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Il sottoscritto intervista il grande Antonio Del Sorbo


09 Jun

Ecco una foto bellissima dal suo profilo Facebook.32929195_10155644914413284_820853041509957632_n

DOMANDA numero uno e poi tutte le altre: la visione cinematografica coinvolge lo spettatore su un piano razionale-cognitivo o emozionale-sensoriale?

– Dipende da come si fruisce del Cinema. Per molti anni il Cinema ha avuto una valenza popolare. Era una valvola di sfogo per i fermenti anche rabbiosi che scorrevano sottopelle, per esempio, fra i proletari incazzosi che, nella Settima Arte più fantasmagorica, sublimavano le loro esistenziali sconfitte quotidiane, proiettando i loro sogni sul grande schermo e, a loro volta, come in un rapporto quasi parassitario ma vivamente simbiotico, esperivano da questi sogni la voglia di vincere ed emanciparsi dai loro grigi o turbinosi malesseri quotidiano-sociali.

Quindi, in tal caso il Cinema coinvolge lo spettatore dal punto di vista sentimentale.

Quest’anno, agli Oscar sono stati premiati perlopiù film che hanno assolto a questa funzione. Puro, ottimo Cinema popolare nella sua forma migliore. Basti pensare alla storia di amicizia di Green Book. Un po’ indubbiamente retorica ma comunque di pregiata, indiscutibile fattura.

Poi, ovviamente esiste il Cinema artistico più elevato. Come quello di Lynch o Cronenberg.

Che agiscono a livello razionale e cognitivo, svelandoci la nudità del mondo nella sua verità più freddamente realistica. Sì, Lynch è paradossalmente realistico anche quando estremamente metafisico. Non è mai retorico nemmeno nelle storie più semplici come Una storia vera.

 

  • Il cinema deve assolvere anche una funzione pedagogica oppure deve solo rappresentare e non pretendere di educare?

– No, a mio avviso il Cinema non deve educare proprio a un bel niente. Questa visione scolastico-pedagogica è sbagliata. È adottata, che ne so, dai docenti di Storia che portano i loro alunni a vedere Salvate il soldato Ryan, faccio per dire, per far capire meglio ai loro studenti la Seconda Guerra Mondiale.

E invece non li portano a vedere La sottile linea rossa. Film ben più introspettivo delle spielbergate retoriche. Sì, di Salvate il soldato Ryan salvo la prima mezz’ora dello sbarco in Normandia. Per il resto è trionfalisticamente patriottico e falso.

Allora, a questo punto, è meglio leggersi, appunto, un libro di guerra. Pure questo ideologicamente schierato ma almeno privo delle lezioni moralistiche di Spielberg. Uno che quando faceva il Cinema che gli riesce meglio, cioè quello scacciapensieri, era molto più pedagogico, eh sì, di quando ha tirato fuori Amistad. Altro film palloso e bugiardo.

E ne vogliamo parlare dei genitori che portarono i figli adolescenti a vedere L’ultimo bacio? Ansiosi che i figli s’innamorassero della classica ragazza brava e in gamba?

Ma per l’amor di dio.

Un genitore sano e non bacato deve portare i figli, sin dalla più tenera età, a vedere un film con Edwige Fenech. Tanto il figlio è già più sveglio di loro e capirà che questo genere di film è una porcata. Solo allora, da sé si approccerà a Cuore selvaggio.

 

  • Il cinema è il veicolo privilegiato per la visione di un film o anche i mezzi di nuova generazione (piattaforme streaming) hanno la stessa dignità?

– So che, se dovesse leggere questa mia risposta Federico Frusciante, mi brucerà la casa.

Ma io qui lo affermo e non lo nego, lo sottoscrivo, firmato in calce.

Lo streaming è meglio. Sarò più preciso in merito. Il Cinema inteso come luogo di aggregazione non esiste più.

Sono stanco di fare la fila, sorbirmi venti minuti di pubblicità e non capire un cazzo di un film di Woody Allen perché una buzzicona, al mio fianco, scoreggia e mangia la sua patatina…

Ah ah.

Invece, nell’intimità della propria casa, posso fumarmi una sigaretta. Per aggregarmi a qualcuno, ci pensa la ragazza che ora sto corteggiando. Con cui condividerò emozioni in compagnia…

Così è. La seduta è tolta.

 

  • Quali sono le caratteristiche del genere noir?

