Il grande o piccolo Cinema smentisce uno dei più infimi luoghi comuni. Cioè quello secondo cui due uomini non possano essere soltanto grandi amici pur frequentandosi assiduamente. Perché qualche malalingua potrebbe pensare male, alludendo ad altro. Ah ah. Basta, davvero. Basterebbero, infatti, questi film e queste coppie storiche per distruggere tali oscene chiacchiere da bar e queste retrive, tristissime, abiette dicerie figlie delle peggiori menti malate più bigotte.
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SMOKE: Avventure di un uomo invisibile che ha scritto una monografia su John Carpenter ma è meno ricco di Harvey Keitel del film di Wayne Wang
Sì, sono io l’autore di John Carpenter – Prince of Darkness, opera oserei dire capitale e magna della bibliografia del Falotico. Puro masterpiece che ogni amante della letteratura complicata e raffinata dovrebbe possedere in casa sua se non vuole impazzire e finire come Michael Myers di Halloween.
Vi conosco, sapete? Voi non amate voi stessi e ora passate il tempo a fare gli spaventapasseri, spaventando ragazze super passere come la Jamie Lee Curtis di True Lies.
Non dovete raccontarmi bugie. So che gironzolate nei quartieri periferici, spuntando da dietro i cespugli come il Pennywise. Ma non terrorizzate nessuno, solo voi stessi, sempre più idioti.
Di mio, sono un essere altamente pagliaccesco. Riesco perfino a essere e a incarnare Harvey Keitel, William Hurt, Forest Whitaker e il ragazzino in cerca di un lavoro di Smoke.
Cioè quattro characters in un colpo solo: il tabaccaio cafone che filosofeggia, l’intellettuale sobrio, il mezzo storpio e lo sfigato.
Sì, grazie alla mia visione neorealistica alla Paul Auster, minimalista alla Jim Jarmusch, amante dei piccoli gesti quotidiani che riscaldano il cuore e forse donne più sexy di Jamie Lee Curtis, pur non essendo laureato a Oxford, ho già pronta pure la falotica versione factotum in inglese del suddetto saggio monografico su Carpenter. Con traduzione di alta scuola, pregiata e da fuoriclasse che mi ha fatto sudare sette camicie. Un lavoro estremamente certosino e improbo. Terminato che lo ebbi, stavano per ricoverarmi in un ospedale psichiatrico come Sam Neill de Il seme della follia.
Un libro alla Sutter Cane, sì, di In the Mouth of Madness. In cui sviscerando, scorporando in maniera cronenberghiana la poetica carpenteriana, ho enucleato perfino me stesso, arrivando a percezioni della realtà talmente elevate da non riuscire più, adesso, a vederla con occhi da Roddy Piper di Essi vivono prima che indossasse gli occhiali magici.
Cazzo, un bel macello, che casino.
Per molto tempo, fui scambiato per Nick Halloway/Chevy Chase, appunto, di Memoirs of an Invisible Man.
Tutti pensarono infatti che fossi un nababbo e un cocco fortunato che poteva permettersi il lusso sfrenato di ciondolare nella noia e nel dolce far niente.
Già, fui preso per il figlio di Berlusconi quando invero, amici, fui solamente un grosso coglione.
Sì, anch’io bramai la mia Daryl Hannah. Di questo ve ne parlai già, giusto? Il mio primissimo, grande, irripetibile amore platonico si chiamava Tiziana ed era bionda come Daryl, forse perfino più bella di questa sirena a Manhattan.
Ma cominciai a deprimermi fortemente, splash, a eclissarmi, a perdere di vista la realtà e anche Tiziana. Che oggi è sposata col mio amico delle elementari e ha pure avuto da lui dei figli.
Mi consolo da questa (s)figa clamorosa, ammirando le scosciate dell’omonima Tiziana Panella di Tagadà. Donna, a differenza di Tiziana la biondina, corvina. Ma che riesce sempre ad alzare il mio umore un po’ supino e anche qualcos’altro da volpino nei miei momenti di massimo languore da lupino, attimi paradisiaci in cui per un po’, lontano dai libri, come un uccello in volo libro, mi libero con atroce, onanistica mancanza di pudore, sfoglio una donna che mi fa battere il cuore e che vorrei sbattere di gran calore, (s)fregandomene di ogni residuo candore.
