Bambagioni e pappagalli, recitate a memoria questo pezzo prima di andare a dormire, anziché contare le pecorine, no, volevo dire le vostre smarrite pecorelle.
Io non mi vedo come tu mi vedi, proprio non mi vedo, non mi sento: post serissimo sulla follia umana
Parlerò di quello che leggerete per cognizione di causa.
Oramai sono esperto di psicologia più di uno psichiatra laureato a Cambridge. Sono la cartina tornasole di ogni disturbo psichico da me vinto, combattuto, ostinatamente annichilito. Insomma, sconfitto con tante fitte. Fritto.
Perciò ora mi sento svuotato e non tanto rizzo, no, ritto. Come un corridore, un maratoneta che ha percorso mille miglia, spingendo troppo a sciolta briglia. E, anziché esultare per aver tagliato il traguardo della sua vittoria personale, invece s’è dissanguato nello scontento più costernante e atroce. Sparendo nel vento, sparando a vuoto, eclissandosi ancora dopo tanto venoso, cardiaco battito esageratamente violento ché, per superarsi, ha ecceduto necessariamente di un impegno, di una concentrazione, perfino di un’elevazione impressionante per sé stesso. Soprattutto steso.
Come se a sé stes(s)o, sottovoce, nel ventre ventricolare dei meandri della sua anima straziata da tanta psicofisica fatica disarticolata, una volta raggiunto l’obiettivo prefissatosi, non credesse ai suoi occhi e rimanesse paralizzato da una sensazione di paradossale amarezza sterminata. Tumefatto, sfatto, putrefatto da un’universale disfatta, pervaso e allo stesso tempo imbrogliato, no, imbrigliato nello scioglimento emotivo più tremendo, addirittura stravolto nello “scoglionamento” sessuale così incredibile da lasciarlo spossato, senza fiato così come le gambe di Sharon Stone da farti prendere un infarto.
Ah, un tempo, Sharon fu fatata femme fatale e me n’infatuai. Ora la ripudio, malgrado io sia adesso sul podio.
Una per cui, appunto, dovevi superare mille scogli se desideravi approdare alla paradisiaca scogliera del suo Triangolo delle Bermude. E, quando valicasti mari e monti, dopo patibolari, sesquipedali fatiche da moderno Sisifo, distruggendo ogni hater con la svastica, passò troppo tempo e lei or è invecchiata. In spiaggia non si mette in topless e non le vedi nessun bikini da ex provocante birichina, è rugosa e affogata in un costume intero che non lascia nulla all’immaginazione calorosa. Sì, perché se immaginassi la sua nudità ardimentosa, preferiresti bambinescamente stare a moscio, no, a mollo con far innocentemente smorfioso.
Sono un uomo dissoltosi nella penombra rosa e nerissima, nella penosità e nella continua peluria, no, esistenziale penuria, vago come un lupo mannaro nella brughiera e, dinanzi a me, osservo pianure di scimmie che s’accoppiano nella radura, nella selvaggia natura.
Al che accendo una sigaretta e la bruciacchio nell’apoteosi della sua forza essiccante ogni mia residua, viva speranza, privo anche di ogni stimolo iroso, son ora barboso, barbuto come un lupo cazzuto, prosciugato nei polmoni dallo sforzo aspirante di essere cosciente, oramai, dell’inghiottimento perpetratomi da una società animalesca e porcellesca. Forse solo fottuta. Steso, stirato, completamente andato, disidratato, neanche me la tiro. Passeggio sconsolato, pigliando in giro le anoressiche che non vogliono mangiare nemmeno l’insalata, infliggendosi pene terrificanti, costipando, castigando, mortificando la beltà ridente dei loro cor(pi) invero ancora bisognosi di calor(i)e. Non sono dementi ma non hanno voglia semplicemente di qualcosa di ardente e al dente.
È tutto un carnaio, uno svaccamento collettivo fra uomini toreri e donne tornite, fra ragazzi taurini e adolescenti spaurite. Tra milf rifatte e nerd strafatti. Che (dis)umana frittata ch’è stata questa società, un’immensa cagata.
Così ancor sparisco, inabissandomi nell’equinozio invernale della mia depressione an(n)ale. Sì, ancora mi fotto da solo, preferendo l’’onanistica ammirazione del mio ombelico dinanzi a questi nudisti che fanno i fighi, invero sono soltanto nell’anima finiti.
Il naufragare non m’è dolce neppure al mare poiché odio la luce del sole come un vampiro avaro.
Tutti questi uomini in mutande sarebbero da spogliare del tutto. Queste donne senza dignità sarebbero d’appendere al chiodo del loro tamarro non tanto di qualità.
E così va.
Non va.
Ricordate:
molti uomini hanno una vita del cazzo e non hanno tempo per prendersi cura di vite altrui di merda.
Molte donne si/li consolano e, in questa consolazione buonista di massa, cammino a testa alta, pavoneggiandomi un po’ e subito oltremo(n)do.
La mia prima ragazza pensava di farmi del pene, no, del bene, scopandomi.
Questi sono i risultati.
Fidatevi.
William Baldwin di Too Old to Die Young è un genio.
Sua figlia diciassettenne è stata a letto col più stronzo di tutti. Lei glielo riferisce. Al che va dallo stronzo per antonomasia, il suo attuale boyfriend, e gli dice che suo padre vorrebbe conoscerlo.
Lo stronzo enorme è impaurito, preoccupato che il padre Baldwin possa farglielo a striscio, addirittura denunciarlo in modo tale da non fargliela passare liscia.
L’essere escrementizio si presenta a casa dell’eventuale, futuro suocero, un riccone annoiato a morte, il Baldwin. E chi sennò? Il ritratto vivente del pappone.
Baldwin, l’interprete di Sliver e Fuoco assassino, quello a cui hanno sempre detto che, anche se recitò con Kurt Russell e Bob De Niro, non varrà mai l’unghia del fratello maggiore, Alec.
Fissa lo stronzo nella pelle, nelle palle degli occhi senza battere ciglio, poi gli parla discretamente in privato con severo cipiglio. Lo stronzo è terrificato dalla possibile reazione del Baldwin stizzito. E lo stronzo rimane impassibile, in una parola zitto.
Baldwin gli si pone pressappoco in questi termini:
– Ti sei scopato mia figlia minorenne. Be’, che possiamo fare? A lei è piaciuto? Sì. A te pure? Sì. Tanto prima o poi doveva succedere. Lei è felice, tu sei un bel ragazzo come Elvis.
Dove sta il problema?
Una scena scioccante. William Baldwin è un grande.
Sì, il suo personaggio dev’essersi fatto un culo della madonna per arrivare dove è arrivato.
E a che è servito? Il mondo è sempre uno schifo, la figlia una pazza viziata. Era meglio forse se fosse stato un caso umano.
Almeno avrebbe avuto la solidarietà penosa e compassionevole del novanta per cento dell’umanità, formata da irriconoscenti ritardati, da egoisti maniaci, da pervertiti mascherati dietro una facciata perbenistica da falsi e ipocriti dei miei coglioni.
E questo è quanto.
Il mare a me non piace, preferisco le rocce.
Anche le mie cosce.
di Stefano Falotico