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Com’ è bello viver da soli, con il Calcio


04 Apr

 

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Le mie giornate, da molta gente ignorante reputate asfittiche, si cibano di aria zen. Ove, soffice, nell’ermetica lucentezza di me sempre “sbiadito” e sbadato, mi disfo del pen(s)ar comune, così ingombrante e secondo me foriero, cari forestieri, di stress. Meglio l’aria della foresta che mi richiama quando, allo scoccar dell’alba croccante, “digrigno” gli occhi nell’assaporarne la vegetazione, con gusto della fauna mia da animale lontano da queste metropoli schiaccianti, col lor (a)mar di obblighi, ove tutti si “responsabilizzano” dietro scrivani(e) di lavoretti “incappucciati” nell’orinare, no, nell’amministrazione ordinaria. Il cappuccino, il capufficio, uff uffa. Meglio i puffi a queste muffe. Magnatevi un muffin e leccatevi i baffi. Così, dopo queste giornate “dure”, l’uomo “normale” si appiccica alla televisione e si sorbisce Montalbano che starnazza in idioma idiota calabro-siculo mentre io mangio un altro colibrì, non pensando a questi drammi piccolo borghesi ove la puttanella rivendica il tradimento di un certo Mario e Mario l’ammazzò con una calibro per lo “specialista” calibrato di “onore” meridionale. Io conosco l’odore del temp(i)o nelle mie tempie e immagino (di) templari scorrazzanti nello scoreggiar pi(n)o. Tra spade di Excalibur e fornicazioni che una volta erano libere dal divorzio, sì, quelle “zie” oziavano con gli orsi maschi che se l’ingroppavano a tutta birra, masticando l’aroma del sesso verace, remoto dall’orpello borghesuccio dell’amore a “tutte le costole”. Vedo ragazzi disperati che, per far contente le professoresse, imparano a menadito lezioni di troia, no, di Storia, eppur non provano la rabbia pasoliniana di quell’Ulisse e non leggono Joyce. Comunque guardano O. Russell di Joy ed è una bona Lawrence, una buona cos(ci)a. E poi i calci da dare! In una “iurnata e Sol”. Mentre Ventura studia la Nazionale e quella panza si suda. Non pensando ai medici e agli avvocati, ma ficcandosi in bocca un altro Buffon.

 

di Stefano Falotico01104606 joy-DF-04076_R2_rgb

Aspettando il nuovo full trailer di Joy, medito sul riso amaro della mia “gioia” alla Silvana MANGANO


20 Oct

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Joy Mangano, la storia matriarcale, firmata David O. Russell, d’una donna tutta d’un pezzo, di una pazza che, grazie all’invenzione del “mocio”, divenne famosa e arci-miliardaria, specchio delle sue brame, amata e meno(a)amata, contes(s)a e aristocratica, da allisciata, povera Cenerentola a donna ricc(i)a, da bimba piangente la tristezza delle sue solitudini dalla zia ambiziosa (la Diane Ladd di Cuore selvaggio!) angariata, a div(in)a di Hollywood incarnata in Jennifer Lawrence, probabilmente, ai prossimi Academy Awards, per la seconda volta giovanissima(mente) oscarizzata.

Film iper-(at)teso, miscela frenetica e furibonda (sì, questa s’incazza “facile) di umorismo e commedia dolceamara alla Frank Capra, seguendo l’onda del cast prestigioso e winner de Il lato positivo, d’altronde, formula che sba(ra)glia non si cambia, ed ecco De Niro e Cooper, in ruoli “invertiti”, ad accompagnare la nostra fata di questa sublime favola.

Ma voglio qui narrarvi la mia triste, euforica, “alcolica”, folcloristica storia. Innanzitutto, non sono una troia ma amo la questione omerica, perché è forse l’omero il vero tallone di Achille e Ulisse non sconfisse i porci, no, scusate, i proci, battagliando per la sua “tela” di Penelope, val(or)e a dir che, dopo tanto non “dargliela”, Penelope gliela ridiede di an(n)i toltigli. Gli fu av((ar)a! E tutto, di grazia/e, si tolse anch’ella dalle palle, da cui l’“Orlando furioso” di Ariosto e tutta carne e niente arrosto. Ah ah.

Lo sapevano bene le cosce della Silvana, uno che non era racchia come la signorina Silvani, ma una mondina tutta “bona”, da cui Dino rise? No, Risi, oggi piango, domani sto sul cazzo a te, chi fa per sé se ne fa tre.
Questa sarebbe una storia da raccontare?
Sì, tutto fa Cinema!
E io non sono una mondina, ma un uomo di mondo, come sosteneva Totò, ché aveva fatto due anni di militare a Cuneo.

Comunque, Riso amaro è di De Santis e io non sono neppure un san(t)o.

 

di Stefano Falotico

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