– Il noir lo riconosci subito. Molti pensano, erroneamente, che in un noir debbano esserci per forza una donna seducente oppure un omicidio. Non è sempre vero. Femme Fatale di De Palma non è un noir, è un giallo hitcockiano. Così come Black Dahlia.

Gli spietati invece di Eastwood è un noir camuffato da western.

 

  • Un grande regista esplora aspetti nuovi in ogni suo film oppure può anche riprodurre lo stesso prodotto?

– Invero, i grandi registi “parlano” sempre delle solite tematiche, cambiando solo le trame.

Kubrick, per esempio, ha sperimentato quasi tutti i generi, ma ha fatto sempre lo stesso film. Incentrato sulla follia dell’uomo collocata in ambiti diversi.

 

  • Come si contempera l’aspetto commerciale del cinema con il non porre alcun tipo di paletti a una forma d’arte?

– Nella risposta precedente, ho accennato a Kubrick. Ebbene Shining, sul quale comunque io ho delle riserve, coniuga l’arte alla commerciabilità. È un film che puoi vedere a otto anni e rimanerne impressionato. E rivedere a ottant’anni per scoprire lati più profondi che da piccolo ti erano sfuggiti.

John Carpenter è maestro in questo. Infatti, lui s’è auto-definito un comunista-capitalista, eh eh.

Uno che cioè pensa alla grandissima qualità con l’occhio comunque al portafogli.

 

  • Cosa rende un film classificabile come prodotto d’autore?

– Un film può essere anche un porno o un film orribile ma lo stesso d’autore. Perché, pur nella sua sconcezza o nella sua estrema bruttezza, è d’autore in quanto chi l’ha girato, ha adottato il suo punto di vista. Il suo sguardo.

 

  • Lo spettatore è soggetto passivo o attivo dell’esperienza cinematografica?

– Lo spettatore è sempre attivo. Diventa passivo quando vede Sharon Stone in Basic Instinct e non si attiva qualcosa in lui di “coinvolgente”. Se è così, è passivo pure omosessuale. Ah ah.

 

  • Negli ultimi anni le serie tv hanno via via acquisito un maggiore spazio. Ciò è dovuto a un aspetto di puro intrattenimento oppure si lega, magari, alla migliore caratterizzazione dei personaggi e/o al miglior sviluppo della trama in un arco narrativo più prolungato?

– Non sono un grosso ammiratore delle serie tv. Anche le più belle peccano dello stesso difetto. Dilatano la trama, con digressioni e scene inutili, per allungare il brodo. Quando era tutto più risolvibile e migliore se avessero cancellato parti, appunto, superflue.

 

  • Il regista contemporaneo che ha maggiormente innovato il cinema e perché?

– Credo David Cronenberg. Prendiamo il successo di Black Mirror. Che comunque a me piace. Incontestabile il talento di Charlie Brooker. Ma non vi è un solo episodio di Black Mirror che non possa essere riconducibile alla nuova carne tecnologica di Cronny.

 

 

Grazie Antonio.

 

Intervista di Stefano Falotico

I più visti di Netflix? Ma voi vi siete visti? Non demonizzate lo streaming senza conoscere il Cinema e le sue tempistiche, soprattutto le mie


19 Apr

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Sì, voi non avete di meglio da fare che accanirvi contro i politicanti corrotti, che spettegolare sull’amico di turno, screditandolo, complottando giorno e notte per fregare la ragazza al prossimo in quest’esasperante gara competitiva basata su rivalse misere, su giochi psicologici assai meschini, su tribali faide molto barbariche?

Sì, qua da noi hanno impazzato per anni programmi pseudo-culturali ricalcati sui migliori e anche peggiori talk show statunitensi. Le invasioni barbariche docet. Ove la conduttrice è stata colei che, dapprima, per far carriera e scalare i vertici del giornalismo televisivo, ha iniziato per Mediaset a pubblicizzare alla buona gli Oscar Mondadori. Poi, ottenuta una certa credibilità intellettuale da radicalchic dei primi anni novanta, si è platealmente svenduta. Io invece, mie serpi, son come Serpico! Prima tenendo banco al Grande Fratello, dunque ripudiando il suo mainstream, divenendo paladina delle becere scienze delle comunicazioni squallidamente mediatiche, pubblicando libri come Non vi lascerò orfani. Libro di cianfrusaglie pedagogiche, di psicologie d’accatto che scopiazza da Nanni Moretti, dallo psicoterapeuta Raffaele Morelli, da Francesco Alberoni, da Paolo Crepet, perfino da Vittorino Andreoli, miscelando il tutto in una sociologia-geriatrica, oserei dire pediatrica, dunque modellando la sua operetta ad autolatrica esaltazione d’un pasoliniano manierismo di natura egotista, probabilmente solo egoista, in un certo senso dunque spudoratamente qualunquista e relativistica.

