyła Karol avrebbe perso la fede…

Ecco, io ne vidi davvero delle brutte. Fui preda di manie suicide, crisi allucinanti, sofferenze psicologiche che non garantisco nemmeno al mio peggior nemico.

Anzi, a essere sincero, in quel periodo non ne vidi… proprio.

Ma, come sostiene la mia ex amica, Silvia, e non è quella di Leopardi, bensì onestamente un’altra donna bella da morire, ero il più bravo di tutti.

Sapete qual è la cosa più tragicomica di questa storia tanto strana che è stata la mia vita?

Sono ancora il più bravo. E sono persino, quando voglio, più in gamba e carismatico di Robert De Niro.

Anche di Al Pacino. AH AH.

E allora perché tanti anni fa mi dovettero fermare?

Perché, all’ennesima provocazione fuori luogo, ebbi una reazione simile a questa. Soltanto mille volte più potente.

Ma ora avete finito di fare i potenti, no, prepotenti! Poveri stronzi deficienti!

Di mio, cazzeggio e cammino, tirandomela…

E, come Checco Zalone, altro che pazzo e cieco. Come dice Checco, io ci vedo perfettamente…

Siete voi che non vedete un cazzo. Per forza, a forza di effeminarvi, siete diventati pure delle lesbiche.

E non tanto puri.

Be’, prepariamo questo purè.

 

 

di Stefano Falotico

I più grandi registi viventi sono anche dei filosofi, Cronenberg docet, post alla Tarantino


17 Mar

la_mosca_14 sc11-2

C’è un film che, come un fulmine a ciel sereno, per l’ennesima volta mi ha stupefatto, rivedendolo.

Scanners. Era da un’infinità di tempo che non lo vedevo. E mi ha scioccato nuovamente.

Non tanto per la celeberrima scena dell’esplosione del cranio. Che, a esservi sinceri, quando la vidi a 15 anni o giù di lì, oh, non mi fece dormire la notte. Alla sua prima visione, dapprima rimasi agghiacciato, tumefatto appunto nel cervello. Spappolato e pietrificato. Mi lasciò di sasso.

È una delle scene più violente di sempre. D’una cattiveria inaudita.

Michael Ironside, nel suddetto film è Darryl Revok. Uno psicopatico a piede libero. Più volte internato ma che è sempre riuscito a farla franca per via dei suoi telepatici poteri paranormali.

Insomma, un fuori di testa assai pericoloso.

E alla fine del film capiamo che lui e il personaggio interpretato dal dolente, “poveretto” Stephen Lack sono fratelli.

Figli di un padre degenerato che, sino a quell’istante, ci era stato presentato come uno psichiatra filantropo. Che voleva alleviare le sofferenze e i disagi clamorosi di Lack.

Invero, costui scopriamo ch’è una sorta di Dottor Frankenstein e i suoi due figli, tanto anomali e anormali quanto potentissimi, sono stati originati da un involontario esperimento scientifico di natura scellerata.

Come per tutti i grandi film e le opere magne, nell’analizzare il valore capitale di questo film mastodontico, possiamo adottare varie chiavi interpretative. E tutte impeccabilmente funzionano.

Potremmo prenderlo per un thriller pieno di suspense perfino con scene rocambolesche d’inseguimenti in macchina. E avrebbe il suo grande perché.

Oppure, elevando un po’ la nostra esegetica, possiamo scandagliarlo scena per scena e addivenire che si tratta, così come succede spesso per i capolavori, categoria alla quale Scanners appartiene di diritto, inconfutabilmente, di un film profondamente metaforico.

Sul potere della mente, sul condizionamento, sulla forza persuasiva della supremazia ideologica. Eh sì.

Chi vince, in questa società, non è tanto quello più forte fisicamente, questo film è un chiaro, incontrovertibile schiaffo in faccia all’edonismo. Una monumentale ode all’Inland Empire.

Il fisico si può rompere, può venire danneggiato ma, con un po’ di robusto, energico allenamento, con sana abnegazione e un doveroso trattamento, con un pizzico di riabilitazione eseguita a regola d’arte, ecco che dei patimenti corporei, amico, non più ne risenti. E non più ti lamenti.

Se invece sei un demente, la vedo molto dura, sai? Non saprai ove ti colpiscono, oscurato dalle tue distorsioni e, se per un attimo di chiarezza illuminante, ti ribellerai, scalciando, ti sederanno.

Sì, senza la mente, hai voglia tu ad aver il fisicone ardente. E per mente non intendo essere laureati in Fisica. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi. Anche se poi non ho mai capito perché quella civiltà, tanto tosta a parole e a filosofia apparentemente imbattibile, sia stata soppiantata dalla nostra, oramai improntata al culto di qualcosa che è l’antitesi di Qualcuno volò sul nido del cuculo, detta sinceramente.

Una società ove ogni valore è stato distrutto, destrutturato, fatto saltare in aria.

E, chi resiste nella nostra società… be’, dice lui che sta resistendo. Invero, la sua esistenza è già fritta. E questo ve lo dico io. Dai, donna, dammi quella frittella. Eh eh.

Senti quello. Continua a dire a tutti che lui se ne fotte. Infatti, è in manicomio.

Sì, stiamo tutti male. Siamo malconci nell’animo nonostante le belle acconciature, è inutile, e questa è una mia frase cult, andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi.

Cosa? Cosa? Hai letto bene. Ripetiamo, è inutile andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi. E aggiungo, peraltro, è insulso portare il parrucchino se si gioca nella vita alla evviva il parroco.

In maniera cioè approssimativa, della serie… ma sì, pigliamola a calci. Dove va… va. Basta che vada al tiro a segno. Sì, è lì che finirà se continuerete a fare i cecchini delle vite altrui.

