Posts Tagged ‘Sean Connery’

Le mie previsioni ai Golden Globe(s), il mio prossimo libro, il mio nuovo racconto pubblicato, insomma Habemus Papam come John Malkovich e Jude Law… ho detto tutto, evviva 007!


04 Dec

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Non è tempo di morire

Sì, da oggi, alla fiera del libro di Roma, Più libri più liberi, allo stand D 05, se vorrete e voleste, pot(r)ete comprare I RACCONTI DI CULTORA 2019.

Sono tre volumi, ognuno dei quali raccoglie venti autori che hanno vinto il concorso letterario, indetto un paio di mesi fa da Cultora, per l’appunto.

In uno di questi volumi, vi è il mio Venezia, la città del Joker.

Questa la sinossi dei volumi:

la Sesta edizione del Concorso Letterario Cultora si conferma uno straordinario mezzo di aggregazione culturale capace di unire centinaia di scrittori, esordienti e non, di tutta Italia. Attraverso ognuno dei racconti inediti, gli autori selezionati offrono al lettore storie, sensazioni, esperienze che grazie al supporto cartaceo diventano eterne e condivisibili. In uno spazio limitato chi scrive riesce a svuotare il proprio spirito in forma espressa, diretta, e pertanto infinitamente entusiasmante.

 

Intanto, in questi giorni, sto editando assieme al mio correttore di bozze il mio prossimo libro, un noir erotico, una storia di detection macabra ma enormemente romantica con tinte fosche ma anche pulp da graphic novel, un trip di fumettistica immaginazione delirante ma squisitamente surreale e immerso nella metafisica ancestrale di un uomo, ovvero il sottoscritto, che oggi è davvero un uomo ma domani ancora regredirà all’infanzia, quindi esuberante si darà ad altri voli pindarici, sublimando ogni suo trauma e patita afflizione, psichica e non, sessuale e/o bestiale, grazie alla propulsiva energia della sua anima combattiva, giammai doma e ancor furente come il sole d’oriente ove un tempo, vicino persino a buddistici templi, il grande Bruce Lee dimostrò che la vita è un colpo tonitruante, una morte inaspettata e scioccante come la sua e quella di suo figlio Brandon, quindi può essere, perché no, anche rinascita folgorante.

Poiché, se non avrete sonno, anziché recarvi in cucina, mangiando Nutella o cioccolato bianco, accendete un falò e leggete, sotto il plenilunio, tutto Mishima Yukio.

Be’, sono più basso di Jude Law e, sinceramente, non ho il suo conto in banca. Tantomeno ho una casa che affacci sul Duomo di Prato come John Malkovich.

Prima, giravo in macchina. E, fra queste luci cittadine al Neon Demon, indossando il mio giubbotto di Drive, ho ascoltato due canzoni nostalgiche, una più bella dell’altra. Evocanti un tempo passato e dimenticato, forse scomparso ma che sempre, sino al giorno della mia morte, vibreranno acute ed emozionalmente acustiche nella mia memoria.

Innanzitutto, la controversa “canzonetta” di Alberto Fortis, Milano e Vincenzo.

Conoscete la storia, no? Alberto non voleva più essere trattato come Lupo Alberto, esatto, quello del fumetto, cioè come uno sfigato. Voleva diventare un artista ma il suo produttore discografico, Vincenzo Micocci, non si decideva a pubblicargli il suo primo album.

Alberto era incazzato.

– Cazzo, se mi fai aspettare ancora, sarò costretto a cercarmi un posto come impiegato del catasto!

 

Sì, se Louis Garrel non fosse figlio d’arte, non scoperebbe Laetitia Casta. Ma questo è un altro discorso.

E I Gatti di Vicolo Miracoli? Ne vogliamo parlare di Verona Beat?

Quattro amici liceali che misero su una piccola band.

Umberto Smaila, da allora, viene considerato un mezzo genio, Jerry Calà è a suo modo un idolo, Franco Oppini scopò Alba Parietti. Che poi… ma lasciamo stare, ah ah.

Nel frattempo, Francesco Nuti non sta bene.

Francesco piaceva molto a mio zio. Pratese, mentre Francesco è (non so per quanto potrò usare il presente…) fiorentino.

Mio zio è morto tanti anni fa, a soli cinquant’anni, dopo aver combinato un casino.

Il primo film di Francesco, come attore, è stato Ad ovest di Paperino del suo amico Alessandro Benvenuti.

Paperino esiste davvero, è un piccolissimo comune che mio zio mi mostrò quand’io ero piccolissimo.

Non è soltanto un personaggio celeberrimo della Disney.

Sapete, io sto antipatico a tante persone. Antipaticissimo.

Per demoralizzarmi e buttarmi giù, le hanno tentate tutte. Sono stato ingiuriato, calunniato, mi sono beccato anche dei ricoveri psichiatrici per colpa delle violenze psicologiche inaudite e immoderate da me subite semplicemente perché non mi sono mai attenuto alle fottute regole istituzionali assai fasciste.

Ove, se a sedici anni, non frequenti un cazzo di liceo di merda, devi essere meno dotato e avere il cervello e il cazzo di un nano.

Il mio lavoro è fare l’artista, dare emozioni a chi ne ha bisogno. A chi pensa che la vita non sia un campionato. Anche perché, se dinanzi a me, si presenta uno stronzo come Robert Loggia di Over the Top, io non accetto i suoi ricatti.

Avrei potuto perdere e rimediare una figura da idiota storico. Purtroppo, per voi, ho vinto. Dunque, non ho da chiedere scusa a nessuno di quelli che, se fosse stato per loro, mi avrebbero internato.

Non ho da redimermi della loro svista con tanto di offertami, superba, stupidissima svastica.

Non ho da abbassarmi al loro mendace concetto di “dignità” piccolo borghese, limitante, nauseante e ripugnante. Questa è la mia risposta. Devastante. Ed è giusto così. Poiché mi ricordo un tempo in cui divenni quasi muto e chiesi soltanto, avendo già tale mio difficile momento superato, di bere una birra in compagnia. Ma l’ottusità fu assurda, mostruosa. L’indifferenza, ah, qualcosa di scandaloso. Mi sentii solo dire… cresci, coglione.

Mi pare doveroso che i dementi imparino a stare al mondo e che i poeti vivano, perdonando gli abietti e gli inetti, laddove Michelangelo diede al Papa la sua terrazza, mie tenerezze, miei poveri peccatori irredenti. Nella soavità del temp(i)o senza fissa dimora della sua anima angelica o forse stupendamente diabolica.

Comunque, a dirla tutta, Daniel Craig non è un contadino ma Sean Connery rimane di un altro pianeta.

 

di Stefano Falotico

I migliori film sull’istituzione scolastica – I soliti (ig)noti


22 Jun

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Il film Arrivederci professore di Wayne Roberts con Johnny Depp non è un grande film ma non è neppure così disdicevole e da buttar via.

Trattasi di operetta sorretta dal carisma di Johnny Depp.

E sul Depp vorrei finalmente chiarire un punto importantissimo che spesso ai più sfugge.

Stiamo parlando di un attore vero che non ha frequentato però nessun Actor’s Studio. È un talento istintivo immediatamente scoperto per fortuite circostanze e per la sua naturale, incontaminata intraprendenza assai coraggiosa. Sottolineata inoltre dalla sua iniziale carriera all’insegna di ruoli sdruciti come i jeans di un novello James Dean (Dean forse in vita sua mai lesse una novella), ruoli smaccatamente iscritti alla sua genetica fisiognomica da eterno adolescente, un po’ efebico e molto dionisiaco, simbolizzazione della rabbia tormentata del giovane, appunto, leggermente sbandato ma dall’anima intattamente romantica.