La signora da me citata in causa ha sofferto di un brutto male e ciò mi dispiace. Ma il suo libro era da latrina. E non voglio far la rima baciata con… perché odo uno squillo del mio cellulare. Sì, scusate un attimo.

È arrivata una notifica.  Sì accesa una lucciola, no, non mi ha contattato una di quelle che imperano su Instagram, spacciandosi per modelle/a, volevo dire una lucina.

La lucina di un mio amico che mi chiede di parlare male di Netflix. Poiché lui non ne è capace e pensa che io possieda un acume superiore per imbastire un ragionamento lucido.

Potrebbe essere. Ma mi chiede di far campagna diffamatoria nei confronti della più famosa e importante piattaforma di streaming del mondo.

Io gli rispondo che parlerò, sì, di Netflix ma in maniera neutrale, fredda e distaccata, oggettiva.

Perché io sono più obiettivo di una macchina fotografica della Nikon.

Mi definisco apolitico ma in fondo son solo uno che non si chiude in ideali fanatici, in quanto uomo falotico un po’ selvatico che non prende mai gli antibiotici contro chi, a priori, assume atteggiamenti idolatrici, scagliandosi contro il contemporaneo cosiddetto malcostume cinematografico.

Sì, fa molto cinefilo cazzuto affermare in totale baldanza che Netflix sia attualmente la rovina della Settima Arte.

Di questo ne siete sicuri? Io vi vedo solo più tristi e scuri. Già mi espressi tempo addietro sull’argomento e ora voglio solo liquidare la questione in maniera brillante, bollente e aromatica perché fra pochi munti devo bermi un caffè della Nespresso.

Ora, chiariamoci. Sono un drogato di cappuccini e cioccolate calde. Sì, come sono buone le calde, no, le cialde della Ciobar.

Mentre so che molti di voi si riforniscono di “tazze” fatte in casa acquistate da un nostrano Pablo Escobar.

Sì, dite agli altri di sgobbar e ve la tirate da intellettuali che si danno un gran da fare. So bene invece che i vostri son soltanto intrallazzi ruffiani ove prostituite, da viziosi, la vostra dignità morale per mettere a fuoco solo e sempre di più le vostre capricciose, maniacali voglie di scopar’.

Sì, davvero, un troiaio mai visto.

La dovreste finire poi di pontificare e sacramentare, dicendo che viviamo in tempi bui. Imbrodandovi in disfattistiche pose iconoclastiche davvero falsissime.

Siete pieni di soldi, di baiocchi e vivete nel Paese dei Balocchi. Suvvia, giù le maschere. Fate come Robin Hood.

Prima vi nascondete nella retorica sinistroide per apparire come pensatori moderni ed ecumenici, buoni e solidali ma vi attenete a ogni più triviale, frivola moda.

Siete più fake di una dolciastra pubblicità del Buondì Motta. Siete come questa brioche. Golosi e fotogenici, ricoperti di glassa, invero stopposi e stupidamente smargiassi.

Insomma, denigrate i ricchi per ottenere voti dai poveri. Poi però prendete i giro i poveracci, in quanto siete solamente degli avari ipocriti.

Sì, attaccate Netflix.

Vero, Netflix produce tutto, non ha un impianto regolatore. Ma vogliamo parlarne degli “appalti abusivi” della Warner Bros?

Capace di passare da Clint Eastwood alla Suicide Squad/Joker con Jared Leto? Questo è uno smottamento tettonico da massimo grado della scala Richter per un casino qualitativo assai poco idealistico bensì “terremotistico”.

Terremotistico (non) esiste in italiano? Sì, hai ragione ma son anche stanco dei tuoi sgrammaticati discorsi qualunquistici. E ti correggo subito.

Sì, abbiamo comunisti che ce l’hanno col capitalismo e poi mettono su i Patreon per un imprenditoriale, fintissima virtù culturale.

Invero, per diventare più ricchi in maniera parimenti micidiale a Iervolino che vuol far ora concorrenza a Netflix con TaTaTu. Roba da bambini.

Ma smettetela. Vi vedo bene col tutù.

Chiariamoci. True Detective è una grande serie ma è altresì inferiore a The Night Of. E, se dite di no, è perché Matthew McConaughey, sessualmente parlando, spinge di più rispetto a John Turturro.