Come sosteneva Martin Scorsese in The Departed, ah, non ci sono molte strade. Puoi diventare criminale e usi la pistola, oppure entrare in polizia e far pulizia dei criminali col silenziatore.

Oppure, fare una vita anonima e spararti nel cuore. Perché diverrai grigio, perbenista. E, invecchiando, non potendo contrastare le giovinezze che ti appariranno troppo strane e non allineate, diventerai un noiosissimo omone polemico, retorico e barboso. E ce l’avrai con tutti. Scandagliandoti contro le donne, accusandole di essere delle poco di buono, desiderando soprattutto che le menti geniali si adattino a una visione oscenamente moderata, quindi frenandole nei loro vivi ardori più fantasticamente creativi.

Insomma, comincerai a ragionare come un cretino, un puntiglioso uomo schizzinoso.

Ah, che bella vita si prospetta. La vita è sempre un colpo in pancia. Oppure, se incontri un poliziotto “caritatevole”, un pugno in faccia e basta.

Come diceva Totò… in galera ti mando. Ed è lì che avrei sbattuto Ironside. Ma pure Iron Man. Ma sì, questo Iron Man, non ho capito, è ricchissimo, fortissimo, indistruttibile, figo da morire e dobbiamo eleggerlo pire supereroe? Ma è una discriminazione classista mai vista. È una vergogna che urla vendetta, Cristo!

E che c… o. Sì, Iron Man non è un pacifista, nemmeno un edonista. Non lo può sconfiggere il più devastante comunismo. Manco i nazisti. Eh no. Come fai a bruciarlo? Ha la corazza d’alluminio, acciaio Inox. Come le pentole di mia nonna. Sì, lei è morta, le pentole no. Anzi, puoi alzare ancora la temperatura e diventano abbronzate.

Sì, fra Oliver e Sharon Stone, scusate, io piglio Sharon. È un’attrice che, a parte Casinò, fa vomitare. Per il resto è tuttora molto buona. Sì, sì, sì. E, se proprio devo sputtanare tre ore della mia vita, almeno è meglio passarle con Sharon, piuttosto che ammosciarsi con Alexander. Come no?

Se ti dico che è così, abbi fede… sì, dopo essere stato con Sharon, ti viene un vocione che manco Jim Morrison e si apriranno The Doors del paradiso.

Almeno la Sharon di venti anni fa. Gran donna.

E qui sono Pacino di Scent of a Woman. Ah ah.

Ma abbiamo perso troppo tempo con gente che non merita. Passiamo a gente che può davvero darci qualcosa. Sì, Sharon può dare molto, eppure anche questi non scherzano.

Cronenberg è un genio. La sua filmografia è impressionante. Lynch anche.

Tu? Insomma, non tanto.E questo è quanto.

Io chi e che sono? Uno come tanti. Non sono Tarantino ma non sono nemmeno quel cesso lì, Costantino.

 

 

di Stefano Falotico

 

JOKER-Landia: nel mio mondo si fa tutto un altro gioco ed è un gioco molto doloroso per me e per voi, soprattutto


15 Mar

Eh sì.jokerdeniro

mde

Oramai, credo che vi siate accorti tutti che il mondo odierno, se ancora si può parlare di mondo, è finito pazzo da un pezzo. Perde i pezzi. Tutt’al più ruota attorno alle solite cantilene, un caravanserraglio di moine, sguaiatezze, d’immoralità di bassa lega spacciate per trasgressione. Un mondo di pazzi. E pupazzi. Appunto. Ma questo non mi turberebbe. Il mondo è sempre stato dominato dalla pazzia. La pazzia dei potenti, dei regimi totalitaristici, ipocriti e fascisti è stata, sin dalla notte dei tempi, alla base di ogni ingiustizia, quindi di quella reputata una società giusta. Invero cafona e irruenta se non assai scelleratamente violenta. Perché, sulla pelle di chi combatteva per ideali di eguaglianza e illimitata libertà, son stati commessi imperterriti, impuniti abomini. Al fine che prevalesse perennemente l’egemonia del pensiero più conformista, aderente ai parametri, appunto basali e basici, di una società falsa, superficiale. Ridanciana e reazionaria. All’apparenza puritana invece consacrata all’animalesco puttanesimo.

Ove chi ha i soldi, volenti o nolenti, decreta legge e perfino accomoda la legge a suo piacimento, a ragione arbitraria dei suoi interessi se si è concesso il lusso, ah ah, di trasgredire le stesse regole ingannevoli che lui al prossimo ha prescritto. Traviando non solo la robustezza o la comunque labile debolezza della sua discutibile morale mai avuta, bensì mentendo dinanzi allo specchio e a dio stesso, spesso creatolo a immagine e somiglianza del suo solipsistico simulacro profano.

Allora, in questo mondo di verità ribaltate, il gigante, nell’anima, nella mente e nel cuore, schiacciato dall’alterigia intransigente di chi gli sta istituzionalmente, gerarchicamente sopra, è soffocato dalla mendacia di chi, che ve lo dico a fare, comanda e vien trattato puntualmente a pesci in faccia.

Disconosciuto non solo del suo intimo e prezioso valore, cioè appunto la sua anima, ma trucidato nella viva essenza della sua fiera, adamantina spontaneità. E vien reso inane a favore dei ragionamenti banali e unanimi.

Continuamente vilipeso, condannato senza fine a una pena detentiva, che ve lo dico a fare, straziante e disumana.

In questo mondo di finte equidistanze, di lotte di classe oramai svanite poiché tutto s’è imborghesito e appiattito, pesantemente alleggerito, vane e flebili son state né han valso, son valse le urla di rabbia già svanite. Contrite… Sempre più rare e peraltro presto taciute, inaridite, avvizzite, coattamente imbrigliate con l’unzione ricattatoria della presunzione che fa della squallida, deprimente, falsissima punizione la virtù bislacca e portante di questo mondo a cui dell’altro, in fondo, nessun importa.