Sì, appena la vedo, mi ricordo di essere un uomo.
Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster come Ray Liotta di Goodfellas?
Macché!
Sì, credo che gli altri mi vedano parecchio bene, mi sappiano inquadrare alla prima occhiata. Anche Tiziana, non la Panella, bensì quella bionda della mia primissima, virginale infatuazione, ah, che magnifica fata, che lievissima patata, a 13 anni voleva rendermi corporeo, assai tangibile con lei.
Ma io, non so perché, la mandai a farsi fottere.
Sì, finalmente ho compreso la verità. Potevo essere l’uomo con più amici, soldi e donne della storia. Ed è stata solo colpa mia se non ho il conto in banca del marito di Tiziana Panella. E dunque non posso regalarle una vita da elegante signora.
Se dovessi, mai sia, essere invitato alla sua trasmissione, lei potrebbe ammiccarmi di occhiolino, forse verrebbe anche in diretta, fissando le palle dei miei occhi. Ma finirebbe lì.
O forse interromperebbero momentaneamente l’imbarazzo mio e di Tiziana, bagnatissima, con i consigli per gli acquisti degli assorbenti, miei conigli.
La mia vita è stata spesso un’inculata, una mega-sfighissima da figone sfigatissimo, no, una foga, The Fog, una fuga non solo da New York bensì dal mio The Ward. Lasciate che mi sfoghi.
Sì, come Amber Heard, trascorsi praticamente tutta l’adolescenza nel nosocomio delle mie ipocondrie.
Una volta che io stesso mi dimisi, capii che la realtà vera è un manicomio. E che i pazzi sono quelli che si credono sani. Per forza. Più che pazzi, sono scemi. Non capiscono nulla e pigliano tutto a culo.
Al che, per via della mia eccessiva sensibilità, del mio romanticismo alienato rispetto alle triviali animalità dell’uomo assai medio, vengo tuttora preso per Starman.
Alcuni miei amici, quando m’isolo troppo ancora, sospettando della mia buona fede, mi dicono che sono/sia Il signore del male. Sì, pensate, ora devo stare attento a non fare la fine invece di Keith Gordon di Christine. Dopo una vita da nerd mai visto, appunto, vengo corteggiato da pezzi di carrozzeria femminile al cui confronto Alexandra Paul dei tempi d’oro è una Cinquecento.
Comunque, molte donne sono da rottamare. Sì, che palle queste qui. Aspettano sempre l’estate per farsi il bagnetto. Come se poi durante l’anno facessero altro…
Sì, su Facebook, Instagram e altrove, donne stupende mi contattano affinché io possa avere subito con loro fisici, potenti contatti. Ma che è successo? Ho indossato delle miracolose lenti a contatto o, per troppo tempo, la gente subdola, meschina e ipocrita, rivolgendomi a me senza tatto, non capendo del sottoscritto un cazzo, mi aveva scambiato per David Lo Pan e invece oggi tutti scoprono, compreso me stesso, che è stata solamente una Big Trouble in Little Bologna?
Non facciamone, suvvia, una tragedia. Potevo scoparmi pure Kim Cattrall ma rimango una testa di minchia come Kurt Russell. Basta, adesso.
Sì, Smoke è un capolavoro. Il miglior film di Wayne Wang. Mentre io, diciamocela, rimango un bravo ragazzo soltanto come Dennis Dun, ovvero Wang Chi.
Forse, la mia vita non è il racconto di Natale di Smoke, bensì quello di Dickens filtrato dalla visione simile a Ritorno a futuro di Robert Zemeckis con Jim Carrey.
Uno Scrooge così giovane nel cuore da rendervi tutti misantropi.
Signore e signori, spero di avervi allietato col mio libro e con questa bella storia. Adesso, se vorrete tradirmi ancora fottetevi.
Fra amici ci si scambiano confidenze e favori. Dunque, a tutti i cattivoni, or dico ma fatemi il piacere!
Firmato Paul Auster?
No, Stefano Falotico
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Throw Momma from the Train: le tre Milf che mi vorrei…
A una delle lezioni del signor Billy Crystal di Getta la mamma dal treno, l’insegnante di scrittura creativa Billy/Larry chiede ai suoi allievi di leggere i loro elaborati.