Ma non baratterei, miei batteri, mai uno Steven Zaillian e un Richard Price con questo Pizzolatto. Ah ah. Non c’è price, prezzo. Che pezzo!

Insomma, dovreste dirla tutta.

Sì, fate i moralisti, i moralizzatori, oserei dire i demoralizzatori, dunque i demonizzanti demolitori.

E dite che Sharon Stone in Basic Instinct non sappia recitare.

Potrebbe essere vero. Ma come qualche giorno fa io dissi: conoscete uomini a cui non piaccia Sharon Stone di Basic Instinct? Esistono secondo voi?

Certamente, non lo metto in dubbio.

Ci sono. Infatti sono in un centro psichiatrico.

Ah ah.

Dunque, aveva ragione Paolo Sorrentino. Sì, Berlusconi è un corrotto, lo è sempre stato. E andava con quelle…

Come diceva Andreoli, no, Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha.

E voi non avete i soldi per produrre The Irishman, le serie di David Fincher e compagnia bella.

No, mi sa che avete solo le chiacchiere populistiche.

Così è.

In fondo, siamo proprio sicuri che io sia un’Alda Merini in abiti maschili? Cioè la madre di Matt Dillon e Mickey Rourke in Rusty il selvaggio?

Ci mettereste la mano sul fuoco?

Io non avrei mai scherzato col diavolo…

Conosce le verità del mondo e non è mai assolutistico.

Netflix è il male?

Non ne farei una questione tragicomica da Divina Commedia.

 

 

di Stefano Falotico

Le migliori serie televisive e il mio video cult da fantasma di Bob


17 Nov

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Stranger Things

Stranger Things

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Ebbene, devo ammetterlo, sebbene qualche insegnante di semantica-semiotica cinematografica del DAMS o scuole affini mi rimprovererà tosto. Le serie televisive mal le digerisco.

Perlopiù la maggioranza di esse.

Sono profondamente convinto che, nonostante molte di queste, invero assai poche, possano essere ottimamente costruite, con sceneggiature perfino ingegnosamente architettate, e farcite di personaggi carismatici, affascinanti o solamente interessanti che, senz’ombra di dubbio, attraggono la nostra curiosità, siano allestite inconfutabilmente al fine di un solo, primario scopo. Quello d’intrattenere. E basta.

Non vi è Arte.

Basti vedere il nuovo format adottato ad esempio da Netflix. Ieri sera, ho visto con molto piacere, divertendomi da matti, il primo episodio de Il metodo Kominsky. Una serie che, se manterrà il ritmo dolceamaro dei suoi primi trenta minuti, scanzonato, nostalgico, leggerissimo, potrebbe ascendere presto tra le mie preferite. Ma questo lo saprò soltanto a visione completata delle sue dieci “puntate”.

Ecco, ogni episodio de Il metodo Komisnky dura appena, appunto, mezz’ora. Alcuni, dando io un’occhiata veloce ai minutaggi dei singoli “spezzoni”, non vanno addirittura oltre i venti minuti. Roba che non fai in tempo a guardare i titoli di testa che già sei arrivato a quelli di coda con un brevissimo intermezzo di qualche sketch fra Michael Douglas e Alan Arkin.

Gli episodi invece di Maniac durano singolarmente non più di quaranta minuti.

Ciò per dire che il livello di attenzione dello spettatore medio, quello a cui punta Netflix, si è notevolmente abbassato.

Un tempo, come da me già detto, la gente si piazzava sul divano e, su RAI 3, ai primi di Gennaio, quando spesso lo programmano, si guardava per intero C’era una volta in America, col solo spazio pubblicitario fra il primo e il secondo tempo in cui andava a dissetarsi e si fumava una sigaretta, oppure recandosi in bagno a fare un po’ di “acqua”.

La gente era abituata alla contemplazione, alla splendida “lentezza”.

Oggigiorno invece i ritmi troppo frenetici giocoforza impostici dalla società non ci permettono di soffermarci troppo sulle cose. Ché poi bisogna guidare la macchina nel caos cittadino.

Dunque, si è adottato questo formato, appunto, velocissimo, d’immediato consumo. Tanto per farci passare un po’ il tempo libero.

Le serie televisive, in generale, fanno esattamente questo. Sono storie che, a mio avviso, potevano essere sintetizzate, senz’assurde digressioni superflue e onestamente noiose, senza siparietti poco funzionali alla vicenda narrata, al fulcro sostanziale della trama, in due ore e mezza, al massimo.