Importa che tu abbia un ottimo portamento e che sia disposto a socializzare amabilmente in un patto filisteo di massa, ammazzato nel tuo simbiotico invece esser nato per pochi capaci di accogliere il tuo spirito falotico.

Castrato nel tuo slancio per colpa dell’omologazione più mortifera, reputata invece allegra da chi questi disvalori deleteri e pestiferi, sventolando orgogliosamente la sua prosopopeica bandiera che in grembo porta, issa vanitosamente in gloria.

No, è stato un fallimento. Totale, persino imbarazzante, oserei dire umiliante se non fossi stato io, con estremo, virtuoso, intrepido coraggio inaudito, a gridare, ad adirarmi che hanno sbagliato il trattamento e frainteso ogni cosa con ottusità e uno squallido, brutale volermi fregare dietro il menzognero ottundimento illusorio. Ah, che storia.

Oh, Il nome della rosa. È un libro che verte sull’universale verità intrinseca del mondo che, dietro capziose tonache, si professa san(t)o, e invero pecca nel buio nauseabondo della notte efferatamente immonda.

È un libro sulla purissima, bellissima conoscenza sopraffina e angelicata dell’amore nella sua forma meno corrotta, libera e selvaggia.

E soprattutto accentra ogni filosofico, sofista discorso esistenzialista su un’altra verità parimenti antropocentrica e non so se idealistica.

La liceità del riso. Un tempo, o meglio a quei tempi, oscurantistici e stregoneschi, superstiziosi e macabramente ottenebranti ogni forte (co)scienza pensante, ridere era considerato quasi un delitto. Un reato diabolico perpetrato da spregevoli lestofanti tanto sgargianti.

Perché la risata spesso fa il paio con la più volgare derisione maleducata. Con l’impudicizia dell’anima stronza nella sua bestiale, appunto fascista, sguaiata idiozia qualunquista.

Non si deve mai ridere delle persone malate, delle disgrazie altrui, non si deve ridere delle sfortune di chi ci accompagna in questo balzano viaggio ch’è la vita nostra, di noi tutti tanto strana.

Non si deve mai eccedere di riso, non si deve mai trasgredire, appunto, il patto solidale di reciproco rispetto e di buona creanza, non si deve mai offendere il buon senso con la scostumatezza e i vigliacchi colpi in pancia.

In questi casi, sì, il riso è malevolo, brutto, becero, buzzurro, orribile.

E perciò punibile. Da mettere al rogo e alla gogna. Poiché rappresenta la degenerazione dell’armoniosa, umana concordia. Una vergogna! Simboleggia l’atrocità del male più (s)porco ed è come se il maligno, ordendo e obnubilandoci con la sua malizia, annerendo ogni limpidezza in un’oscena allegrezza che invero è solamente agghiacciante tristezza, avesse assurdamente vinto con la sua immondizia.

È come se avesse trionfato l’idiozia.

No, la mia non è pazzia e non è nemmeno saggezza. È la visione di chi, dopo mille delusioni inflittemi, dopo tanta cattiveria gratuitamente figlia della stupidità più imbrattante, con le sue porcherie, fatte di risate partorite soltanto dalla più pusillanime sudiceria matta e mattante, non teme più nessuno e dunque imbratta e macchia il suo volto come fosse quello di un clown che a chicchessia non deve dar più conto. Tantomeno alla Chiesa.

Perché mi coglieste in un attimo di fragilità immenso e profondo. E, anziché sostentarmi nei miei sogni, nei miei ingenui, sì, ma stupendi romanticismi, affinché con la mia lucentezza potessi non arrecar disturbo al vostro mondo di malsano lerciume e di sozzo porcile tanto lordo, stupraste il mio cuore con violenti, imperdonabili affronti.

Invogliandomi a snaturarmi per farvi felici a sanità del vostro intoccabile orgoglio. A rinnegare ogni mia, vivaddio, straordinaria, sacrosanta melanconia per obbligarmi a crescere secondo le vostre ambigue, inique istruzioni bastarde e sconce, senza scorciatoie né sconti.

E anche io dovevo andare con la prima che mi fosse capitata a tiro… per sverginarmi. Voi direste svezzarmi. Che termine mostruoso e medioevale. Che scontro

Così, rendendomi un uomo normale, ah ah, carnale, meno mi sarei lamentato e non avrei più pianto l’umana, miserabile condizione di questo mondo ruffiano.

E pensate che indecenza! Abdicai e vi accontentai. Ributtandomi nella mischia della più sciocca miseria inetta e ripugnantemente netta.

Fatta di balli e risa, d’invereconde arroganze e di meschine trivialità malvage.

Sì, anche io volevate che fossi uno qualsiasi. Oh, se fossi stato una donna ancora peggio. Semmai una bella donna sexy.

Con la fissa del sesso un tre per due… a postare su Facebook foto provocanti e aspettar che qualche coglione mi corteggiasse per poi insultarlo dall’alto, ah ah, della mia presunta superiorità di classe. Ah ah.

Tante oggigiorno fan così. I maschi più cretini a queste van dietro e tutti salgono a bordo del carrozzone troione. Lanciando sassi e poi scomparendo nel traffico, tra burla immonde che nell’omertà vilmente si dileguano e celano, rompendo i vetri e quindi nascondendo la mano, porgendoti semmai pure un sorriso tanto, tanto simpatico. E insincero.

Ma sì, è stato uno scherzo. E io l’ho presa troppo, troppo male, tanto da ammalarmi. Davvero.

Sì, io sono malato.