Fu istradato, come scrissi qualche giorno fa, alla carriera cinematografica nientepopodimeno che da Nicolas Cage. Sì. E se, da Nightmare alla particina incisiva in Platoon, da Kusturica a Tim Burton, il passo fu brevissimo più di un fulminante lampo, il Depp è uno dei pochissimi attori nella storia, oserei dire, che a soli trentatré anni, l’età in cui Cristo morì, ascese consacrato ad avere il nome del personaggio da lui interpretato, ovvero Donnie Brasco, nella bellissima pellicola omonima di Mike Newell, sceneggiata da un Paul Attanasio in stato di grazia. Uno dei pochissimi a cui fu dato il permesso di recitare con mr. Corleone e Scarface/Carlito in persona, Al Pacino.

Vorreste correggermi? Donnie Brasco è uscito nel ‘97 e dunque, essendo Depp nato nel 1963, aveva 34 anni all’epoca.

Sì, ma le riprese iniziarono molto prima e Depp, per questo film, per tale ruolo suddetto e sudato, sicuramente il copione l’avrà ricevuto, almeno, l’anno prima.

Quindi ho ragione io. Erano 33 come gli anni di Cristo. Tu invece hai ottant’anni e manco hai mai visto Donnie Brasco.

Fra l’altro, non vorrei infamarti, vecchiaccio della malora, ma secondo me non hai mai visto in vita tua neanche una Winona Ryder nuda. Nemmeno nei film con lei protagonista.

Su questo non posso obiettare. E dove potevi vedere Winona nuda? È l’attrice più pudica del mondo.

La massima scena di sesso che s’è concessa, in mezzo déshabillé castigatissimo, è stata in The Iceman.

Ma si rivestì subito perché Michael Shannon le fu appunto freddissimo. Eh già, come fredda lui Uomini e donne da De Filippi, cioè merde mai viste, nemmeno un cecchino.

Poi Winona, con estrema parsimonia, elargì qualche reggiseno di qua e di là ma Gary Oldman, ne il Dracula di Bram Stoker, in versione mostro-licantropo s’ingroppò l’amichetta ignuda.

Ma siamo sicuri che il Dracula di Coppola sia uno dei film d’amore più puri della storia? Forse sì, il Nosferatu di Oldman ci dà senza badare a fedeltà coniugali, spinge in forma, diciamo, maledetta.

Roba che Marlon Brando di Ultimo tango a Parigi è un mon(a)co.

Peraltro, prima di sbarcare a Londra, se ne stette nel castello dei lupi da Frankestein Juniorlupo ululi lupo ululà con tre pezzi dell’Ubalda fra cui Monica Bellucci, una sempre andata forte a tette.

Sì, praticamente Hugh Hefner.

Detto ciò, Arrivederci professore vale il prezzo del biglietto anche per Rosemarie DeWitt. Donna spesso racchia ma che, in questo film, coi suoi tailleur finissimi in più di un’occasione me l’ha fatto diventare ritt’.

Dunque, arriviamo a Scent of a Woman, film iper-retorico che, a differenza di quello che potrebbe sembrare dal titolo, non è incentrato tanto sul profumo femminile, bensì sulla castrazione psicologica di un ragazzo buonissimo, lo studente in erba di una scuola prestigiosa mentre gli altri coetanei del suo paese stanno solo a cazzeggiare in cortile, fra porchette e parchetti in eterne pause molto cretine più che ricreative, fumando l’erbetta con le sciocchine.

Al che, ad Al Pacino girano i coglioni e fa piazza pulita di tutti gli imbroglioni. Ecco, davvero vogliamo che i Philip Seymour Hoffman della situazione, questi futuri panzoni pieni, oltre che di carne di maiale nel cervello come in Onora il padre e la madre, nel fegato marcio, si arroghino il diritto, un domani, di essere dei porcellini in parlamento?

Questi qua sono delle serpi. Sono quelli che oggi, sotto profili anonimi, si scatenano sotto i video sexy di YouTube a scrivere oscenità triviali e pazzesche alle donne scosciate più sensualmente allucinanti, eppure fra solo un paio d’anni saranno rettori di una cattedra universitaria.

Ho detto tutto.

Ci vorrebbe Sean Connery di Scoprendo Forrester… Sean, il protagonista de Il nome della rosa.

Da cui, ragionando di semantica da Umberto Eco, il parallelismo con la celeberrima poesia di Walt Whitman, Carpe Diem, recitata sino allo sfinimento da Robin Williams de L’attimo fuggente:

Cogli la rosa quando è il momento ché il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà.
Infatti, Robin Williams vinse l’Oscar per Will Hunting ma poi cadde in depressione.

Anziché fare la fine del suo personaggio ne La leggenda del re pescatore, si rifiutò di seguire le cure farmacologiche, a base di neurolettici immondi, prescrittigli dai nuovi lager nazisti, ovvero i pedagogici, come no, centri di salute mentale.

Fece benissimo, quando una vita è distrutta, le compressioni e i buonismi consolatori non servono a nulla. Se non a renderti più rimbambito del demente che la vita, con le sue botte tremende, ti rese. Meglio la resa alla resistenza, fidatevi.

Peraltro, io non ho capito l’incoerenza del personaggio di Depp, Richard, in Arrivederci professore.

Prima va nel pub con pubescenti che, se non realizzeranno i loro sogni, diverranno materia di studio per un film di Todd Solondz, beve birra in loro compagnia, fa l’occhiolino alla barista sfigata e dopo un minuto se la fotte in maniera screanzata e villana nel bagnetto.

Dunque, gli vengono i sensi di colpa moralistici e, prima di morire di cancro, recita l’ultimo predicozzo ai suoi allievi.

Dicendo loro che la vita è tutta un porcile, una puttanata.

Infatti, non essendo questi ragazzi figli di giornalisti affermati o figli d’arte, cazzo, saranno fottuti.

Questa è la verità.

Il resto è retorica.

Prendete ad esempio Paul Giamatti de La versione di Barney. Diventa Innamorato pazzo come Adriano Celentano per la sua Rosamund Pike. Lei però lo tradisce con tutti, pure col miglior amico.

E Giamatti, dopo mille poesie leopardiane, dopo aver ammirato la sua Rosamund leopardata, perde ogni grinta leonina, nessuna pecorina con lei fa più ma viene messo a pecora dall’inculata bestiale.

E da Giamatti diviene matto e basta. Bastonato!

Che poi… anche se non sei esteticamente fantozziano come Giamatti ma un figone come Ben Affleck, la Pike ti combina lo stesso casini della madonna.

Basti vedere L’amore bugiardo – Gone Girl.

Mah, a me non convincono neanche quei maschi critici di Cinema che si dichiarano, oltre che ben pagati, felicemente sposati e appagati. Non sono mai soddisfatti, diciamocela.

Sì, nelle loro recensioni inseriscono sempre battute piccanti sulle Edwige Fenech di turno.

Dunque, non sono credibili in merito alla loro esegesi non solo cinematografica, bensì rispetto a quella… riguardante il loro sguardo oggettivo della vita.

Detta come va detta, sono uomini che hanno fatto flop.

Quindi, se il critico della minchia sostiene che Kubrick sia universalmente, imperituramente superiore a Cronenberg, lo ficchiamo subito all’Overlook Hotel e poi mi dirà…

Sì, Cronenberg è un genio, Kubrick era solo un misantropo.

Di mio, che posso dirvi?

Sto antipatico a tutti, soprattutto a me stesso.

Io non mento mai, nemmeno se fossi Alain Delon.

Ah che guaio se un giorno lo diventassi.

Avrei l’anima spaccata in due. Allora davvero non ci capirei un cazzo.

Sapete la verità?

Questa disgrazia è successa e sarà La prima notte di quiete…

Parola di Michael Douglas di Wonder Boys.

Che poi… anche quel brutto detto italiota… ah, se non studi, farai il camionista.

Non c’è mica niente di male a fare il camionista.

Prendiamo Stallone di Over the Top. Un filmetto e in questo filmetto Stallone, indubbiamente, non interpreta la parte di uno laureato alla Bocconi. Ove peraltro i professori imboccano le studentesse più ingenue.