Questa regola vale per ogni serie televisiva. Anche per quelle migliori.

Ecco, non essendo un patito di serie tv, appunto, non ne guardo molte. Ma le scelgo oculatamente in base ai miei gusti. Vado d’istinto. Decido di sorbirmi tutti gli episodi di una serie, semmai uno o due a sera, dopo aver vagliato scrupolosamente.

Posso dunque dire che il mio sguardo è “limitato” e forse avete ragione voi a sostenere che le serie televisive siano oramai il futuro non solo della televisione ma del Cinema.

Detto ciò, sono soltanto cinque le serie televisive degli ultimi anni che mi hanno quasi del tutto appagato e reso fiero di averle viste. Quelle per cui ritengo di non aver buttato del tempo prezioso nel visionarle.

Partiamo dal quinto posto per arrivare al primo.

5) Stranger Things. Sì, tutto vero. Non inventa niente, ricicla il sincretismo culturale anni ottanta, soprattutto, e ripesca da Spielberg, Joe Dante, perfino da Wes Craven, e chi più ne ha più ne metta.

Ma la miscela è ottima, commovente, è una serie che davvero ti riporta indietro nel tempo. Come Ritorno al futuro di Zemeckis.

Promossa appieno.

4) Marvel’s The Punisher. Oh, finalmente Frank Castle, dopo tante trasposizioni orrende, e mi riferisco a quelle con Dolph Lundgren (!) e Thomas Jane, trova nel volto roccioso di Joe Bernthal la sua mimesi perfetta.

La serie è violentissima con tanto di scena in cui The Punisher sfonda gli occhi del suo eterno torturatore e finale in cui macella il cranio dell’amico traditore figlio di puttana.

Ma, a parte qualche eccesso, funziona a meraviglia.

3) Mindhunter. Gli episodi di Fincher sono stupendi. Zodiac incontra Il silenzio degli innocenti.

Qualche luogo comune di troppo sui serial killer rovina l’amalgama ma la serie spinge, eccome.

2) True Detective, prima stagione. Non è assolutamente perfetta. Anzi, più la riguardo e più i monologhi di Rust, che tanto mi avevano impressionato la prima volta che li vidi, mi paiono costruiti, artefatti, e Pizzolatto mi sembra un tizio furbissimo, bravo ad accattivarsi, con pessimistico maledettismo, le simpatie dello spettatore hater del mondo.

Come per tutte le serie televisive, ribadisco, la storia poteva durare molto meno e se ne poteva fare un film. Semmai di tre ore. Molti risvolti e molte parentesi sono esagerate, la serie è dispersiva e alla fine ciò che resta è appunto la forza interpretativa di un McConaughey nel suo ruolo della vita e gli ultimi venti minuti.

Con la discesa nel covo di Carcosa, la resurrezione cristologica di Rust e i due amici di tutta un’esistenza che meditano su questa brutta faccenda. Da lacrimoni.

1) The Night Of. La perla per eccellenza. La prima puntata è qualcosa di magnifico. Abbiamo Fuori orario di Scorsese che incontra la penna di Richard Price. Sin alla lenta, mostruosa esplosione di un equivoco giudiziario spaventoso.

Ma anche in questo caso, come The Guardian disse bene, sebbene The Night Of rimanga a mio parere un capolavoro, la serie si perde un po’ per strada con una storia processuale abbastanza convenzionale da Perry Mason e John Grisham e smarrisce molta della carica della prima puntata.

Il finale però è da brividi e salva i pur minimi difetti enunciativi.

 

Ecco, personalmente, per quanto riguarda Gomorra, Narcos, Westworld in particolar modo, come dice il vecchio Jack Burton… basta, adesso.

Mi hanno scassato u’ caz’.

Ovviamente, ho trascutato apposta Twin Peaks Il ritorno. Che non è una serie televisiva… è la storia della mia vita. Soprattutto quando Laura Palmer torna a casa…

E urla di paura perché questa sua vita è stata tutta un immane incubo terrificante.

Sì, come la mia vita. Ve ne avevo già parlato di questo?

Sì, a un certo punto, similmente a The Night Of, chi mi stava attorno mi ha fissato negli occhi.

E, allucinato da quel che vide, urlò fra il meravigliato, lo sbigottito, l’incredibile materializzatosi ancora.

Sì, qualcosa di tragicamente lynchiano.