Come Travis Bickle, come un Joker che fa di tutto per ridere alla merce e mercé di tutti gli altri, compiacendo la frivolezza andante di questo mondo a puttane andato. Ma dentro di sé sta sempre più male. E più… di stare male più stai male. Perché, in fondo, puoi provarci a essere uno come tanti, ma starai solo che malissimo. Tanto.

Non è filosofismo, non è orgasmizzarsi, è avere le palle per dire che tanta imbecillità non ha prodotto una curata umanità, ma solo un fallace entusiasmo di finta ilarità.

Ben sta a me per esserci cascato, ben vi sta.

Come un vestito rosa.

Auguri, in bocca al lupo e sogni d’oro.

Idioti.

Siamo tutti fregati, chi più chi meno.

Tu ti barcameni?

Sì, con effetto boomerang attraente, demente nel senso de L’idiota di Dostoevskij, certamente non da comune deficiente.

Oh, Cristo.

 

Parola di Robert De Niro & Joaquin Phoenix.

di Stefano Falotico

Joker: analisi di un uomo che, dopo aver visto Taxi Driver ed essere stato ipnotizzato nel late night show di De Niro, divenne un genio rovinato


10 Dec

MV5BYzNmZjRmZDItNzY2Yy00Y2FkLTkzM2QtZDMxZWMyNDQ5MTUzXkEyXkFqcGdeQXVyNjUwNzk3NDc@._V1_ MV5BMWRlMjg5MzAtMDU2ZS00Mjg4LWIwMGUtNTAzNzc1NjY4NjczXkEyXkFqcGdeQXVyMjE5MzM3MjA@._V1_SY1000_CR0,0,1478,1000_AL_ MV5BMTc4ODQ3MTEzMl5BMl5BanBnXkFtZTgwNDQ1NzA5NjE@._V1_SY1000_CR0,0,666,1000_AL_

"Rocky". Im Bild: Sylvester Stallone (Rocky). SENDUNG: ORF1, SO, 15.05.2005, 00:30 UHR. - Veroeffentlichung fuer Pressezwecke honorarfrei ausschliesslich im Zusammenhang mit oben genannter Sendung des ORF bei Urhebernennung. Foto:ORF/-. Andere Verwendung honorarpflichtig und nur nach schriftlicher Genehmigung der Abteilung ORF/GOEK-Photographie. Copyright:ORF-PHOTOGRAPHIE, Wuerzburggasse 30, A-1136 Wien, Tel. +43-(0)1-87878-14383.

Bene, cazzo. Devo farmi bello. Mi aspetta il re dei talkshow, Murray Franlin. Un bel pezzo d’uomo questo qui. Irriverente come David Letterman, sadico come Jay Leno, sfrontato come Billy Crystal, simpatico come Jimmy Fallon, stronzo come De Niro, appunto, di Voglia di ricominciare.

Sì, è un tipo alla Maurizio Costanzo. Su per giù, come età ci siamo. Frankin, e non è Aretha, è un po’ più giovane, sì, assomiglia Bill Murray di Lost in Translation. Un uomo disilluso dalla vita che si diverte a prendere per il culo le giovinezze a farsi per acclarare se hanno i coglioni per resistere a questo mondo cinico e stronzissimo. Un cuore d’oro, sostanzialmente, un bastardo come pochi.

Due mesi fa, gli scrissi, chiedendo se cortesemente poteva invitarmi in trasmissione, dedicandomi la seconda serata. Dopo un’accurata selezione, dopo aver compilato una sorta di modulo d’iscrizione, quelli del programma mi hanno scelto. Invero, son stato abbastanza banale nel rispondere alle loro domande, inserendo crocette un po’ a casaccio. Ma ho allegato loro anche la foto della mia faccia di culo. Devono esserne stati immediatamente colpiti come Paolo sulla via di Damasco. Folgorati dai miei occhi stralunati. Mah, di mio so che mi piace il tabasco e anche il tabacco. Ma questi devono esseri rimasti impressionati dalle fattezze del mio volto, inquieto e inquietante, con un’espressione da uomo ammosciatosi per colpa di troppe fregature, come dice Wizard/Peter Boyle di Taxi Driver.

Sì, tutto il mio disagio esistenziale deve essere partito da questo film. La storia della mia vita, di una battagliera anima contradditoria che zigzaga nella notte, da straniero irredento e insonne.

Per me questo film è stato un’illuminazione. Come un fulmine a ciel sereno. Anzi, avevo solo tredici anni e già meditavo profondamente al suicidio. Quelli della mia età so che mi avrebbero per sempre rotto i coglioni e preferii divenire un licantropo, un lupo solitario. Precocemente nauseato da tutte quelle coetanee scorribande frivole, con le loro fighette del cazzo. Di solito, i cinquantenni fanno così. Io a tredici anni avevo già deciso di farmi le seghe.

Ero un Dracula in erba, anzi, puberale in pieno delirio adolescenziale.

Comunque sia, hanno accettato, come vi ho detto, il mio autoinvito e stasera Murray mi aspetta per testare veramente, dal vivo, se sono il più grande fan di De Niro del globo terrestre, come io affermo da tempo immemorabile.

Mi hanno riferito che Murray mi sottoporrà un quiz e, se non risponderò esattamente a ogni domanda, se sgarrerò di una sola risposta, mi daranno il reddito di cittadinanza a vita, declassandomi fra i matti e i rincoglioniti inguaribili che abbisognano di un sussidio perché oramai irreversibilmente estromessi dalla società che conta.

