In questa società, io riconosco le mie colpe, ammetto i miei sbagli e, come dico io, i miei sbadigli. I miei esistenziali assopimenti. Mentre molta gente censura, ricatta, boicotta e, con le intimidazioni, vuole piegarti al loro solipsismo, al loro egoismo, al loro arrivismo. Come vedete, posso fingere di aver accettato le regole ma, al solito, riacquisisco coscienza e mi ribello giustamente. Sono infermabile e vero, cari esseri falsi, bugiardi, mentitori che vi spacciate per influencer e mentori. Siete deboli e patetici. Vi leccate in modo vergognoso, vi appoggiate in modo schifoso.
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In mezzo alla cafonaggine sociale, cammino con estrema fanfaronaggine, sputtanando un po’ tutti ma soprattutto me, oltre il comune porcile pasoliniano
Evviva Lino Banfi, Rocco Papaleo e Diego Abatantuono!
Anni fa, fui coattamente quasi prelevato da casa e rigettato in guerra. E dire che fui attentissimo a seppellirmi vivo, gustando la mia trincea nel dolcificare una realtà che sempre conobbi a livello prettamente formale ma mai avrei immaginato che fosse così mortificante e agghiacciante in maniera tanto glaciale e abissale. Una società carnale in modo sesquipedale.
Sì, addivenni in tenerissima età allo schifo della cosiddetta realtà sociale, invero assai poco solidale, bensì pronta a renderti una vittima presto inculabile. Dunque, con meticolosa adempienza alla mia convinta estraniazione giustamente insanabile e malsana rispetto a un mondo d’uomini di panza assai malati nel cervello ma soprattutto in quello, anziché putrefarmi in tale immondezzaio di viventi prosciutti e antropofagi da repellere anche Hannibal Lecter, vissi lietamente pasciuto, nella mia anima giammai dissoluta, come Sean Astin della seconda stagione di Stranger Things. E ho detto tutto, ah ah.
Presto però fui preso d’assalto dalle bestie, io, uomo dantesco costretto a vivere l’Inferno di uomini infermi, cioè demogorgoni cagneschi, animali dall’aspetto antropomorfo che, senza necessitare dell’effetto speciale del morphing, in una parola, cattivissimamente mi morsero in modo lupesco.
Sì, mi chiusi da bianca volpe nel lieto mutismo e, dinanzi a questa realtà poco bella, bensì belluina, m’espressi in maniera afasica, distillando, da taciturno uomo ammantato di un’aura bergmaniana, telegrafiche frasi come se stessi digitando, sulla mia bocca, un alfabeto Morse. Eppure non demorsi. Sì, praticamente fui sfortunato come David Morse di Tre giorni per la verità. Incazzandomi, inascoltato, contro il mondo come Jack Nicholson de La promessa. Provai a latrare il mio dolore in ululati da licantropo ma m’accorsi che mi diedero la caccia per via della mia acustica, no, sensibilità troppo acuta e, stordito, stetti per fare la fine di Christopher Walken di The Deer Hunter. M’irrigidii, vissi profondamente ogni emozione interiormente ed esteriormente mostrai solo espressioni monolitiche da π – Il teorema del delirio. Fui accusato di essere Edward Norton di The Score quando recita la parte del tonto ma anche dello stesso Norton in Stone. Dire, cazzo, che fu colpa sempre di Norton, però di American History X, se mi lasciai andare come Edward Furlong. Le uniche volte in cui il mio viso fu espressivo più di quello di De Niro depresso, in Taxi Driver, avvennero quando risi a crepapelle, diciamo a squarciagola dinanzi alle battute disperatamente sardoniche e tristissime dello stesso de Niro in Re per una notte. E ho detto tutto un’altra volta…
Accendo la radio e sento Michela Vittoria Brambilla che parla di maialini. E chi sarebbero? Quelli che votano Salvini e poi usano la salvietta dopo essersi masturbati sulle sue esibite cosce da porcellona che, avendo fatto i soldi dopo essersela, pure (non) sudata, di saliva con tutti sfatta dopo che la offrì, specialmente cotonata, no, condonata, no, regalandola agli arrivisti saliti alla massima potenza e potere in lei su()pina, ora augura buona domenica, preparando manicaretti con tanto di salvia e rosmarino?
Forse, ebbe ragione Francesco Salvi con Esatto!
Sì, in chat su Facebook, senza preavviso, vengo contattato da ragazze che, per l’appunto di domenica mattina, vanno a messa e poi, segretamente, fanno le messaline. Ragazze in fiore, come si suol dire.
Giovanissime studentesse universitarie, laureande in Scienze dell’Educazione, che mi scrivono delle chiare provocazioni. Senza che neppure le conosca, mi mandano link di siti semi-massonici. Come no. Io clicco e noto che, posizionato in una zona strategica, v’è un tasto per sottoscrivere un particolare abbonamento da elargire a queste malafemmine che se la tirano da b(u)one.
Insomma, è come il contenuto extra del primo dvd di Basic Instinct. Se possiedi la chiave d’accesso, se hai in mano… il numero criptato, il maschio medio subito lì crepita perché vede costei nuda integralmente e tutta la sua vita da frustrato uomo della cripta, in un nanosecondo di eiaculazione precoce, viene… decriptata. Non so se lui venga scappellato, sognando d’inchiappettarla o rimanga solo economicamente inculato. Dovrei appurare. Ah ah.
Questa è tutta gente che dovrebbe crepare, altroché.
Poi, abbiamo quello che invece, non sapendo che cazzo fare a tarda notte, ti chiede se stai facendo sesso.
Tornando invece alla Brambilla, forse è meglio Demolition Man di Marco Brambilla. Per anni fui considerato Sandra Bullock di Miss Congeniality. Sì, ebbi delle cosce muscolose da calciatore e tutti gli uomini di palle vollero sbattermelo in culo sotto l’incrocio dei peli, no, pali, urlandomi di non rimanere fermo impalato, mentre le donne depilate desiderarono avere il mio pelo sullo stomaco. Andassero piuttosto a strofinare i loro panni sporchi per pulire la palla, no, la padella da/i altre besciamelle.
Sì, ma quale Stallone italiano?! Ah, che genia di pazzi, che orrida criogenia, mi sciolsi ma m’accorsi di essere più dotato di Wesley Snipes. Però gli altri sono rimasti piccoli e maniaci come Rutger Hauer de I falchi della notte. Abbiamo ancora Aldo, Giovanni e Giacomo. Con le loro battute da Poretti, no, da poveretti.
– Un film per cinefili.
– Portate anche i cani?!
Veramente, non se ne può più. Altro che il sito provato-privato. Questa è provatissima.
Al che, conosco un’altra. Sembra socievole, mi porta a spasso, sebbene se li giri tutti.
– Stefano, ieri sera me la sono spassata. Volevo provare esperienze nuove con uno. Ora, provo questo vestito. Secondo te, come mi sta?
– Ti calza a pennello, no, fa pena, ti sta come il cazzo. Direi quindi che ti dona/i tantissimo.