Però, uno come Stallone, uno con la faccia da zotico camionista, come dicono i grandi acculturati del cazzo, non si sarebbe mai sognato di commettere e perpetrare bassezze oscene, a differenza di quello che nonnetti radicalchic sono invece capacissimi di combinare. Speriamo non più, eh eh.

Ah, il nonnismo!

E mi pare giusto che Lincoln Hawk, il falco… della notte, abbia a codesti impostori dato una lezione di vita da spezzare loro il braccio e anche qualcos’altro.

Sì, siamo stanchi di questi tromboni che vanno a dire in giro che sei un ignorantone come Stallone, da costoro reputato un uomo e un attore di merda, gli stessi che esaltano la “folle” classe recitativa di Jack Nicholson ma hanno sempre avuto un piccole problema di comprendonio.

Loro nella vita non sono stati né Stallone né Nicholson. Capisc’?

Semplicemente non sono stati nulla. E la finissero pure di esaltare I soliti ignoti. Sì, grande film ma poi questi nella vita vogliono essere notissimi, danno al prossimo perennemente delle note, giocano di super-cazzole da Amici miei pericolosissimi.

Che tristezza di gente, ragazzi.

 

di Stefano Falotico

Nicolas Cage non si smentisce, chiede l’annullamento del matrimonio dopo quattro giorni


02 Apr

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Innanzitutto, comprate questa. La migliore monografia mondiale su Nicholas Kim Coppola!

Sì, Nic è un personaggio che potrebbe fare concorrenza a DannyDe Vito di Dumbo.

E, a proposito di Tim Burton, perché dite che il suo Superman mai realizzato sarebbe stato penoso e orribile? Sarebbe stato un Superman magnifico.

Perché Nic non è umano, è una specie di uomo bionico, si acconcia con tanto di stempiatura tinta da cavallo imbizzarrito, è irrefrenabile e guardatelo in questa clip quando, assieme a Cher, tamarro al massimo, premia Sean Connery. Sean Connery è la nemesi di Nic, sebbene i due abbiano recitato assieme in The Rock. Connery è sempre stato un distinto signore educato oltremodo. Nic è un casinaro, un tipo da bettole, un ubriaco della sua recitazione da Stress da vampiro.

Non lo puoi fermare neanche con le cannonate. Non è certamente un impiegato comunale, una maestrina delle scuole superiori inzuppata di canzoni di John Lennon e buonismi retorici da We Are the World.

È uno scalmanato amante del fregolismo, un matto scatenato, un irrequieto clown, appunto, da circo.

Ma questo è il suo bello, Nic incarna l’eccesso, il menefreghismo assoluto. Spesso come attore è un cesso ma è in virtù di questo che Nic è forse uno dei più grandi attori della storia del Cinema.

Lui è una contraddizione vivente, l’ossimoro fattosi carne in movimento. Un esagerato Marlboro Man, altro che Family Man, di livelli immoderati. Non ama, infatti, la moderazione. Non è a modo, è a mondo suo.

Recita in maniera immonda perché a nessuno deve dare conto. Nemmeno a Martin Scorsese. Marty voleva Edward Norton, la Paramount gl’impose Nic e Nic recitò in Al di là della vita da par suo.

Abbattendo ogni regola dell’intensità drammatica costruita e artefatta, col suo vocione diaframmatico immerso e soffocato in notti asmatiche.

Urla, si dimena, poi s’innamora della sua Patricia, quindi ancora accelera e non solo per le strade di New York.

E, quando lo ascolti nelle interviste, ti stupisce sempre. Sfoggia una parlantina tale che Vittorio Sgarbi pare un analfabeta, un dislessico.

Nic è un uomo coltissimo. Osservate come muove la mani, che scatti di nervi irrequieti.

Un nevrotico, un mezzo psicopatico. Un Castor Troy vivente ed è infatti per questo che in Face/Off è stato superbo.

Nic funziona quando è sé stesso, è spettacolare e magnetico quando si lancia, senza sprezzo del pericolo, in esibizionismi isterici da manicomio.

Qui lo vediamo con tanto di palandrana assieme alla donna che ha sposato pochi giorni fa e poi ha mandato a quel paese.

Ora, infuriato, dopo la sbronza colossale, durata meno di 100 ore (!), Nic non vuole più saperne di questa Erika.

Sì, Alessandro Manzoni sposò Enrichetta Blondel che alquanto lo rincoglionì.

Nic è stato invece anche con Jenna Jameson.

Il suo matrimonio con Lisa Marie Presley durò tre mesi, questo 4 giorni a stento.

 

Sapete perché si mise assieme a Lisa Marie? Perché, come sappiamo, essendo lui fan sfegatato di Elvis, facendo l’amore con Lisa Marie, pensava di fare l’amore con Elvis.

Vi pare normale uno così? Ah ah.

Nic, impegolatosi in strani intrallazzi, forse aveva conosciuto questa Erika, chattando segretamente di notte tra un film orribile e l’altro che sta girando a getto continuo fra il Giappone e la Corea.

Lei ora lo ricatta, minaccia di sputtanarlo, lui accusa il suo ex fidanzato, col quale lei continua a frequentarsi, tradendolo a mani basse, con cui faceva man bassa e gran chiasso.

Nic ha dilapidato un patrimonio ma lui, tenetelo ben a mente, è Richard Santoro!

 

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di Stefano Falotico

Non si scherza con Jesus/Turturro, si scherza eh, poiché John è come il grande Guglielmo


29 Mar

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Eh sì, sono sempre più simile anche al mitico John.

Attore di una versatilità pazzesca. Capace di essere amico di Scorsese, di Spike Lee, dei fratelli Coen, il mitico Jesus Quintana, uno dei cammei più straordinari della storia del Cinema.

Ed è stato bravissimo in The Night Of, superandosi ancora con Il nome della rosa.

Sono molto simile a John, passo dalle monografie su John Carpenter ai libri erotici, vado di palo in frasca, mica come voi che vi nascondete tra le frasche, ah, state freschi, so giocare a bowling, in tutti i sensi, sono un po’ alla Johnny Depp e un po’ come Buster Scruggs.

Sparatevi questa video-recensione.

Come John, ho origini mezzo pugliesi e mezzo della Basilicata, son nato a Bologna e ho fatto l’amore da Trieste in giù.

Leggo Umberto Eco e anche James Ballard, guardo un film francese e poi amo una thailandese.

Insomma, non si scherza con il Genius.

Ah ah. Sono un trasformista.

Alla prossima, amici.

E fate meno i bastardini. Eh eh.

 


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Il Genius-Pop è come John Turturro/Jesus de Il grande Lebowski #joker #jesúsquintana #thebiglebowski #johnturturrofanclub #joelcoenandethancoen

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di Stefano Falotico

Il nome della rosa e Il nome del rosso, il grande Aristotele(s)


24 Mar

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Sì, secondo la versione cinematografica del libro di Umberto Eco, il nome della rosa altri non è che il nome della fanciulla ignota.

Questa è la versione data dagli sceneggiatori dell’opera di Annaud con Sean Connery.

Eco invece aveva scelto questo titolo, assolutamente metaforico, per rimandare a citazioni medioevali di varia natura, non solo femminile.

Ebbene, stavo pensando di scrivere un bestseller intitolato Il nome del rosso. Storia di scaramanzie, di sceme zie, di nonnetti cattivi.

Sì, molte oscurantistiche superstizioni popolari hanno sempre sostenuto che uomini come il sottoscritto, ovvero coi capelli rossicci, fossero persone altamente instabili caratterialmente. Facili alla pazzia, indotte geneticamente di DNA dal bulbo color vermiglio, appunto, a cader vittima di strani, indecifrabili squilibri mentali.

E a quei tempi, tempi ove regnavano i sovrani assolutisti ma soprattutto imperava l’ignoranza più brada, a quest’assurda diceria molta gente, bigotta e sprovveduta, dava stupida udienza, come si suol dire.