Uhm, non si prospetta un bel futuro, cazzo. Fratelli miei, chi arriva a chiedere il reddito di cittadinanza, significa che è un uomo devastato. Totalmente invalidato da troppe inchiappettate e, anziché spararsi in testa, tira a campare coi soldi dello Stato perché purtroppo non gliela fa. E, se vede Amy Adams nuda, preferisce sdraiarsi a letto e massaggiare il lembo del cuscino. Oh, quest’Amy qui lo farebbe diventare duro anche a Santo Stefano, il più grande martire della storia.

Ecco, è finita la trasmissione. Mi hanno già consegnato la ricevuta da firmare e francobollare in cui dichiaro che sono fottuto. E, per compassione, mi elargiranno appunto il reddito di cittadinanza nell’attesa che mi tolga quanto prima dalle palle. Semmai gettandomi dal decimo piano del Boscolo Hotel, qui a Bologna.

Sì, tanto quelli col reddito di cittadinanza, che cazzo campano a fare? Per andare alla merceria e corteggiare la commessa super racchia che indossa le calze della nonna? E per guardare le partire di Calcio, con sottofondo la musica di Nek e Lascia che io sia?

Il tuo brivido più grande?! Agghiacciante, meglio farsi prete che credere alle sdolcinate patetiche di Filippo Neviani.

E tutto questo perché, alla domanda di Murray, su quale sia stato il direttore della fotografia de La notte e la città, anziché rispondere Tak Fujimoto, ho risposto Ryuichi Sakamoto.

Good night and good luck.

Nel 1976, comunque, agli Oscar vinse Rocky. Taxi Driver è un film cinematograficamente superiore.

Ma questa scena è indimenticabile.

di Stefano Falotico

Esperimento non riuscito, mi spiace, Taxi Driver rimane il film della mia vita


08 Dec

linda dona ricochet 03995907 taxi16

L’altro giorno, al Marrakech Film Festival, De Niro ha parlato di The Irishman, ha accennato a Killers of the Flower Moon e ha affermato che presto girerà anche un altro film con David O. Russell. Soffermandosi poi per un istante sul seguito di Taxi Driver mai realizzatosi.

Perché anni fa, nonostante lui, Martin e Paul Schrader ne discussero più e più volte animatamente, convennero che era irrealizzabile.

Credo sia stata la scelta giusta. I capolavori cofme Taxi Driver sono opere uniche e mi pare un’idiozia volerne rovinar la magia. È qualcosa d’irripetibile che appartiene di diritto all’intoccabile grandezza di un’opera irriproducibile. Scorsese e Lars von Trier discussero peraltro, sempre qualche anno fa, su una possibile rivisitazione di Taxi Driver. Una variazione sul tema in vari segmenti… anche in questo caso, dopo l’entusiasmo iniziale, il progetto scemò e giustamente svanì.

Credo che il progetto suddetto sia questo, con tanto di news di Variety.

Un’accoppiata vincente quella fra Bob e Martin. E in questo video Bob ringrazia Martin per averlo reso quello che è oggi.

Ecco, meditavo…

Ieri, son andato a scartabellare tutte le mie pubblicazioni degli ultimi anni. Una marea di libri da far invidia a Stephen King.

In questi libri, volenti o nolenti, vi è la mia anima. E l’anima è qualcosa di unico, prezioso, che non si può contraffare per far sì che combaci e adempi all’adattamento di massa.

Ho da farvi delle confidenze. Prevedibili quanto inaspettate. Secondo la mia proverbiale durezza insanabile, la mia brutale misantropia inguaribile.

Perché, sì, negli ultimi vent’anni hanno tutti provato a cambiarmi, agendo anche con l’ipnosi o con repressioni squallidamente farmacologiche sulla mia anima e sul mio corpo, soprattutto. Per tentare disperatamente, pateticamente oserei dire… di stuprarla, per modificarne la struttura e far sì che, gioviale, affabile, conciliata col mondo, si omologasse alle prescrizioni, ripeto, di massa.

Ciò ha portato, anziché a effetti benefici, a una maggiore, oramai irreversibile radicalizzazione delle mie già perfettamente delineate, immodificabili idee sul mondo e sulla società.

Credo che, durante la prima adolescenza, nel mio animo, turbato dai miei stupidi coetanei, volgarmente conformati a un indottrinamento filisteo, figlio di un’educazione malsana, angariati da reprimende ai loro danni perpetrate dai mass media, da genitori ignoranti che volevano improntarli solo alla felice, ah ah, illusoria, effimera frivolezza, alla carnascialesca baldoria, già a un’orribile superficialità immonda, convinti che così facendo i loro figli sarebbero cresciuti nel godimento e nel benessere piscologico, genitori a loro volta confusi dal substrato culturale di un’Italia immutabile che prima, utopisticamente, aveva combattuto per le totali libertà nei movimenti sessantottini, e poi fallacemente ha abdicato alla puerile volubilità dei loro tiramenti di culo. Rinnegando ogni valore sbandierato a favore di un consumismo dei loro nobili propositi, adattatisi appunto all’isteria frenetica della baraonda collettiva.

E cedendo alle lusinghe del porcile merceologico delle anime, sussurrando un osceno: il mondo è così, va accettato.

No, io non ho mai accettato il mondo. Il mondo è nefasto, agghiacciante, ipocrita, malsano, corrotto, ordinato nel caos rivoltante dell’omertà e delle bianche bugie più convenienti per rimanere a galla.

E chi s’illude che non sia così e bonariamente, anzi malvagiamente mentitore di questa verità così semplice quanto assoluta, apodittica e parossisticamente realistica, ti porge un simpatico, odioso sguardo compassionevole, sta soltanto acquietando i dubbi della sua coscienza e sta negando l’evidenza più plateale.

Che gli appare disturbante perché sostanzialmente gli fa comodo respingerla e appunto blandirla, deriderla, sbeffeggiarla, schiaffeggiarla, tenerla a debita distanza per non soffrire…

Potremmo chiamarla fatuità della menzogna, l’idolatria di una leggerezza pericolosa, falsa e mentecatta.