Al che, un maschilista mai visto, un frustrato cronico, comincia a leggere il suo capolavoro “shakespeariano”, intitolato Cento donne che mi vorrei scopare…
Scena cult.
Sì, sono oramai uno scrittore. I miei lettori sostengono che sia bravissimo. Sono una sorta di Harvey Keitel di Smoke.
Uomini forse più colti e raffinati di me, come William Hurt, mi definiscono un talento di razza, innato, che non abbisogna di studi. Capace di psicanalizzare la realtà e saperla filtrare con occhi straordinariamente poetici.
Anche se, sì, debbo ammetterlo. Non sono laureato. Anni fa, prima di molteplici trambusti che mi dissuasero dall’ottenere referenze cattedratiche di rilievo, con le quali sinceramente mi sarei meno complicato la vita, m’ero iscritto al DAMS.
Personalmente, non nutro grossa stima a tutt’oggi della gente che lo bazzica, diciamo.
Sono spesso ragazzi pasoliniani con velleitarie ambizioni artistiche che, non sapendo che pesci pigliare, tranne le cozze con cui si mettono assieme, dei molluschi che vogliono appunto prendersi la Laurea, anzi, come direbbe Totò, La Laura, per attestare che sono attori e registi con tanto di cornice. E alloro sulla testa spesso di capra, di rapa. Le famose cime di rapa, piatto tipico dell’Italia culinaria e anche un po’ a culo.
Spesso sono degli incapaci. I quali, dopo un’adolescenza trascorsa nella più scostumata, nullafacente oziosità, dopo aver poltrito spesso in poltrona con qualche spinello e tanti sogni belli mai concretizzatisi, si guardano allo specchio e pensano:
no, non possiedo la meticolosa attitudine paziente di un medico che cura i pazienti. No, non sarò mai un chirurgo, mi tremano le mani, caratterialmente sono troppo instabile, sono umorale e, in un attimo di crisi di nervi sconsiderata, solo perché l’infermiera m’ha porto una siringa mal disinfettata, potrei essere assalito da una cattiva condiscendenza e allora addio scienza. Perturbato da questo suo sporco atto impuro, potrei mal infilare il bisturi e, nervosamente appunto, tranciare di netto il cuore di un ragazzo purissimo.
Non posso neanche fare lo psichiatra. Ho già i miei casini mentali da risolvere. Figurarsi se posso sobbarcarmi le nevrastenie, i deliri, le manie ossessive di pazienti coi quali ci vuole una calma olimpica per rabbonirli. Ah, che pazienza! Evviva Andrea il fumettista. No, l’innervosirei, io amo dire la verità. Andrea, no, andrei da un pazzo e gli spiattellerei in faccia ogni suo limite. Inducendolo a rabbie inaudite. Poi, una volta che lui sarà psicologicamente scompensato, io lo stesso prenderei il mio compenso, la mia parcella. Ma sarei stato un osceno porcello.
Sono troppo coscienzioso e moralmente integerrimo. Sarei stato responsabile dei ricoveri manicomiali di tanta brava gente che andava solo ascoltata e rasserenata. Invece, non ho retto e ho distrutto le loro menti, infrangendo il segreto professionale, soprattutto, delle loro anime. Avrei indelicatamente spaccato l’indiscreta privacy dei loro cervelli già comunque fritti. Farei solo una frittata. Strapazzerei i pazzi.
No, mi radierebbero dall’albo, io stesso impazzirei, tumefatto da complessi di colpa peggiori di un personaggio di Paul Schrader. E non è Paul Auster.
Il dentista? No, già mi faccio schifo io. Ho delle carie praticamente incurabili da quando fumo. Figurarsi se potrei/potessi sopportare gente addirittura senza denti.
Ecco, ci siamo capiti.
Poi, spesso anche dare un bacio a una ragazza mi provoca il più delle volte ribrezzo. Le chiedo sempre, prima di baciarla, se ha fatto la pulizia. Se questa volgare popolana s’è sciacquata la bocca. E non solo col collutorio.
Sì, la mia lingua non può addentarsi, no, addentrarsi in regioni batteriche potenzialmente contagiose, spargitrici della sua ignoranza da sboccata. No, costei è bona, indubbiamente, ma mi avvelenerebbe in una sola limonata.
Prima di dare un bacio a questa, va sterilizzata col Vim Clorex.
