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I leggendari 60 anni di Mickey Rourke


23 Sep

 

Mia abitudine è “inoltrarmi” nelle vite dei grandi, per empatia alla mia vita, che credo superba.

Guardatelo, “deforme” al punto giusto. Come si confà a un mito “sdrucito”, lacero, distrutto, rinato mille volte, caduto, strozzato, logorato, “scemato”, indementito, picchiato, pugile e immenso.

Costui, ha da qualche Giorno compiuto sessant’anni.

Gira ancora, anche boiate come questa:

Eh sì, è nato tre… dopo di me, Io il 13 Settembre e Lui il 16.

Siamo lì…

 

(Stefano Falotico)

Memories Look at Us: Dedo


19 Sep

Per gentile concessione di Spaggy, il giornalista Pietro Cerniglia, posto questo “copia-incolla” del suo sentito, commovente “Forza, Dedo“, utente di FilmTv.it.

Personalmente, mi è difficile iniziare questa playlist. Il compito non mi è facile per una serie di motivi, primo tra tutti il rammarico per non aver trovato il tempo di portare a termine una promessa. Non sono bravo con le parole in certe circostanze e, quindi, vengo subito al dunque. Da un paio di giorni, qualcuno ha provveduto ad informarmi che le condizioni di salute di una presenza storica di questo sito non sono più ottimali e dopo una lunga e ponderata riflessione “siamo” arrivati alla conclusione che fosse giusto condividere con chi gli vuole bene un documento in mio possesso da tempo.

Non so quanti di voi lo ricorderanno ma la scorsa estate ho curato una rubrica su Cinerepublic che si chiamava “A nudo”, in cui alcuni utenti si sono prestati ad un gioco di scrittura e a un paio di botta e risposta, ora seri ora sul filo del divertimento (il caro Panflo, lassù dove si trova adesso, sa ad esempio quante camicie mi ha fatto sudare!) ma sempre sul filo della sincerità. Lasciata in asso, quella rubrica prevedeva un secondo ciclo che in realtà, per cause concomitanti, non è mai partito. Tra gli scritti allora raccolti, ce n’è uno a cui da subito avevo pensato di riservare un trattamento particolare. Si tratta dell’ “A nudo” di Dedo… di Goffredo, il “nonno” ufficiale del sito da sempre contraddistinto dalla garbata gentilezza e dall’assenza della sindrome da “primadonna”, quella che colpisce il 99% di noi.

Lungi dall’idea di realizzarne un coccodrillo, adesso è arrivato il momento di dare spazio a quelle parole. So che ci teneva a raccontarvi chi era e come aveva vissuto. Qui, su FilmTv, e non lì, su Cinerepublic, “troppo complicato da usare”. Mi farebbe piacere se Cristina, sua moglie, gli raccontasse che, in questi meandri di opinionisti e addict da playlist, ha un gruppo nutrito di amici che lo aspetta anche per un semplice “ciao”.
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Se fossi costretto a definirmi in poche parole direi che sono cocciuto. Combattivo, solitario, realista ed insofferente verso qualsiasi forma di autorità. Se dovessi dare di stura ai ricordi, non basterebbe un libro. Quindi mettermi a nudo (giratevi perché non offrirei un bello spettacolo), sarà estremamente difficile ed ovviamente limitato. Mi è stato riferito che nacqui un mezzogiorno, da una primipara, in casa di mia nonna e pesavo 5 kg. Mio padre, sottufficiale nel servizio della Sanità, era in Africa a “conquistare” l’Impero.

Ma i veri ricordi cominciano ad emergere da quando avevo quasi 5 anni. Mia madre ambiva farmi diventare un uomo di teatro e ricordo quanto mi disturbassero le sedute di recitazione (piccoli monologhi), l’obbligo di andare a letto il primo pomeriggio per essere sveglio la sera sul palco, le ore passate ad imparare a suonare il pianoforte ed i solfeggi effettuati in casa davanti ad uno spartito. Non me ne facevano passare una: quando arrivava mio padre e veniva messo al corrente che ne avevo combinata qualcuna, si toglieva la cinghia dai pantaloni e, per quanto scappassi, riuscivo a prendermi una bella dose di cinghiate. Potrà apparirvi strano ma non era il dolore ad inasprirmi, ma toccare la pelle arrossata e sollevata delle gambe. Non fatevi un’idea troppo severa del loro comportamento. Non me la sento neppure io di provare rancore. In fondo mio padre molte volte era gentile e non mascherava il suo orgoglio per il figlio primogenito. Ma gradualmente si infilò nella mia giovane testa la voglia di starmene il più lontano possibile e di cercare di non farsi notare.

Quando a Livorno (estate ‘40) si verificò il primo “leggero” bombardamento francese,  mio padre decise di far sfollare tutti noi in Sardegna, al centro dell’isola, dove vivevano i suoi fratelli e sorelle. Così, in un Settembre ventoso e piovoso del ‘42, partimmo per Civitavecchia ma, a causa del mare agitato, dovemmo pernottare. La sera prima dell’imbarco andammo a vedere La corona di ferro (allora mi fece impressione ma rivisto oggi l’entusiasmo provato si è  ridimenzionato). Ricordo ancora il viaggio: il traghetto era completamente oscurato e davanti navigava un cacciatorpediniere, grossa massa scura, con rotta a zig-zag.

La nuova permanenza non fu traumatica. Fra zii e cugini trovai una grande calore umano. In una regione rimasta indietro di qualche millennio, con servizi igienici allucinanti (le strade ricevevano a cielo aperto lo scorrimento delle acque nere), la vita era semplice. I miei compiti si limitavano ad andare a scuola, procurare la legna necessaria per gli usi di casa, contribuire a raccogliere erba edule per fare una minestra ed in seguito il latte per mia sorella (nata nel ’44), impresa difficile per la scarsità di distribuzione (file interminabili che con astuzia riuscivo a risalire per non arrivare a latte esaurito). In compenso ero libero, non più recitazione, solfeggio, lezioni di pianoforte. Potevo giocare con i coetanei ed attingere dalle loro biblioteche. In casa non c’ero mai. Mio padre, di stanza a Cagliari, lo vedevo raramente.

Era un paese strano: donne, quasi tutte col gozzo, vecchi affetti da tracoma, bambini e pochissimi uomini giovani, quasi tutti invalidi. La trebbiatura avveniva con metodi ancestrali, mediante una coppia di buoi con al seguito due grosse pietre di granito e il grano veniva ripulito dalla pula sollevandolo con le pale in alto e sfruttando l’azione del vento. I maggiori problemi derivavano dalla scarsità del cibo e dalla difficoltà nel trovare stoffa per farsi confezionare un abitino (un mio zio, ciabattino, riuscì a ricuperare un paio di scarpe da gettare e riciclarle in un soddisfacente paio di scarponcini). L’unica stoffa disponibile era lavorata a mano, di lana grezza, adatta per bisacce e per stendere sotto la sella degli asinelli. Mia madre mi ci fece un vestito per la cresima, che provocava un gran prurito, accoppiandolo ad un paio di zeppe femminili di sughero con laccetti di pelle di capra: come li odiavo, mi sentivo umiliato. Se vogliamo rimanere in campo cinematografico la mia infanzia ricorda molto quella di Antoine Doinel  ne I 400 colpi e in parte di Julien ne Gli anni in tasca, film che adoro.

