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La mia profezia s’è avverata: è davvero l’estate più bella della mia vita, ringrazio tutti, soprattutto il canale YouTube L’IMPERO DEL CINEMA
Sì, io e Matthew McConaughey di Dallas Buyers Club siamo la stessa persona. Lui si beccò una diagnosi, se non erronea, poiché l’AIDS ce l’aveva davvero, perlomeno molto superficiale. E, se avesse dato retta ai medici, sarebbe stato martoriato da farmaci sbagliati.
Lui, contrariato, imbestialito contro tutto e tutti, testardo come un mulo, disconobbe la diagnosi che gli fu effettuata con troppa superficialità e cavalcò la sua battaglia, in modo indomabile come un cowboy sul suo toro inferocito inarrendevole.
Con la grinta possente di un uomo in fin di vita che giammai però s’arrese.
Morì ugualmente ma riuscì a resistere più del tempo che gli previdero, non assumendo quella robaccia che gli prescrissero.
Sì, ragazzi, non prestate fede neanche alle previsioni del tempo. Tanto, semmai dicono che domani pioverà e invece vi sarà il sole.
Sì, ma sostanzialmente non frega un cazzo a nessuno se pioverà domani o stasera. Se pioverà fra un mese o fra un anno. Serve solo ai contadini che odiano la siccità.
Di mio, è una vita che il tempo atmosferico della mia anima viene e va come il sole che ora sta là e fra due secondi chissà. In fronte a te, no, stanne sicuro. Ah ah.
Ron Woodroof è uguale a me? Abbastanza. A me comunque fu commesso un pari errore diagnostico però di altra natura. Ho dovuto lottare con tutta la mia forza per dimostrare che avevo ragione io. E alla fine ho vinto la mia guerra.
Stanno accadendo davvero cose strane, assurde, ai confini della realtà. Cose allucinanti a cui non credono nemmeno i miei occhi ché, opacizzatisi per anni cupissimi negl’interstizi più tetri d’una mia dolorosa notte senza fine, stanno sempre più meravigliosamente rivedendo la luce. Come se dio, dall’alto dei cieli, m’abbia graziato, m’abbia perfino perdonato dei miei tanti sbagli e, come dico io, sbadigli, sì, assolvendo ogni mia distrazione, ogni mio trascorso essermi assopito in un narcotico, obnubilante incubo che adesso sta assumendo la grazia e l’armonia sconfinata di un sogno, appunto, falotico. Falotico è sinonimo di stravagante e bizzarro. Cercate sul vocabolario Treccani e ne troverete conferma.
Pochi giorni fa, son stato a Firenze in compagnia del mio amico Massimiliano Sperduti. Che bella giornata. Erano anni che non rimettevo piede a Firenze, la città rinascimentale per antonomasia, culla di poeti, santi e navigatori. Proverbio incarnato nei suoi dedali architettonici, raffinati quanto la sua Cattedrale del Duomo, e nella forza viscerale delle mie artistiche passioni invincibili.
Come il Cinema e la sua poesia immaginifica, come il romanticismo di un orgasmo trasognato, fantasticato e, semmai, non (av)venuto. Ma chi se ne frega. Gironzolo così, un po’ a vuoto e un po’ con la testa fra le nuvole ad Anzola, frazioncina di Bologna, riscoprendo e filmando antiche piazze e respirando nella mia anima la calma d’un pomeriggio assolato stupendamente malinconico, forse presto destinato a oscurarsi nello scroscio piovigginoso di altri miei dilemmi interiori, oppure illuminato nel frastagliato, soave malincuore ridestatosi, dopo tanto torpore, in una magica aurora.
Adesso, Andrea Bruno del canale YouTube L’IMPERO DEL CINEMA mi dedica un video.
Sono commosso davvero di cuore. Ogni altra parola di ringraziamento ho ad Andrea rivolto doverosamente in privato.