 

 

di Stefano Falotico

Il problema delle serie televisive


06 Mar

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“Getto” un post su Facebook e si scatena l’inferno: ma a voi guardare serie televisive dalla mattina alla sera e non amare la vita vera, piace così tanto?

F. Romeo: – I giorni sono o possono essere lunghi. Le serie tv sono spesso opere d’arte e da O. Wilde ad Arancia meccanica sappiamo o dovremmo sapere che la vita vera (che per Nabokov è una espressione che andrebbe messa in corsivo) è più vera dopo che l’hai vista superbamente rappresentata. Ma poi amare così mi sembra come un lavoro serale. Da mattina a sera però… ok magari no, ma chi farebbe questo? Mi sa che saranno molto pochi. Fermo restando che qualche giorno si può anche impiegare tutto così e non si fa male a nessuno (nemmeno a sé stessi) e la grana del giorno seguente sarà più vibrante che mai, magari.

Stefano Falotico: – Concordo, io sono il principe delle virtualità, mi riferivo non a noi, immaginifici, ma alla gente annoiata e frustrata.

A. Onofri: – Ma noi abbiamo un problema serio con gente che per vedere le serie non legge più un libro, non va a visitare le mostre né i musei, né percepisce il cinema con il senso narrativo congruo del cinema, ma modificato dalla cadenza della narrazione seriale interrotta da intervalli pubblicitari. Insomma: avevamo trovato, prima durante e dopo l’evoluzione della televisione, un prodotto che ancora resisteva e resiste tutt’ora nel tempo senza mai ‘scadere’, come è un FILM, e dobbiamo nuovamente tornare a dare retta a un qualcos’altro che già un anno dopo sa di preistorico? Andiamo!

F. Romeo: – Anton Giulio, messa nei termini in cui l’hai messa, sono d’accordo con te. Ma la fenomenologia della fruizione televisiva (per essere pomposi) è varia. E sappiamo che tu hai scartato capricciosamente (non è affatto un verbo che uso in senso critico) o strategicamente (sulla gestione del tempo personale non discuto) una forma d’arte (per me è lampante che nei casi migliori lo sia) che per altri, anche se vuoi a causa della sua “novità”, è entusiasmante o comunque assai gradita.

Stefano Falotico: – Analisi perfetta, per serie televisive non intendo Twin Peaks, il miglior film, sì lo è, dell’anno scorso, ma le robacce insulse e per deficienti, che pare molti invece apprezzino, non avendo più memoria di cosa sia la bellezza.

A. Onofri: – Come può essere una forma d’arte qualcosa di regolato da ferree regole commerciali? Qualcosa che dipende dal gradimento di un pubblico che, qualora venisse a mancare, verrebbe interrotto all’istante? Insomma, sai bene a cosa mi riferisco. L’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica NON PUÒ avere lo stesso valore di quella prodotta prima. E se il PASSATO viene trascurato nel nome di questa cosa qui, che per carità dà da lavorare a un sacco di gente, parliamo però d’altro, e NON di arte, come invece potremmo sempre fare anche nel caso del più brutto, scarso e squallido prodotto cinematografico. Perché di arte brutta ne è sempre esistita e sempre ne esisterà. Il resto è ATTUALITÀ.

F. Romeo: – No, grande e bella arte. Quello di cui parli tu è un fattore esterno. La perdita dell’aura è una cosa, il mantenimento (per me lampante, lampante) dell’elevato rango artistico è un’altra cosa, intatta (o irrilevantemente scalfita).

A. Onofri: – Dimenticavo la stima, certo. Ma già True Detective stagione 1, che non vedrà più nessuno se non per studio, è roba scaduta.

Stefano Falotico: – Ha ragione Anton Ago. True Detective ha un effetto anche potente la prima volta che lo vedi, poi svanisce l’effetto sorpresa e termina la magia. Ora, le poche serie televisive da menzionare degli scorsi mesi sono The Night Of, da rivedere, soprattutto la prima puntata, tutta notturna e con echi scorsesiani, Twin Peaks, ma non in ordine cronologico, a frammenti visivi, e qualche exploit di The Punisher con Bernthal, che tocca in certi momenti attimi di violenza catartica da lasciarti senza fiato. Ma non parlatemi di roba fredda e robotica come Westworld e altre cazzate del genere. Per carità, se uno non ha meglio da fare, se le guarda anche volentieri, ma non è arte, non è Cinema, non è un bel niente, se non intrattenimento che dopo neanche un anno è superato, datato. Se poi, Francesco Romeo, tu ti riguardi queste serie mille volte, non sono fatti che mi riguardano. Anch’io spolvero casa più volte, ma sono ripassatine e basta.