Una mattina nell’estate ’43 fummo svegliati dal rumore di grossi automezzi (non ci eravamo abituati: in paese girava una sola auto). Erano i Tedeschi che stavano dirigendosi a nord per evacuare da un’isola strategicamente ininfluente. Il passaggio durò 48 ore e non ci furono violenze di alcun tipo. Durante la prima notte i soldati tedeschi furono distribuiti in varie abitazioni. A noi ne toccarono due. Erano giovani, con uno sguardo triste, Biascicando in italiano, ci chiesero il permesso di alloggio. Stavamo andando a cena e dividemmo con loro lo scarso mangiare ed essi divisero con noi la loro razione di pane scuro e di scatolette di carne. Vollero assolutamente dormire nel loro sacco a pelo in cucina e la mattina successiva erano già spariti, senza far rumore.

Ma di questo periodo potrei parlare per ore. Ho visto la Costa  Smeralda, priva di costruzioni e con i prati che s’infilavano nell’acqua di mare. Un trenino (tratta Chilivani – Macomer, cittadine non in India come potrebbe far pensare il loro nome)  che ricordava,  in peggio, quello  presente in C’era una volta il West, collegava il paese con il resto dell’isola. La locomotiva spesso si guastava durante il viaggio e i vagoni, semplici, provvisti di panche di legno ed olezzanti di odori di sigaro e pecorino, erano molto caratteristici. Comunque questa Sardegna, dagli abitanti orgogliosi ma gentili e laboriosi, negli aspetti più brutti non esiste più. Purtroppo ha perso molte belle tradizioni sia di ospitalità sia di confezionamento di prodotti tipici, specie alimentari.

Nel febbraio ’46, con un piccolo mercantile, mio padre mi riportò a Livorno. Fu un’avventura perché il mare era agitato e la nave non riuscì ad entrare nel porto di Civitavecchia. Portatasi a nord, sbarcammo, tramite trasbordo in barche, nel golfo di Talamone. Viaggio in treno disastroso (14 ore) per i numerosi tratti di ferrovia fuori uso a seguito dei bombardamenti. Dopo 3 anni e mezzo rividi i miei nonni materni e a loro fui affidato per proseguire la scuola media presso i Salesiani, unici a prendermi con l’anno scolastico così avanzato e localizzati abbastanza vicino a casa di mia nonna (ci rimasi sino alla fine del ginnasio). E poi era facile arrivare a scuola utilizzando i mezzi pubblici: bastava aggrapparsi ai contenitori avvolgifilo posti sul retro dei filobus. Fu un altro periodo di libertà. La mia casa era la strada, a contatto con coetanei e con i soldati americani di stanza in un campo recintato di fronte a casa mia. Alcuni erano gentili e sorridenti e, se anche ci scambiavamo poche parole, ci regalavano cioccolato e soprattutto qualche pagnotta di pan carrè, bianco, caldo e saporito, che ci scambiavamo fra tutti i compagni/amici che popolavano la strada. Eravamo soliti rifugiarci sopra i rami di grossi pitosfori che delimitavano il muro di una villa vicina. Le più belle letture le ho fatte su quei rami. Un coetaneo mi prestava opere di letteratura russa che, fra i rami, divoravo: non ne ero mai sazio.  Non mancavo mai di andare al cinema dell’oratorio a vedere soprattutto film di Tarzan o Western.

Nell’autunno la famiglia si riunì ma, essendo privi di abitazione, fummo ospitati dai nonni, confinati (5 persone) in una stanza. Non mi pesava perché stavo sempre fuori di casa e per studiare andavo in quella dei miei compagni di scuola. Il palazzo di mia nonna, vicino alla stazione, miracolosamente fu risparmiato dai bombardamenti: tre piani con scale ripide, buie (dopo aver visto La scala a chiocciola, salivo “molto” guardingo) e io stavo all’ultimo. Soffitta in comune con  gli altri inquilini e mia nonna depositaria della chiave. Ben presto cominciai ad aver bisogno di qualche soldarello che mi procuravo vendendo ai cenciai (robivecchi) tutto quello che vi era accumulato, senza badare a chi apparteneva. La vita da strada forgiò il mio carattere. Curioso e attento osservatore, imparai ad adattarmi alla solitudine, a fiutare aria di pericolo, a controllare il mio comportamento, a distinguere fra gli adulti quelli da scansare e quelli da rispettare, prestandomi a fare per loro piccole commissioni, a contare esclusivamente sulle mie forze e sulla astuzia che si andava affinando sempre di più, a combattere per farmi rispettare contro piccole bande di coetanei, ad osservare gli sforzi della gente comune per sopravvivere in un periodo in cui mancava di tutto.

Gli avvenimenti che più mi colpirono in quel periodo furono il referendum sulla permanenza o meno della monarchia, la tragica morte dei componenti la squadra del Torino, l’attentato a Togliatti. Per questo avvenimento si respirava in città una notevole elettricità. Fu la prima volta che ebbi una grande paura. A scuola feci amicizia con un compagno di classe possessore di tesserina di ingresso gratuito per due persone a gran parte delle sale cinematografiche cittadine. Entravamo al cinema alle 14 e, saltando da una sala all’altra, ne uscivamo verso le 20. L’estate, oltre che al mare, la passavo a pattinare (pattini a rotelle di legno) in un circolo della raffineria che si trova a Livorno. Pattinavo bene e venivo in contatto con molte ragazzine. Ma il vantaggio maggiore derivava dal fatto che il circolo confinava con un cinema all’aperto: bastava salire sopra un muro e ci si godevano tutti i film della stagione estiva. Ricordo di aver visto per molte sere di fila Sogni proibiti e successivamente L’uomo meraviglia con Danny Kaye.

Nel ’52 ci fu assegnata finalmente una casa popolare. Non avevamo riscaldamento, ma c’era tutto e, con mio fratello, ottenemmo una stanza ed un letto a testa (sino ad allora si dormiva insieme). Ci ho abitato sino a quando mi sono sposato. L’anno successivo, esame di Maturità Classica ed iscrizione alla Facoltà di Medicina a Pisa (avevo 18 anni ma ero un anno anticipato). Ormai ero sempre più libero, senza soldi, ma libero.
È il periodo in cui mi faccio dei veri amici con i quali sono tuttora in rapporto. Il primo lo conobbi al Liceo e mi introdusse nel gruppo di coetanei che frequentava. Stavamo sempre insieme e ne combinavamo di tutti i colori, quasi come in Amici miei, zingarate comprese. Spesso con rocambolesche camminate lungo un muretto fuori vista, con un gradino scivoloso a pelo d’acqua e sempre a rischio di cadere in mare, entravamo a sbafo alle feste estive che si tenevano ai Bagni Pancaldi, descritti da Virzì  ne La prima cosa bella.
Studiavo a casa del mio amico ed i suoi familiari ne erano ben felici perché ero uno capace di sgobbare sui libri e quindi  uno stimolo per il loro figlio. Furono loro a darmi il soprannome di Dedo. Fu un  periodo in cui riuscivo ad infilarmi, alla portoghese, in molti spettacoli che si davano in quel tempo. In uno di questi conobbi Ella Fitzgerald, ottenendone l’autografo (assieme a tutti i suonatori della sua équipe), che conservo ancora gelosamente.

