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John Carpenter – Prince of Darkness, la prima monografia in inglese sul Maestro scritta da un italiano


01 Apr

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Amici, cinefili e non, continuano le mie avventure letterarie, istrioniche e flamboyant, nel mio stile corrosivo, quindi serio e puntiglioso.

Qualche giorno fa, avevo annunciato che assai presto del mio libro John Carpenter – Prince of Darkness, già regolarmente in vendita da mesi, nella versione italiana, sulle maggiori catene librarie, sarebbe uscita la versione internazionale.

Sapete che spesso faccio il buffone, esagero e vado fuori dalle righe.

Ma sono un uomo di parola.

Ed ecco qui la cover fronte-retro del libro.

Manca pochissimo e sarà sui maggiori digital store mondiali.

Insomma, il Falotico. Uno che mille ne pensa e che, a differenza dei chiacchieroni, lui sì che realizza, rende concreti i sogni. Aprendovi alla vita vera e a magiche visioni. La vita non può essere avere solo i soldi per comprarsi un visone.

Il Falotico, con calma da Jena Plissken e sorrisetto beffardo, è capace di passare dai saggi monografici a libri puramente erotici come Il diavolo è un giocattolaio.

Un uomo senza dubbio che ha il suo perché. Naviga fra montagne di celluloide, reinventa il Cinema, ricrea, ricicla come il miglior Tarantino, adora i romanzi di avventura e anche i noir, i film del grande John.

E, quando può, se può, va anche con donne di una certa rilevanza.

Un uomo dalla barbetta d’inconfutabile bellezza. A cui piace giocar con le sociali demenze per elevarsi oltre ogni superiore istanza. Con classe e rinomanza. Mica un uomo di panza. Ah ah.

Sì. sì, sì.

Insomma, un uomo carismatico come il miglior Kurt Russell.

Ogni Lee Van Cleef fascistone pensa di fregarlo e addolorarlo nella notte più buia.

Ma il Falotico non è uno che va giù facilmente, sgattaiola, restituisce il maltolto ai manigoldi e cammina, fischiettando.

Sì, gli si può dire tutto. Che si sia fottuto il cervello più volte. Potrebbe starci.

Ma va altresì detto che passeggia nel mondo con invidiabile portamento.

Sì, oltre a essere Kurt Russell, è anche Harry Dean Stanton.

Che MENTE! E giammai mente.

Miei mentecatti.

Dunque, attaccatevi ove sapete e accattatevelo ove va comprato.

Il Falotico non è mica un genio da quattro soldi.

È veramente un Genius-Pop. Un saggio che scrive i saggi. E questo è solo un assaggio. Ora, ci vuole un massaggio.

 

 

di Stefano Falotico

Io e il mio correttore di bozze abbiamo terminato l’editing del libro monografico su Carpenter, che lavoro! Roba da Jena


13 Aug

Jena Fuga da New York

Ebbene sì, dopo giornate sudate nella fatica più inverosimile, ai limiti del disumano, il libro su Carpenter è finalmente stato editato.

Un lavoro, posso dirlo, davvero strabiliante, entusiasmante, monumentale. Roba che dovrebbero darmi la Laurea ad honorem.

Ora, più si scrive e più s’incappa nel refuso. L’ho detto mille volte e lo ribadisco. Soltanto chi non scrive e, supponentemente, senza aver versato sangue e anima, legge un errore perfino grossolano in un testo e sghignazza, è un mentecatto. Perché nessun uomo è perfetto ed errare fa parte del nostro “lapsus” geneticamente ineludibile.

Al che, come sempre puntualmente accade, ecco che ho consegnato il mio file doc al mio amico, editor di una bravura eccezionale, a cui non sfugge neppure una virgola, come si suol dire. E lui, dopo un’attentissima analisi del testo, scandagliandolo in ogni sua minima frase, rileggendolo infinitamente tante di quelle volte da impazzire, ha ravvisato “ben” 23 refusi.

Il refuso è sovente figlio della disattenzione. È come quando si svolgevano i temi scolastici. Tu rileggi il testo da te minuziosamente scritto e “redatto”, lo consegni alla professoressa e lei ti segnala in rosso degli errori, delle sbadataggini o dei “granchi” che a te, sinceramente, erano sfuggiti. Il refuso non è quasi mai figlio dell’ignoranza. Anzi. Si dice che la mente umana sia strutturata così: noi, quando leggiamo qualcosa, non leggiamo appunto mentalmente le singole lettere, a proposito di Lettere, ma leggiamo soltanto il concetto che esse esprimono, dando per assodato che quella parola sia stata scritta esattamente, sicurissimi che quella parola sia già stata impeccabilmente messa nero su bianco.

Così, sulla base del ragionamento inconscio, involontariamente acquisito dal nostro DNA, scriviamo incontovertibile e, sebbene leggiamo questa parola più e volte, non ci accorgiamo che mancava una r, incontrovertibile. Pur sapendo, ovviamente, che incontrovertibile si scrive incontrovertibilmente così.

Allora, può succedere che scrivi, nella recensione di HalloweenAnnie capisce che qualcosa non va… e il tuo correttore, una sorta di uomo coi raggi X, ti sgrida e naturalmente ti fa incazzare nel dirti la verità: semmai Laurie, Annie è morta!

Be’, certo, Annie è appena stata uccisa da Michael Myers. È Laurie (Jamie Lee Curtis) a essere l’unica sopravvissuta al massacro e a intrufolarsi in quella casa buia ove il babau Myers la sta aspettando, per una sfida all’ultimo colpo. Prima che sopraggiunga Donald Pleasence a defenestrare lo stronzone.

Allorché, proprio su FilmTv e altrove, nei miei Racconti di Cinema, apporto le doverose correzioni. Chi me la fa fare? Io e soltanto io.

23 refusi, pochissimi. Perché in un testo di circa 100 pagine, 23 refusi così “microscopici” sono nulla, considerando che, trattandosi di una monografia, i nomi propri, le date, etc,, sono tantissimi. Ed era quindi più facile farsi “distrarre” dalla digitazione approssimativa o peccare d’incautezza. Al signor Kurt Russell può succedere, mi perdoni mister Kurt, che una volta gli togli una l, Kurt Russel.

Poi, io sono un maniaco, ma non come Myers. Della forma, della precisione millimetrica kubrickiana. Perciò, se inserisco un termine in corsivo, per evidenziare che è una parola inglese o di derivazione straniera, come può essere suspense, nel corso del testo, dopo la prima volta, non la inserisco più “corsivizzata” per non eccedere in pleonastica ridondanza.

Mentre, nelle recensioni online, essendo ripartite singolarmente film per film, i corsivi vengono ripetuti.

Come dice il grande Chris Walken di Man on Firesa, un uomo può essere un artista in quello che fa. Tutto dipende da quanto è bravo a fare quello che fa. L’arte di Creasy è la morte, sta per dipingere il suo capolavoro.

La mia Arte invece non ha niente a che fare con la morte. È vita, è la mia vita.

E spero un giorno, quando il libro sarà pubblicato, di aver fatto qualcosa che nessuno ha mai fatto.

 

Se a qualcuno non sta bene, vi è sempre la discoteca con quattro bagasce.

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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