A. Onofri: – Anche Hugo Pratt è più geniale di un pittore della domenica. Ma sarà sempre Fumetto.

F. Romeo: – Stefano, evidentemente non mi spiego. Perché sembri proprio non afferrare. Io riguardo opere d’arte, che studio, su cui scrivo, che porto a lezione. Se tu non sei in grado di capirle, problemi tuoi. Le ripassatine dalle a casa tua e non nel mio castello. Non sai né di cosa stai parlando né con chi…

Stefano Falotico: – No, sei tu che non capisci. E poi stai scadendo nelle offese. Il mio era un banale esempio, ci mancherebbe che voglia spolverare il tuo “castello”. Ora, escludendo le serie tv che ti ho citato io, dimmi quale sarebbero queste opere d’arte degli ultimi anni da portare addirittura a lezione.

 

F. Romeo: – Le ho citate. Tu evidentemente non ti accorgi quando scadi (nelle offese e nel resto). Questa è un’attenuante. Io ovviamente me ne accorgo. Mi accorgo di tutto. Mi accorgo della eccellenza intellettuale e artistica di quello che guardo. Perché ho degli strumenti e delle doti che me lo consentono. Del resto, scrittori formidabili, che dubito che tu legga, sono rimasti estasiati da alcune delle serie che ho citato, paragonandole, per valore, ai romanzi più strabilianti della seconda metà del secolo. Poi arrivi tu a dare ragioni e tori e a voler spiegare a me, che studio e insegno i principali filosofi di estetica, che sarebbero ripassatine? Io scherzo spesso volentieri, ma seguiamo qui D. F. Wallace e introduciamo un nucleo di serietà.

Stefano Falotico: – Guarda, definendo inadeguati e incompetenti chi non conosci, mi sembra mancare di rispetto e precludersi uno scambio di opinioni democratico. Se vuoi che ti chiami MAESTRO IN CATTEDRA, non sono il tipo, te lo dico con affetto. Quindi, a mio avviso, la discussione può terminare qui. Liberissimo di vedere e osannare tutte le serie che vuoi, non voglio sindacare sulla tua concezione di estetica e di arte. Buona giornata.

F. Romeo, credo tu abbia frainteso, ripeto, l’assunto di partenza. Io non parlo di serie televisive alte, che tu citi e che in effetti meritano seria considerazione, mi riferivo alla tendenza modaiola, squallidissima, di molta gente di passare ore a vedere schifezze.

 

E ora, come diceva Santi Licheri a Forum, la seduta è tolta.

 

E se, comunque la merda vi piace, tornate a sedervi e a spararvela.

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Stranger Things, Falotico intervista Cristian Maillet, uomo scrupoloso e sin troppo obiettivo, cinefilo carpenteriano, dotato di saggezza “permalosa”, viene così intervistato da Falotico lo “scontroso”.


29 Aug

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1) Non ti è piaciuta molto questa serie. Come mai? Quali, secondo te, i punti più deboli?

L’ho vista solo una volta, quindi magari dovrei rivederla per parlarne molto nel dettaglio; diciamo che ha deluso le aspettative molto elevate che avevo, dopo aver letto grandi elogi da molte parti. Nel complesso il giudizio è positivo, ma non mi ha colpito in maniera particolare.

L’aspetto che mi ha deluso di più, nel complesso, è stata la mancanza di atmosfera, cosa che invece, a leggere commenti e recensioni, sembrava essere uno dei suoi punti di forza. Forse ho male interpretato l’intento degli autori ma, nonostante un utilizzo di citazioni senza dubbio pertinenti e anche numerose (dalle musiche ai videogiochi, ai giochi di ruolo, al cinema, sono tante), non ho captato l’essenza della periferia o comunque della società americana, vista per lo più da giovani e adolescenti come invece si respira nei film famosi dell’epoca che immagino siano stati un riferimento anche per questa serie, da “Goonies” a “Poltergeist”, da “Gremlins” a “Explorers” e così via.
I “nerd” si potranno anche entusiasmare o commuovere solo nel vedere una inquadratura del manuale di “Dungeons & Dragons – Expert”, ma a me non basta.