Conosco un’altra ancora:
– Ah, ma tu mi parli, Stefano, solo di Cinema. Io ho bisogno di calore.
– Guarda, ho qui il numero di un tecnico che ripara le caldaie. Deve aggiustare anche il termosifone? Arriva subito, in cinque minuti farà tutto. Ora, scusami, vado a mangiare le caldarroste.
Poi, la dovrebbe finire pure Ligabue. Un ipocrita mai visto. Canta di stare fra palco e realtà ma, sinceramente, io vedo che sta solo lui sul palco da porco.
La valigia? Quale? Il trolley che usa per i suoi ricchi viaggi da Tokyo a Milano con tanto di ricevuta di ritorno e soldi rubati ai fessi che compiace?
Ma quale The Irishman! Mi sa che farò la fine di The Iceman. Non in senso metaforico di uomo freddo, bensì d uomo che, per tirare… a campare, non essendo un assassino, dovrà ammazzarsi e credere all’altra puttanata del vostro Paradiso.
Posso farcela solo così. Sì, credendo che possa esistere un mondo migliore, consapevole però che non esiste più nulla.
La fine è avvenuta. Quella invece viene eternamente e tutti fa (s)venire.
E questo è quanto.
Ci vediamo domani, anzi, non vediamoci più. Meglio così, tanto tu sei brutto e io di più. Ah ah.
di Stefano Falotico
Il mondo è un licantropo, è mutato paurosamente e voglio raccontarvi tante storie, dalle più allegre alle più stoiche, dalle più tristi alle più strambe, forse son Rambo o Joker…
Quel che più m’importa è essere il pagliaccio di This Must Be the Place.
Racconto num. 1: un ragazzo troppo bollente riceve una freddura tremenda
Partiamo con le maschere di Facebook…
Chi più chi meno, tutti usano FB per dare sfogo all’esibizionismo spesso cialtronesco di questo grande, collettivo spogliatoio ch’è divenuto il mondo. Ove tutti millantano grandi doti e poi scopriamo gli altarini loro soltanto perché sbagliano chat…
Sì, a me successe più volte.
Tempo fa, un ragazzo che si professò nobile e già egregio, per (im)puro errore, chiamatela forse distrazione o momento suo ormonale d’una erronea erezione, eh sì, mi recapitò una foto alquanto sconcia di lui senza mutande.
Vi cliccai sopra, sebbene già in “piccolo” avessi notato le sue scarse proporzioni non solo mentali.
Sì, mi bastò osservarne la faccia da culo per comprendere che era un nano.
Dinanzi a me si parò qualcosa di sessualmente anomalo. In quanto fu indirizzato a me.
– Oddio, che figura di merda. Scusami, Stefano. Non prendermi per un puttaniere. Ho mandato a te questa mia foto delle parti intime, era in verità per la mia ragazza.
– Figurati.
– Ora, so che cosa stai pensando di me, ti prego. Non cancellarmi dalle amicizie. Ah, qui s’incasinano le chat, si accavallano più delle gambe delle vallette in tv. Ero sovrappensiero e ho allegato a te questa foto. Non penserai mica che sono un debosciato e un pervertito?
– No, perché dovrei pensarlo? Ti sei scusato e mi hai detto che era una foto rizzata, no, indirizzata alla tua ragazza. Significa che fra voi v’è molta intimità. Spero solo che certe cose tu a lei le mostri davvero.
– Sì, malgrado ancora a lei non abbia mostrato niente di ciò che si mostra solo a letto, non l’abbiamo ancora fatto. Anzi, le volevo mandare questa foto per farle capire che sono dotato. Stefano, oramai l’hai visto? Ce l’ho mostruoso?
– Non sono cazzi che mi riguardano.
– Guarda, ora per farmi perdonare, sai che faccio? Compro tutti i tuoi libri e dico alla mia ragazza leggerli accuratamente e di farti pubblicità su Facebook. Ok?
– E se la tua ragazza s’innamora, così, di me?
– Cazzo, non ci avevo pensato.
– Prima di lasciarti, devo dirti una cosa.
– Quale?
– Ieri sera mi ha contattato una tizia, dicendomi che è la tua amante, non è la tua ragazza.
– Ma chi? Quella? Ma tu dai retta a quella matta? È solo una puttana.
– E se io ora andassi a dire a questa qui, con tanto di screenshot, che le hai dato della puttana e mostrassi questa foto sempre a questa qui, che cosa succederebbe?
– Succede che mi sparo in testa, ecco cosa succede.
Racconto num. 2: il fenomeno pensò di prendere per il culo il mondo, sostenendo che se ne fotteva…
Sì, anni fa conobbi un tizio che mi disse quanto segue:
– Stefano, non me ne fotte nulla dei film e dei libri. Tanto, si può campare anche senza.
Tre giorni fa costui inserì su Google una campagna fundraiser con la scritta:
sono all’inferno, ho l’amministratore di sostegno, m’imbottiscono di farmaci. Aiutatemi, vi prego!
Ecco, dopo aver sfanculato tutti, chi gli darà credito? Cioè qualche lira?
Racconto num. 3: tutti risero di me, pensando che finalmente mi fossi risvegliato dal letargo e dunque credendo che sarei andato incontro a una devastante derisione, fu per tutti un’immane delusione
Uh uh che ridere.
Vai, ce la puoi fare, ah ah. Mitico, idolo, leggenda.
Sei Sbirulino, uno scemino.
Questa la natura delle offese.
Secondo voi avevano ragione?
Una tragedia.
di Stefano Falotico
JOKER – Purtroppo, a causa di politiche ragioni ideologiche, il film vincitore del Leone d’oro non vincerà agli Oscar
Sì, tutto ciò ha dell’incredibile e dell’agghiacciante.
Joker, dopo la strameritata vittoria al Festival di Venezia, pareva il contendente favorito agli Oscar.
Ora, secondo i sondaggi e le ultime, pilotate recensioni, per i soliti motivi politicizzati, è sceso vertiginosamente nelle quote degli allibratori.
Tant’è che alcuni siti, esperti in materia, addirittura l’hanno tolto dalla cinquina dei possibili pretendenti.
Su metacritic.com, la media recensoria è scesa fino al mediocre 58%.
Joker è un film scomodo, il film spartiacque troppo cattivo, senza retorica, cinico sino al midollo, che la fazione aderente a Donald Trump farà di tutto per distruggere.
Come sta già facendo. Inevitabilmente.
L’America non è ancora pronta a un Elogio della follia firmato, anziché da Erasmo da Rotterdam, dal signor regista, in tutti i sensi, Todd Phillips.
Una pellicola che rivela, ahinoi, l’atroce, oramai indubitabile verità che attanaglia la nostra società.
Una verità che si chiama paurosamente disagio.
Con questa parola però non mi riferisco esclusivamente alla psicopatologia debilitante che costringe Arthur Fleck all’impossibilità oggettiva, inesorabile d’essere normale.
Bensì, faccio riferimento a una gamma di significa(n)ti a più ampio raggio.
