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Venezia 74. Il fascino e la vanità delle star, della mia “stella”


07 Sep

DI1RHIZXYAA0you

In questo Festival, abbiam visto sfilare bellezze e anche ignobili bruttezze, rimanendo imprigionati comunque dal loro fascino. Nella perdizione mesmerica di volti amici ma anche nemici, alcuni anemici. Sì, sangue colò nel film di Aronosfky e altre visioni furono meno sanguigne. Sanguinolento è Lynch coi suoi incubi pedissequi, insistiti, come una scopata fra Cooper e Diane interminabile sulle note di una ballad senza tempo, a ricordarci la carnalità metafisica delle nostre anime, sempre vivaddio, in avaria.

Io di fascino ne ho da vendere, tant’è che, quando vado in giro, per sbarcare il lunario lo vendo al miglior offerente, accontentandomi anche di 4 Euro pur di (ri)uscire, con quei miseri soldi, a comprare un caffè che, bollente, faccia ribollire la vanità perduta del mio cor(po) sussultante oggi in gioie e domani in tristezze. Molta gente, a proposito di miseria e miserabilità, vedendomi così (ri)dotto, mi apostrofa da lontano coi peggiori appellativi, che mi affibbia(no) in patenti esecrabili, frutto della loro ignoranza e irriconoscenza pusillanime. Mi diletto a burlarmi di questa gente, avvisando loro/essa che si è destinati alla decadenza e prima o poi ci s’impoverisce tutti. A me ha sempre dato noia e fastidio la “normalità”, questo macigno perentorio che l’oste della realtà, da ambasciatore senza pena, da chi non soffre le mor(t)ali pene, ti consegna in “dono” delle tue colpe e dei tuoi peccati, ricordandoti che anche tu sei obbligato ad “adattarti”, che termine… della notte… orribile, all’andazzo puttanesco collettivo.

Ah, i colletti bianchi… da quando nasciamo veniam afflitti dallo spettro mai elusivo della normalità. Cosicché tutti voglion (fin da) subito inquadrarti e sognano per te la vita “migliore”, quella che arrechi meno danni al prossimo, pia a una moralità di sconcia banalità, che non “deliri” e modestamente si attenga alle false competizioni, agli odi di massa, al pettegolezzo appunto vanesio, alle chiacchiere di una quotidianità verso la quale io, combattivo, mantengo un atteggiamento di purissima diffidenza, di (sos)petto e anche “peti” in fuori.

Rimango così, fra lo stordito, lo stolto e il mal(essere) mio tolto.

Sapendo bene che ho pene… da dare.

di Stefano Falotico

 

Patetica Hollywood


13 May

Il fascino patetico delle “star” di Hollywood: ove c’è un passeggino, non ci son io, Iddio!
A parte le passerelle, non me la passo sul “tappeto rosso”.

Ah, gli attori che tanto celebrate, a volte, son cerebro lesi. Amateli e disamoratevi di vita “reale”.

Io, alla regalità d’un paio di gambe mi do, offrendolo in sacrificio per gli orifizi. E le mie donne non son da “lusingare” con gioielli da orefice, ma sempre più fiche “inanello!” Brindando alle “stalle” fra dossi da “cammelle” e una mula col mulino e i cavalli!

Lo so, piagnucolando non andate pomiciando, e il selciato si fa bagnato ma non di “A” finale nel vocalizzo orgasmico. Effeminati! Notti in bianco, e poi domani c’è da imbiancare e penare senza il “pennello” colorato dell’Eros variopinto a “intingere”. Ah, abbiate pazienza, panzoni, io cadenzo un altro dipinto in una Botticelli e la lecco di seni “affrescati” con tutta franchezza che son freschi come le pesche della “tardona” Primavera.

Ah, Sharon lo era una gran figona e, quando spalancò istintivamente, al nostro basi(li)co seppe “inacidirci” per non inaridire le sue vogliettine. Sempre pimpanti in gonne svolazzanti, aperte e divaricate, oggi malandate in tuta da ginnastica sbracata. Lei beve il frappè, e nessuno l’è bignè.

Un caffettino mattutin’ e la Donna, che fu, è oggi amara, zuccherandosi talvolta con un toy boy, il quale stuzzica, attizza rizzo ove Ella leggermente arde e “la” arriccia” nel ricordare come l’erezioni accordava…

Abbiamo visto De Niro partorire “Giovannino” con Monica Bellucci, e sobbalzarle su tette co(s)miche per un baldacchino da “lettighe” archeologhe del suo professore da manuale d’amore. Poteva fargli da padre, ma Monica ha le mammelle più piccole del suo petto ingrassato. E preferì assumere il latte infantile del cinemino. Almeno, una bona cremina.
Scorrazzò di fisico senile per la Roma che fu c’era una volta in America. Ora, “Patria” di Claudia Gerini in Altare nel Sergio Castellitto sodomita fra gendarmi a “guarnire” la scudettata Ferilli prosciugata di troppo Tevere tirare-lupa, di fondoschiena per le fiaschette da buzzicone. Evviva Colosseo, l’Aristogatto! Forse, era Romeo.

Giulietta! A Venezia, alla(r)gano, con Venditti a cantar d’alta marea…

Willis, fra un’avventura e l’altra puttana, “accattata” al mercato rionale del suo hard die die dacci, sfila per Brooklyn col bambino sulle sue rotelle da cervello ammaccato e “spompato”.

Invecchiano tutti, tranne David Bowie, uno che dei bovari alla Ligabue se n’è sempre fregato.

Egli è uno e trino, Luciano invece trinca con Jasmine.

Nel “frutteto”, in quel di Bologna, un Uomo anomalo, cioè me, scherza sui delitti che avvengono nella società “fruttuosa”, in quanto sdrammatizza il crimine avvenuto a lui, causa compagnie cattive d’infingarda crudeltà.

E comunque va.

Gli altri lì.

Sì, la mia mira è infallibile, ne punto molte e loro mi puntano sulla Croce.

I punti di sutura sono esauriti, l’esaurito fu e ora ha risorse?

Mah, vedo delle ossa e poca “carne”.

Miro qualche gazzella e son “ganzo” ladro, appendendolo al chiodo, famoso giubbotto di pelle per l’Uomo che non deve chiedere mai.

Domani, sarà un altro Giorno. Speriamo di no. Continuando così, la Notte avrà gatte da pelare, nel senso “sfigato” del termine.

Nonostante “tutto” che “non ci sta”, tua sorella ci stette.

E il mio anche fu resistente.

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