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Ronin | John Frankenheimer di Stefano Falotico su Superba di recensione superba/o Cinema


06 Mar

Ronin Falotico

“Ronin” – La recensione


02 Oct

Finalmente, ne parlo da sempre, ma è la prima volta che lo recensisco.
Nella mia mente, l’opinione è “avvenuta-svenuta” più e più volte, ma mai “pubblica(ta)”.

Eccola là, dunque qui.
Ronin

Tagli crepuscolari con l’accetta

Sceneggiato da David Mamet, forse l’ultimo capolavoro di John Frankenheimer.

Con un cast stellare su malinconie d’“inseguimenti” accecanti nel “mozzafiato” senz’attimi di tregua, col Cuore in gola e la pellaccia da salvare. Costi quel che costi (lucro, missione mercenaria assoldata al “sorpassato” ma morale codice del samurai), “scavato” nei volti antichi d’uomini rocciosi e rabbiosi, amaramente “dolci” proprio nell’“acquiescenza” liquidissima d’“aforismi” dissacranti buttati lì, forse per noia, per troppe “coscienze”, per disillusioni insopprimibili come le ruvide, intagliate pietre d’asfalti imbruniti nella polvere, da spari soprattutto, e di mitragliatrici “sguinzagliate” a detonar “repentine” ma “calibrate”, come rapacissimi segugi notturni d’una Parigi “offuscata” nel sonno del dormiente caos cittadino di mattine ombrose dalla “tranquilla monotonia” borghese, mercatini e cascine intrecciate alla “topografia” del casino della nostra esistenza, ripresa dall’alto, dunque nelle sue viscere più incandescenti e “malavitose”, spiata e indagata con sottigliezza d’“irrimediabile” mestizia però vigorosa, morsa e “corsa” dentro le viuzze e i (rag)giri furbi, tortuosi, doppiogiochisti delle palpebre. Vedono, sanno, sudano, non dicono, esangui combattono.

Tutti soli e senza Dio, senza Sole forse. Agiscono perlopiù di Notte, già. Quando tutto, “tramontando”, s’accheta per istanti che aspettano solo la guerriglia urbana di chi fa lo “sporco lavoro” stipendiato per rischi “rampanti” e segretezze “annodate” sotto la patina (im)percettibile d’occhi “sinceri”.
O serpenteschi?

Un parterre di “agenti speciali”, una valigetta misteriosa…

Hitchcock coniò il termine, dunque l’“inizio” di tutta l’enfasi, il cosiddetto MacGuffin, pretesto narrativo e dunque “tramico” per imbastire l’azione nel suo punto “nevralgico” o solo a distrarci da e con un obiettivo capzioso, d’una pista che “falsifica” le vicende, è all’origine nascosta del complotto e dei destini, è lo “sfondo” fittizio d’una fitta rete di trame e inganni. Di amici, nemici, donne fatali e traditrici, di compagni bugiardi che (non) scopriranno le carte troppo presto.

Se… ironizzassimo un po’, al televisivo MacGyver “bastava” un coltellino per cavarsi dagli impacci, sopravvivendo d’ingegno “ingenuissimo”.

Frankenheimer viene da una Scuola “un po’” più realista e allestisce proprio un’intelaiatura che, di primo impatto, si coglie adrenalica e “thrillerante”, ma che ha le sue ragioni proprio in un polar più “freddo” dei gialli di Alfred.

Ne perdiamo le tracce sullo sfondo della Torre Eiffel che occhieggia birichina, sulle innumerevoli battute da tenere a memoria, di cui perderemo il conto…

Anche quando un “triste” Jean Reno stringerà la mano a De Niro, dopo una tesissima avventura in cui, forse, sono ancora “vivi”, ancora sconosciuti d’identità (mai) con-fidate.

Ti rendi conto che esiste qualcosa oltre a te stesso che tu hai bisogno di servire?

Sono tutti amici finché non arriva il conto da pagare.

(Stefano Falotico)

 

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