Un disagio allarmante di cui s’è ammalato il nostro mondo che si sta ramificando, come un morbo virale e apparentemente invisibile, come un roditore verme solitario, nelle nostre vite di tutti i giorni. Spellandoci nei cuori, nel coraggio spezzandoci.
Insomma, una psicologica ecatombe.
Perfino la gente che un tempo stava bene, i cosiddetti privilegiati, stanno dando di matto, confusi da una realtà ove ogni regola precostituita, ogni certezza data per assodata, ogni dì viene messa profondamente in discussione.
Un mondo ove tutto può essere capovolto in un nanosecondo dall’imperversare di nuove idee.
Alcune progressiste e veramente innovative, rivoluzionarie e vitalistiche, altre spaventosamente nichilistiche nell’accezione più cimiteriale del termine nichilismo.
Che fa rima con suicidio, con tragedia, per l’appunto.
Le persone schizofreniche non ce la fanno più. Per loro il percorso esistenziale è identico.
Durante le prime, pulsanti e veramente sentite fasi dell’adolescenza… ecco che comincia lentamente ma impietosamente calzante il distacco.
I ragazzi che ne soffrono avvertono l’intimo bisogno d’isolarsi poiché il dolore della vita comincia a battere troppo forte.
Si manifestano i primi sintomi psicofisici. Si sviluppano i primi, deleteri disturbi.
C’è chi evita il contatto fisico, chi preferisce le anime giapponesi a un mondo occidentale in cui i valori sono il sesso e i soldi. Ma ora pure in Oriente è così.
Oggi, Pasolini sarebbe un disadattato, sarebbe un barbone umiliato a morte, un povero coglione.
John Lennon sarebbe internato poiché considerato ritardato a scrivere canzoni che parlano d’amore.
E io, dopo l’euforia iniziale della mia momentanea, più volte avvenuta rinascita, non mi sento tanto bene.
Sverginarmi, tantissimi anni fa, è stata la prima presa di coscienza della mia totale alterità emotiva.
Da allora, infatti, è stato un manicomio.
Per molto tempo, debbo confidarvi che io stesso credetti di essere un vigliacco.
Mi persuasi che avessero ragioni gli altri e mi colpevolizzai.
Purtroppo, sono davvero un diverso. Non c’è verso.
Le tentarono tutte, io le ho provai tutte, sì, tranne la vicina del terzo piano, ah ah, ma non servì a un cazzo.
Prima fui un “pazzo” poetico, adesso non ho neanche più la mia pazzia.
Un detto psichiatrico è: togli a un “matto” il suo delirio e diventa matto sul serio poiché, per resistere al male di vivere, il delirio se l’è creato inconsciamente da solo.
Togli a me Robert De Niro, infatti non è che Bob sia giovanissimo, e la mia vita non ha molto senso.
Per quanto potrò andare avanti a vedere imbecilli che ballano come scimmie e si filmano nelle stories su Instagram?
Ma forse il mondo è sempre stato questo. Un posto orribile e mostruoso ove vincono non i migliori ma i più stronzi.
Anche se The Irishman vincerà l’Oscar. De Niro però no, lo vincerà Phoenix.
Per tutti è uguale.
Solitamente, si prendono le peggiori offese e stanno zitti, incapaci di reagire.
A un certo punto, quando sono già morti nell’anima, scatta qualcosa.
Ma oramai è troppo tardi sia per loro sia per chi li offese.
È finita per tutti.
di Stefano Falotico
IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI: Video-recensione dal libro di Jürgen Müller e tutto ciò che aveste sempre immaginato impossibile su di me e invece vi ho mangiato vivi
Nel video dico che Ted Levine è morto. Come no?
Più morto di così, si muore.
Muore pure in Heat. Ah ah.
Ecco, recentemente, ho vinto un concorso letterario.
Contenente un mio racconto, intitolato Un angelico miracolo. Facente parte di una raccolta antologica edita dalla Historica Edizioni.
Ecco, voi conoscete le regole dell’editoria, giusto? Ebbene, il racconto da me contenuto in questo libro non è la versione originale da me inizialmente proposta.
Io ho uno stile barocco, dantesco, arcaico e forse aulico. Uno stile che poco si addice ai canoni commerciali di quest’odierna cultura impostata sul mercantilismo.
Dunque, quelli d’Historica, rimanendo comunque ottimamente impressionati dal mio testo, mi chiesero di approntare al testo stesso molte correzioni al fine di rendere più fruibile a tutti il mio racconto. Mi domandarono cioè una versione, diciamo, più giornalistica e intelligibile da chiunque.
Dopo circa due ore, mandai loro una versione più semplice. Quella da loro pubblicata.
Ma voglio qui farvi leggere la versione, appunto, oserei dire primordiale, pura. Da me partorita nella reminiscenza dei miei cangevoli stati emotivi che sorsero, o meglio, rinacquero allora. Nel tempo e nell’istante (de)fratturante nel quale risorsi. Nella fonte battesimale d’una sorgente luminosa, riarsa in me, m’abbeverai.
Sì, questo è il mio racconto. Ed è per questo che, pur riconoscendo che Gangs of New York non sia un capolavoro, ne sono indissolubilmente, affettivamente, visceralmente legato.
La mia vita è stata contrassegnata dalla stranezza più imponderabile.
Segnali della mia rinascenza s’intravidero dopo il servizio civile. Perché in quel luogo, a contatto nuovamente con la realtà giornaliera, già i ricordi, in me assopitisi e offuscatisi in cupi, malinconici, quasi manicomiali anni di letargo psicologico e pseudo-adulta incomprensione altrui, cominciarono a far scricchiolare la parete stagna delle mie emozioni per immemorabile tempo raffreddatesi e seppellitesi vive.
È quella che in psicanalisi viene chiamata rimozione. Qualcosa deve avermi turbato, qualcosa d’ancestrale, cosicché la mia adolescenza giammai esistette appieno. Vagò ermetica di notte in notte nel crepuscolo delle mie ansie divoranti e lunatiche. Bruciacchiando in estemporanee euforie che sparivano però in fretta.
Da cui la sublimazione. La sublimazione avviene quando, per allontanare appunto qualcosa che inconsciamente c’angoscia, si sposta il campo percettivo-emotivo spesso all’interno dell’introversione solitaria.
I meccanismi difensivi della mente per difendersi da qualcosa che la perturba possono essere di vario tipo. Ci si può ammalare di manie igieniche, di rituali compulsivi al fine di sigillare il tormento esistenziale in tutta una serie di strategie comportamentali atte a proteggere il proprio secret garden.
Ogni stato alterato di coscienza non è qualcosa che si studi a tavolino.
Cioè, non è che uno se ne sta bello seduto e pensa… oh, adesso impazzisco.
Si diviene folli o ci s’avvicina alla follia per tutta una serie incalcolabile di reazioni e fattori.
Il novanta per cento delle persone affette da qualche patologia, una volta contagiate dalla cosiddetta malattia mentale da loro stesse indirettamente eretta e sviluppata, eh già, non ne escono più.