È pure alcolista. Ci vuole soltanto dell’alcool ma non etilico.
Potrei fare, appunto, l’uomo delle pulizie. Ma ne ho a sufficienza delle merde che stanno in giro. Tutti questi pelandroni, queste sciocche ragazze palindrome, questi dromedari lentissimi.
No, basta aprire la porta di casa e senti già puzza di stronzi. Ci manca solo che debba nettare, detergere i bagni pubblici.
Stiamo scherzando?
Invece, un lavoro da negro? Macché. Dopo Obama alla Casa Bianca e i film di Spike Lee, nessun negro vuol far il negro. E direi a ragion veduta.
Basta col razzismo. Evviva una società egualitaria. Bianchi e neri sono tutti uguali. Evviva i musi gialli e gli indiani, cazzo.
L’impiegato comunale? Ma per l’amor di Dio.
Questi passano il tempo a sfogliare il giornale, a leccare il direttore per avere l’aumento e a strabuzzare gli occhi per la segretaria. Che è pure brutta.
Per cosa camperei a fare? Per aspettare il classico aperitivo col Campare e la domenica e tifare per calciatori analfabeti che guadagnano miliardi e scopano le veline, rosicando per Quagliarella che tutte le quaglia sulla sua barca a vela?
No, sarebbe una vita imbarcata.
Mi consolerei con un film di Lav Diaz quando invero il mio sogno intimo, anzi, da Intimissimi, senza nessuna maschera, era solo trombarmi Cameron Diaz di The Mask.
Sì, non sono un tipo fantozziano, sono un uomo che vuole avere dignità. E dirla tutta. Senza sussiegose ruffianerie al padrone. E tanti giochini.
Allora, potrei fare il ribelle anarcoide. Ma finirei da uno psichiatra, appunto.
Ah, qua la situazione è veramente tosta.
Ecco, ho una buona testa, sono fantasioso, sì, faccio l’artista. Invero, non farò l’artista ma chiederò il reddito di cittadinanza.
Sarò un disoccupato di classe. Così, se uno come Briatore vuol farmi la morale, gli dico che sono laureato in Disciplina di Arte, Musica e Spettacolo. E non può ricattarmi.
Sì, quelli del DAMS sono così. Tanta teoria, tante chiacchiere ma sostanzialmente dei falliti. E si riducono a scrivere recensioni dell’ultimo film con Salemme quando invero speravano di essere David Lynch.
No, nemmeno la vita del pornoattore mi soddisferebbe. Ne soddisferei molte, cazzo, sì, ma entrerei in un giro di zoccole sciroccate, di drogati, di pervertiti spappolati.
Di gente che s’incula e, dopo che t’ha succhiato, ti lascia spellato, senza palle, prosciugato, bollito.
Però posso continuare a fare lo scrittore.
E il donnaiolo di tutte quelle donne che, oggettivamente, per mancanza di soldi, non me la daranno mai.
Ora, voi dei movimenti femministi non fraintendetemi.
Dovete ammettere, onestamente, bando alle ciance, che da adolescenti andavate col primo che vi capitava a tiro. Per fare esperienza.
Poi, una volta laureate, appunto, avete trovato quello più fesso che ancora vi mantiene. Tanto farete altre esperienze con altri duri… fra una bolletta, la palestra e una riunione condominiale. Ed è qui che son urla isteriche, altro che Meg Ryan di Harry ti presento Sally.
Gli uomini? Ancora peggio. Quando sono adolescenti vanno con quella che tira di più. Una volta che hanno la panza piena, si sposano e tradiscono la moglie. Andando poi a messalina, no, a messa.
In questa società, c’è solo un uomo che può dirvi quali sono le donne per cui sarei diventato davvero un uomo come si deve…
1) Valeria Cavalli, sino a dieci anni fa, una figa enorme. Nata a Torino il 1º novembre 1959, ha lavorato pure con Dario Argento.
Cosce fantastiche, amici.
2) Elisabeth Shue. Se conoscete un uomo normodotato che, vedendola in Via da Las Vegas, non vorrebbe essere al posto di Nic Cage, vi è solo una possibilità.
Quell’uomo è quell’uomo che, se avessi fatto lo psichiatra, oggi sarebbe in un centro di salute mentale.