Non solo le donne nubili venivano arse vive perché accusate di stregoneria. Anche gli uomini che, per questioni ereditarie di livello cromosomico, non si attenevano ai canoni, diciamo, ariani, venivano bruciati nei forni crematori. No, non quelli di Auschwitz, quelli del pregiudizio e del chiacchiericcio discriminatorio partorito dalla malattia mentale delle persone deficienti.

Sì, se fossi nato in quell’era cupissima e folle, avrebbero bussato a casa mia dei gendarmi con tanto di tonache nere, mi avrebbero imbavagliato e, ammanettandomi dopo sevizie e torture fisiche di proporzioni inaudite, mi avrebbero trascinato al cospetto di un inquisitore fuori di testa.

Che, dall’alto della sua maligna idiozia, ah, il Maligno in confronto a costui è un angelo buonissimo, mi avrebbe prescritto prima la gattabuia, una cella d’isolamento senza pane e acqua. Dunque, dopo avermi disidratato e lasciato stremante solo come un povero cristo a cui sol urla e gemiti spaventosi mi sarebbero rimasti per difendermi dall’oscena persecuzione, mi avrebbe condotto sulla cima di una collina arida. Inaridendomi del tutto, ah ah.

Impalandomi fra rossissime fiamme voraci che avrebbero essiccato ogni altro residuo grido di rabbia focosa.

Purtroppo, no, nessuno ancora fortunatamente mi ha esposto, bruciante, ah ah, al pubblico ludibrio della gogna d’un popolo inferocito assalito dalla più purpurea cattiveria immonda. Ma molti si dovrebbero ugualmente vergognare.

Sì, molti episodi d’ignoranza parimenti, se non superiori a quella da me ivi descrittavi, nella mia vita mi son successi. Perché, nonostante siamo nel nuovo millennio, gli artisti, le menti vivamente fervide e gli spiriti liberi, ancora son guardati con malocchio, eh eh, da questi esorcisti probabilmente soltanto della loro diabolica demenza. E allora può succedere che, per emanciparsi da tutta una serie di madornali, orrendi equivoci scatenati da quest’orda di uomini bacchettoni, di donne, queste sì, stregonesche con le loro invidie a pelle, ah ah, col loro bigottismo figlio della loro cultura puritana da moraliste frustrate, per sconfiggere questi mangiapreti e Mangiafuoco così presuntuosi e untori della giovinezza altrui da lor lordata con malevolenza sfacciata, con farisea lor mente assai bacata, devi far capire a questi qua (a chi sennò?) che le tue sono scelte assennate, non da asino, e che non sei affatto un semi-eunuco monacale come Venanzio de Il nome della rosa. Libro che verte sulla liceità del riso e la commedia allegra di Aristotele che spesso veniva fraintesa e tradotta come schizofrenia pericolosa dalla derisione sciocca poc’anzi illustratavi.

Bensì, sei Aristoteles. Sì, il “nero” Urs Althaus de L’allenatore nel pallone.

FAGLI UN CULO così!, urlava Lino Banfi.

E il fuoriclasse, dribblando con classe immensa ogni trappola ricattatoria, ogni altro giochino di scarso fairplay, ogni altro sgambetto e, come si suol dire, bastone fra le ruote e bestioni stupidi, ora festeggia il trionfo.

Mentre gli stronzi son rimasti all’asciutto. E sanno solo continuare a offendere per difendersi dalla figura di merda. Davvero brutta.

Perché Aristoteles si è dimostrato più veloce anche con le palle, che campione di razza, sì, di razza, Aristotele era un geniale pensatore e ogni idiota, ogni tonto e ottuso l’ha preso finalmente in quel posto, ogni cosa gli si è ritorta contro ed è chiarissimo che era solamente un panzone dagli evidentissimi, lapalissiani torti e dalla bile stomachevole da vecchio arrogantone molto (s)porco.

E questo è tutto.

Ammazza, questi bastardi son stati proprio distrutti.

E se la sono andata a cercare.

Arriva sempre un punto ove devi dire basta ai bastardi e zittirli una volta per tutte. Anzi, uno alla volta.

 

di Stefano Falotico

Il fascino di un attore risiede spesso nella faccia e negli occhi, vedere e toccare per credere


22 Mar

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Sì, da tempo immemorabile son afflitto da una sindrome ineludibile.

Così come Bob De Niro non può cancellare il suo neo dalla guancia, particolare segno distintivo della sua atipica bellezza anomala, differente dai canoni classici e dai mascelloni alla Brad Pitt e Ronn Moss, io non posso disincagliarmi dalla mia espressione imbattibile.

Mio cavallo di battaglia infrangibile. Posso provare a imitare Johnny Depp e la somiglianza, sì, c’è. Indubbiamente. Eppure sono anche simile ad Al Pacino e, appunto, a De Niro.

Attori più malinconici e meno freak rispetto al ribaldo Johnny.

Posso fare il comico, spesso lo sono per mia natura imbarazzante e sfacciata, ecco. Ma non convinco appieno nella parte “mostruosamente ridicola” di Benigni. Sguardi ben attenti intuiscono, al mio terzo aggrottar la fronte, a basamento di un naso pronunciato e aquilino, che Tim Roth mi fa un baffo. Sì, sovente mi lascio crescere i baffi poiché, se la donna baffuta è sempre piaciuta, D’Artagnan fa più vintage, più uomo d’antan. Forse d’annata. Come il vino stagionato, più passa il tempo e più divento prelibato per bocche buone. Quelle alcoliche d’amore rosé di donne osé e ipercaloriche in tutti i sensi. Delle ottime assaggiatrici, non so se massaggiatrici, sicuramente stiratrici e grandi attrici. Sì, con me, Meg Ryan di Harry ti presento Sally è sostanzialmente amatoriale nel suo orgasmo simulato. Con me, le donne sanno spingersi a finzioni ben più esagerate. Che audacia! Grida spropositate, platealmente finte e fottutamente stronze. Urlano come delle pazze… e che cazzo! Per forza, non gliela fo, come dicono in Toscana, manco se mi tirano i capelli e le orecchie. Eppur, tiranti, vibranti e cazzeggianti vanno i nervi a fior di pelle nei loro for(n)i di tante palle… ficcanti che mi raccontano per non farmi incazzare in maniera sbraitante. Sì, come mi prendono per il culo le donne, nemmeno Casanova. Quello se ne fotteva e, per consolarsi, anziché ovulare le galline spennacchiate, si cucinava delle uova al tegamino, cantando nello spiazzo della sua terrazza che affacciava al Canal Grande. Poiché lui prendeva due piccioncine con una fava di Fuca e ed era perennemente fucker d’una fica merdosa con cui sognava lo sfogo iroso, eppur si ammalò di scolo ondoso e odioso. Ah, poveri miei bavosi.

Ah ah. Come sono autoironico. Farò la fine di Sean Connery. Chissà!? Anni fa ne ero convinto. Stavo perdendo i capelli. Ne perdevo a ciocche. Adesso son ricresciute e al massimo sarò come Nicolas Cage. Un uomo The Rock su stempiatura d.o.c.

Un vero man da stress da vampiro. Sì, a me è successa la stessa cos(ci)a. Dopo aver fatto l’amore con una gnocca come Jennifer Beals, sì, era indubbiamente bella colei a cui diedi piacevolmente del tu e fai tu ché è meglio così, mi sveglio in piena notte di soprassalto, devastato da languori affamati mai visti e mi ficco in gola degli scarafaggi. Pappandomeli con tanto di volto schifato da puro Scarface. Non sarò mai Alain Delon ma sono bassino quanto lui. Non sarò Liam Neeson per la ragione contraria. Liam è stato l’eroe della serie Taken. Di mio, non ho intenti vendicativi bollenti ma ho solo voglia di quella cosa viola con cui l’uccello vola? Macché, ardo dentro, mi fanno gola, ah che acquolina, i ravioli al vapore roventi, ordinati alla rosticceria cinese, splendida carne abbrustolita del mio pollo fritto al limone per una via oramai take away. Eppur conservo il viso roccioso di Clint Eastwood con tanto di foto simile ai suoi loghi della Malpaso e Warner Bros nei titoli di testa dei suoi capolavori crepuscolari. Color crema e nocciola tendente al noir, marrone tendente all’uomo duro che fa venire due marroni di ferro, bianco lattiginoso su neri, no, nei sparsi lungo tutto il mio corpo su carnagione chiara da cowboy del Texas e uno sfrontato cavaliere pallido del mio cianotico esser spietato. Soprattutto verso me stesso. Insomma, le ho tutte. Una testa di cazzo molto The Mule. E dire che scopai anche una mula e poi una mulatta quando ancora avevo i denti da latte. Datemi quella stalla, no, stella di lattea e fatemi sceriffo. Siatemi stalloni, spaccatemi il grugno e avrò anche il labbro pendulo e affascinante di Sylvester.