Ora, dopo tanto essere provato, sono solo… sinceramente stupefatto e incantato. Grazie mille!
di Stefano Falotico
Indietro nel tempo, DOPO LA MORTE e oltre, prima della nostra (ri)nascita
Indietro nel tempo
Bagliori intermittenti ed emozioni fuggevoli di un me che parve svanito, e or riluccica estasiato, bramoso di baciar il mondo nel suo ventre e mordere gli ardori che volarono via, immolandomi alla bellezza e a un’alta felicità sovrana, scevra dal dolore e riscaturita laddove pensai che l’avessi persa. Oh, vita perduta, anche in me temuta, ribatti scalpitante e rivivi in ipnotico ballo della mia anima festante, leggiadramente ancor amante, lucida come il più pregiato diamante, dissanguata e spolpata, adesso a fonti battesimali di me restaurato rinnovata.
Per tutto questo tempo, oh sì, scomparve l’estasi, il brio della leggerezza del vivere tramutò in mugugnante apatia, in borbottii melanconici di torpori glaciali si bloccò il mio cuore rattristato, e vanamente inseguii la felicità, perdendo il senno nella brace di sogni arsi, che si stan ridestando nella lor potenza però ancor fugace. Rinascenza, ricoglimi splendente ove d’anima poco suadente perii disamorato in languore ardente. Abbagliami di nuovo, vita, e suda con me in passioni che brucino di verità e soffice manto prelibato d’un tempo adesso sorpassato, nei suoi strazi scuoiato e così spossato. Qui or righermito in abbacinante, gaudente abbraccio.
Non so se mi crederete, ma questa è la mia storia, una delle tante che colorano il mondo anche quando vieni posseduto dal più spettrale grigiore, e moristi illanguidito nella nera vacuità dello stesso tempo tuo rimuginato, combattuto, dalla tua anima osteggiato, vilipeso perché t’arenasti ai più vili spregi, e sfregiato viaggiasti avvolto da fantasie vivide ma sempre inumidite nel loro bagliore dalla pioggia del tuo umore ruvido.
Ricordo che ero giovane, quasi bambino, appena adolescente, o soltanto sfiorato da quei dubbi acerbissimi di quando la vita appena nasce in nuovi passi evolutivi. Che ne so… avrò avuto quattordici anni.
E di colpo, come tramortito da troppa bellezza, troppo preso dalla mia anima freneticamente vogliosa di vita, paradossalmente la vita stessa respinsi, e abbandonai tutto, cullando le mie noie e le mie gioie in entropico far sì che veleggiassero nel mare dei sogni, dell’immaginazione più linda e anche notturna. Nel tepore segreto del mio giardino mentale, della mia anima rapace.
Forse, fui un figlio della notte, un’anima inquieta che scivolò dove la Luna sposava il buio, immergendomi nella sua carezza seducente, come mano di donna leggera ad accudire il mio lungo sonno o sogni pulsanti di furore. Di vita apparentemente rinnegata eppur così in me allucinatamente, splendidamente sprofondata… in un finto, faceto o profetico letargo illuminante.
Come se quel chiudermi, o forse rifuggire una realtà che m’appariva opaca, attutisse un mal di vivere perenne, nell’estasiante contemplazione gioivo, sbiadendo vellutato in un boato luminescente di fiorite, perlacee emozioni.
E riverberarmi nella candidezza più melodica del cuore, lontano dal frastuono, dal cicaleccio ciarliero, dal sesso e dalla carnalità animalesca, m’illuminava sereno e quieto. Lontano e distante, eppur vivo e presente.
Una purezza, così la definiscono, incendiante, uno stato quasi amniotico di sofisticatezza, un pianto strozzato, un grido lucido inghiottito dalle notti, bramose del mio cuore, ardimentose nello sciogliersi apparentemente immote in tanto sobrio lindore.
Come una spaccatura, in questa fratturante trappola ch’è la vita che, nel suo farsi, dirompente ti spacca in tanti pezzi, che afferrai in un piacevole, sì, delirar vorace delle mie taciute ansie, soggiacendo di gaudio e di letizia scalpitante in quella tempesta emotiva ch’era l’inizio dell’adolescenza fugace. Remoto, in una zona crepuscolare, in cui il tempo s’era fermato, addolcito nelle mie tempie e, inabissandomi con tutta la forza delle mie straziate viscere, sprofondandovi come ibernato, specchiato nel buio vivace, in una dimensione raggelante eppur così bruciante, vissi dischiuso nella tenebra ermetica della cauta pacatezza, degli anni murati vivi dall’eternità senza spazio del mio girovagarvi felice, poi triste, rotto, abbagliato da sogni lucenti, da avventure lontane dalla carnascialesca realtà così ricattatoria, mendace e borghese. Figlio delle mie stelle, di astrusa scelta, incomprensibile agli occhi altrui, così sciacalli e malati dell’ingordigia del voler saper chi sei, avvoltolato nell’astro nascente dell’inquietudine mansueta, perché v’è spasmodica tenerezza friabile, fragilissima, nel recludersi in qualcosa d’incantato e mistico.