Tramite uno della congrega dei miei amici, fidanzato con la figlia di un grosso produttore cinematografico, feci la conoscenza diretta di Franco Zeffirelli, le gemelle Kessler, Umberto Orsini, Bice Valori e Paolo Panelli, che gravitavano in vacanza a Castiglioncello.
È anche l’epoca dei viaggi (low, low cost): Spagna, dalle strade disastrose, in Lambretta, due volte in Danimarca (per avere il passaporto falsificai un documento). È bello essere liberi, ma è difficoltoso vivere senza disponibilità economiche. La mattina alle 7 partivo per Pisa con 25 Lire (un pacchetto di sigarette Nazionali costava 160 Lire) e con queste ci dovevo vivere tutto il giorno, dato che tornavo attorno alle 19. Assieme ad un amico e compagno di studi arrivavamo a Pisa presto ed avevamo il tempo  di sederci qualche minuto sul marciapiede del ponte di Solferino. Preceduto da una discreta salita era uno dei punti di passaggio delle operaie della Marzotto che andavano al lavoro in bicicletta. Con la salita non potevano abbandonare il manubrio ed erano costrette a lasciare che le gonne risalissero. Era uno spettacolo vedere tante gambe femminili (tipo L’uomo che amava le donne) e si cominciava la pesante giornata di lezioni molto rilassati.

Spensieratezza, voglia di vivere e di scherzare con tutti e su tutto. Come ho passato gli anni di Università credo che proprio non interessi a nessuno perché comune a troppi giovani che sono stati nelle mie condizioni ed hanno avuto le stesse esperienze e difficoltà economiche.
Alla fine del ’62 ebbi la mia seconda grande paura: scoppiò la crisi dei missili a Cuba  (Thirteen Days) e la possibilità di essere spedito d’urgenza al fronte (ma quale sarebbe stato?), in quanto sottotenente medico, mi ossessionò per tredici giorni.

Il ’64 fu un anno memorabile. In Agosto assieme a tre amici facemmo uno straordinario viaggio in auto sino a Capo Nord. Paesaggi, esperienze, conoscenze bellissime ed ancora ben impresse nella memoria. Prima di partire, all’inizio della estate, conobbi una ragazza, affascinante, con i capelli morbidi, lunghi sino alla vita, gentile, ma riservata che, invece di far parte della movida sui bagni, scartavetrava la vernice da una piccola lancia di legno e questo mi colpì moltissimo… Alla fine dell’anno, dopo una corte assidua, “mi ci” fidanzai e l’anno successivo la sposai e misi su famiglia. Ero cosciente che avrei dovuto operare un ridimensionamento della mia libertà, ma l’accettai di buon grado. Ero innamorato e mi sentivo completo in sua compagnia, e confesso che col tempo l’amore si è rafforzato. Oggi non saprei neppure immaginare la possibilità di vivere senza di Lei. Donna dolce e gentile, intelligente, dal carattere ferreo (origine tedesca),  mi sopporta da 46 anni. Oltre che moglie, è la mia consigliera, amica, capace di mettere un freno alla mia esuberanza quando supera i limiti, in grado di vivere con parsimonia,  eccezionalmente portata nell’allevare ed educare due meravigliose figlie ed attualmente… anche badante.

Chiudo con i ricordi non senza accennare ad una mia peculiarità, ormai persa. Dopo cena mi addormentavo prepotentemente e lo facevo nei posti più impensati. In viaggio di nozze la giovane moglie si spaventò molto perché non mi trovava più: mi ero addormentato sotto la doccia. Ma mi sono addormentato anche guidando motorscooters (dovevo viaggiare a torso nudo e cantare), in piedi in ascensore, pedalando in bicicletta, su un terrazzo sotto una nevicata, camminando e leggendo a voce alta mentre cercavo di studiare.

Rimasi militare per sette anni, poi entrai a lavorare in ospedale. Per necessità di carriera (e la prospettiva di un guadagno migliore) nel ’74 emigrai nel “mitico” Nord. In pensione dal ’94, ho potuto goderla per pochi anni. Dal ’99  malattie di ogni specie mi hanno reso la vita difficile. L’anno scorso mi è caduto il mondo addosso: sono emiplegico, scarsamente autosufficiente.
Mi scuso per aver riportato troppe date, ma queste sono indispensabili per inquadrare il mio passato nel periodo storico attraversato dalla nostra Nazione e fornire un quadro preciso a quanti sono nati dopo il ’60 o erano troppo piccoli negli anni precedenti.

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CARTA D’IDENTITA’
Nome: Goffredo
Cognome: Mameli
Data di nascita: 28 (vera), 30 (ufficiale) Agosto 1935
Occhi: verdi
Altezza: 1,65 (un tappo, ma non ho complessi e non porto scarpe dalla suola e tacchi “rinforzati”)
Segni particolari: evidente funzionamento del 25% dei neuroni originari

Risparmiatevi le battute sul mio nome. Ne ho sentite di tutti i colori ogni volta che vengo in contatto con estranei. Non sono “Suo” parente. Il cognome è tipicamente sardo: basta entrare in una chiesa locale e leggere la lapide dei caduti in guerra: ci troverai molti Mameli.

Guida per riconoscere il tuo “Santo” (in Paradiso), cioè il ritorno del Cavaliere oscuro che l’ignoranza oscurò, salvo esserne salvata


26 Aug

Ho sempre incarnato l’eleganza, e ciò è un (di)letto che trangugia il profumo, carezzando le donne con “equivoca” sfacciataggine, “falciante” da equino(zio). Sì, le ragazze che raccolgon la margherita con me rifioriscon in Primavera.

Ode a noi, uomini che imbruniamo nella Notte, fra polli arrosto che se “la” ridono, inconsapevoli della realtà agghiacciante in cui saran spezzati senza (con)doni e senza più Condom, a filo spinato e d’“erba”, sempre più (de)crescente di “Crescina” che smalterà l’alopecia androgenetica di “menopause” mentali sempre più “propedeutiche” per smarrir il pel(vico) che fu(ma), ora spelacchiati come capre che non furon educate al servigio del mio gregge ché, pastore di questa vostra valle di lagrime, consolerò le più belle da bellicoso “montone” e mi sdraierò poi montato dalla “lana” calda d’una sopra all’altra per una “tessitura” con tanto di “stiratura” e sempre più duro, alternando il fiato di trombe “incanalato” nella (corna)musa al “muso” di “pecorine”, con piroettante “cavalluccia” che un po’ ciuccia e un po’ sta a cuccia.

Sì, se Ian McEwan scrisse “Chesil Beach”, storia di due “amori” alle prime “armi”, non vedo perché Io, l’Altissimo Signore, non posso scrivere la sceneggiatura della mia vita, dal titolo “lunghissimo” e furbesco: “Sulla spiaggia astratta c’è il gatto che raccatta i ratti e li getta nel mare delle loro idiozie, ove affogheranno senza fighe ma con foga precipiteranno, da lì, sin nelle fogne, in cui saran poi spurgati dal purgante del mio It da Stephen King, essendo io Stefan’ il Re(galo) alle loro coscienze, che poco gradiranno e non più s’aggraderanno in codici militareschi da chi gradì ribaltar la mia gerarchia quanto, invece, nelle cosce delle loro mogli sarò milizia delle liquirizie”.

Sì, Batman è a voi, prendete carta e penna e leggete la sua biografia. Appurerete, con tanto di “diagnosi”, che Christian Bale è un sedicente mio imitatore, l’unico vigilante mascherato è il Falotico.