3) Jennifer Lopez. Le si può dire tutto. Che, appunto, dovrebbe aprire bocca solo da un dentista per smacchiarsi dalle sue volgarità ma a cinquant’anni rimane una delle donne dal culo più bello del mondo.
Attrice pessima, cantante impresentabile, ballerina mediocre.
Figa però più stellare di Guerre stellari.
Con una cosa così ti viene una forza alla Luke Skywalker che nemmeno la spada de foco di Mario Brega.
Se volete dire che non è così, laureatevi al DAMS.
Non fatemi però la fine di Carlo Verdone di Un sacco bello.
L’invidia, creatrice di malessere, anche (a)sociale
La classica citazione condivisa…
L’invidia è la religione dei mediocri. Li consola, risponde alle inquietudini che li divorano e, in ultima istanza, imputridisce le loro anime e consente di giustificare la loro grettezza e la loro avidità fino a credere che siano virtù.
Attraversano la vita senza lasciare altra traccia se non i loro sleali tentativi di sminuire gli altri e di escludere, e se possibile distruggere, chi, per il semplice fatto di esistere e di essere ciò che è, mette in risalto la loro povertà di spirito, di mente e di fegato.
( – Scrittore spagnolo – Da “Il gioco dell’angelo”)
In verità, pur condividendo appieno le frasi di Carlos, non ho bisogno di Zafon per comprovare tali verità anche perché, avendo superato certe “banalità”, mi do a letture più “nervose” e forse veritiere come Corruzione di Don Winslow.
Diciamo che, in virtù di molte mie superiorità, che mi crediate o meno, non conosco la parola invidia. In passato, gente miserabile, per sporchi giochi meschini, mi affibbiò patenti di malato di mente e, costringendomi poi a reazioni per tale lor assurdo, crudele atteggiamento, volle giustificare l’assunto, quasi arrivando a “certificare” che in effetti ne fossi “patito”.
Etichette alquanto disturbanti che, col tempo, sempre più progredendo, si stanno ritorcendo contro chi le aveva “studiate” e architettate, a ragion veduta della sua pochezza d’animo e del suo “cuore” assai pusillanime, ingeneroso, questo sì da prendere poco seriamente ed essere eccome se adducibile di disturbi psichici. Persone di rara bassezza, sulle quali è meglio non stare a sindacare, usano ogni “arma” e parola detta per altre accuse e capi di “imputazione”.
Nella vita, amici della congrega, se non starete a regole “basiche” di un viver appunto mediocre e ipocritamente “tranquillo”, se direte la vostra con estrema ingenuità e dunque purezza, sarete bistrattati, emarginati e coperti dei peggiori appellativi. Perché stili di vita “autoctoni”, indipendenti dalla macchina (a)sociale castratrice e capziosa, non vengono ben sopportati e sono oggetto di feroci critiche, in questo angosciante gioco al massacro ove tutti vogliono “trionfare” alla ricerca di un’effimera, mentitrice felicità a base di successi, sesso facile, disprezzo del prossimo, piccinerie arriviste per far carriera e, come dico io, cerniera.
Mi conservo la mia “piccola” cernita di persone che mi apprezzano e rispettano il mio Falotico senza chiedergli nulla in cambio, se non sinceri sorrisi e affetto disinteressato. In questo mio esser attaccabile, ricattabile, vilipendibile, ricevetti anche quest’offesa: essendo io lo scrittore di molti cavalieri, qualcuno “proferì” tal stronzata, cioè che anziché scrivere quello di San Pietroburgo dovrei allestire Il cavaliere di Roma Nord, offesa in cui è “implicitamente”, palesemente esplicitata l’allusione al fatto che sarei un “poveretto”, un accattone e ancor peggio un puttanone. Parole assai mendaci, figlie del fallimento mentale di certa gente, che continua, non si sa come, a strisciare nell’invidia.
D’invidia ne soffre, cioè ne è “sofferto”, anche il mitico Frusciante. Molta gente lo attacca, adesso che Federico espone con rara lucidità la sua passione per il Cinema. Gente che gli dice che, se è così bravo a capirne…, dovrebbe avere il coraggio di farlo, il Cinema, non solo di disquisirne. Ma Frusciante, come me, lascia che tali insulti via fruscino.
Insomma, tutto sommato, cari somari, quelle son squallide vitarelle.