E così tutto iniziò e pian piano nel mio mondo mi rifugiai…
Insomma, di me si può dire tutto, mi si può apertamente disprezzarmi e deridermi ma è oggettivamente insindacabile che ci troviamo dirimpetto a un uomo che non è tanto normale.
di Stefano Falotico
Elogio della follia, siamo troppo vecchi per morire giovani!
Uomini, diciamoci la verità!
Allora, state guardando o no la serie di Nicolas Winding Refn, Too Old to Die Young?
Macché! Voi bevete sempre il mojito in queste triviali movide.
Ebbene, pischelli, se Erasmo da Rotterdam scrisse L’elogio della follia, io dico che vi sarà sempre uno dell’Erasmus, forse Bill Mumy di un famoso film con James Stewart, che a Brigitte Bardot preferirà una mora di Bordeaux. E Bill Murray poteva sposarsi con Scarlett Johansson di Lost in Translation ma le disse solo qualcosa nell’orecchio, miei ricchioni, con estrema signorilità. Sparendo nel traffico della sua melanconia da volpone.
Ah ah!
Sì, Miles Teller in questa serie è un gigante. L’episodio 5 si apre con un’altra scena sconvolgente. Un ragazzo timido in minigonna, dalla sessualità discutibile o forse non ancora del tutto svelatasi, infatti costui si dichiara vergine, timido eppur svergognato, dichiara a un pornografo maniaco sessuale che vuole essere violentato “in diretta”.
E il pornografo, dopo averlo psicanalizzato, ordina a omaccioni con giubbotti da Village People di stuprarlo.
Agghiacciante.
Quindi, Martin/Miles s’intrufola nel sottobosco di questi uomini sporcaccioni ove forse, di cammeo invisibile, vi è anche Manuel Ferrara con qualche bagascia di Brazzers, oppure Marc Dorcel.
E qui ci starebbe una famosa battuta del mitico Paolo Villaggio.
La conoscete, no?
Credo, se non vado errato, come si suol dire, che al Festival di Sanremo del 1972, Paolo Villaggio disse al direttore d’orchestra Franck Pourcel:
– Sa, Frank, se fosse nato a Bologna, cosa le avrebbero detto? Che lei è il più grande pursel’ della città!
Cosicché, Miles si fa amici questi motherfucker viscidissimi, poi il produttore pornografico gli chiede se vuole girare una scena a luci rosse senza neppure la biancheria degli Intimissimi.
Miles pare che ci stia. Non oppone molta resistenza, lascivo, abbandona la sala da biliardo con le palline e, assieme a una stangona coi boccoloni e al pervertito producer cazzone, entra a passo felpato, di soppiatto, nella cameretta ove vengono filmati gli accoppiamenti dei bestioni.
Al che, il produttore è tutto eccitato, in quanto voyeurista irrecuperabile, la stangona già scombussolata poiché pregusta di accoppiarsi con Miles il palestrato ma Miles spiazza tutti e ammazza sia lui che lei in modo inaspettato.
Grande!
Sì, un folle mai visto questo Miles. Uno che sa cosa vuole dalla vita. Nell’episodio 1, ad esempio, una bella patatona gli dice che vorrebbe farselo subito e lui, dinanzi a quest’offerta a cui pochi uomini avrebbero detto no, appunto dice NO.
Lei, sconvolta, ci rimane malissimo. Non le era mai successo di essere rifiutata in questo modo. D’altronde è una bellissima donna, sebbene drogata marcia.
Miles però, senza battere ciglio, malgrado lei continui a insistere, la saluta e, sottovoce, la manda a farsi fottere in maniera spinta. Senza risparmiarsi in sottili prese per il culo.