Mi scambiaron per Peter Parker, invece il mio “muscolo” avrebbe dovuto metterli in guardia. Perché, “motorizzato”, picchia e “suona” il cattivone, gli ruba il suo “culo” e se lo fotte nella “caverna”, “dandolo” in pasto a un cagnaccio e poi “intrattenendosi” con Catwoman, quella “purissima” e non la Hathaway, ancora troppo “insaponata”.

Sì, parlo della suprema, fottuta Michelle Pfeiffer, attrice “mobile” che, “scodinzolandola”, attizzava il Bat-tito in mezzo alle mie gambe.

Cardiaco, un infarto o qualcosa di non identificato che “schizzò” per Gotham City, ove la mia “vivacità seminale” seminò il panico fra chi sbiancò, stupefatto che ci fosse stato, finalmente, un pipistrellone che “lo” mise lì a tutti.

Sgommando da scarface.

Un fottuto figlio di puttana? No, un puritano che salva Iris dalla strada, e poi s’“angelica” nella biondona…

 

Firmato il Genius

(Stefano Falotico)

  1. Taxi Driver (1976)
  2. Batman. Il ritorno (1992)
  3. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)
  4. Scarface (1983)

Christian Bale è meno atletico del vero Batman


20 Aug

Qui, potete ammirare Falotico, cioè io, quando si “addome-stica”.

Eh sì.  Costui, il Falotico che tutto il Mondo conosce, è Uomo che fa un baffo a quel flaccidone di Christian Bale. Egli, “addominalizzando”, animalizza se stesso al fin di protendere per un’anima migliore che salverà l’umanità dallo sfacelo. Il suo respiro ansima nella Notte, in senso (a)lato.

 

Dizionario dei film 2012 – I migliori film dell’anno (“L’alba del pianeta delle scimmie”), parte prima


01 Aug

Prefazione di Stefano Falotico, il Genius, Travis Bickle 1979, nato per essere Lui.

Un altro magico journey nelle favole incantatorie del Cinema, nostro diletto supremo e convergenza delle più alte emozioni nel tenue sospirarle e vagabondo adorarle.

 

Un’immersione dentro la celluloide ad abisso dei suoi punti focali, nevralgici, fra tramonti di color alabastro “arrossito” nell’intingerci sui nostri pudori svelati romanticamente, sfocato spalmarcene come febbre divorante per attraccare focosi ai suoi polmonari respiri infatuati dell’immenso, fluttuante arcobaleno, “inghiottirli”, “incenerire” le angosce che ci turbano, veleggiar armonici nel sobrio “assopire” la realtà e mutarla a specchio dell’infinità mastodontica. Come artisti, “sofferenti” gioiosamente nei cunicoli del meandro esplorato, come ricercatori d’oro in questo tripudio di triste, spesso, cinica società che non crede più nei sogni, nella traspirazione onirica a “proiezioni” del grande schermo ottico, o forse finge di non vedere all’interno di tal stupenda, fotografica, dunque immortal profondità con quell’illusorio ma riprovevole senso pragmatico che a noi mai si accor(d)a.

 

Siamo noi i guerrieri dell’amore per l’Arte, e il Cinema rappresenta la montagna più sacra di coloro che protendon alla vetta della Passione.

Dei cieli a limpidezza estrema, a scarnire le nostre combattive anime nel “blob” esplosivo e stordente delle pellicole più suadenti.

N’afferriamo la “disomogenea” miscel(lane)a e inanelliamo prose a venerazione del suo ipnotizzante lirismo.

Come creature di un’altra epoca, “assoldati” al Dio Cuore, piacevolissimevolmente attanagliati dalle sue “morse”, e morsi, appunto divinatori d’eccelso.

D’estrema “unzione” che ci bacia, con delicatezza, d’angelico rinascerci a ogni nuova prodigiosa immagine, a innovarci col nobile fine d’arcuare i nostri lineamenti visi-vi nel “supplicare” altro goderne delle visioni, e innamorati, per sempre, del flusso madido d’intrecci sfavillanti.

 

Mercoledì 1 agosto 2012, 10:54

Ebbene, scoccan le ore a noi più intraprendenti, di palpitazioni emotive affilate come sempre di sogni “errabondi”, corroborati e dunque coloratissimi, talvolta, d’intrepida furia a noi più incarnata, scatenata e dalle “catene” slegata. Come scorribande nel “nitrato” di cavalli pazzi, irti in magnificenze nostre, dorate e ancestrali d’“ammaestrarci” solo a briglie sciolte, pittando le nuvole, anche gli umori “ombrosi” d’annuvolate tempeste caratteriali, mai di “cattedra” pomposa o “s(c)ibilante” (pres)untuosamente, ma forbitamente “crateriche”, in tenue “acquerello” che, pennellando “guasconissimo” d’una irriverenza solo nelle reverenze a noi più congeniali d’innata indagine delle nostre variopinte, pindaricissime, fiammeggianti anime, s’“arzigogola” come un dondolarci mesti e poi “mareggianti” nelle lagune veneziane da gondolieri contemplativi nell’ascetico nostro effonder la purezza acquosa d’una foschia via via più rallegrata ed erta, a cangiar i mutamenti oscillanti dei nostri cuori “arsi” dalle piogge o dai gocciolii d’appassionate immersioni stupende ove i raggi della solarità ancorata all’“accorarci”, appunto, di cavalleresco veleggiarci, ci svela in vortici mnemonici d’immagini già (sovra)impresse nei nostri cutanei bagliori di folgori fulminee, dunque profondi sotto l’appariscenza meno visibile ma di visibilio visivo, nel fulminarci di Bellezza.

Atrocemente vivi e fieri.

 

Passeggiai, di motivetto “serenetto”, stamane lungo questa città, tetra d’Inverno e desertica d’Estate, oggi ch’è vigilia d’Agosto, anzi no, è proprio l’1 del mese più rovente dell’anno, mese di spiagge “bikinizzate” per esibizioni “costumistiche” ove una bionda impiegata impiegherà mezz’ora solo per infilarsi nel “bagno”, “estatico” appunto degli occhi allupati di bagnanti già essiccati dal brivido di desideri furibondi, castrati da docili mani “ammogliate” per vol(t)ar la vista verso l’orizzonte tramontato dell’o(r)mone, al fin “taumaturgico” dell’ipocrisia “conciliante” con le nuziali “fedi” d’un anello al dito che ha promesso giuramento e ne ha irreggimentato la lussuria, nel caldo rifiorita, ma da sfiorir ché non riaffiori il maschio che eri, prima che t’evirò.

Sì, immagino la giornalista Elvira, stanca di discorsi “balistici” d’un Calcio che odia ma le mantiene il privilegio d’essere amata dalle videocamere “spioncine” delle sue maestose gambe di minigonna attizzantissima fra un goal e un’esultanza del “volpon” che ferma la cardiaca “serenità” d’un “tifo” molto “afoso”, (s)lanciato, slacciatissimo, “investigativo” a spogliar le sue calze, lì lì, indecisa se mostrar impudica il seno, pezzo forte, o “spezzettartelo” in due, tranciata in “monodose” di pareo “detergente”.

