Pochi minuti fa, Stefano Falotico è morto: ne dà notizia l’esorcista che lo ebbe a “cuore”, prima che svanì sottoterra nel Lovecraft
Eh sì, dopo trentatre anni di autoimpiccagione, l’Uomo migliore del Cristo pare che sia defunto.
La notizia, sconcertante, ha scosso appunto il Mondo intero che, appresa la tragedia, ha subito “recato” al suo recapito, Via dello Scarabocchio n. non so quanti finocchi, vari messagg(er)i di condoglianze, consegnati alla mia amante “filante”, di nome Filomena, da una commare non tanto secca ma grassa come Giuliano Ferrara, di cui vi citerò, da questo aldilà “tene-b-roso”, i più “sentiti” e a me vicini in questo momento d’ascesi delicata. Garantisco, “dall’alto dei cieli”, che la situazione è al momento sotto controllo. Infatti, San Pietro m’ha consegnato la “chiave”:
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Scherzo da prete: Falotico è schiattato in seguito a complicazioni causate dalla sua ero-t-ica complicatezza
Parlo in vece, e non invece (le veci), di Stefano, deceduto ieri Notte dopo un’inevitabile sciagura di decadimento psico-fisico. Ne rinvenni il cadavere presso un lago fangoso d’una periferia isolata in quel delle colline toscane ove pare che, dopo aver scovato il vero mostro di Firenze, e non il “povero” Pacciani, accusato ingiustamente, “entrò” in colluttazione con la polizia che voleva seppellire la verità. Uno sbirro, dinanzi a un Falotico giustizialista alla Charles Bronson, gli sferrò una pall(ottol)a letale e, dopo l’autopsia, il referto del “nostro” corpo, sterilizzato alla eyes wide shut, presentò vari punti “non chiari”. Questo il “bollettino medico”:
La ferita ha provocato un dissanguamento che un’infermiera, apprensiva, giunta sul “delitto” m’ancor sudicia, causa “sudarsela” col marito carabiniere sudista, asperse con del cotone idrofilo. Una filantropa da “Berta filava davvero”. Ma il sangue incontenibile s’accorse che non valeva vivere per un Mondo ove le infermiere sono delle drogate da siringhe, dette anche “cannoni del maritozzo”, non anestetizzate. E accettò quel colpo di “spranga” in totale donarsi a “lei” d’ultima spiaggia. L’infermiera, infatti, con “avvenenti” carezze massaggiò il rigor mortis di qualcosa di molto “erectus”. E urlò: “Beh, sarà morto, ma non è tanto molliccio! Che cazzone! Ancora qualcosa, di mo-l-to, mi può dare! Mi son intenerita in ambulatorio, aiutando i barboni a gettare le molliche, guarda come deambulo ora da dura, non sono una rammollita, sebbene ho le mollette ai capelli, questo pelo è ancor arzillo”.
Quindi succhiò…, “precautelandosi” di non addolorare però il suo “piacerino”.
Intanto, arrivarono le guardie giurate che quindi giurarono da garanti della “privacy”: “Carmela”, tale il nome dell’infermiera, “Pulizia è stata fatta. Ora, togliti dai coglioni. Lascia fare… a noi”.
Il capo dei capi, un mafioso “intimo” di biancherie da ex “intoccabile” affiliato alla famiglia Capone Al, consegnò la reliquia a Napoli per “posta ordinaria”, ordinando al parroco di tentare un miracolo in extremis da San Gennaro.
Il prete “annaspò” nel “blob” dei pus, disinfettò e “ovattò” fra un’ostia e una manina “morta” alla suorina “benedetta”.
Ma concluse il “rituale” in un mare di lagrime: “Non c’è verso, versiamo solo dei versetti”.
Quindi, fui consegnato a un cazzo d’ospedale fiorentino, ove mangiarono i rimasugli come una fiorentina.
Con tanto di vino dei colli, bevendo a collo le ultime “piastrine” del mio plasma.
Ecco, dunque, riassumibile il cordoglio in frasi da “posteri”:
“Mi spiace, mi piacevi”, “Era bono, ammazza, come mai l’hanno ammazzato?”, “Questo era da spararselo su un letto di chiodi”, “Che buco in pancia, peccato. Volevo il suo fucile nei miei buchi”, “Cristo di Dio, che Diavolo della miseria è mai questa porcata?”.
No, non sono morto. Posso mangiare una mortadella?
Non si può?
Invece sì.