Tanto che gli fotte? Sta con una diciassettenne che s’è fatto quando lei ne aveva 16.
E suo padre, un grandissimo William Baldwin, il messia liberale par excellence, anziché denunciarlo, gli fa pure i complimenti.
Come dirgli… ah, non so che fare con mia figlia. È matta, mezza schizofrenica, per fortuna sei arrivato tu a sbloccarla.
Sì, ragazzi perduti nelle vostre ipocondrie, non fatevi fottere il cervello da gente neo-romantica falsissima come Tiziano Ferro. Uno che, cazzo, lo guardi e ti sembra un tuo coetaneo, quindi apre bocca, cantando come un maiale scannato, e la sua voce pare quella di un vecchio di novant’anni col vinello.
Per non parlare di Ligabue. Leccaculo delle donne da competizione.
Uno di Correggio a cui io offro sempre e solo le mie scoregge. Un troione da bettole.
Ed evviva Laura Betti!
Tutto ciò, ragazzi, mi ricorda le parole sagge di quella buon’anima di mio nonno:
– Nonno, ma quell’uomo è disoccupato, non fa un cazzo da mattina a sera, sta sempre assieme alle donne mentre gli altri della sua età sono medici, avvocati e si fanno il mazzo, provando a educare i figli e a mantenere moralmente saldo il loro matrimonio.
Quell’uomo è una merda.
– No, affatto. Mi pare giusto che gli altri si fottano la vita dietro onori e gloria e lui invece se ne fotta.
È un uomo vero, non un ipocrita del cazzo.
– Nonno, ma che dici?
– Stefano, è così. Gli altri sono dei coglioni. Quell’uomo va elevato in santità. Va beatificato. Sì, sì, sì.
Anzi, sai che faccio adesso, nipote? Vado dal parroco del paese e gli chiedo se domenica può dedicare a quest’uomo una predica.
Se la merita.
di Stefano Falotico
Il sottoscritto intervista il grande Antonio Del Sorbo
Ecco una foto bellissima dal suo profilo Facebook.
DOMANDA numero uno e poi tutte le altre: la visione cinematografica coinvolge lo spettatore su un piano razionale-cognitivo o emozionale-sensoriale?
– Dipende da come si fruisce del Cinema. Per molti anni il Cinema ha avuto una valenza popolare. Era una valvola di sfogo per i fermenti anche rabbiosi che scorrevano sottopelle, per esempio, fra i proletari incazzosi che, nella Settima Arte più fantasmagorica, sublimavano le loro esistenziali sconfitte quotidiane, proiettando i loro sogni sul grande schermo e, a loro volta, come in un rapporto quasi parassitario ma vivamente simbiotico, esperivano da questi sogni la voglia di vincere ed emanciparsi dai loro grigi o turbinosi malesseri quotidiano-sociali.
Quindi, in tal caso il Cinema coinvolge lo spettatore dal punto di vista sentimentale.
Quest’anno, agli Oscar sono stati premiati perlopiù film che hanno assolto a questa funzione. Puro, ottimo Cinema popolare nella sua forma migliore. Basti pensare alla storia di amicizia di Green Book. Un po’ indubbiamente retorica ma comunque di pregiata, indiscutibile fattura.
Poi, ovviamente esiste il Cinema artistico più elevato. Come quello di Lynch o Cronenberg.
Che agiscono a livello razionale e cognitivo, svelandoci la nudità del mondo nella sua verità più freddamente realistica. Sì, Lynch è paradossalmente realistico anche quando estremamente metafisico. Non è mai retorico nemmeno nelle storie più semplici come Una storia vera.
- Il cinema deve assolvere anche una funzione pedagogica oppure deve solo rappresentare e non pretendere di educare?
– No, a mio avviso il Cinema non deve educare proprio a un bel niente. Questa visione scolastico-pedagogica è sbagliata. È adottata, che ne so, dai docenti di Storia che portano i loro alunni a vedere Salvate il soldato Ryan, faccio per dire, per far capire meglio ai loro studenti la Seconda Guerra Mondiale.
E invece non li portano a vedere La sottile linea rossa. Film ben più introspettivo delle spielbergate retoriche. Sì, di Salvate il soldato Ryan salvo la prima mezz’ora dello sbarco in Normandia. Per il resto è trionfalisticamente patriottico e falso.