 

di Stefano Falotico

La morte di Luke Perry, Il nome della rosa con John Turturro e il mio carisma imbattibile da Sean Connery


05 Mar

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Siete rimasti tutti stupefatti e pietrificati dalla morte di Luke Perry, bello per antonomasia delle vostre fantasie pre-adolescenziali.

Quando voi, ragazzine con la fighella sulla rampa di lancio, trepidavate sia per Luke che per quell’altro viso spigoloso di Ronn Moss di Beautiful.

Poi sarebbe venuto il peggio. Crisi anoressiche, competizioni, semmai un fidanzatino che amava le gambe della tennista Monica Seles e, pensando al momento della limonata schifosa con tanto di foglie d’insalata fra i denti del suo sboccato ritardato e della sua sciocca da Fool’s Garden-Lemon Tree, perdevate ogni faith no more, amando Tarantino solo perché di Tarantino avevate capito soltanto la volgarità “cool”, ché fa tanto trasgressione da quattro soldi.

E, ascoltando quella povera pazza “istruita” di vostra madre, vi siete laureati/e alla facoltà istituita da quel trombone di Umberto Eco. Arrivando, col pezzo di carta, a voler fare il bello e il cattivo tempo su tutti.

Ma, improvvisamente, nel bel mezzo del cammino di vostra arroganza, il cielo vi ha flagellato con un “ictus” o qualche altra malattia debilitante.

E tutte le vostre certezze sono andate in frantumi in un nanosecondo. Tutta quella boria, quell’alterigia stronza, ops, è stata vanificata, distrutta da una botta, ho detto cazzo che botta…

E invece, ogni giorno che passa, io divento sempre più bello, più veloce, più grande come il leggendario, saggio Sean Connery.

Perché mai mettersi contro uno così.

E la bellezza non si può rovinare con le porcate, le invidie e le scemenze delle fattucchiere frustrate e frigide.

Ieri è morto anche Keith Flint, cantante dei Prodigy…

Cara la mia deficiente saputella, rimetti su, nei momenti di forte lutto, Smack My Bitch Up.

E non ci pensare. Su.

E questa è cultura! Anche una tua fregatura! Lo so, ora è molto dura.

Devastante!

Si chiama presa per il culo alla demente schizofrenica gelosona di merda. Oh, carissima, se ti senti gravemente depressa, all’assistenza sociale ti daranno un sostegno e qualche pillolina.

Ahuahuaha! Eh già. Coi criminali bisogna essere più stronzi di loro.

Sì, detto ciò, gli eventi occorsi ancor m’inquietano quando, all’alba, alle prime intonazioni del gallo e al suono angelico delle campane che odo provenire dalla limitrofa mia parrocchia San Martino, mi sveglio e la vita m’accorgo ch’è sempre un perenne combattimento, un travaglio perpetuo, un’infinita ricerca del vero e del Verbo. In tale società d’intrighi di corte e di sotterfugi biechi ove, se hai l’ardire e l’illuminazione, di scoprire le atroci verità nascoste degli ipocriti, ti fan passare per malato di mente, adducendoti psicopatologie figlie solamente dell’ignoranza più oscurantistica e bugiarda. E semmai, nonostante mille, superflue, evitabilissime indagini lerce alla tua anima, qualcuno, dinanzi alla verità tanto così cristallinamente rivelatasi, possiede ancora la malvagità, figlia delle sue mai curate ansie e cattive usanze, di dirti che soffri di manie di complotto quando, invero, è stato tutto soltanto un maligno, esecrabile e realmente ordito imbroglio per farti credere d’esser storpio e orbo, un grottesco, interminabile fraintendimento dettato dalla più lestofante superbia e dalla più sciocca, medioevalistica, arbitraria superficialità vanesia e vana.

Io perdono ogni strega che nelle persone superiori han voluto maliziosamente vederci qualcosa di sbagliato e non uniforme alla porcellesca gioventù ribalda fatta e sfatta di frivolezza marcia e non invece balda giovinezza non solo sana ma forse anche santa.

Sono triste e addolorato per quanto è successo, e piango ogni giorno l’idiozia di tale miserabile assurdità.

E le tragedie accadute.

Ora, a vossignoria, a voi dell’Inquisizione e a ogni altro bastardo mentitore, così come io confessai i miei sbagli, inauditi e ammetto giganteschi, chiedo altrettanto di riflettere sull’imbecillità della vostra fallacità e riconoscere, purtroppo, che avevo ragione io.

Adesso, con estrema clemenza, concedo per l’ennesima volta il perdono e spero finalmente di poter vivere libero, vivaddio, come ogni uomo dovrebbe, senza più perquisizioni, deportazioni e altre amene mostruosità idiote.

La mia e la vostra è stata una reciproca, importantissima lezione di vita indimenticabile.

E, nel procedere dei miei dì sin al giorno della mia fatale morte, serberò nell’anima mia eternamente la perfidia animosa del vostro distorto affronto, benedicendo le mie colpe e anche le vostre fino alla pace e alla giustizia infinita del Giudizio Universale.

 

Firmato

Gugliemo da Baskerville,

cioè il Genius.

E sul fatto che sia un Genius credo che non ci sia oramai più il benché minimo dubbio.
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Firmato

Gugliemo da Baskerville

Lars von Trier non è un genio, Brian De Palma, sì, anche questo Starman…


02 Mar

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Ecco, come sappiamo è uscito ieri, in tutte le sale italiane, La casa di Jack di Lars von Trier.

E, sempre ieri, io mi son pronunciato in merito a questa “boiata pazzesca”. Geniale “nefandezza”, genialità pura o tronfia, manieristica immoralità sconcia spacciata per adamantina Arte assoluta?

È sempre la domanda che ci si pone dinanzi a un’opera di Lars.

Che, personalmente, non reputo un genio. No, non gli sono severo e impietoso come Paolo Mereghetti che, nel suo Dizionario dei Film, eccezion fatta per un paio di film, lo stronca puntualmente a man bassa, come in uno slasher movie, martoriandolo di offese forse un po’ troppo tagliate con l’accetta, definendo boiate i suoi film, sì, ma nel senso di cagate. A proposito di fantozziane sparate e La corazzata Potemkin

Eisenstein non era Einstein, per fortuna. Ché i geni troppo raziocinanti e matematici mi han sempre stufato e dato allo stomaco. Sì, Einstein ha inventato la teoria della relatività. Un’intuizione a dir poco sovrumana. Ma cosa ce ne facciamo della teoria se, in pratica, ancora non abbiamo messo piede su Marte?

Allora, meglio i geni veri come De Palma. Che ci hanno illuminato di viaggi nel tempo oniricamente cinematografici, citazionisti, omaggiando il capolavoro di Eisenstein nel suo magnifico Gli intoccabili.

No, non ho ancora visto il film di von Trier e credo, sinceramente, che non lo guarderò in sala. Perché la vedo dura… sorbirmi due ore e trentadue minuti di un film così, bello, stupendo o orribile che sia, assieme a spettatori schizzinosi, facili alle grida scandalizzate da piccolo-borghesi spastici, i quali potrebbero mal influenzarmi con le loro inopportune risatine più sadiche del sadismo del macellaio Jack.