Anni fa, molti sostengono che io sia impazzito. No, giammai impazzii. Anzi, come Travis Bickle di Taxi Driver o come Eastwood di Gran Torino, ho fatto qualcosa che mi è costato caro ma ho rivelato, divelto, distrutto, annichilito, bruciato ogni altra calunnia e menzogna sulla mia persona.

Qualcosa di profondamente “scemo”, profondamente potente, magistrale, coraggioso più della vita stessa. Un “suicidio” sfrontato, appunto folle…

Sono io che decido e ho sempre deciso cosa mi piace e, dopo mille ricatti, ignobili castighi, contenzioni di varia natura, soprattutto subliminale, mi ribellai.

Perché io sono un ribelle per natura. E non c’è nessuno che possa venire a dirmi: no, così non va bene, adattati, pigliati una laurea, trovati una ragazza, tromba, divertiti e non rompere i coglioni.

Nessuno, nemmeno Dio, a cui non credo.

Ecco i risultati, appunto, di tale violenza mostruosa, di tale mortificante, spettrale “cura”, sono sotto gli occhi di tutti.

E qualche mese fa, con altrettanta, intrepida mia virtù maestosa, ho pubblicato un libro dal titolo Dopo la morte, in vendita sulle maggiori catene librarie online.

Altro devastante pugno allo stomaco alle cattive coscienze false, falsarie delle identità altrui. Possiamo dircelo? Un capolavoro. Basta che ne leggiate l’estratto su Amazon per comprendere, dopo pochissime righe, che lo sia.

Mi dissero, ridendomi in faccia: ah, ora ti sei svegliato!

No, io son sempre stato molto più sveglio di voi. E a dodici anni già sapevo che uno psicopatico come John Lithgow di Verdetto finale voleva rigirare un po’ le sue atrocità.

Semmai drogando, anche di cazzate, Denzel Washington per rovinarlo.

E farlo passare per mostro, facendolo accoppiare con un troione come Linda Dona. Un’ottima figa, per carità, per una scenetta sulla quale mi masturbai con molta veemenza appena puberale.

Come la vedete?

La vedete che fra un mese esco col nuovo libro e, stamattina, ho fatto colazione al bar in mezzo a tanti clienti idioti che non capiranno mai nulla del mondo. E nei prossimi giorni andranno a vedere il nuovo film con Pieraccioni e il nuovo cinepanettone con De Sica e Boldi.

Sì, siamo arrivati a questo. Ai ricatti di natura sessuale, alle prevaricazioni (im)morali per portare avanti la follia. Vostra, non mia. L’Italia è sempre stata questa. Nasce qualcuno un po’ diverso e avviene puntualmente che i deficienti lo vogliano prendere per il culo, come se ci trovassimo appunto in un film di De Sica.

Buona visione… di tutto.

Sorry, esperimento fallimentare.

 

 

di Stefano Falotico

Le riprese del Joker con Phoenix sono terminate: ecco l’ultima foto dal set di effetto blu notte


04 Dec

47368706_10212596173522157_7580277970728648704_n

Sì, le riprese di Joker sono finite così come sono finite, per fortuna, molte delle vostre vite. Finalmente, dopo un’intera vostra esistenza passata a lamentarvi, avete compreso in un attimo di lucidità imbarazzante che siete giunti al capolinea.

Giunti che siete a tale conclusione, per un attimo pensaste di non suicidarvi. Semmai noleggiandovi un film scacciapensieri con un’ottima passerona che, per trenta secondi, sì, tanto non durate di più, vi ha rallegrato di una masturbazione lievissima. Tale che, in quel mezzo minuto da uomini minutissimi, credeste davvero che la vita è bella e la vostra condizione umana fosse migliorabile. No, è stato solo uno zampillo, un’esplosione… momentanea, un istante abbastanza breve di gioia e fazzoletto sporcato.

Invero, dopo esservi puliti in bagno, vi siete specchiati, ancor più consapevoli della vostra pochezza.

Al che, accendeste Facebook in cerca di quelle frasi consolatorie che vanno tanto di moda, del tipo: se pensi di essere stato sminuito, tirati su, tira fuori le palle, fottitene, è il momento di essere Mel Gibson di Braveheart.

Oppure, sì, nella vita hai subito batoste devastanti ma ricorda che a fine del prossimo anno uscirà nei cinema Rambo 5. No, non è ancora arrivato il tempo di morire. Venderemo cara la pelle e le palle.

O frasi da donnette del circolo del cucito: ricorda che lui tornerà da te perché solo tu sapevi farlo ridere e gli preparavi un buon risotto con le patate…

Sì, tutti sanno che Babbo Natale viene solo una volta all’anno. Cazzo, per gli altri 364 giorni, con l’eccezione del bisestile, manco si tira una sega. Roba che il Dalai Lama, in confronto, è un pervertito.

Sì, nella mia vita, fratelli e sorelle, ne ho viste tante… ragazzi che studiavano al Classico e resero ricco Valerio Massimo Manfredi. Perché erano convinti che sarebbero passati alla Storia.

Oggi, coscienti che non saranno mai Alessandro Magno, sono depressi e bulimici. Magnano come dei porci di Roma con tanto di macedonia!

Mezz’ora fa, son stato al bar. Sono entrati una nonna tanto simpatica e suo nipote di forse dodici anni.

E ho pensato: beati loro, questa ha già un piede nella fossa, il ragazzino invece ha ancora cinque sei anni per poter essere spensierato. Poi capirà che dovrà andare dal gastroenterologo.

Eh sì, il mio condominio è pieno di fegati amari.