Allora, a questo punto, è meglio leggersi, appunto, un libro di guerra. Pure questo ideologicamente schierato ma almeno privo delle lezioni moralistiche di Spielberg. Uno che quando faceva il Cinema che gli riesce meglio, cioè quello scacciapensieri, era molto più pedagogico, eh sì, di quando ha tirato fuori Amistad. Altro film palloso e bugiardo.
E ne vogliamo parlare dei genitori che portarono i figli adolescenti a vedere L’ultimo bacio? Ansiosi che i figli s’innamorassero della classica ragazza brava e in gamba?
Ma per l’amor di dio.
Un genitore sano e non bacato deve portare i figli, sin dalla più tenera età, a vedere un film con Edwige Fenech. Tanto il figlio è già più sveglio di loro e capirà che questo genere di film è una porcata. Solo allora, da sé si approccerà a Cuore selvaggio.
- Il cinema è il veicolo privilegiato per la visione di un film o anche i mezzi di nuova generazione (piattaforme streaming) hanno la stessa dignità?
– So che, se dovesse leggere questa mia risposta Federico Frusciante, mi brucerà la casa.
Ma io qui lo affermo e non lo nego, lo sottoscrivo, firmato in calce.
Lo streaming è meglio. Sarò più preciso in merito. Il Cinema inteso come luogo di aggregazione non esiste più.
Sono stanco di fare la fila, sorbirmi venti minuti di pubblicità e non capire un cazzo di un film di Woody Allen perché una buzzicona, al mio fianco, scoreggia e mangia la sua patatina…
Ah ah.
Invece, nell’intimità della propria casa, posso fumarmi una sigaretta. Per aggregarmi a qualcuno, ci pensa la ragazza che ora sto corteggiando. Con cui condividerò emozioni in compagnia…
Così è. La seduta è tolta.
- Quali sono le caratteristiche del genere noir?
– Il noir lo riconosci subito. Molti pensano, erroneamente, che in un noir debbano esserci per forza una donna seducente oppure un omicidio. Non è sempre vero. Femme Fatale di De Palma non è un noir, è un giallo hitcockiano. Così come Black Dahlia.
Gli spietati invece di Eastwood è un noir camuffato da western.
- Un grande regista esplora aspetti nuovi in ogni suo film oppure può anche riprodurre lo stesso prodotto?
– Invero, i grandi registi “parlano” sempre delle solite tematiche, cambiando solo le trame.
Kubrick, per esempio, ha sperimentato quasi tutti i generi, ma ha fatto sempre lo stesso film. Incentrato sulla follia dell’uomo collocata in ambiti diversi.
- Come si contempera l’aspetto commerciale del cinema con il non porre alcun tipo di paletti a una forma d’arte?
– Nella risposta precedente, ho accennato a Kubrick. Ebbene Shining, sul quale comunque io ho delle riserve, coniuga l’arte alla commerciabilità. È un film che puoi vedere a otto anni e rimanerne impressionato. E rivedere a ottant’anni per scoprire lati più profondi che da piccolo ti erano sfuggiti.
John Carpenter è maestro in questo. Infatti, lui s’è auto-definito un comunista-capitalista, eh eh.
Uno che cioè pensa alla grandissima qualità con l’occhio comunque al portafogli.
- Cosa rende un film classificabile come prodotto d’autore?
– Un film può essere anche un porno o un film orribile ma lo stesso d’autore. Perché, pur nella sua sconcezza o nella sua estrema bruttezza, è d’autore in quanto chi l’ha girato, ha adottato il suo punto di vista. Il suo sguardo.
- Lo spettatore è soggetto passivo o attivo dell’esperienza cinematografica?
– Lo spettatore è sempre attivo. Diventa passivo quando vede Sharon Stone in Basic Instinct e non si attiva qualcosa in lui di “coinvolgente”. Se è così, è passivo pure omosessuale. Ah ah.
- Negli ultimi anni le serie tv hanno via via acquisito un maggiore spazio. Ciò è dovuto a un aspetto di puro intrattenimento oppure si lega, magari, alla migliore caratterizzazione dei personaggi e/o al miglior sviluppo della trama in un arco narrativo più prolungato?