E inoltre non aiuta in questo l’estetica, che è molto più moderna. Se vuoi ricreare l’atmosfera di un’epoca e del relativo cinema, devi fare ad esempio come Tarantino e Rodriguez con i loro “Grindhouse”, o P.T. Anderson in “Vizio di Forma” e lavorare molto di più sullo stile della fotografia. Come ho scritto sul mio profilo Facebook, per buona parte della serie mi sembrava di vedere un X-Files fatto meglio, al punto che mi sono chiesto se i registi non venissero più dagli anni 90 che non da quelli 80.

Infine le musiche. Mi aspettavo un utilizzo un pochino più “importante” sia a livello diegetico che non. Ci sono anche bei pezzi, ma buttati un po’ lì. Aggiungono pochissimo e alla fine si notano più i Synth della soundtrack originale, ma anche quella mi è parsa molto più stile Nine Inch Nails che non Vangelis, tanto per citarne uno.

Diciamo nulla di brutto, solo cose belle un po’ fuori contesto.

 

2) Cosa avresti cambiato?

Mah, io parto dal presupposto, forse sbagliato, che in una produzione del genere nulla è improvvisato. Se le cose sono state fatte in questo modo, in buona parte era per ottenere un effetto che forse semplicemente non corrisponde a quello che io desideravo o mi aspettavo.

Ma la serie ha avuto ottimi riscontri di critica e pubblico, quindi hanno ragione gli autori.
A parte gli aspetti sopra citati, l’unica cosa sulla quale veramente avrei lavorato meglio sono i dialoghi e un po’ tutta la sceneggiatura e il ritmo dei primi episodi, che ho trovato davvero noiosetti e con i tempi un po’ troppo dilatati.

Se in questi casi il motivo potrebbe essere il voler ricreare un’atmosfera adeguatamente tesa e costruire dei personaggi convincenti con i quali entrare in empatia, purtroppo per quel che mi riguarda hanno fallito e la serie diventa veramente interessante solo quando arrivano le parti action e horror.

3) A dispetto della maggioranza, vai contro e la stronchi. Quindi non guarderai l’annunciata seconda stagione?

Ma no dai non l’ho stroncata e probabilmente la guarderò; senza dubbio aspetterò che sia completa perché aspettare una settimana per vedere un episodio non fa per me.

 

4) Salvi gli attori giovani? E del ritorno di Modine e della Ryder che ne pensi? Pensi, come anche gli ammiratori della serie hanno però sostenuto, che sia andata spesso sopra le righe col suo personaggio iper-melodrammatico?

La direzione e recitazione dei bambini e dei ragazzi è convincente, limitata però da situazioni e dialoghi abbastanza piatti e banali. Ritengo che una volta approvata la sceneggiature, non si potesse fare molto di più se non stravolgendola.

Modine si vede tutto sommato abbastanza poco, siamo quasi ai limiti del cameo.

Su Winona Ryder, che adoro sin dai tempi di “Beetlejuice”, sono ancora un po’ in dubbio. Anche io nel corso della serie l’ho reputata un po’ troppo sopra le righe, più che dispiacermi per lei a volte quasi mi infastidiva. Successivamente però ho riflettuto sul fatto che, nell’ottica di rendere il suo personaggio effettivamente folle, non credibile dalle autorità ed emarginata dalla comunità, calcare la mano ed esasperare i toni potesse in effetti essere plausibile. E poi sinceramente non ho mai perso un figlio che poi ricompare in casa sotto forma di presenza accendendo le luci per parlarmi, con successivo mostro (omaggio a Del Toro) che mi esce dalle mura. Forse darei un po’ di matto anche io.

 

5) Le serie televisive ti piacciono o preferisce un sano film cazzuto, senza brodi allungati?

Diciamo che non mi piacciono come mi pare di intuire piacciano alla maggior parte delle persone. Le migliori che ho visto recentemente non superano il livello di un “divertissement”, e le ho approcciate e terminate solo partendo da una base di amore per quel genere (“American Horror Story – Hotel” e “Ash vs Evil Dead”), ma tutte le altre che mi erano state ampiamente consigliate le ho abbandonate dopo 2-3 puntate.

Sono belle, sono realizzate molto meglio rispetto alla roba che facevano anche solo 10-15 anni fa, ma non fanno per me.
In generale le trovo abbastanza anonime. Io amo vedere lo stile di un regista, riconoscerlo film dopo film e seguirne magari anche i cambiamenti; non a caso comunque le serie TV che amo di più sono state dirette da Lynch e Von Trier. Pertanto preferisco senza dubbio un film, possibilmente al cinema. Come passatempo, comunque, c’è molto di peggio.

 

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