Oggi, hanno recapitato a ogni singolo condomino le tasse appunto condominiali. È stato un delirio. Il signor Lucchi, uno dei miei vicini di casa, quello che nel mio video su Basic Instinct bussa contro il muro, chiedendomi di abbassare il “volume” della registrazione, ha avuto un mezzo infarto quando, aprendo la ricevuta, ha letto la cifra da pagare.

Ora, vi racconto questa. Sì, non sono un grande appassionato della Serie A. Ma non ho bisogno di essere abbonato a Sky per sapere quando il Bologna ha fatto goal. Se il sabato, in caso dell’anticipo, o la domenica il signor Lucchi urla come un dannato, significa che il Bologna sta vincendo. Se poi l’urlo diventa come quello di Tarzan, capisco che la partita è finita e il Bologna ha vinto.

Sì, sua figlia non stava messa molto meglio. Mi ricordo che, moltissimi anni fa, saranno state le tre di notte… ero lì che mi stavo dolcemente masturbando su Patricia Arquette di Strade perdute. Quando, al culmine della mia eccitazione, nella scena in cui Patriciona, di tette abnormi nel deserto, si mostra totalmente ignuda con tanto di effetto lynchiano, sono tremate le pareti. No, non fu il terremoto ma il peto ciclopico della figlia del Lucchi. Che, durante la dormita, l’aveva mollata di brutto.

Sì, non riuscii a reprimere l’eiaculazione galoppante e, per lo smottamento dovuto alla flatulenza frastornante, mi tagliai la cappella con l’unghia del pollice tutta spappolante. Ah, che orgasmo. Da film horror demenziale.

Nonostante il dolore tremendo, roba da Ben Stiller di Tutti pazzi per Mary, tutto tornò al suo posto. E il mio glande si riparò in un paio di giorni con tanto di pene alla penicillina.

Invece la figlia del Lucchi è passata dalle scoregge alle lavande gastriche. Eh sì, fa le seratine…

Insomma, la faccia di culo è questa: o l’accettate com’è o son cazzi vostri.

joker-addio-joaquin-phoenix_jpg_1003x0_crop_q85 47312588_10213352634156932_2270683114143481856_n

di Stefano Falotico

I finali dei film di Schrader sono imbarazzanti: First Reformed vs Taxi Driver


03 Dec

first-reformed-FR_Amanda-Seyfried

Ieri, sull’onda emotiva delle mie sensazioni del momento, mi son lasciato assalire, estremamente fascinatone, dalla bellezza ieratica di First Reformed, assegnandogli quattro stellette piene.

E, in loop, mi son rivisto il finale una marea di volte.

Francesco Alò, critico comunque da prendere con le pinze, estremamente sensibile e attento, scrupolosamente indagatore in molti casi e invece spaventosamente superficiale, caciarone e popolano in altri, lo definì un finale semplicemente idiota. Imbarazzante, da far accapponare la pelle.

Paul Schrader è sempre stato questo. È un finissimo sceneggiatore e regista dalla poetica talmente limpida da divenire, spesso e volentieri, insopportabile. E, a mio avviso, a eccezione di Taxi Driver, ove aveva indovinato tutto alla perfezione, un amalgama esemplare e perlaceo di Cinema indiscutibilmente intoccabile, non sa scrivere i finali dei film né dirigerli. Diciamo che, negli ultimi venti-15 minuti dei suoi film, affretta sempre esageratamente gli ingredienti della sua mistura, si lascia fagocitare dall’ansia e sciattamente diviene un “cazzaro” insostenibile. E sovente distrugge tutto quello che di straordinariamente buono aveva, con delicatissima cura e mano chirurgica, orchestrato prima. E alla fine l’intero film frana sotto le iperboli eccessive di un finale, appunto, orrendo, agghiacciante.

Schrader, insomma, è il guastafeste di sé stesso. Che, con calma olimpica, spiritualità papale per un’ora e mezza mantiene una classe sesquipedale e poi si sputtana nel finale bestiale.

Molti anni fa, illuminato forse dalla grazia della virginea Madonna santissima, in un momento di celestiale ispirazione apodittica, oserei dire apocalittica, per come quest’ispirazione, totalmente spontanea, scaturì per miracolo dalla mia mente fenomenale, protesa a un nichilismo ancestrale, coniai istintivamente questa frase per sigillare il Cinema di Schrader: un Cinema poco turbolento ma che turba, soprattutto sé stesso.

 

L’intera filmografia di Schrader, tranne forse qualche titolo, soprattutto dei più recenti, è praticamente l’ennesima, riciclata, rianalizzata sotto altri punti di vista, variazione sul tema di Taxi Driver.

Storie di uomini afflitti dalla solitudine più mortificante, persi nei loro deliri solipsistici, ad attraversare, permettetemi quest’urbanistica metafora, la metropoli gigantesca e dedalica dei loro tormenti e demoni interiori, sconnessamente viaggiando nelle alterate, umorali traiettorie emozionali di decumane neuronali assai pericolose, a metà strada tra la follia, il genio profetico, l’essere messianici angeli sterminatori, pazzi alla Don Chisciotte, santi beatificati da un’acquiescenza ascetica talmente potente da costringerli a volte a gesti insensati, a catarsi di tutta un’immane sofferenza psichica così tanto soffocata da essere paradossalmente l’unica via di salvezza. Sì, una follia lucida e sana che degenera in comportamenti malati e nel pervertimento più allucinante.

I personaggi di Schrader sono, per alcuni aspetti, degli “idioti” dostoevskijani, barricati nelle anguste paranoie della loro personalissima, bella o brutta che sia, visione del mondo.