Penso piuttosto che lo aspetterò in home video, per gustarmelo, lodarlo o aspramente criticarlo dopo averlo visionato, con estrema calma, nell’intimità delle mie mura domestiche, a mo’ di Sean Connery/Malone.

Ma comunque, premesso ciò, no, credo indissolubilmente, irrevocabilmente che Lars non sia un genio.

I geni sono altri. Lars è, tutt’al più, come ha scritto The Telegraph, uno che adora provocare, squartando la vita e il Cinema a volte indubbiamente in maniera fortemente perturbante che colpisce nel segno. Altre volte, invece, in modo gratuitamente sciocco e “idiota”.

Ho visto alcune clip e già queste comunque non mi hanno convinto. Poi, ovviamente, dovrei appunto vedere il film nella sua interezza e contestualizzarle all’amalgama. Sanguinaria, sanguigna od oscenamente anti-perbenistica che sia.

Jack ci dice che è un ingegnere che voleva fare l’architetto. Perché gli architetti sono artisti, gli ingegneri no. E c’è per lui una profonda, importantissima differenza fra chi fa musica e chi legge la musica…

Quindi, ci dice che lui i problemi li ha sempre avuti. E che ha sofferto e soffre ancora del DOC, ovvero di un grave, debilitante, “asociale” disturbo ossessivo-compulsivo. E che questa sua chiusura sarebbe stata già l’anticamera delle sue sepolture.

Prima banalità. Ahia, Lars. Anche Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato, secondo questo balzano assunto, sarebbe un potenziale omicida della povera Helen Hunt?

Poi, chiariamoci. Perché, visto che non sapete un cazzo di “malattie psichiche”, fate molta confusione tra l’hitleriana psicopatia e la junghiana psicosi.

Di solito, lo psicopatico, qual è Jack, è una persona altamente menefreghista, senza coscienza, a cui non sbatte un cazzo degli altri. E fa male per il piacere di farlo e trarne momentaneo giovamento. Uccidendo, esorcizza il suo incurabile mal di vivere. E continua ad ammazzare, secondo la classica, metodica procedura di un serial killer, nelle stesse pressoché identiche modalità perché, quando ammazza, per un po’ placa i suoi demoni interiori. Poi, ritorna ad ammazzare quando la sua ansia e i suoi disagi incontrollabilmente aumentano.

Lo psicotico, invece, fa esattamente il contrario. Soffre talmente tanto da uccidere sé stesso. E, ogni volta che sta “male”, si fa del male.

Allora, può succedere che, per colpa di un mondo superficiale, cafone, ignorantone, si becchi anche un gravissimo, irreversibile TSO.

L’aberrazione del TSO

Ebbene in Italia vi è davvero poca informazione su tutto. Soprattutto su argomenti scottanti che, ancor ammantati di vivida scabrosità, suscitano pruriginosi pensieri scherzosi e tristemente demonizzanti presso i benpensanti.

Quante volte, ad esempio, sentiamo per radio o alla tv, dinanzi a una persona evidentemente eccentrica, semmai stralunata o sopra le righe, speaker o commentatori che, in modo certamente burlesco o spiritoso, cialtronescamente canzonatorio, si rivolgono con toni irridenti verso questa persona, a volte usando epiteti strafottenti o semplicemente goliardici, lanciandole contro frasi come… be’, fratello e amico carissimo, non ti hanno ancora prescritto un TSO? Guarda, se fossi in te chiamerei la neuro, oppure, io direi di farti vedere da uno bravo o ancora ah, ma tu sei matto da legare.

Questa brutta usanza e questo bieco modo di dire sempre abbastanza in voga, alquanto infamante anche se pronunciato con toni chiaramente, oserei dire, scaramantici o vaporosamente dolci, lo reputo davvero orripilante. Innanzitutto perché, pur dietro una esorcizzante risata diciamo spensieratamente allegrona e sbeffeggiante, si cela uno spauracchio assai potente della nostra società. Cioè l’ombra della temuta, schivata pazzia che potrebbe colpire chiunque. Dunque questo modo di dire, apparentemente innocuo, suona più che altro come un monito scacciapensieri rispetto a qualcosa che, ancora, terribilmente spaventa e inquieta le coscienze borghesi, rimbomba tetramente come uno spettro aleggiante e albergante nelle nostre viscere profonde di esseri umani, perciò anche di persone, come tutti, emotivamente fragili e perennemente preoccupate del contorto, difficile futuro, così com’è infausto il terrore sibillino, inconscio e beffeggiato che un giorno il morbo o il seme della follia possa piombarci giù dal cielo, contagiarci e condurci appunto alla follia più nera.

Ecco, io non scherzerei più su certi argomenti con tanta superficiale faciloneria, nemmeno con tanta spensierata ilarità.

Perché, purtroppo, il TSO è qualcosa di veramente nefasto e orrendamente deprimente.

Che cos’è un TSO? Forse lo sapete ma è meglio puntualizzare con precisione. Il TSO non è altro che la sigla di trattamento sanitario obbligatorio.

Cioè tutta quella serie di disposizioni che vengono prese urgentemente nei confronti della persona a cui è stato, appunto, rifilato il TSO stesso, al fine che, in seguito a suoi comportamenti palesemente lesivi dell’incolumità personale sua o del prossimo suo, non possa più essere di cagione e danno alcuno verso i suoi simili.

La persona spesso, in seguito al generarsi e degenerarsi di una crisi psicotica, viene quindi fermata con la forza e trascinata in ricovero coatto. A intervenire sovente sono addirittura le forze dell’ordine che, allertate del possibile pericolo già avvenuto o messo in atto dalla persona che ha manifestato una psicosi, giungono violentemente a casa sua, nei casi più gravi, e coercitivamente la conducono in clinica o in un ospedale psichiatrico.

Fin qui, seguitemi bene, tutto ciò non avrebbe, almeno in linea teorica e propedeutica per la tutela del bene della nostra comunità sociale, niente di allarmante. Mi pare infatti alquanto normale che, se una persona si mostri aggressiva nei suoi stessi riguardi o nociva nei confronti degli altri, s’intervenga il prima possibile per evitare degenerazioni nella medesima e per frenare, con prontezza, lo scatenarsi di altre azioni gravemente dannose.

Ora, che cosa può aver ingenerato una crisi psicotica in una persona? Be’, le ragioni sono molteplici e disparate. Una persona può crollare e rompersi, fratturarsi nella psiche se è stata vittima, in tempi recenti, di particolari e problematiche, difficoltose condizioni di stress protrattosi troppo a lungo. Una persona può “ammalarsi” se, che ne so, è stata licenziata arbitrariamente e senza una giusta causa dal suo lavoro e di conseguenza, disperata e in preda al più tremebondo e furibondo panico, non ha retto all’accaduto e rovinosamente si è psicologicamente schiantata. Se una persona, in seguito a un lutto inaspettato quanto scioccante, è rimasta devastata e dunque, squassata nell’animo distrutto, è precipitata in qualche agitata, preoccupante crisi.

Oppure se una persona, dopo una fortissima delusione affettiva, non avendo saputo gestire le sue turbolente e confuse emozioni, si è spaccata in due. Tanto affranta da non resistere all’urto tonante e devastante indottogli in modo prorompente dalla delusione da lui vissuta in maniera, paradossalmente, sin troppo umana e tanto senziente da portarla a uno sfogo clamorosamente allucinante.

Ok, sin qui ci siamo. E, ribadisco, non vi è nulla di anomalo.

È il dopo che è veramente osceno, un obbrobrio.

Alla persona a cui è stato prescritto il TSO spesso si fa una diagnosi. Che, nel novantanove per cento dei casi, è pressoché schiacciante e impietosa. Ma soprattutto altamente discriminatoria perché l’analisi psichiatrica del soggetto viene eseguita in un momento di enorme sua criticità psicologica. La persona, infatti, come da me già evidenziato, secondo voi in che stato psicologico può trovarsi se ha avuto una psicosi? Certamente, non en pleine forme. Intensamente turbata e alterata.