 

Al che, “violentato” dal desiderio riscaturito di gola bruciata dalla temperatura bollente, impazzisco, e decido, come il mio amico di (s)ventura Ismaele, il “mozzo” delle balene bianche, di sguazzar nell’Oceano spirituale d’elevazioni filmiche, forse per “tramarmi” d’intrecci “aggrovigliati” a un casto “cinturar” l’onor valoroso da coltissimo cinefilo, per dimenticare (per un po’, solo “istantanee”) le rive troppo “asciutte”, e navigar di perpetui, “abissali” tuffi, quasi quanto le nostre olimpioniche, “greche”, statuarissime campionesse dei “trampolini carpiati” e da me carpiti in stardust golosità più metafisiche.

Sì, Elvira ha un fisico che ti fa “tribolare” peggio del fisco, è una che se la vedi poi “fischietti”.

E, se ti deluderà d’un “No(do) reciso”, la fiaschetta sarà di consolazione per non esserti “assolato” con Lei. Non confidatelo, amo quella Donna, i suoi tacchi “depredaron” la mia virilità da “macho man” alla Kevin Kline, e mortificarono, “pietrificandomi”, il mio In & Out(ing) in zona “Onoff”, incerta e titubante se corteggiarla o esser avaria, “torpediniera”, del mio “modellino” da nautico in miniatura.

Sì, non merito la sua statura, e Lei non merita il mio cervello e il mio amor visceralissimo per il Cinema.

Perché il chiodo tu batterai, ma non ti schiodi dalla prima, più vera e vivifica infatuazione fastosissima, la Settima Arte, la più grande di tutte, poiché in essa convergono tutte le altre d’amplessi (s)fumatissimi.

Virtualità o realtà più nuda delle maschere carnevalesche di Elvira? Bugiarda della sua sensualità?

Sì, il Cinema mi salverà dalle sue grinfie, e “smalterò” le unghie del mio erotismo in un onirismo catartico.

L’importante, comunque, “ricordatelo” sempre, è unire appunto al “piccante” i neuroni plananti.

Mai platinati, semmai ci pattiniamo sopra, di gusto zuccheroso, poi malinconico, un po’ sal(t)ato. E molto saettante.

Tutto questo preambolo, un po’ “embolo”, per presentarvi il nostro nuovo “Dizionario dei film”, stavolta della stagione appena trascorsa.

 

Come ben sapete, l’anno scorso, io e Valerio Vannini, cioè Travis Bickle 1979 e Spopola, che io scrivo sempre con la “S” di Superman maiuscola, abbiamo allestito un vademecum di recensioni e “bizzarrie” che, oggi, ha trovato sovran diritto di cittadinanza alla Feltrinelli ed è acquistabile sul sito “Ilmiolibro.it”.

 

Tutto partì per affinità elettive, una raccolta entusiastica che “copia-incollò” le nostre opinioni su “FilmTv.it” proprio qui, su “Cinerepublic”.

 

Le potete trovare tutte in tal luogo, già, “guarnite” di clip, curiosità, filmati, locandine, poster trailer.

 

Perché dunque non ripetere la straordinaria, unicissima esperienza e imbastirne un altro, semmai ancor più grande, più completo, più articolato e anche più “ermetico?”.

 

Come sempre, c’avvarremo di “guest star”, le firme più autorevoli del nostro sito per dar voce un po’ a tutti, indiscriminatamente, come già avvenuto per il primo…

 

Ma esagereremo, eccome se remeremo.

 

L’imprescindibile, illuminato nostro M Valdemar  ha dato il suo assenso e la sua magia di “assenzio” per un “Non c’è due senza tre”. A cui, come detto, se ne aggiungeranno altri.

 

Anche il magnifico, titanico ROTOTOM fa parte dei nostri, i quattro moschettieri, quindi. Arditi e “arsissimi” nella celluloide, di spade incalzanti.

 

Sì, dunque vol(t)eremo su incantatori sprazzi e spaziali orbite filmiche, “mirati” nel vento e nelle memorie.

Capitani coraggiosi, cavalieri romantici e romanzeschi, Excalibur nostra per un Sacro Graal perduto, forse dalle inique “modernità” d’un progresso che sta schiacciando progressivamente, appunto, il magma favolistico delle eruzioni più intimamente “evolutive”.

 

Cristo, coi suoi fedeli, apostoli d’un terzetto via via ad allargarsi e prender forma e sembianze.

 

Recensioni quindi personalissime, perle come Atlantide sommersa da “dissotterrare” dall’Oceano, forse (ig)noto, e rifulgerle in tutta eroticissima, erculea, forzuta, energica, adrenalica robustezza.

 

Stoici combattenti.

 

E allora, come Gerard Depardieu/Cristoforo Colombo del capolavoro di Ridley Scott, 1492… La conquista del paradiso, eccoci qua, Io, e le irrefrenabili tre caravelle a imbarcarci per lidi di scoperte magnifiche e immaginifiche, col timon d’un Peter Weir che ci sprona soffiandoci nelle iridi d’ incontaminato idillio visivo e in noi fulgido.

 

Chi è M Valdemar? “Misterico” personaggio d’ascendenza lynchiana, il cui nome, forse, riveleremo più avanti, forse in una Notte tempestosa e solitaria, “nudissima” a confidarci chi (non) siamo, nell’autentico guardarci dentro e negli occhi.

 

Chi è ROTO? Questo genio cinefilo che, dal vivo, è più bello e sexy di Javier Bardem?

Avrete modo d’ appurarlo, forza, salite sulle nostre navi.

 

Miei prodi, noi lodiamo il Cinema!

 

E mi sembra, quantomeno doveroso, iniziare il viaggio con Valerio, mio mentore e raffinatissimo chef che ci fa gustare i film come pietanze prelibate quando apriamo la bocca, anzi no, il boccaporto e pranziamo assieme.

 

 

In una data indeterminata…

 

L’alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt

 

Will (James Franco), giovane scienziato, sta cercando di sviluppare una cura per l’Alzheimer attraverso la creazione di un virus benigno capace di riparare i danni provocati dal morbo. Quando la ricerca viene chiusa, Will decide di tenere con sé il figlio di una delle sue migliori cavie, lo scimpanzé Caesar. Ben presto, Caesar comincia a mutare a causa degli effetti del virus fino a divenire il capostipite di una nuova stirpe che dichiarerà guerra agli umani.

 

 

Il pianeta delle scimmievero e proprio cult non solo fantascientifico della seconda metà del secolo scorso girato da Franklin J. Schaffner nel 1968 e sceneggiato da Michael Wilson e Rod Serling a partire dal romanzo di Pierre Boulle, con il suo rovesciamento radicale della gerarchia uomo/animale e il bellissimo e inquietante finale pieno di apocalittiche premonizioni sulla stupidità del genere umano e le disastrose conseguenze che ne potrebbero derivare per troppa presunzione e sete di potere, è entrato a buon diritto nell’immaginario collettivo di intere generazioni di spettatori diventando un classico del genere per quel suo essere un thriller sociologico futuribile, ma allo stesso tempo anche una favola filosofica e politica che, ambientata in un domani ancora lontanissimo, parla però di un presente non tanto immaginario pieno di incertezze e di azzardi come quello in cui viviamo.