Si dice anche che siamo tutti matti. Soltanto i matti più ingenui vengono però diagnosticati matti. Gli altri, i falsi sani, rimarranno matti sin in punto di morte, forse avranno perfino ottenuto gloria, fortuna e successo ma non avranno mai capito, così come d’altronde neanche coloro di cui si sono circondati lo capiscono e capirono, di essere solamente, totalmente fuori di testa.
Pensiamo a Hitler, uno dei più grandi psicopatici della storia.
Lui nemmeno in punto di morte comprese di essere un mostro. A tutt’oggi, i filonazisti non hanno capito, appunto, così come non lo compresero i suoi fedeli, i quali gli leccarono pure il culo smodatamente, di essere personaggi da internare.
Anzi, al contrario pensa(ro)no che siano le persone normali quelle da bruciare…
Ecco il racconto…
Un angelico miracolo durante la premiere di un film con DiCaprio
Salve,
mi presento.
Sono un uomo di trentotto anni e amo definirmi un menestrello pindarico, un funambolico poeta dell’immaginazione perché in me la fantasia più alata regna sovrana e incontrastata. Sebbene il mondo, con le sue trappole ricattatorie e le sue regole mendaci, abrasivamente spesso ci costringa a barricarci nella pigra, grigia alterigia e nell’osservanza dei superficiali valori sol improntati all’apparenza più edonistica.
No, io ostinatamente, coraggiosamente ancor inseguo, ghermisco e fortissimamente, irresistibilmente bramo quegli spazi materialmente intangibili ma vividi d’armonico splendore del cuore mio più incandescente, predatore dei più sentiti, personali e squillanti amori. Ove il magma candido dei miei sognanti nitori possa spandersi al di là dei tetri orizzonti miserabilmente angoscianti della vita che è sovente tanto abietta nella sua tetraggine più meschina e scevra d’ogni infuocante, marmoreo, vitalissimo ardore.
E ancor non mi rassegno a dar le dimissioni dalla mia sfrenata passione per la venustà leggiadra del mio innato romanticismo puro, invero, ahimè, da tanti cinici osteggiato.
Ora vi racconto un’incredibile storia accadutami anni fa. Non pretendo che crediate sia vera, appare a me stesso tanto fantomaticamente assurda che i miei stessi sensi ancor increduli e perplessi di oggi vorrebbero respingerla, ma poi puntualmente abdico all’inevitabile verità eccezionale che a me, in tutta la sua magniloquente potenza, fulgida e roboante come un bacio d’angelo bianchissimo sceso dal cielo a illuminarmi, mi si para dinanzi tutt’ora con ipnotico, inesorabile, magico furore.
Rimembro la mia adolescenza spesso così tanto funestata da patetici lamenti, da un perenne, esistenziale tormento che, nella sua agonizzante, schiacciante, opprimente tristizia, mi soggiogava in stati d’animo d’insopprimibile malinconia come se fossi un fantasma vagante in un animo che, un po’ masochista, scacciava ogni spontanea gioia e ogni più lieta, naturale letizia.
Sì, ero immensamente depresso, tanto da chiudermi nel più assoluto mutismo. E avevo soppresso ogni slancio fieramente vitalistico, imprigionandomi in un ectoplasmatico cuore mio emozionalmente asmatico.
Ma comunque vivevo, altresì, di poderose passioni, come quella fortunatamente ancor in me furente per il grande Cinema più splendente.
Così, di buona lena, abbandonando momentaneamente le mie melanconiche, addoloranti inerzie, mi diressi a Roma, per assistere alla prima del film Gangs of New York con protagonista Leonardo DiCaprio.
Era l’11 Gennaio del 2003, sì, una quindicina di anni fa. Ah, come scorre celermente il tempo quando, adesso che superate le tristezze di quel mio paralizzante, emotivo spazio-tempo tanto a me affliggente, qui felicemente ricordo con nostalgia commovente quell’attimo miracoloso tanto infinitamente suadente. Dopo tante ipocondrie strazianti, il vigoroso attimo indimenticabile più lucente.
Sì, perché me ne stavo lì tra la folla osannante il suo beniamino e all’improvviso avvertii un lancinante intorbidimento dei miei sensi, cosicché fui prossimo allo svenimento più stordente.
Sì, l’ultima volta che in vita mia davvero ero stato spensierato e felice, avvenne molti anni or sono, molto prima di quella premiere.
Sempre a Roma quando, a pochi mesi dalla mia tribolata adolescenza, mi trovai nella bellissima capitale in gita scolastica. Ah, che periodo stupendamente ridente.
Si giocava, si scherzava, nell’animo si danzava squillanti.
Mai più, da allora, mi ero sentito tanto euforico e baldanzoso, robustamente, sì, orgogliosamente, vividamente adolescente e placidamente festante e pimpante.
Mai da allora più sentii in me scorrere la forza della vita più magnificamente sfavillante.
Non so cosa esattamente a Roma, lì, in quell’istante mi accadde.
Per molto tempo fui sentimentalmente arido e cieco ma finalmente udii rimbombare nella mia anima, com’irradiata dall’alto da un’illuminazione soavemente ardente, un brivido piacevolissimamente terremotante.
E tremai, dapprima impaurito da quel devastante fulmine emotivo piovutomi dentro l’anima turbata e di colpo rinvigoritasi in modo tanto bruciante che il mio spento cuore trafisse a ciel sereno in maniera meravigliosamente a me luminescente e tonante, quindi rividi il mondo con enorme chiarezza stupefacente.
Ero di nuovo vivo e innamorato del mondo.
Sì, così come se durante quella gita scolastica qualcosa di nefasto e misteriosamente inquietante mi successe e inconsciamente m’indusse poi a esiliarmi e a vivere sempre strozzato nella cupa nerezza della depressione più lancinante ma quindi, nuovamente ritrovatomi a Roma, per strano, non pronosticabile e imperscrutabile, fatale e sbalorditivo scherzo del destino, proprio lì, riscoccò in me la memoria del tempo perduto, il fulgore dopo tanto patito e perfino compatito, auto-ingannevole dolore. E risi fra lo sgomento, il terrore e il mio riagguantato, per troppo tempo smarritosi, sconvolgente amore.
Secondo me questo è stato un miracolo. Chiamatelo tenero, dolce, inaspettato e inaudito calore!
Io credo davvero che lo sia stato.
Tutto qui.
Ecco, vedete, credo che a leggere di quest’esperienza senza averla vissuta, si può rimanere indifferenti. E questa breve storia può indubbiamente apparire perfino banale e sciocca. E, ripeto, mai e poi mai pretenderò che possiate prenderla seriamente.
Io so che stentiate a credermi. E, per certi versi, come potrei darvi certamente torto?
Vorrei farvi credere che un semplice viaggio a Roma abbia in un nanosecondo cancellato tanta mia vita affaticata e affranta?
E che davvero dal cielo io sia stato prodigiosamente illuminato da una radente, angelica grazia a infondermi la scintilla vitale per immemorabile tempo in me offuscatasi?
