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La semantica e la semiotica sono la distruzione dell’Arte e del Cinema


09 Jun

Fred Buscaglione

Mortensen Freud

Secondo la Treccani, cari cagnolini, questo è il significato numero 1, dico 1 e non trino, della semantica:

ramo della linguistica che studia il significato degli enunciati di una lingua o di un dialetto, come rapporto tra il significante e il significato di ciascun elemento e come relazioni reciproche tra i varî significati di una determinata fase cronologica (s. sincronica), e inoltre i mutamenti intervenuti in quei significati e in quelle relazioni in un determinato periodo di tempo (s. diacronica o storica).

Secondo invece un vocabolario del cazzo, per semiotica s’intende, ben intendiamoci, tutto ciò che è proteso verso questo giudizio teso della realtà:

nella filosofia del linguaggio, la ‘scienza generale dei segni’ comprendente le tre branche pragmatica, semantica, sintattica.

La smorfia napoletana, invece, è quella “scienza” appurata da anni, soprattutto da ani, di “arte di arrangiarsi”, di tirar a campare alla bell’è meglio, che attraverso il “recondito” significato delle cabale, dei numeri della tombola, cerca d’interpretare i sogni.

Cioè, dopo Freud e Jung, c’è la parapsicologia superstiziosa dei campani e degli uomini della città del Vesuvio, che decifrano l’inconscio per renderti felice al Lotto. Così puoi pagarti il mutuo e, non più triste, avrai potere economico per non essere dai soprusi zittito, non più muto nella ricchezza il tuo stato psicologico muterà.

Sì, la semiotica si avvicina persino alla psicologia. Vuole decriptare, che ne so, un libro e indagare sui processi creativi che l’hanno generato, addivenire al valore stesso della suddetta opera attraverso una detection psicanalitica, invero spesso solo sedativa. La psichiatria così come la psicologia non risolve niente. Risale alle origini della “problematica”, sviscerando le possibili cause che hanno indotto quella persona, che ne so, ad ammalarsi di grave depressione o ad assumere comportamenti ritrosivi, psicotici e alienati o poco allineati, ma in fin dei conti si rivela una verità, comunque parzialmente scremata come il latte che vi bevete, che a livello cognitivo razionalizza ogni alterazione mentale ma non può offrire nessuna curativa salvazione. Perché l’inconscio è materia, appunto, dei sogni. E per i sogni non vi è scienza che regga.

Così come per il Cinema. Ecco, fra qualche giorno pubblicherò un nuovo libro, Dopo la morte, libro da Donna che visse due volte miscelata/o a De Palma, pirandelliano e perfino carpenteriano.

Se piacerà a qualcuno, a questo qualcuno pensate freghi qualcosa sapere perché l’ho scritto, in quale stato emotivo l’ho (si può usare anche il congiuntivo abbia?… chiedo a voi, uomini che sempre rabbiosi abbaiate, pazienza abbiate!) partorito, quanti giorni, mesi o anni ho impiegato, non da impiegatino, nel portarlo a termine, perché in un capoverso uso un certo tono ironico e poi nell’altro invece adotto uno stile, sì, corrosivo ma serissimo, melodrammatico, a qualcuno importerà se l’ho scritto da sobrio, da ubriaco, sotto l’effetto di farmaci, in dormiveglia o sotto ipnosi, in stato catatonico, ebefrenico o percettivamente daltonico?

L’importante è che sia un libro del Falotico, unico nel suo genere in quanto non ascrivibile a nessuna categoria, la cui genialità non è diagnosticabile e materia d’indagini stronze e limitate. Perché spazio di qua e di là, sono ermetico e post-contemporaneo, romantico e pessimista, tragico e apocalittico, perfino apodittico, apostolico eppur non credo a Cristo, discepolo della mia anima finché non me ne separi, uomo che oggi si suicida e dunque si spara nel cuore trivellato da una donna a me traditrice, domani lo cucirò, e quella mi cucinerò, in deliri masturbatori, alternando frasi di rime baciate al cervello talvolta un po’ bacato, quindi inserendo emozioni trasfuse nel comunicarle a voi in totale remissione di ogni peccato giustamente da non demonizzare, tra afasiche malinconie, nostalgico furore, soavi cambi repentini di umore e lindamente asciutto come il più adamantino mio carnale e poi metafisico odore. Insomma, un capolavoro di ottimo sapore.

Perché la mia anima non si lava col sapone ma è sanamente corretto che decida di mettere un font nella cover e cambiarlo impercettibilmente nel dorso, poiché son uomo che a nudo torso fa la sua figura e non dà al prossimo elementi diagnostici per renderlo un cristiano non agnostico e anche rustico.

Non son uomo di sutura, ma di fronte che suda.

Voi spremetevi le meningi nelle aneddotiche inutili. A chi frega se per la parte di Henry Hill di Quei bravi ragazzi era stato scelto un altro attore e non Liotta?

Questo fregherà ai “dottori” e alle mignotte della cultura.

A me frega che funzioni.

Mi raccomando. Domani sera, danno per la trecentesima volta Cop Land. Sì, avevate già scritto un pezzo su questo film ma il vostro redattore vi chiede di scriverne un altro per l’occasione. Fra tre mesi, al prossimo passaggio televisivo, vi chiederà di dire ai lettori quanti peli del culo aveva Stallone quando l’ha girato. Voi, per pagarvi il culo, appunto, indagherete…

E diverrete sempre più fessi.

 

di Stefano Falotico

La morte di Umberto Eco


20 Feb

Di lui ho letto, a dir il vero, poco. Ma non me ne vergogno.
Molte volte ne ho omaggiato il talento letterario e fantasioso e credo che Il nome della rosa rimanga il suo libro più ambizioso e al contempo meno pretenzioso, un bestseller picaresco, avventuresco, un Indiana Jones in vesti talari, Eco è, fu oramai, il suo Guglielmo, e accosto la sua figura culturale a quella di Sean Connery. Non ho altro da dire, chi ha orecchie per intendere, intenda, chi non capisce si astenga.

Ma ritengo opportuno che sia il Corriere, il maggiore quotidiano italiano, a dargli il definitivo saluto.

Non vinse il Nobel ma vi andò vicino, antipatico personalmente per la sua creazione della cosiddetta semiotica, branca pseudo-scientology-stica a cui mando un sereno fanculo.

Credo di essere e lo sarò sempre, già ora, uno scrittore altissimamente superiore a lui e alla sua boria da trombone.

Ma, evidenzio, ancora, capitemi bene, che Il nome della rosa rimane una lettura imprescindibile. Nel bene, appunto, o nel male.

Il RISO!Umberto Eco Corriere della Sera

Echi de Il nome della rosa


13 Apr

Ho terminato di rileggere il celebre capolavoro di Eco. Devo dire, con sollievo, che me lo ricordavo il migliore dei suoi libri, e non smentisco, dopo questa seconda, attenta lettura, quanto, canuto oramai e vegliardo come Adso, rammemor(a)i.

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