Il successo del film fu davvero planetario, ed era inevitabile che invogliasse gli studi hollywoodiani a sfruttare le ardite tematiche implicitamente suggerite fino a spolparne l’osso, inventandosi altri episodi intorno e creando di conseguenza una saga organizzata in ulteriori quattro capitoli fra sequel (L’altra faccia del pianeta delle scimmie, 1970) e prequel (nell’ordine, Fuga dal pianeta delle scimmie del 1971, vero e proprio anello di congiunzione fra presente e passato, 1999: Conquista della terra del 1972 e Anno 2670 ultimo atto del 1973) sempre più stanchi e ingarbugliati (nessuno dei quali davvero all’altezza dell’originale), finalizzati soprattutto a raccontare in quale modo si era potuti giungere a quel punto di “non ritorno” messo in scena con appassionato vigore anche visionario (magnifica la fotografia di Leon Shamroy) dalla pellicola di Schaffner.

Quando in America si è a corto di idee, si cerca poi sempre di ripercorrere sentieri conosciuti sperando di rinverdire gli allori correndo pochi rischi, e anche in questo caso ci si è provati a farlo (un po’ maldestramente per la verità) già nel 2001, Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie (diretto da Tim Burton), che si conferma un remake tutt’altro che memorabile e poco necessario, se non per un finale ugualmente inquietante e particolarmente indovinato, comunque insufficiente per riscattarlo interamente e dare un senso compiuto all’operazione di rivisitazione.

La crisi sempre più profonda degli studios, e il progredire delle possibilità offerte dall’evoluzione della tecnica computerizzata degli effetti speciali, ha poi determinato una nuova attenzione “commerciale” sul soggetto che ha generato nel 2011 questo L’alba del pianeta delle scimmie diretto da Rupert Wyatt, con il quale si è cercato di ritornare di nuovo sull’argomento in modo più personale e “realistico”, proprio mettendo in scena il prologo di quella tragedia con una sceneggiatura molto liberamente ispirata al libro di Pierre Boulle (o meglio a quello che tale romanzo poteva suggerire fra le pieghe), ma ben strutturata e credibile, scritta a quattro mani e con intelligenza narrativa da Rick Jaffa e Amanda Silver.

Pur rimanendo nel segmento minato dei blockbuster, il risultato possiamo definirlo un gradevolissimo ibrido fra divertimento e impegno che è riuscito a centrare pienamente entrambi gli obiettivi, fornendo per altro davvero nuova linfa a una impresa che io personalmente avevo immaginato (evidentemente sbagliando) persa in partenza.

Intendiamoci: niente di eclatante, ma l’intelligenza che il regista ha messo nel narrare per immagini questo “rifacimento inventivo” della Genesi della Storia, lo rende particolarmente interessante proprio perché, nonostante la contiguità tematica e di riferimento, Wyatt è riuscito a lasciarsi definitivamente alle spalle la sudditanza psicologica verso la serie originale, realizzando così un kolossal stimolante per più di un motivo (e soprattutto meno ovvio) che, proprio partendo dalle vestigia un poco arrugginite delle ultime precedenti puntate, ripropone spettacolarmente e narrativamente temi ormai in larga parte sfruttati e forse anche un poco usurati, ma rigenerandoli “a suo modo” e senza troppi timori reverenziali, non perdendo però mai di vista il “timone” che consente comunque di restare inequivocabilmente “dentro” la storia, anche se letta da un’altra prospettiva (anche temporale), un procedimento questo che finisce per rendere il film un prodotto certamente “commerciale”, ma di gran lunga più valido e interessante di quasi tutte le altre pellicole in circolazione e ormai tanto di moda a Hollywood, che hanno organizzato il proprio percorso narrativo come prequel, o reboot proprio per andare sul sicuro.

L’azione è infatti ambientata ai giorni nostri o giù di lì, e parla di uno scienziato, Will Rodman, che ha appena scoperto un farmaco che cura l’Alzheimer attraverso la rigenerazione delle cellule cerebrali. Ma quando uno degli scimpanzé da lui utilizzati come cavia riesce a fuggire, seminando il panico, il progetto va a monte e l’animale viene abbattuto. Il figlio dello scimpanzé, che ha ereditato un’innaturale attività cerebrale, viene adottato quasi come atto riparatorio da Will, ma l’intelligenza dell’animale aumenterà esponenzialmente con la crescita, fino a eguagliare (ed anche superare) quella umana, creando qualche grosso problema di contenimento.

Grande spazio è infatti lasciato proprio al mondo animale, il che potrebbe far pensare persino a un blando tentativo di provare a rinunciare – grazie alle nuove frontiere della teconologia – al ruolo una volta preponderante degli attori in carne e ossa, a favore delle sorprendenti “creazioni” digitalizzate delle scimmie (creature ibride, quasi “realizzate in serie” a opera di Andy Serkis e della Weta, che per la verità sono così perfettamente e realisticamente “(in)naturali” da far ampiamente rimpiangere – per lo meno a me – i più artigianali trucchi scimmieschi su attori in carne e ossa inventati da John Chambers per il film di Schaffner).

Il meccanismo del ribaltamento che punta alla collocazione dell’uomo in un contesto animalesco (e viceversa), vero elemento scioccante (e anche disturbante) di tutti i vari tasselli della serie, rimane evidentemente invariato anche in questo caso, ma rimodellato e vivificato da una ingegnosa riscrittura interna che prova (e ci riesce) a capovolgere ogni “certezza” precedentemente acquisita dagli spettatori (intendo riferirmi soprattutto a coloro che già sanno come nel prosieguo andranno a finire le cose), una condizione di sospensione incredula che crea una costante tensione che si propaga per tutto l’arco di un racconto che altrimenti potrebbe essere considerato persino risaputo, scontato e poco coinvolgente.

Come ci fa giustamente osservare Mauro Antonini su “Segnocinema” n. 172, nel vero e proprio gioco di ribaltamento interno del racconto fatto dagli sceneggiatori e dal regista, i ruoli dei due scimpanzé della saga originale (Cornelius e Zira) vengono questa volta volutamente assegnati a due “umani” (Will e Caroline) che sono però chiamati a svolgere le stesse funzioni narratologiche delle due scimmie (il riferimento è soprattutto al terzo titolo delle pellicole realizzate negli anni ’70) e nel fare esercitare loro persino gli stessi mestieri (scienziato e dottoressa). Nell’incipit per altro viene citato in maniera abbastanza esplicita proprio 1999: Conquista della terraanche se poi l’ombra sinistra della bomba si trasforma qui in una mutazione dei geni (lo sfruttamento di cavie animali per fare esperimenti in laboratorio alla ricerca di nuovi orizzonti per la medicina, un mondo di prigionieri vessati e “torturati” che, trovato in Cesare il loro capo, si ribellano in massa con il furore distruttivo dell’intelligenza acquisita, per sovvertire l’ordine delle cose e “capovolgere” le regole del gioco).

L’alba del pianeta delle scimmie si conferma quindi anche come un’opera che, grazie alla densità tematica e alla forza affabulatrice del racconto, è in grado di compattare e di fonderli insieme i tanti registri e i numerosi riferimenti evidenti, mai banali o superflui, usando come reagenti e catalizzatori, ingredienti tipici dei blockbuster come la suspense, l’azione e la spettacolarità ma con una capacità invero inconsueta, che è poi quella di utilizzarli nel pieno rispetto delle regole del settore, ma dominandoli e addomesticandoli in maniera creativa, senza però renderli una antitesi sostitutiva del cuore pulsante del progetto che forse fra le righe vuole essere anche politico.