Non so. Io ripenso oggi a quest’episodio con lucidità e puntiglio estremamente raziocinante e non addivengo a nessuna scientifica, chiarificatrice spiegazione logica.
Come mai però, in quell’interminabile, martellante intervallo di tempo, nella mestizia più sconsolante mi ottenebrai e, oserei persino dire, un po’ ingenuamente vagai fra umori così rabbuianti e una coscienza mia mai davvero di vita scalpitante, soffocato da continue, imperterrite, emozionali intermittenze? E poi, in un istante incantato, rinacqui?
Sì perché da allora, dopo quella mia visita a Roma, il mio cuore si rinvigorì di ritrovata e forse dall’alto a me ancor concordata, armonia e interiore, florida bellezza?
Questa è la mia verità e di verità, assurde, grottesche, surreali e allucinanti è fatto il nostro mondo, pervaso com’è innatamente e dannatissimamente da profondissimi e arcani, irrisolti misteri divini insondabili e addirittura perturbanti, davvero inquietanti.
Si racconta anche che Roma non sia stata costruita in un giorno ma poi si trasformò in un prosperoso, immane impero, che poi soccombette dinanzi alla sua tragica caduta e che, dalle ceneri del suo tristissimo disfacimento, in gloria e folgorata da nuova luce risorse come il mio stesso umore rivitalizzato di riafferrata temerarietà del cuore.
Ci avete mai pensato? Si nasce, si muore e si rinasce ancora, inseguendo altre abbaglianti, calorose aurore, con riscaturito, sfrecciante ardore. Fra altri sofferti dolori ancora bloccati dai nostri stupidi o vigliacchi pudori.
E a questo miracolo non credo ci sia né mai potrà esserci una veritiera, innegabile, realistica spiegazione.
Perché questa è la vita nel suo incedere tanto esoterico e strambo e noi siamo stelle viaggianti in quest’altalenante, incerto ma affascinante spegnersi e riesplodere dei nostri rinnegati e ritrovati amori, persi magnificamente in tale insistente, battente, eterno essere, fin alla morte, senzienti e presenti.
Figli del nostro inesplorabile destino.
Ma ora… Un antico proverbio dice che non c’è mai due senza tre. Quindi, vi chiederete se da allora io sia ritornato a Roma.
Sì, son stato altre volte a Roma. Ma non è successo niente.
No, posso dirlo in tutta sfacciata franchezza, non è il tipo di città in cui vivrei, è storicamente importantissima, architettonicamente un capolavoro vivente, ma è troppo frenetica, cinetica, caotica e frastornante per un tipo come me.
Che or riama la vita ma allo stesso tempo ama anche la paciosa rilassatezza sanamente inquieta di un’esistenza che vive nel suo appartato, tranquillo, più discreto cogliermi in ogni silenzioso e poi sonante, interiore rumore.
Ora, il mio cambiamento di personalità non è avvenuto a quel tempo, era invero avvenuto prima.
Sì, era prima che non ero io. Perché mi negai per sopperire all’ansia della vita.
Io non sono mai stato escluso da nessuno. Anzi, fin dalla primissima infanzia, hanno fatto tutti a gara per stare in mia compagnia.
La mia consapevolezza creò una spaccatura vertiginosa fra il prima e il dopo.
Ora, vi è tutto chiaro o devo farvi un disegnino?
Detto ciò, Il silenzio degli innocenti è un grande film ma il materiale che affronta in due ore è troppo vasto e complesso affinché io possa definirlo un capolavoro.
Ad esempio, di Hannibal Lecter ci viene accennato solo il suo passato nel gioco speculare dei dialoghi fra lui e Clarice Starling ma tutto rimane molto in superficie.
Così come la figura di Buffalo Bill. È caratterizzata con troppa banalità. Tagliata, è il caso di dirlo, con l’accetta.
Cioè, secondo Demme e lo sceneggiatore Ted Dally, Buffalo ammazza le donne solo perché le desidera ma non può averle perché in cuor suo sogna proprio di essere una donna?
No, è una conclusione troppo sbrigativa e, appunto, commerciale. Così com’è commerciale il libro di Thomas Harris che ne è all’origine.
Pur riconoscendo l’immenso valore de Il silenzio degli innocenti, è stato involontariamente il progenitore di tutta una serie di pellicole dozzinali e orribili sui serial killer.
Concludo così…
Da svariati mesi, un mio hater su YouTube continua ad accennare robustamente al mio passato per andare sempre a sollecitare il mio trauma superato. Nel tentativo di cristallizzarmi nella malinconia meno reattiva.
Poiché è troppo vigliacco per ammettere che, contro di me, ha perso.
Dunque, provoca in maniera anonima per indurmi a reazioni scriteriate tali che lui possa ancora una volta dimostrare l’assunto del suo insanabile, terrificante disegno criminoso.
Adesso, finalmente ci siete arrivati?
Il mostro è lui.
Vedete, quasi sempre la criminologia e la psichiatra sono scienze esatte, checché se ne dica.
Dai film, abbiamo imparato che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto per sincerarsi che il suo delitto sia stato perfetto.
È proprio questo suo vizio a smascherarlo. Dunque, traslando questa sua procedura mentale, era ovvio che prima o poi sarebbe tornato dal sottoscritto, sebbene in forma “invisibile”, per provocare ancora. Io e lui vedemmo Il silenzio degli innocenti per la prima volta assieme quando eravamo molto piccoli.
Io sono cresciuto, lui no.
Manhunter è un film superiore al Silenzio degli innocenti. È un film struggente e straziante.
Alla fine di questo film sentiamo la frase: ce l’hanno fatta quasi tutti.
Ora, che significa?
È materia pasoliniana, questa.
Dente di fata è un diverso, cioè la sua atimia gli ha impedito di vivere una vita cosiddetta normale.
Al che incontra il personaggio interpretato da Joan Allen. Anche lei è diversa. È cieca.
Sono due solitudini che s’incontrano, che si amano con dolcezza infinita.
Però, dobbiamo considerare ciò. Ecco, Dente di fata nel frattempo era diventato “matto”, al che scorge un attimo, un bagliore di luce attraverso l’amore disinteressato di una donna per certi versi simile a lui. Se n’infatua.
Ma è soltanto un fuggevole istante, un battito cardiaco subito infartuato dal ritorno potente dei suoi demoni dostoevskijani.
Un’illusione.
Stamattina, ad esempio, ero in macchina e ho ascoltato la speaker tessere le lodi della cantante Elodie, dicendo… ma avete visto quanto è diventata figa?
Ora, a me Elodie non piace né come cantante né come donna. Ma devo ammettere che ha subito una metamorfosi piuttosto sconvolgente. Agli esordi, era timidissima, impacciata, molto chiusa.
Al che, i produttori discografici devono averle detto:
– Elodie, guarda, la tua voce per la musica italiana e per i gusti medi va molto bene. Però, dobbiamo vendere. Tu devi diventare più figa e più sicura di te. La gente nota subito, a prima vista, se una persona è debole.