Finale col “naso”…
Ai colloqui di lavoro, cari Pinocchi, so che siete “bianchi” bugiardi e “lo” raccontate di farlocche pose per ambire alla segretaria da “Balocchi”. Sono Lucignolo, non avrai nessuna scrivania, mio nero (ar)cigno
Arcimboldi! “Poeta” matterello meglio dei pennivendoli da mercato ortofrutticolo!
Egli tinse tele nelle sue pantacalze di “foglie morte” alla Mariolino Corso, piazzando capolavori “in corsivo” su suoi deliri “al pompelmo”, e fregandosene delle corse all’oro delle “limonate”. Egli privilegiò il suo orticello, senza l’orco ma orchidea selvaggia da Mickey Rourke di “mela” Otis “cotogna” senza Toto Cutugno, da italiano verace
“Lasciatemi cantare”, il pittore, già, canticchiava, mentre suonava la “chitarra” delle sue banane, sbucciando l’albume d’una bontà matura. Coltivata da (al)levatore dell’olivo al suo “ramoscello” di “pennello” che intingeva. Sì, egli “pennellava” quadri di suoi autoritratti con “pomat(t)o” nel suo pomo d’Adamo, e s’allettava con Eva, detta “La pescatrice”, ché di pesche era sua amante nel letto colorato d’occhi strabuzzati fra “pomate” e pomiciate con tanto di “Pomì” e salsa di “pompin’” al “serpentone”.
Arcimboldi non era da Massimo Boldi, odiava già i cinepanettoni, ma condiva le sue opere con dei “canditi”. E, per di più. “metteva il dito”, pastrocchiandole tutte. Egli se ne stropicciava, un Van Gogh ancor più erotico di feticismo da il mio piede sinistro su pene “palombella” alla Pelè. A pelle, un artista di pancia, di palle, fra i polli… costui pittava e “imbrattava” le imbranate, e dall’ampolla era Apollo per “appollaiarlo”. Arcimboldi non era casto e non apparteneva alle “caste”.
Oscar Wilde fu (in)castrato ma, dal carcere, sprigionò Letteratura “Silvio Pellico”. Nonostante l’inguaribile ferite a cui nessuna penicillina diede fine alla sua pena.
Egli, non scopando, impennò di più, sorvolando su chi volle che il suo non v(i)olasse.
Oscar dava fastidio perché era scomodo a chi non aveva più sogni nel cassetto, e cioè la società vittori(an)a degli anziani, anali tenzoni.
Oscar non fu un Academy Award, e mai accedemico, infatti, vinse un “premio”.
Egli salì pur se “scese” nel mondaccio in cui viveva.
Oggi, le cose non son cambiate. Dai una mano a uno e si prende il braccio, abbracci una donna e si piglia un gelato sapor “bacio”, poi ti (ar)rende la vita in bianco e nero come la stracciatella.
– Amico, sei uno straccio. T’ha stracciato i coglioni quella lecchina, vero?
– No, le stracciarono il contratto nell’azienda in cui “lavorava”.
– E che azienda del cazzo era mai?
– Non so. Me n’accennò Tempo fa. Se non ricordo male, è molto “ambita” per “far carriera”. Quasi tutte le politiche del nostro “governo” fan la “gavetta” lì.
Dovrebbe chiamarsi così…, sai, un’intestazione lunga, d’altronde quelle lì son “lungimiranti”, lo pretendono non solo lungo ma anche grosso per portagogli grassi… “Azienda ove lo zio ti dà lo stipendio se loro alzano l’aumento. Prima guadagnatela, poi te la riempirai di più”. Sì, in Parlamento, la Carfagna è la lasagnona per le “besciamelle”.
– L’aumento di che?
– Della minchia.
Al che, disgustati, io e il mio amico andammo a “pinocchieggiare” con Lucignolo alla locanda “Caldeggiamoci a vicenda con del vino da volpi per grappoli d’uva”.
E, senza Antonello Venditti, afferrammo una vecchia appassita, e gridammo: “Prendilo tu questo frutto amaro!”. Vogliamo rimanere dei “parassiti!”.
Al che, finito lo “show”, esigemmo il “dolce”.
Sì, un affogato per darci foga.
Si sa, la figa vuol il “fico”.
Ho detto tutto…
Di mio, m’accontento di una cotoletta. Se posso “impanarti” è meglio.