Quindi, la diagnosi che la persona riceve potrebbe essere (uso il condizionale perché, ahinoi, non è raro che sia invece sbagliata e distorsiva) tutto sommato anche giusta.

Spesso invece, attenzione, è una diagnosi affrettata, senza criterio, molto grossolana e approssimativa che valuta solo e soltanto la condizione patologica del soggetto preso in esame nelle ore e nei momenti susseguenti la crisi da lui manifestata o che, in modo del tutto sbrigativo, ha la presunzione di voler inquadrare un quadro clinico psicologico sulla base di confessate reminiscenze del soggetto stesso (come detto, già profondamente alterato, dunque assai poco lucido), addivenendo a facili, lapidarie conclusioni molto indelicate e soprattutto fallaci.

Non è mia intenzione generalizzare e, a volte, ancor prima di un TSO, è stata eseguita la diagnosi. Se la persona aveva già accennato a qualcosa di pericolosamente minaccioso.

Evidenziato ciò, passiamo oltre.

Quello che non molti sanno, anzi quasi nessuno, vista la diffusa disinformazione e ignoranza in materia, è che una persona che si è presa un TSO; ahinoi, quasi sempre, per non dire sempre, è segnata a vita. Intrappolata dalla diagnosi che ha ricevuto e obbligata, giocoforza, a tutto un martirizzante, abbruttente, penoso e demoralizzante percorso di fantomatica “cura”. Cura che, anziché essere cura nell’accezione positiva del significato della sua parola, diventa più che altro uno sfiancante, svilente, angosciante percorso pseudo-terapeutico spesso ingannevole quanto, se non inutile, sicuramente evitabile e soffocantemente infinito.

La persona, paralizzata e bloccata nell’autodeterminazione, coattamente ricattata nell’obbedire a belluine prescrizioni farmacologiche, anziché riprendersi dal suo momento critico e negativo, viene per così dire “zombificata”.

Lentamente ma progressivamente, spietatamente viene erosa nell’animo, spenta e smorzata nella volontà, spogliata della sua intima, pulsante identità, spersonalizzata, psicologicamente oppressa da dittatoriali, ulteriori obblighi agghiaccianti, repressa chimicamente, oltremodo danneggiata, inibita scelleratamente attraverso l’uso di neurolettici o tranquillanti assai cagionevoli e debilitanti a livello psichico e cognitivo.

E costretta a un calvario mortificante eterno quanto stigmatizzante, fatto d’infermieri impreparati che sono a loro volta il più delle volte dei robotici burocrati, insensibili mandanti di ordini medici autoritari e dispotici. Cosicché, comandati da chi sta sopra di loro, imboccano meccanicamente i pazienti “malati” nel rilasciar loro assunzioni di farmaci dei quali, forse, in molti casi, non conoscono nemmanco essi stessi gli effetti.

Perché si attengono solamente alle disposizioni ricevute loro dai superiori e i pazienti, ai loro occhi, divengono compassionevolmente, soltanto dei casi umani da “laboratori” biologico-chimici. A cui dare e rifilare “medicine”.

Nel caso in cui infermieri e/o operatori sanitari siano invece molto preparati, non hanno comunque facoltà decisionali e, sine qua non, devono agire secondo imperiosi, irrinunciabili ordini impartiti loro.

Come se non bastasse questo abominevole, fascistico “sistema”, aggiungiamoci anche l’altrettanto “anormale” (a proposito di normalità e immaginaria, assurda “sanità”) corollario di educatori poco professionali e di assistenti sociali più “penosi” dei “malati” o presunti tali.

E potete presto immaginare il patibolare percorso di “terapia” falsa, vergognosa e avvilente a cui è sottoposta, senza che possa benché minimamente ribellarsi, una persona che ha avuto solo la sfortuna di essere momentaneamente “impazzita”.

È stata marchiata e annichilita a vita.

Ora perché, nel 2019, accade ancora questo sconcertante orrore?

La risposta è molto semplice quanto molto sconfortante.

Se la persona affetta dalla patologia per cui spesso si è emessa contro una diagnosi sfavorevole venisse liberata, permettetemi di dire scarcerata, da quest’opprimente schiavismo psicologico a cui è stata costretta ad abdicare, gli psichiatri (non tutti per fortuna nostra) credono invero che questa stessa persona, prima o poi, tornata alla sua piena, fluida e non raffrenata coscienza, ripristinata nelle sue efficienti funzioni psicomotorie, a causa dei sintomi e delle “debolezze” di cui ha già sofferto in passato, possa ricommettere un “crimine” per sé stessa o a danno degli altri.

Insomma, siamo dalle parti della più stupefacente, mostruosa fantascienza da Minority Report. Una persona viene “curata” a vita in quanto colpevolizzata di un suo “errore” trascorso, già semmai ampiamente superato da tempo immemorabile, perché si pensa che il “crimine” possa commetterlo nuovamente.

E in virtù di questo debba essere continuamente controllata a vita, anzi, a vista. Sorvegliata permanentemente.

Tutto quello che ho appena scritto corrisponde al vero? Sì, certamente, anzi, mi sono limitato a una panoramica ben più rosea della vera e ancor più terrificante realtà.

Perché permettiamo che nel 2019 esista ancora il TSO? E soprattutto per quale motivo lo si continua ad applicare attraverso questi termini disumani?

È scandaloso che tutti stiano zitti, è quanto mai raccapricciante che nessuno muova un dito per cambiare le cose.

E invece si persevera nell’omertà, questa sì, pericolosissima, bugiarda. Nell’ipocrisia più sleale e mendace.

 

DETTO QUESTO…

A Lars piace scherzare su argomenti delicati e fare il citazionista di William Blake.

E la gente abbocca a ogni sua superficialità perché, semmai, snocciolataci con riprese a mano che fanno “arty”, con spargimenti di sangue che fanno “figo”, con tutta una serie di barocchismi ed esagerazioni che fanno gridare al capolavoro mai visto!

Poveri idioti!

Riguardate i primi film di Dario Argento, i migliori film di Carpenter e soprattutto Vestito per uccidere, Blow Out e Omicidio a luci rosse.

Brian De Palma, un genio vero.

Mica uno da chiacchiere e distintivo!

Ora, riguardate la scena degli Intoccabili quando gli stronzi trucidano Malone.

E poi ditemi se non vi siete commossi.

Questo è grande Cinema, non quello di Lars.

Mi spiace.

E qui c’è tutta la vita di un genio, sulle note di Morricone.

An extraordinary genius… able to transform himself…

 

STARMAN

di Stefano Falotico

Falotico scatenato, un Raging Bull a cui nessuna camicia di forza riuscirà a contenere il suo Genius esplosivo!


12 Jan

 

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Pindarico, egli s’insinua tra la folla mattutina, entrando in un bar con far smargiasso, scolandosi un cappuccino su occhio cremoso e capelli schiumosi, sì, appena docciati con shampoo carezzevole su alopecia leggermente accennata di stempiatura sexy indubbiamente affascinante.

Con carisma da Sean Connery, figlio di un’epoca romantica e medioevale, il Falotico al bar si beve gli oscurantismi della gente bigotta e ubriaca la cameriera con un gioco inaudito di accigliate sopracciglia smodatamente ammiccanti per indurla a “bevande” sovreccitanti. Affinché la donzella estragga la sua “spada nella roccia” e la conficchi morbidamente dura e scintillante in mezzo alle sue gambe fragranti senza cinture di castità ammorbanti. Egli pietrifica le donne col suo sguardo suadente e le rende morbidamente arrapate, sciogliendo ogni lor dubbio moralistico grazie al suo infallibile, forse anche fallico, fiuto da cavaliere a volte senz’arte né parte eppur sempre galoppante per altre cavalcate imbizzarrite da uomo irrefrenabile.