Devi cioè saperti vendere.
Torniamo dunque a Pasolini. Al solito, aveva ragione.
I genitori di oggi, di conseguenza la società attuale, non è vero che si preoccupino della vera educazione dei propri figli. Sono interessati soltanto che appaiano belli e forti. Cioè che siano delle merci.
Da questo plateale inganno nasce tutto il disagio a cui stiamo assistendo.
L’uomo, così come la donna, non sono nati per essere degli animali imborghesiti.
È la nostra anima che ci distingue dalle scimmie, il cui istinto predominante è il senso dell’animalità.
Ciò che la nostra società pare che stia trascurando. Saranno sempre di più, quindi, quelli che non ce la faranno. E si ammaleranno.
Tornando invece a me. L’ignoranza è cattiva consigliera. Dunque, se uno si “ammala”, gli altri pensano che stia facendo il furbo per non andare in guerra e lo definiscono pure coglione. Debbo ammettere che molti anni fa sbagliai. Non dovevo reagire alle provocazioni, facendomi del male. Dovevo fare come Al Pacino di Scent of a Woman quando il cognato scherza oltre il dovuto. Al, all’improvviso, pur essendo cieco, lo afferra per la carotide e lo sbatte contro il muro.
Chi sono oggi? Conan il barbaro mi fa un baffo.
Sì, oramai mi son indurito anche troppo. Potete scaricarmi addosso le peggiori offese, le più cruente reprimende e, anziché indebolirmi, diverrò sempre più forte, più veloce, più devastante.
Allora, il demente impunito persevera: ah ah, ti vedrei bene come Fantozzi e impiegato del catasto. Ah ah.
No, mi spiace deluderlo. Io sono un poeta. Gli farò pure schifo ma Fantozzi è suo padre che lo ha educato male.
Sono molto cattivo quando voglio.
Suvvia, andate a preparare il pranzo.
Ah ah.
Sì, ho attualmente un solo punto debole, la Kryptonite. Per forza sono o non criptico?
Ma che volete decriptare?
Ah ah.
Lo so, sono insopportabile. Mi pare ovvio. O no?
Ora, Superman è un personaggio della fantasia. Il Genius-Pop è reale.
Sì, sono anche assai solidale. Ogni sera vado a cenare assieme al Joker.
di Stefano Falotico
Mi chiamano Bulldozer e mi spiace per gli idioti bulli a dozzine, dozzinali, bestiali e scaduti, da me abbattuti fortissima-mente
Viviamo in un’era di bulli, di provocatori ridicoli e risibili.
Questa situazione tragicomica, quest’eccidio psicologico è figlio dell’ignoranza generale o forse dei soliti facinorosi caporali bravi soltanto a parole ma, in verità, culturalmente assai modesti? Eh sì. Anzi, per loro vedrei bene un processo per direttissima con tanto d’inevitabile arresto.
Ah, m’illusi che il mondo, soprattutto italiano, fosse cambiato, si fosse sanato e fosse cresciuto, ma fu soltanto un grande sogno che, dinanzi alla realtà misera e minuscola, oggettivamente inconfutabile della tristezza odierna, dell’incurabile disagio socio-psichico attuale, vivo e vegeto più che mai, dirimpetto a questi pullulanti nuovi fascisti arroganti e orgogliosamente superbi e in pectore, s’è dissolta come neve al sole ed è stata polverizzata dall’obiettiva mia presa di coscienza che, purtroppo, l’Italia soprattutto, eh sì, è gravemente malata.
Una malattia mentale contro cui i giustissimi j’accuse di lungimirante gente come Vittorino Andreoli può poco. Un’Italia e un mondo mostruoso da cui ci mise in guardia profeticamente Pier Paolo Pasolini ma che la cultura cosiddetta moderna non ha voluto ascoltare né prestare fede. Continuando ottusamente per la sua strada animalesca, coercitiva, appunto ricattatoria e brutale. Forse solo puttanesca.
E ora possiamo solamente, sconcertati, osservare lo sfacelo generale, l’orrore da Apocalypse Now che questa cultura bellicosa e guerrafondaia delle dignità altrui ha immondamente generato, partorito e perseguito con fiera, oscena ostinatezza per colpa della sua rissosa spietatezza, a causa della sua irreparabile immondizia.
Perché l’Italia è paragonabile a colui che in psichiatria viene definito un not responder.
Ovvero un paziente che non risponde a nessun tipo di terapia possibile.
Incapace cioè di avere consapevolezza della sua malattia, della sua pazzia, del suo disturbo di disturbare impunemente il prossimo, ribaltando le frittate e comportandosi, appunto, come fanno i pazzi. Cioè ricusando la patologia di cui soffrono, imputando la colpa delle loro menti e delle loro mentalità distorte agli altri.
Sono atterrito, sconsolato, rammaricato e profondamente addolorato nell’assistere a tal quotidiano porcaio, sono allertato da questo puttanaio immedicabile, sono allarmato di fronte a questo manicomio generalizzato e sempre più, diciamocelo, popolato da psicopatici che si credono savi.
Spaventato a morte da questa piccola borghesia agguerrita, verbalmente e non, a offendere e ricattare il prossimo, resto annichilito nell’osservare impotentemente la limitatezza ideologica di questo nostro Paese agganciato, nel 2019, ancora a retaggi ipocritamente terrificanti da terroristi, un Paese arrogante, dominato dalla legge del più forte e dei più falsi, dei più vili cosiddetti ammaestratori intransigenti delle altrui coscienze.
Da loro reputate deboli e carenti. Oh, ti porgono pure una carezza, sussurrandoti mellifluamente che sei una simpatica, dolce tenerezza.
Invero, sono degli atroci, perniciosi, tumorali deficienti e poveretti che, essendo appunto di sé incoscienti, si spacciano per dogmatici, assolutistici potenti.
Dico questo perché, su YouTube, è rispuntato uno stalker che mi calunnia apertamente, mi disprezza codardamente, vorrebbe farmi credere di essere un demente, insistendo con un sadismo e un’indicibile ferocia che ha del preoccupante, dell’insostenibilmente inquietante.
Posterò qui alcuni screenshot da me salvati e consegnati opportunamente già alle autorità giudiziarie di competenza per mostrarvi che in merito non mento.
E che non soffro di nessun disturbo delirante. Come si potrebbe supporre e, purtroppo, sbrigativamente si suppose in tempi non sospetti quando, nonostante queste già assurde accuse pazzesche rivoltemi contro dannosamente, non s’indagò profondamente, doviziosamente e si addivenne alle conclusioni più superficiali, burocratiche, tragicamente sbagliate e tremende.
Facendo passare me per paranoico malato di mente.
Oramai ogni equivoco è stato chiarito, appurato e certificato. Fortunata-mente…
Mentre tale eterno calunniatore, tale irrimediabile hater sta vomitando contro il sottoscritto tutta la sua irosa invidia da perdente.
Mi spiace per lui che non creda a niente ed è ancora fermo agli insulti più prevedibili da nanetto.