Anche il suo Gesù de L’ultima tentazione di Cristo è così. Gesù è in verità, io vi dico, l’idiota per eccellenza. Colui che, più di chiunque altro, ha sacrificato ogni piacere fisico e carnale, ogni divertimento frivolo a favore di un’irraggiungibile, impossibile, inattingibile missione di redenzione dell’umanità. Una missione utopistica, delirante, da onnipotente illuso che ha la presunzione e l’imbecillità di voler educare il prossimo al fine di ripristinare l’armonia nell’entropia, a pacificazione di ogni conflitto, bellico o psicologico, un redentore malato di superbia e smaniosa, incredibile ambizione da manicomio. Uno spocchioso mai visto.

Infatti, si suole dire, anzi è così, che se una persona si crede il messia, è schizofrenica. E la si sbatte in cura.

Nel film di Scorsese, scritto dal nostro Schrader, Gesù/Dafoe alla fine abdica alla figa. Ah ah. Sì, non voglio passare per uno squallido arrapato-arrapaho da Ciro Ippolito, ma The Last Tempation è questo.

Gesù, dopo una vita di auto-castrazione, crolla dinanzi al desiderio, al sogno proibito di fottersi Maddalena.

Scorsese però, da genio qual è, è stato elegantissimo e ha nobilitato tal caduta di tono, anche di tonaca, in una messa in scena mastodontica e sanguignamente pugnace.

Così come aveva fatto in Taxi Driver. Travis, dopo la sparata, è il caso di dirlo, e la strage-tragedia, rivede la bella bionda nel suo tassì. E lei è molto cordiale e premurosa, tant’è che gli domanda come stia. E lo guarda, ammirata e al contempo sconcertata. Ancora attratta da quell’uomo tanto sfuggente e indubbiamente strano… alla fine, lui la fa scendere e lei nuovamente aspetta che Travis le chieda semmai di uscire. Ma Travis, testardo poiché ama “orgasmizzarsi”, le risponde che non le deve niente e prosegue a immergersi nella notte più lugubre e inarrestabile. Abbandonato al suo destino irrecuperabile.

Schrader aveva già peccato, a proposito di Cinema peccaminoso in ogni senso, con Lo spacciatore, inserendo delle scenette dolciastre che deturpavano la profondità enigmatica della storia e la disperazione angosciosa, sofferta della vicenda.

E, in Al di là della vita, aveva ben fatto di peggio. Col finale pietistico ove Cage si posa sul grembo dell’Arquette, da bambino che vuole le coccole. Ed elemosina compassione, probabilmente mendicando anche una tenera scopata per alleviare le sue mai cicatrizzate ferite.

Fortunatamente, ancora una volta Scorsese fu molto pudico e lieve nel filmare questa scena. E il film non soccombette dinanzi a tal finale buttato lì. Svaccato, diciamo.

Come dire, anche Cristo ha bisogno talvolta di un seno burroso come quello di Patricia. Perché domani è un altro giorno e ci sarà da sudarsela…

Mah, è un finale che mi ha sempre lasciato perplesso e interdetto. Sì, credo che io sia interdetto da quando lo vidi.

Con First Reformed, però Schrader ci ha dato dentro senza vergogna in maniera imperdonabile e non gli basterà recitare il mea culpa, discolpandosi coi rosari. Davvero.

Ora, spoilerizzo.

Ethan Hawke forse vuole farsi esplodere perché ha compreso che il mondo fa schifo e tutto andrà in rovina. Prima di entrare nella cappella, ove salterà in aria, sbircia dalla finestra coloro che parteciperanno all’anniversario della chiesa riformata e scorge Amanda.

A quel punto, capisce che n’è innamorato alla follia e forse ha anche un’erezione. E dunque non può ammazzarla. Lei che ha fatto di male?

E grida scandalizzato, si “crocefigge” come Cristo. Poi, pensa di avvelenarsi. Ma, proprio mentre sta per bere il liquido tossico, Amanda gli appare e avviene l’imponderabile miracolistico.

Lui, come se avesse visto appunto la Vergine, le va incontro tutto eccitato. E la bacia con la lingua senza esitare un istante, avvolgendola col suo calore.

E il film finisce. Un finale che mi tormenterà per molto, molto tempo. Insomma, Schrader che voleva dire? Che la carne è debole e, prima o poi, tutti siamo pastori protestanti che finiamo di protestare, ci riconciliamo con le nostre dolcezze perdute, facciamo pace con noi stessi e, detta come va detta, pasturiamo?

A me pare una grossa banalità. Da lui non me l’aspettavo.

 

Per finire, invece, vi dico questa.

Ieri sera, ho parlato con una donna.

Le ho raccontato dei miei travagli e dei miei patimenti. Lei, molto accondiscendente, mi ha ascoltato come un prete. O meglio una suora.

Poi, dopo avermi compatito per mezz’ora, mi ha chiesto:

 

– Stefano, hai bisogno di affetto? Vieni a trovarmi stasera… sono sola e la notte è lunga.

 

 

Le ho risposto che è una zoccola.

Ecco, questo invece da me dovevate aspettarvelo.

Io non tradisco mai le aspettative. Nemmeno quando le donne vogliono tradire il marito.

E su questo finale vi lascio riflettere. Probabilmente, mi darete del coglione o mi farete santo.

Posso chiedervi, per cortesia, soltanto di non arrivare a conclusioni affrettate?

 

In fede, anche in malafede,

Stefano Falotico

 

P.S.: ma a questo Falotico ha dato di volta il cervello e si è fritto l’uccello?

No, la risposta è molto più evidente, sotto gli occhi di tutti. Quella donna, che mi chiese di andare a trovarla, si sa, è una racchia.

E le donne troppo belle non sanno che farsene dei cazzi miei. Hanno già i loro per la testa e anche in mezzo alle gambe.

Ho detto tutto…

Scambiatevi un segno di pace.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)