Alza il ponte levatoio della donna arroccata nelle sue ansie ermetiche e le leva tutto, elevandola in gloria rocciosa e semmai a qualcun altro dandola in sposa. Sì, prima lui la spossa ma poi, come un altezzoso signorotto, non gliene frega un cazzo di averla come regina e, irredento e sotto i baffi ridenti reo, è sempre più un principe cerca moglie con la sua voce da Tonino Accolla. E dotato più d’un nero Eddie Murphy.

Sì, stanno preparando il seguito di questo film di John Landis, ancora i vili miserabili mi perseguiteranno ma orsù, donne, per altri sogni poetici ed ero(t)ici di amori prelibati seguitemi a fiotti in altre fiorite e fiorenti lande. Lontano da me però le mignotte! È pungente il mio fioretto, pungente nel tuo grilletto e or vi do dentro da fur(b)etto con un orgasmo schietto. Tutto ritto e lì diretto, il Falotico guarda un filmetto e poi mangia un buon filetto. Finito che ha di fare il gagà, sublima una scopata mai avuta con Lady Gaga, fottendosene altre a gogò. Egli non è mica uno squallido gigolò ma un uomo che sa donar calore a ogni ore senza mercificarsi, a differenza di voi, da fetido puttanone e da cinico senza core.

Egli ama, non ama, forse è solo l’incarnazione di un Mah…

Dunque, ritorna a occuparsi di Cinema con classe elegante dopo il suo corteggiamento galante.

Imprendibile, corre nei suoi neuroni belli e impossibili, elucubrando teorie sulla Settima Arte e allestendo pensieri proibiti e inconfessabili sulla vicina di casa dalla quarta abbondante, artisticamente poco elevata ma donna che tira su un uomo con rozze eppur toste piluccate scoppiettanti. E, bagnando di qua e di là, piove a voi e in te, donna, ancor spiovve liquidamente in una notte di gran alcova fottutamente penetrante in cui, cogliendotela in (de)flagrante, m’hai ancor nuovamente reso brillante!

Giammai arresosi, il Falotico è proprio una testa di cazzo inarrestabile e pimpante, pompante, talvolta farneticante e blaterante eppur sempre aitante.

Se non è un Genius questo, ertamente non lo sei tu, faccia da culo devastante.

Insomma, diciamocela, non solo ha uno strepitoso glande ma è in verità proprio il più grande.

E ricordate:

 

– Chi? Falotico? Non lo voglio più vedere – disse l’uomo invidioso del suo talento.

– Chi? Falotico? Glielo voglio ancora vedere, sentire e toccare – rispose la donna ancor memore di tanto godimento.

 

di Stefano Falotico

E se fossi Ryan Gosling di DRIVE? Sì, il Batman italiano, anche il JOKER


09 Jan

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Sì, sapete che non l’avevo mai visto? Ah, colpa gravissima. Io, cinefilo incallito e amante del noir più sfrenato, futurista ante litteram e letterato incallito, L’ho anche recensito ma a dire la verità non è che mi sia piaciuto tantissimo. Una mescolanza di Cinema realizzato altrove meglio che, secondo me, come detto, basa moltissimo del suo risultato emozionale per via di questa canzone strepitosa:

Sì, Stefano Falotico, il qui presente sottoscritto, se vogliamo definirlo, è indefinibile, sfuggente, un driver l’imprendibile. Con accenni malinconici alla Travis Bickle innestati, innervati su una carrozzeria del cuore da Cinema di Michael Mann. E veloci schizzi romanticamente violenti.

E questo libro, nonostante le troppe virgolette, qualche neologismo furibondamente eccentrico, rimane un masterpiece.

Sì, io sono l’autista notturno di tutto, soprattutto delle mie emozioni sepolte che, nello sfrecciar di gomme pneumatiche, riempiendomi di calore nelle strade della mia anima dissestata, sbattono contro il mio parabrezza psichico e dilaniano l’anima, spandendola nella lost highway.

Non voglio più sentire stronzate sul mio conto. Anni fa, uno sciroccato di psichiatra, non capendo un beneamato cazzo della mia vita, disse che andavo istradato a una vita normale. Orrore degli orrori. Non voglio ridurmi come una donnetta lagnosa che ascolta Elisa e si consola dalle sue frustrazioni affettive, riguardando alla tv, con la lacrimuccia e rimmel sbavato, Paura d’amare.

Basta, non se ne può più delle assurde dicerie sul mio conto. Se vogliamo dire che io non so cos’è la parola amore, diciamolo pure. Perché io non amerò mai come la maggior parte di voi. Il vostro non è amore, è bisogno di stare con qualcuno per paura di rimanere soli. Per attimi patetici di calore. E confondete spesso il sesso con l’amore. Ché quasi mai sono in congiunzione, se non in rari casi, e allora, soltanto in questo frangente miracoloso, potete considerarvi soddisfatti, pienamente appagati e probabilmente, oltre che fortunati, modestamente felici.

La maggior parte delle persone viene folgorata, da cui il colpo di fulmine a cui io credo, dal sesso opposto, anche dal sesso identico se sono omosessuali o lesbiche, e il primo impulso che brucia in loro è istintivamente l’attrazione fisica, la chimica esplosivamente ormonale.

Poi, se ci scappa una scopata, se con quella persona con cui ti sei accoppiato/a s’instaurano delle affinità elettive, si sviluppa il piacere di starci assieme e non solo a letto, vi fissate con questa parola abusata, amore.

Ve ne riempite la bocca, sciocchi.

Anche perché siete ossessionati dalla moralità piccolo-borghese. E, guardandovi allo specchio, vi reputate ignominiosi se fate sesso senza credere che l’abbiate fatto solo perché vogliosi di lasciarvi andare. Dovete necessariamente, per via del vostro inestirpabile, abominevole retroterra moralisticamente cattolico, affermare che avete fatto sesso perché sentivate qualcosa che andava al di là del puro, carnale, duro, detonante, furioso o dolce rapporto fisico lussurioso. Che voi non siete appaiabili alla sconcia e squallida animalità sanamente, sì lo è, connaturata alle vostre termodinamiche sensoriali e corporee, bensì, essendo figli del vostro illusorio Dio, della vostra bacata idealizzazione di Dio e cosicché anche dell’alterato, anzi adulterato concetto mitizzato e appunto divinizzato dell’amore, voi fate sesso solo quando romanticamente innamorati. Perché, se mentiste a voi stessi, dunque riconoscendo la chiarissima verità, di fronte a questa bugia immane che vi raccontate, per via sempre della vostra educazione distorta, vi sentireste gravemente in colpa, sporchi, e invece siete brave persone, vero?

Non ci crede nessuno, smettetela.

Io ho un concetto dell’amore molto simile a von Trier. Totalizzante. E non limiterei, tumefarei l’emozionalità del significato della parola amore al solo amore fra due persone. L’amore cioè inteso in senso relazionale di coppia.

Amore è anche guardare un bambino e, osservando la cristallina innocenza del suo sguardo, sorridergli, augurandosi che la sua vita sia fottutamente bella, piena di speranza e sogni.

Amore è soffrire nella solitudine più devastante e commuoversi per un attimo fugace di poesia.

Amore è ricevere una telefonata mentre stavi guardando un film con Stanlio e Ollio e sapere che la persona di cui eri innamorato è tragicamente morta.

Sapere che è tutto finito.

Amore è forse Ron Perlman di questa serie televisiva, un uomo che da piccolo mi spaventava a morte.

Amore è l’ingenuo Salvatore de Il nome della rosa e forse, a proposito di poesia e Sean Connery, quest’altra è una delle scene più belle di tutti i tempi.

 

– Scusi, ma lei, Falotico, come fa a sapere de La bella e la bestia con Ron Perlman?

– Io so tutto. Sono o non sono John Connor?

– Falotico, lei mi sta facendo girare le palle! Ma chi crede di essere per vivere così? Lei deve darsi una regolata. Lei non è Superman.

– Io direi molto di più. No?

 

di Stefano Falotico

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