– Non sono un grosso ammiratore delle serie tv. Anche le più belle peccano dello stesso difetto. Dilatano la trama, con digressioni e scene inutili, per allungare il brodo. Quando era tutto più risolvibile e migliore se avessero cancellato parti, appunto, superflue.
- Il regista contemporaneo che ha maggiormente innovato il cinema e perché?
– Credo David Cronenberg. Prendiamo il successo di Black Mirror. Che comunque a me piace. Incontestabile il talento di Charlie Brooker. Ma non vi è un solo episodio di Black Mirror che non possa essere riconducibile alla nuova carne tecnologica di Cronny.
Grazie Antonio.
Intervista di Stefano Falotico
2019: Fuga da questo mondo di sogni che invero non più sogna, W Carpenter ed evviva il Genius-Pop!
E ora la sparo fenomenale!
Sì, mi piacerebbe essere eiettato dal Gullfire al centro della Grande Mela di questo mondo ghettizzante che esclude e dunque reclude, recrudescente, coloro che non si adattano facilmente ai suoi parametri fascisti e parafrasare, traslare questo celeberrimo incipit di uno dei capolavori del grande John Carpenter all’interno di tal folle società imprigionata, lobotomizzata fra le sbarre edonistiche di Instagram ove la regola basilare, adesso, per avere follower, anzi, con la s plurale che fa tanto unanime imbecillità poco pluralistica bensì omologata alla cretina grammatica scolasticamente più elementare per procacciarsi fan, cioè perfetti sconosciuti semianalfabeti a cui tu metti like e loro parimenti corrispondono di altrettanti cuoricini stupidi, recitando e declamando in piena notte, turgidamente cupissima e infettata dalla luna più barbaricamente tetrissima, con la mia voce narrante, un devastante monito contro quest’umanità a dir poco costernante e oramai sprofondata nell’idiozia altissima, cioè nella più miserabile, pusillanime, egoistica celebrazione folcloristica di manichini esibizionistici:
«2019: l’indice di deficienza non solo negli Stati Uniti raggiunge il 400%. Quella che un tempo fu la libera città di New York e l’umanità ellenica diventa il carcere di massima sicurezza per l’intero globo terrestre. Un muro di cinta di 15 metri viene eretto lungo la linea costiera di Jersey, attraverso il fiume Harlem e giù lungo la linea costiera di Brooklyn. Circonda completamente l’isola di Manhattan, tutti i ponti e i canali sono minati. La forza di polizia statunitense, come un esercito, è accampata intorno all’isola. Non vi sono guardie dentro il carcere. Solo i prigionieri e i mondi che si sono creati. Le regole sono semplici: una volta entrati, non si esce più».
Sì, una regola ferrea che non vale solo per Nuova York.
Una volta iscrittivi su Instagram, siete fottuti.
Ma soprattutto chi non s’iscrive appartiene di diritto anticostituzionale al mondo degli emarginati e dei vinti.
Sì, oggi per vincere e avere amici, peraltro virtuali e soltanto voyeuristici, dovete farvi cento autoritratti al giorno come dei pirla, inserendo i seguenti tag irrinunciabili:
#love, #photooftheday, #followme, #like4like, #instadaily, #summer e stronzate varie.
Sì, anche se sarete in pieno inverno al Polo Nord, anzi, al Polo Sud come in The Thing, se non volete rimanere soli come dei cani al pari di Kurt Russell e Keith David, guardandovi negli occhi, pensando… ci siamo salvati dall’omologazione che tutto assorbe ma ora che facciamo, c’inculiamo a vicenda, ecco, ficcate… la foto di voi sul cesso al buio con l’hashtag: #chicagodinotte.
Come in una celebre, pessima battuta di Pierino/Alvaro Vitali.
E vedrete che, pur essendo delle merde d’uomini, tutte le donne più fisicamente bone ma più vuote di un water di un albergo senza clienti, appunto, vi cagheranno.
Che bellezza di mondo, eh?
Come abbiamo fatto a sputtanarci così?
Quando è partito questo delirio escrementizio?
In quale superomismo becero da Essi vivono?
La gente non legge più i libri e pensa perfino che Il seme della follia sia una malattia genetica tramandata per colpa di un commento sbagliato.