Sì, sarò al Festival di Venezia da accreditato, fra critici altolocati, poiché scrivo per riviste di Cinema gestite da persone serie, eminenti e competenti.
E ora tale sobillatore, tale mitomane fallito non può assolutamente niente.
Già, sono un tenerone, come dice lui indefessamente.
Adoro Lo chiamavano Bulldozer perché io non vado mai giù come il grande Bud Spencer.
Ciao ciao.
Ti ho distrutto.
Ora che fai? Chiamiamo la neuro?
Notiamo che tale personaggio scrive pure male, grossolanamente, grammaticamente e sintatticamente, ortograficamente e, probabilmente, è anche delirante irreversibilmente.
Ah ah.
Perché questa generazione aspetta in maniera febbricitante il Joker con Joaquin Phoenix?
La risposta è facilissima.
Ora, sappiamo invero ancora poco, nei dettagli, della trama. Il Joker con Phoenix, diretto da Todd Phillips, è esplicitamente ispirato alla graphic novel The Killing Joke.
Molto vagamente però. In questa storia fumettistica, si narra che il Joker, prima di diventare tale, cioè il Principe del Crimine, era uno stand–up comedian di bassa categoria, costretto a esibirsi in bettole e locali di quart’ordine.
Ora, lo sceneggiatore Scott Silver è troppo in gamba perché possiamo pensare che abbia copiato alla lettera il fumetto.
Infatti, già dal trailer e, peraltro, come già anticipato da precedenti rivelazioni, siam venuti a sapere che il Joker si chiama Arthur Fleck e vive con la madre. Che lui cura da un brutto male. Almeno questo è ciò che abbiamo inteso.
Non abbiamo però compreso se la madre sia malata di tumore, di depressione grave oppure d’invalidanti turbe psichiche.
La madre è interpretata da Frances Conroy. Attrice notevole dai lineamenti inquietanti.
Già maniaca religiosa in Stone con De Niro.
Ed ecco che Silver inserisce proprio Travis Bickle di Taxi Driver, Rupert Pupkin di Re per una notte. Per omaggiare De Niro stesso e il suo anfitrione Martin Scorsese. Scorsese, che inizialmente veniva accreditato come producer di questo Joker, invece adesso è scomparso dai credits e non sappiamo se verrà annoverato come finanziatore della pellicola. Staremo a vedere.
Todd Phillips… uhm, è un autore? Troppi pochi film per poterne essere sicuri. Sicuramente è un regista abile e comunque di talento. Uno che in questo progetto vi crede molto. Fermamente.
Poi, abbiamo Murray Franklin/De Niro nei panni di un Mike Bongiorno misto al David Letterman più bastardo.
Per inciso, The Comedian di Taylor Hackford, appunto, con Bob De Niro perché nessuno lo distribuisce in Italia?
Guardate che, a dispetto della media recensoria assai bassina della Critica statunitense, è un signor film. Una commedia dolceamara in stile Woody Allen. Anche se meno acuta.
Voi mi chiederete… Dove l’hai visto? Io vedo tutto. Ho anche il Blu-ray acquistato da Amazon.
Ora, De Niro in questo film pare che incarnerà e rappresenterà, involontariamente, la causa scatenante della pazzia del Joker.
Insomma, un personaggio televisivo paragonabile al Jack Lucas/Jeff Bridges de La leggenda del re pescatore. Con una piccola, importantissima variante. Bridges, in preda al gigionismo, nel suddetto film di Terry Gilliam, aveva incitato un radioascoltatore a spararla grossa.
L’uomo, travisando (torniamo a Travis…) le sue parole scherzose, in una distorsione interpretativa assurda, compiva realmente una strage. Uccidendo a sangue freddo la moglie del professore interpretato da Robin Williams. Il quale, in seguito alla tragedia, impazziva.
Insomma, Bridges era stato l’indiretto responsabile della follia di Williams. Cioè aveva reso Williams un interdetto.
Franklin/De Niro, invece, chiama nel suo talk show Arthur Fleck. E, dopo averlo ripetutamente umiliato con battute sprezzanti di dubbio gusto, Arthur crolla.
Uhm, troppo presto per dire se De Niro sarà la sola causa della follia di Arthur. O se, invece, come quasi sempre accade in questi casi, sia stata solamente la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Se cioè, oserei dire invero, Arthur già soffriva di forti fragilità psicologiche e, dinanzi all’ennesima batosta potente, abbia perso il cervello completamente.
Un uomo buono, Arhur. Ma non credo affatto tonto. Premuroso e speranzoso, semmai.
Uno che, parafrasando Loredana Bertè, ci credeva, sì.
Credeva, nella sua utopia sognante da eterno adolescente, che davvero in questo mondo chiunque potesse e avrebbe potuto vivere felice, lontano da una realtà squallida, volgare, violenta e misera.
E poteva accontentarsi della sua forza fantasiosa, della sua poesia malinconicamente dolce e forse finanche romantica. Struggente e un po’ patetica, certamente, ma meravigliosa.
Il mondo invece è crudele. Non lascia scampo. Perseguita chi non sta ai patti sociali fatti di competizione, suprematismo e, diciamocelo, orribile edonismo.
Quelli della mia generazione ne sanno qualcosa.
Ha sempre impazzito, no, impazzato l’osceno termine sfigato.
Per sfigato, genericamente parlando, s’intendeva e ancor s’intende una persona iellata, di scarsa fortuna. A cui non ne va dritta una.
Secondo invece il modus ragionandi degli adolescenti, ahinoi anche di molti adulti deficienti, sfigato è colui che non possiede una vita sessuale e affettiva. O, se ce l’ha, è comunque molto esigua e frustrante.
Dunque, quest’appellativo, spesso tutt’ora lanciato a destra e a manca, soprattutto dai destrorsi, con bacata, arbitraria, scriteriata, microcefalica faciloneria balorda, con stoltezza incommensurabile e vanagloriosamente cretina, oserei dire ripugnante, già la dovrebbe dire molto lunga su che razza di società noi abbiamo vissuto e, purtroppo, continuiamo a vivere. Mi stupisco che anche voi, voi che vi dichiarate colti e intelligenti, ancora abbocchiate a questi idioti luoghi comuni.
Una società filonazista da Benvenuti a Marwen.
Una società senza valori.
Che basa i rapporti interpersonali, appunto, sul primato di grandezze superomistiche assai effimere.
Una società di primati, scimmiesca.
Una società bruciata come un fiammifero.
Porca, lercia, puttanesca.
Per questo le persone migliori di questa generazione aspettano con ansia, forse anche con attacchi di panico, eh eh, il Joker.
Perché, come Arthur Fleck, hanno capito che quasi tutto ciò che ci avevano insegnato, ovvero l’educazione civica, il reciproco e solidale rispetto, i valori come l’amicizia, l’amabile convivenza fraterna, l’amore e il romanticismo sono oramai concetti ridicoli e superati, anacronistici in questo mondo d’imbecilli stronzissimi.