E proprio grazie a questo insolito modo di organizzarsi e di sostenersi, il regista riesce a evitare gli errori dei suoi protagonisti umani, non perde il controllo della sua stessa creatura, non ne dimentica la specificità e la differenza ma, anzi, le coltiva (Federico Gironi, “Filmcritica” n. 508). Tematiche che spesso si muovono in sottotraccia comunque (è un po’ il destino delle opere realizzate per fare grandi incassi) e supportate da una espressività ridotta delle scimmie che, a parte gli occhi (severi, colmi di odio e di furore), non presenta poi molte altre differenze di “riconoscibilità” differenziata, ma che riesce a diventare una miscela esplosiva quando Cesare, il primate “emancipato”, evade dalla struttura che li imprigionava, portandosi dietro tutti i suoi compagni, e il gruppo, il branco diventa una inarrestabile marea che invade le strade di San Francisco, prima alla ricerca di altre scimmie da liberare, e poi di un luogo in cui esiliarsi momentaneamente per “crescere”, mutarsi definitivamente e passare finalmente al contrattacco. Una vera e propria tattica da guerriglia urbana insomma quella portata avanti con indignata consapevolezza e frustrazione dagli scimpanzé in cerca di riscatto e di “potere” dove, invece e per contro, i tentativi di repressione della rivolta incontrollata della specie da parte delle autorità cittadine, sembrano avvicinarsi con inquietanti analogie comportamentali a quelli messi in atto con analoga virulenza per contrastare e “domare” gli scontri di manifestazioni “libertarie” di ogni tipo in giro per il mondo, quasi che Wyatt intendesse lasciare spazio, fra le regole codificate dei blockbuster dedicati ai supereroi di turno, a qualcosa di più nobile e importante che tende a trasformare Cesare nella metafora evidente di uno Spartaco o un Che Guevara delle scimmie (ognuno con tutta la retorica che si porta dietro, ma con una novità importante e non secondaria: il “potere” che si trasforma da fatto politico in una questione di evoluzione mentale, oltre che di genetica modificata).

Ottima la tecnica complessiva del regista ed eccellenti gli avvolgenti piani sequenza che , soprattutto nelle parti più concitate, si alternano ad acrobatiche carrellate aeree che rendono dinamiche le scene: buona soprattutto la prova di James Franco che, nonostante le premesse fatte sopra (la probabile marginalizzazione degli attori prevista dal progetto), riesce a imporsi con la bravura del consumato interprete portando in primo piano la figura del personaggio a lui affidato, per altro ben coadiuvato nell’impresa da tutte le altre caratterizzazioni “umane” di contorno.

Come conclude proprio Gironi la sua recensione, a questo punto allora resta solo da sperare che l’apocalisse politica e sociale che la pellicola preannuncia inequivocabilmente, possa essere contraddetta in extremis da una nuova consapevolezza: quella che il personaggio interpretato dai James Franco riesce a intravedere, ma solo nelle ultime scene, e che non si tratti invece di uno zuccherino messo a bella posta per mandare a casa lo spettatore con meno nuvolosi presagi sul futuro.

 

 

(Valerio Vannini)

 

 

Un post di Stefano Falotico

 

Pittatevi nella Bellezza, non odiate! “Oliate!”


30 Jul

 

Inutile essere ipocriti, la Donna tinteggia i nostri cuori.

 

Quadri e Arte, donne felliniane da pennellare…

Incontri ravvicinati… 

L’uomo col vino rosso guarda il Sole, l’uomo col mandolino regala le rose, l’Uomo vero è l’Universo.

Il bambin paffuto sa il fatto suo, e “marina”.

Sulle note di John Lennon, con la colomba “pasquale”, balliamo con Picasso.

Quando l’Uomo, nel turbinio del destino, fra Eros e Thanatos, preferisce la “pittura”, per dar colore al Cuore.

Altrimenti, iperambiziosi, maniacali e accentrati solo al vostro benessere insaziabile, diverrete come il petroliere.

 

  1. 8 donne e 1/2 (1999)
    Una locandina che vale il caldo…
  2. Fuori orario (1985)
    La mia Notte s'”avventura…”.
  3. I mercenari 2 (2012)
    Nella vita c’è chi riesce ad amare sia Ronin sia “Stallone“.

(Stefano Falotico)

Al “pubblico ludibrio”: sette donnone-“mammone” con cui Mickey Rourke si “sganascia”


27 Jul

 

Ricordate: se tua madre frequenta delle amiche bagasce, tale lo è pure la “suora”, “sua”.

Sì, son tal e quale a Mickey Rourke, amo “griffar” il mio addominale, dominandole e “sgraffignandole” di “bilanciere” graffiatissimo che “soppesa” e calibra i colpi, su flessioni da ginnasta coi bicipiti “lipidici”.
Sì, mi “scarmiglio” in loro, scalpitando di alcol da innalzare di tutto tronfio, pettoral in fuori e in Lei “dentro”, di denti, “sbiancante”.

Voi, e le vostre famiglie litigiose, che han “imbottigliato” il Sesso nelle fiaschette flaccide del “bersela” tutta, da ingenui ubriaconi della valle “lieta” di lagrime.

Io amo l'”arma”, con cui stilerò questa “clessidra”, “erosiva”, del Tempo “temprato” in Lei.

Amo la Donna quando “sboccia”, anche sboccata o da “imboccar”, amo la sua maturità quando è “durevolezza”.

Sette sui quaranta che “lo” allungano sui trenta.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Mimi Rogers
    Da non confondere con un’altra formosa, Jessie Rogers, gioia di tutti i pornoattori.Qui, Tom Cruise ebbe il suo “avere”, il sederone e il “bel da farsela”, e s’abbeverò nel seno materno immenso, scoppiando in un “lattiginoso” aspetto da infante “etereo”.Da allora, non “lo” abbiamo più recuperato.
  2. Uma Thurman
    Adesso, è incinta.
    Vera mamma per il festicismo migliore alla Tarantino.
  3. Rachel Weisz
    Al Cinema, appena appare, tutti gridano “Quanto sei carina!”.Bugiardi, io “apparecchio” un “Ah, bona!”.Hai dei bellissimi occhi. Ma, più in basso, è ancor di più..
  4. Halle Berry
    Quando la mulatta rende la vita un “caramello”.Da cui la famosa Alpenliebe.
  5. Patricia Arquette
    Oggi non gira più quasi nulla.Non si può avere un grande culo per sempre.
  6. Shannon Tweed
    Anni fa, questa qui mi faceva “schizzare” dalla scrivania, ogni volta che m'”infilavo” nei suoi “sporchi” Dvd.
  7. Luisa Ranieri
    Non sa recitare, non sa parlare, non sa cucinare, non sa neanche vestirsi.Eppure, ogni Uomo, dinanzi a queste tette “sa(le)” come una “saetta”. 

“Into the wild” di Sean Penn secondo Stefano Falotico


26 Jul

 

Questa è la strada…

Ecco, questa è una recensione particolare che merita tutto il suo ampio spazio. Dunque, non la (re)legheremo in un compartimento “opinionistico”. Di sfolgorante “prima pagina”, la incorniceremo per i posteri, quando un Giorno, un bambino lentigginoso vorrà svezzarsi da tanto sconcio farneticare e approderà, miracolosamente, ai bordi incandescenti della mia Luce, illuminante come un falco notturno che “stuzzica” gli avvoltoi e poi “evade” nel Cielo con la refurtiva, a “ormeggiar”, nel suo canto omerico, sulle rive del Giordano, con la folla ad aspettarlo e “intonar” balli e “baccanali” fin al mattino, con l’ombelico della mia preda prediletta a “sciorinar” tutto il suo furore “sanguinario” nel nostro covo privato.