Sì, oggi, se sbagli intonazione in un commento, ti arrivano addosso altri commenti molto nobili:
ammazzati, ritardato.
Oppure: sparati in bocca ché non sei Iron Man, seguito da #avengerssupercool.
In tale Fog crescente, in questo The Ward allucinante di morti viventi, fra questi Vampires ridicoli, in questo Grosso guaio non solo a Chinatown, mi tengo stretto il mio Distretto 13.
Il mio isolazionismo pop. So che mi accerchierete, voi, brigatisti della morte disumana, voi, edonisti con le vostre macchine infernali come Christine, voi bimbi insensibili da Villaggio dei dannati, so che le mie saranno le Avventure di un uomo invisibile, parecchio inviso, ma ci tengo alla mia “diversità” da Starman.
In un mondo senza più religione, io sono ancora fra quei pochi che si pongono dubbi teologici, cosmogonici. Ovvero se dio e il diavolo siano la stessa persona come ne Il signore del male.
Mi domando perché vivo e perché noi tutti viviamo così.
Mi domando se siamo solo dei Fantasmi da Marte di una società ridotta peggio d’un martire, alienata, disintegrata come ne La Fin Absolue du Monde.
Sì, è per questo che John Carpenter è uno dei più grandi geni non solo della storia del Cinema.
E questo libro, me ne frego delle vostre invidie, è forse il migliore, a livello mondiale, sul Maestro.
Compratelo e ricordate:
tu leggi Sutter Cane?
Ah ah!
di Stefano Falotico
John Carpenter – Prince of Darkness, la prima monografia in inglese sul Maestro scritta da un italiano
Amici, cinefili e non, continuano le mie avventure letterarie, istrioniche e flamboyant, nel mio stile corrosivo, quindi serio e puntiglioso.
Qualche giorno fa, avevo annunciato che assai presto del mio libro John Carpenter – Prince of Darkness, già regolarmente in vendita da mesi, nella versione italiana, sulle maggiori catene librarie, sarebbe uscita la versione internazionale.
Sapete che spesso faccio il buffone, esagero e vado fuori dalle righe.
Ma sono un uomo di parola.
Ed ecco qui la cover fronte-retro del libro.
Manca pochissimo e sarà sui maggiori digital store mondiali.
Insomma, il Falotico. Uno che mille ne pensa e che, a differenza dei chiacchieroni, lui sì che realizza, rende concreti i sogni. Aprendovi alla vita vera e a magiche visioni. La vita non può essere avere solo i soldi per comprarsi un visone.
Il Falotico, con calma da Jena Plissken e sorrisetto beffardo, è capace di passare dai saggi monografici a libri puramente erotici come Il diavolo è un giocattolaio.
Un uomo senza dubbio che ha il suo perché. Naviga fra montagne di celluloide, reinventa il Cinema, ricrea, ricicla come il miglior Tarantino, adora i romanzi di avventura e anche i noir, i film del grande John.
E, quando può, se può, va anche con donne di una certa rilevanza.
Un uomo dalla barbetta d’inconfutabile bellezza. A cui piace giocar con le sociali demenze per elevarsi oltre ogni superiore istanza. Con classe e rinomanza. Mica un uomo di panza. Ah ah.
Sì. sì, sì.
Insomma, un uomo carismatico come il miglior Kurt Russell.
Ogni Lee Van Cleef fascistone pensa di fregarlo e addolorarlo nella notte più buia.
Ma il Falotico non è uno che va giù facilmente, sgattaiola, restituisce il maltolto ai manigoldi e cammina, fischiettando.
Sì, gli si può dire tutto. Che si sia fottuto il cervello più volte. Potrebbe starci.
Ma va altresì detto che passeggia nel mondo con invidiabile portamento.
Sì, oltre a essere Kurt Russell, è anche Harry Dean Stanton.
Che MENTE! E giammai mente.
Miei mentecatti.
Dunque, attaccatevi ove sapete e accattatevelo ove va comprato.
Il Falotico non è mica un genio da quattro soldi.
È veramente un Genius-Pop. Un saggio che scrive i saggi. E questo è solo un assaggio. Ora, ci vuole un massaggio.
di Stefano Falotico