E che la cultura non è niente se non è finalizzata ai soldi e al procacciarsi la carne da mangiare…
Un mondo ove tu puoi essere Dostoevskij ma devi sapere che un pornoattore analfabeta con un fisicone da toro se la gode da matti. Alla faccia tua. Tanto bellina.
Perché è nato ricco. Oppure semplicemente non gliene frega un beneamato c… o di nessuno.
Questa è la base del tradimento del comunismo. Il bacio di Giuda…
Dunque, in una società di farfalloni straviziati e viziosi che dicono agli altri pagliacci, mi pare giusto che, dirimpetto a tali sorrisi falsi, qualcuno non si sia adattato all’andazzo.
Che abbia avuto il coraggio di dire, no, non cresco… poiché sono io quello cresciuto, siete voi invece i nani buffoni. E andreste tutti internati in manicomio.
Sono personaggi come Balboa di Rocky V.
Uno che accetta tutto. Accetta ad esempio che dei bambagioni gli dicano fallito e coglione.
Ma non accetta che si vadano a toccare persone che non c’entrano niente con queste sozze bassezze.
E allora lì diventa una furia.
Sono personaggi come Viggo Mortensen di A History of Violence. Come si suol dire, teneroni, buoni e cari perché portano rispetto. Signorili e gentiluomini.
Ma tu, bifolco, sei entrato in questo bar per fare un macello, hai toccato la mia famiglia, e mio fratello non lo sarai più.
Mai più.
È una lezione di vita pesantissima, atroce.
Sacrosanta.
La lezione di vita che questa disturbata società ha prodotto. Una società schizofrenica, marcia, malata.
Dobbiamo riscoprire i nostalgici nostri sentimenti forse non del tutto perduti.
di Stefano Falotico
Joker, reazioni al trailer: tutte le banalità e le idiozie scriteriate che ho sentito
Innanzitutto, chiariamoci una volta per tutte definitivamente. Non si dice Giacchin’ bensì IOACHIN. Di mio indosso un giacchino. Non voglio apparire pedante ma sono più puntiglioso di Giovanni Storti in Tre uomini e una gamba.
Ah, che storture, che torture. Che rotture, che brutture.
Sì, io della precisione e della meticolosità son maestro leziosissimo. E ci tengo a esserlo. Mi mantiene disciplinato. Addomesticato nelle mie sane manie di composta formalità impeccabile, di forma psicofisica imbattibile.
Mi preserva dal caos, dallo sconquasso, dall’entropia di un mondo sull’orlo perennemente di un collasso nervoso. Di un traviamento oscenamente libidinoso e ferocemente morboso.
Impazza l’arroganza, spuntano come funghi nuovi pazzi che pazzi non sono, i centri di salute mentale son presi d’assalto da una mandria di “malati” che, in fila indiana, ricevono farmaci da psichiatri che, anziché curare le loro anime, li comprimono nei loro slanci vitali più veri, sopprimendo i loro cuori, anestetizzando, rattrappendo e anchilosando i loro sentiti respiri, paralizzandoli in lobotomie non solo cerebrali bensì fisiche a furia di somministrare coattamente ai pazienti droghe contenitive, neurolettici che acquietano soltanto a livello comportamentale le loro presunte aggressività maligne. Sintomi benigni, diagnosi di schizofrenia un tanto al chilo come fossero noccioline, tranquillanti e analgesici rifilati con superficialità immonda. Malinconia bellissima scambiata per pericolosa depressione, disturbi bipolari faciloni e poi trattamenti in prognosi non tanto riservata.
Perché, se entri in cura, lo sanno perfino in capo al mondo. La gente parla, ti schiva, ti emargina come se fossi un lebbroso, un contagioso, pernicioso freak untore.
Circuizioni, occipitali evirazioni dei sentimenti in castrazioni non solo sessuali.
Gente savia ingannata da medici con le salviette che medici non sono, pseudo-curatori di un pacato, falso quieto vivere ipocrita.
Tutori ed educatori che invero son bifolchi maleducati che si prendono licenze assurde (oltre a essersi pigliati lauree comprate e ridicole) la briga arbitraria di legiferare sulle scelte, persino lavorative, addirittura sentimentali dei pazienti da erudire e livellare a una visione formato cloro, da ricattare in una visione insipida e insapore di ogni vitale calore. Affinché nessuno canti o urli fuori dal coro. E chiunque al conformismo più becero, menzognero e politicamente corretto si affili in adattamenti illusori.
Quanti scandali abbiamo sentito, quanti orrori e mostruosità son state taciute dall’omertà malavitosa di queste gerarchiche, nazistiche istituzioni. Che vorrebbero professarsi portatrici di valori, di benessere e vita felice, invece son soltanto una burocratica ramificazione del più umano squallore, del più disarmante grigiore, dell’asettico fetore che appiattisce ogni candore. Ogni magnifico pudore, ogni libertà troppo esuberante accusata ingiustamente d’esser demente, disturbata, disturbante.
Gente diluita, liquidata, obnubilata, obliata nell’ablatore d’ogni vulcanica esplosione gioiosa.
Gente nervosa che diventa nevosa perché troppo calorosa.
Sì, son cattivo e intransigente contro questo sistema viscido e bugiardo di abbindolatori, di buonismi consolatori, di queste taumaturgie schematiche all’acqua di rose, di questi abbreviatori della complessa, perciò inquieta varietà stupenda d’ogni vita che non si attiene ai binari imposti della sociale ordinazione.
Ah, evviva la follia dei poeti, degli esistenzialisti, degli ascetici, la contemplativa acquiescenza dei mistici e la forza immaginifica dei visionari. Che splendore!
Ne ho sentite tante su questo trailer.
Partiamo da Lorenzo Signore, youtuber che stimo ma che, in tal caso, s’è lasciato andare alle solite frasi fatte.
Al che il Joker diventa un ragazzo buono e, a detta di lui, perfino tardo e tonto che, dopo aver subito mille beffe, all’ennesimo scherzaccio di troppo, perde la bussola e la testa.
No, la questione è molto delicata, non generalizziamo con dell’esegesi fumettistiche così semplicistiche.
Ora, Todd Phillips, dopo solo due minuti e mezzo di filmato, è diventato un grande regista.
Potrebbe anche esserlo e questo Joker, perché no, non vedo l’ora che sia davvero un capolavoro.
Sarà una notte da leoni quella dell’agnellino Phoenix.
Ma, ricollegandomi al discorso sui giudizi troppo affrettati, andiamoci calmi, non esagitiamoci, non lanciamoci in supposizioni e diagnostiche verità ancora non appurate.
Acclareremo a visione avvenuta.
Questo è tutto.
Come diceva Mr. Wolf: non è ancora il momento di farci i pompini a vicenda.
Sapete cosa mi sembrate?
A proposito di Pulp Fiction?
Dei cazzoni, molto più di un paio di cazzoni.
Aspettiamo Ottobre prima di festeggiare da vincitori di gran folclore.
Perché, altrimenti, facciamo la figura dei pagliacci.
O no?
di Stefano Falotico