Vorace dissipatezza d’un lesto nelle brezze a sbriciolar chi non ti dà le briciole ma Giuda di baci
La mia cantilena è ostinata, io mal tollero, essendo lor “torello”, chi vuol sculacciarmi. Di mio, amo scudisciare e anche il cuscino. Il cuscino non è male, quando “accoccoli” le tue guanciotte belle rosate e, dopo tanta fatica, senza una figa scassacazzi, t’inabissi “precipitevolissimevolmente”, nel cullante Morfeo, “termosifone” del sonn(ifer)o. Come ti “legifera” Lui, nei suoi voli pindarici quando chiudi gli occhietti vispi e vivaci, neppure una sinfonia di Vivaldi.
Morfeo lo conobbi millenni fa, prima che Larsson scrivesse la trilogia “Millennium”. Sì, sono un millenarista, anche un millantatore. Se voi, piantagran(at)e, minate le mie mine vaganti, allora ascoltate Mina con le vostre “olivine” ascolane. Ho sempre “tifato” per Tonino Carino da Ascoli, e odio le “carinerie”. Perché son squisitezza, infatti mi chiamano “Sua Altezza”. A volte, quando do di “testa”, suono il “Re” minore di Caparezza”. E caccio dei “botti” alla Radiofreccia. Sì, mi ficco le cuffie e le sparo allo Stefano Accorsi più autentico senza una Casta Laetitia a distorcerlo dal Ligabue incazzato che sente dentro di sé su rovesciate alla Bonimba.
Il mio nome è Stefano, omonimo-martire di “Santo”, poco “Maxibon”. Sì, alla rivista dei puttanieri, “Max”, ho sempre preferito “Ciak”. Con tanto di provocazione alla “Ciappatelo qui, mio quaquaraqua”.
“Max” esibisce culi sodi in “pietra (a) vista”, di tutto il casellario delle “curve” pericolose.
Salvo pochi numeri, essendone un collezionista di “ossa”. Alla Ferilli Sabrina da mammasantissima, opto di sega per il “sedile posteriore” di Arcuri Manuela, da cui l’assonanza “Madonna che culo”. Un culo che si “sgraffignò” anche quel figliol di Garko Gabriel, attorucolo che in mezzo alle gambe ce l’ha come Golia Gabriella, scema da rucole e “insalate acide”. Insomma, a me Garko è sempre parso un eunuco che s’attornia di gnocche ma, “stringi stringi”, non c’è “nulla” là in mezzo.
Infatti, è sempre protagonista di “fiction” come Con onore e con l’onorevole, di Odore profumo maschio col mustacchio, di “capolavori” come Oltre alla tromba… di Eustachio, dammi lo “sticchio”. Sì, Gabriel è “come” l’Arcangelo, egli fa “ricchione” da mercante.
Non Shylock di Shakespeare, ma scemo da rosso di sera, spera che intanto sei solo senza soldi e in perizoma.
Fidatevi. L’altra Notte, ad esempio, ero alla prima “imperdibile” della sua interpretazione coi “fiocchi” di Cristina D’Avena. Nel “filmone”, Il cacciatore dell’acido lattico per guerre stellari fra le mutande delle “piccole” stelle, fa la parte del “portabandiera” dell’aviazione alla “fiamma”. Un ruolo in cui fa sognar le ragazzine fra le nuvole, col suo “broncio” su fisico da bronzo di Riace “rapace” e “cola a picco” nello “sciolto” (a me dà la diarrea…) in vesti(ti) astronauta che perde la bussola delle escursioni termiche, “calde”, delle sue ammiratrici a guardarglielo “alto”, e precipita al Polo Nord, ove gli orsacchiotti lo usano come pupazzo di neve. Sì, lo “investono” di “firma(mento)”.
Diciamocela, è una società d’imbecilli.
Ne ho sempre avuto coscienza. Per questo ottenni poche “cosce”. D’altronde, i “romani” divoran quelle delle pollastrelle, i romantici amano Michael Mann, i romanticoni, invece, Muccino Gabriele.
Vedi? Inverti il cognome e il fattore non cambia. Questa è una fattoria d’animali ove “c’entra” sempre ‘sto Gabriele.
L’origine del nome Gabriele deriva dal greco, e significa “Uomo forte”.
Continuo nella mia tesi. Più che forte, mi sembra uno che, se ce non l’ha, non va bene, se l’uccello è, comunque sia, va tagliato di forbici.
Sì, Gabriele non deve fornicare. Non vogliamo altra stirpe da costui.
Il mio nome è Stefano.
Spacco le befane dopo il 26 Dicembre.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico in quanto fallace di morte, falce di vita)