Tu come stai? Vai in palestra? Sei ben tenuto? Però, ti fai ancora dai tuoi mantenere. Ma come sei ridotto? Sei penoso!
Tu invece, donna, quanto pensi? Soppesi, ti tieni in forma, fai i pesi? Ah, sei pesante! Peni? Guarda che, a forza di pen(s)are, la vita poi non si bacia più col volare e quel che io desiderio con te impennare, eh già, sta solo penando poiché, nel tormentato, resiliente mio trasognarti, fantasticarti e amplessi calorosi con te non concretizzare, sono oramai stufo e sfiancato.
Mi hai plagiato come un vado di terracotta, modellandomi nell’argilla del tuo buonismo. Lascia invece che delicatamente sfiori ogni centimetro della tua pelle e ti deflori.
Vedrai come la vita rifiorirà e tutto fuoriuscirà. Ah ah.
Baciami con ardore e tu, amico, reggimi il gioco o solo il moccolo. Che cosa? Io sarei un mongolo? Ma sì, evviva la Mongolia! Che vuole quella lì? Sta a pontificare sul mondo soltanto perché è psicologicamente monca.
Sì, se la suona e se la canta da sola da suora, ascoltando a tutto volume quella frustrata cronica di Alessandra Amoroso, la cantante delle capricciose voglie sempre ficcate nel congelatore.
Basta, non se ne può più di questa qui. È lamentosa e non ha niente di cui lamentarsi, invero.
È un’imbonitrice. Sì, lecca il suo pubblico di radioascoltatrici, consolandole con le sue “hit” dolciastre.
Comunque andare, Forza e coraggio, non vale Niente!
Sì, gli stress quotidiani della donna medio-bassa, l’Amoroso rabbonisce con le sue canzonette che illudono la povera gente. E non è manco bona! Non le sarò amorevole. Non la voglio come morosa nemmeno se mi regalerà sull’altare, come futura sposa, una mimosa. Sì, perché sono un uomo romantico più delle donne e non so che farmene di scopare a terra.
Che cosa? Donna, dovrei regalarti una rosa? Innanzitutto, impara la prima declinazione al plurale latino di rosae rosarum rosis e poi potremo riparlarne. Altrimenti, se lei un po’ non si acculturerà, io non gliel’arrossirò.
Suvvia, non si scandalizzi per questa mia frase onestamente sboccata, sfacciata e arrogante. Non arrossisca!
La prego! Me la dia. Forza, uomini, mettete su intanto una buona melodia.
Voglio un lavoro migliore, non posso stare a sfacchinare e a scrivere libri che sono farina del mio sacco se poi qui saranno gli altri a mietere il grano.
Sì, questi hanno solo un’infarinatura e m’han rifilato una fregatura. Ah, questa vita si fa sempre più dura.
Donna, mi curi da questa sofferenza. Lei, sì, che è così matura, mi sfiori con la sua bocca tenera e le sarò duro.
Voglio un Cinema dalla fotografia sporca, granulosa, un film super fantascientifico di nebulose, di razzi che svolazzano, di pazzi che non più le idee degli altri scopiazzino ma che, come cavalli matti, per l’appunto scopino da dannati e, se combineranno altre porcate, dovranno ammettere la verità senza più vigliaccamente scappare.
Datemi un vino d’annata. Io più invecchio più miglioro. Sono uomo che, fra i rimbambiti troppo stagionati, adora Vivaldi e la pizza Quattro Stagioni. Anche una pazza col salame piccante. Ah ah.
Avete sentito Normale?
È una bella canzone. Peccato che lo sia solo quando canta Ermal Meta.
Francesco Renga l’ha preso in culo anche da Ambra Angiolini. Ho detto tutto.
Sì, sono un fantasma.
Mi davate tutti per morto.
Invece sono solo moro, tendente al castano.
Siamo a fine ottobre, sono buone in questo periodo le castagne.
Mi deste del cacasotto ma a me piacciono le caldarroste.
Più calde sono e più sto a posto.
Più stronze sono e più m’incazzo. Alcune non le cago, molte mi danno della merda.
She’s Like The Wind!
Di me si può dire tutto. Che sia pigro, ipocondriaco, laconico a volte, perfino spesso da manicomio.
Ma indubbiamente ho un certo fascino.
Un fascino del cazzo.
Di mio, non crescerò mai.
L’importante è che cresca…
Comunque, a parte gli scherzi, Patrick Swayze era un mito.
Sì, mi spiacque molti che morì di Cancro.
Ma non ho mai capito l’espressione… poveretto, è morto.
Ah, prima o poi moriremo tutti.
Non era tanto povero, Patrick. Era pieno di soldi e riempiva perennemente qualcos’altro.
Sì, le donne, appena lo vedevano, urlavano: cazzo, è l’attore de La città della gioia.
Sì, Patrick spingeva di adrenalina come in Point Break. Ma, nella parte del medico in mezzo ai lebbrosi, è stato credibile quanto me con Demi Moore.
Ho detto tutto.
Sì, sono diventato un comico.
Che cazzo volete?
Ah ah.
di Stefano Falotico