Sì, lo riprogrammano, la prossima settimana, su Cult, qual è.
Categoria a sé. La redazione di “FilmTv.it”, m’accorgo or ora che lo “ridimensiona”. Siam passati dalle incensanti, per tal capolavoro incessante, cinque, fulgidissime stellette, a un  “mediocre”.
Mah, qualcuno avrà manomesso il database in un “Gli ha dato di volta il cervello”. Una decisione, sì, rivoltante, inaccettabile.
Pretendo il ripristino.

Opere così nascono ogni dieci anni, non “mozziamole”, il valore non va mai, nemmeno per cause di forza maggiore, dimezzato, va eternamente apprezzato. Nella brezza.

Per circostanze diverse dalla mia “(in)solita” stanza, mi ritrovai in un posto ove ebbi accesso ai Dvd solo attraverso un lettore portatile di pochi pollici.
Quindi, ne ho ricordo (im)memorabile, in quanto incastonato nella sua “miniatura”, cesellato come i bassorilievi di San Petronio, ove potrete “leggere” la Bibbia senza comprarla al market del nostro consumismo pagano.

Il cavaliere oscuro è qui, fra voi, sorelle alzate le gonne, fratelli porgetemi un abbraccio, ho fatto breccia nei vostri biechi becchi, sì, ho “sbeccato” le vostre “perfezioni”. Le ho “discusse”, le ho affondate, dunque rifondate.

Sono qui, “esimi”, non mi biasimate più, eh?
Sono un Santo, sono Cristo con le corna in testa. Così va, così si “alza”.

Sulle note metafisiche dell’ipnotica “ballata” di Eddie Vedder (un Uomo che dovreste studiare a “Messa”), nella mia colonna sonora, vengo Io col mio Verbo.

Un ragazzo abbandona la società borghese alla ricerca dell’ignoto, del contatto con la Natura a sé “confortevole”. Una fuga, una trappola, un’utopia, una meravigliosa ode al lodarla.
Andrà malissimo ma avrà scoperto l’esplorazione, la coscienza. Senza i compromessi delle condizioni “disumane“.

Sì, bacio una ragazza, mi racconta di Lei, di come non ci sopporta più, di come l’ipocrisia s’è impossessata dei nostri vizi, dei nostri rituali “agiati”, di come sia “libertina” per non essere imprigionata.
E mi ricordo di quando gli antichi druidi immolavano il vitello nel regno del loro Dio barbaro. Scolpendo le loro facce di fango nella pietra grezza m’ancor tonantissima del Mondo contemporaneo, vera come ieri.
Di come Sean Penn era più Uomo di Marlon Brando perché aveva sposato, giovanissimo, Madonna.
Di come, la nostra religione si è rammaricata troppo presto e di come il Diavolo alberghi, malandrinissimo, nei vostri uccelli.

Questo film non va commentato, va ascoltato.
Incantatevi.

 

 
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. 3 giorni per la verità (1995)
    C’è più verità in questo film che nelle teorie di Freud.
    Che era un frocio, nel senso pessimo della parola.
  2. La promessa (2001)
    E se, invece, la ragione venisse dimostrata?
  3. Into the Wild. Nelle terre selvagge (2007)
    Fidatevi, siete quasi tutti pazzi.
    Io, verso le tre postmeridiane, mi alzo dal letto e mi “masturbo” il frigorifero.

David Lynch e le sue sigarette


26 Jul

 

 

 

 

 

L’altra sera son stato a casa del mio Maestro, Lynch David, e l’ho ripreso, di nascosto, “di sottecchi” e “alla rinfusa” in zona delirante-ubriaca, mentre si fumò una Chesterfield notturna.

 

 

Batman versione Che Guevara con la chitarra fra le gambe a sputar in faccia ai bambini con le carie e col catarro


23 Jul

 

Amo la mia lingua quando assaggia le “palle gustative” altrui.
E di carezzevol “lacché”, nella carrozzeria mia placcata di bronzeo “pudor” a “sudarli freddi”

Essere o non essere?
Meglio “scolarsela”, “erculeamente” al fin, “propedeutico”, dell’unica “dieta” per cui val la “valle”: la pace del corpore sano e “insanguinato” va guarnito di fiori nel mio prato, sulla letizia armonica di balli e feste nelle erbe verdeggianti del mio “arbusto”, bastion moro nel “castagneto” delle castane e bastimento di pugni ai falsi casti, da smorire e castrar!

Nella mia vita non c’è infanzia, non c’è adolescenza, ma ci sono infamie e tanta fame.
Infatti, nella mia insonnia su “uova bollenti” di fegato scoppiettante al pop-corn, son preda, mangiata viva, delle mie crisi, per destarmi in pien plenilunio negli ululati che sveglian l’impaurito vicinato.

Sì, col Tempo, dalle “elevazioni” mistiche son passato agli involtini, d'”origami” quasi sempre senz’orgasmo, ma di viaggi mentali per inveir sulle persone armata dei vermi che, contro di me, l’inerme, si sfogan come i peggiori urlatori, riempiendomi d’offese gratuite come le loro “marmellate” con le “puttane” dei loro “bordi”.

Sì, quando il buio m’assale e, di bramosie, oscura le chiarezze del mio Sole, canto al prossimo la sua zona limitrofa atrofizzata nel “trofeo” adorante del suo solipsismo scarnificante.
Per indurlo a confessioni che rammentino la demenza sua adolescenziale, or nascosta da un “pacioso” perbenismo di facciata nella “filigrana” senza un grammo di dignità vera.

Sì, l’imprenditore umilia l’operaio, ma da me lo prenderà in culo, proprio mentre si “spupazza” la Escort nel suo attico a lui “ittico”, d’innaffiarlo d’acqua “benedetta”.

Sì, m’affido a mani intellettuali quando il genio sono io che li “sovraccaricherà” d'”elettromagnetismo” manesco, perché è gente fredda che va “shockata“.
Pretendono che ti adatti al loro “latte”, ti redarguiscono con le “guarnizioni” e deridon il tuo “ano” per infilarlo “rettamente”.

Ma con me, il “loro” non attacca.
Sono io che li attacco.
Al muro. Col mio mulo che non ama le loro risa. Ma esige che sian picchiati nella rissa!

A un certo punto, l’idiota sobbalzò agghiacciato, e gridò: – Che sta succedendo?”.
Batman: – Succede che sei finito. Stavolta, non ti appellerai alle tue calunnie “leguleie”.Sarai appeso e spellato.
Fidati.
– Senti, tu non mi stai antipatico, ma citi Satana.
– Satana, vedi è qui che sbagli, mignottone, bello di mamma. Satana va eccitato.
– Tu non sai con chi stai parlando! Io ti spacco la faccia, “bimbetto!”.
– Tu non suggestioni più nessuno, perché sono un Uomo grande, grosso e libero, e ti afferro per il cravattino e ti fracasso contro il vetro, ebete!
– Tu non puoi farlo! Non puoi!
– Perché no?
– Perché il processo è ancora aperto!
– Non hai capito un cazzo, allora, Io sono la Legge!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)
  2.  Apocalypse Now (1979)
  3.  La zona morta (1983)
  4.  Il cacciatore (1978)
  5.  Per un pugno di dollari (1964)
  6. Dredd (2012)
  7.  Dredd. La legge sono io (1995)

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