Michael Mann non girò Frankie Machine e io invece sto scrivendo un libro sul grande, redivivo, enorme Nic Cage, alla faccia di Umberto Eco e delle sceme semio(ti)che
Sì, parto col dire che Eco è un idiota. Ora, lo so che posso sembrare provocatorio e basta. No, provoco e “punto”. Così la penso e tal mio pensiero non si sbloccherà dall’aver decretato divinamente il mio insindacabile verdetto. Reputo “Il nome della rosa” un libro di un certo fascino, più che altro furbo seppur scritto con impeccabile stile, sebbene molto tronfio e compiaciuto in numerosi punti (di sutura alle mie palle), da trascurare, di pedante mania descrittiva e imbellettante d’inutili orpelli estrosi quanto boriosi, da maestro in cattedra nel far sfoggio, peraltro a torto poiché io son più colto e maggiormente raffinato, del suo prosaico eloquio.
Giungo quasi alle mani con uno su Facebook per tale screanzata quanto (in)decente dichiarazione. Ma me ne frego altamente. Tolto questo romanzo, anzi togliendolo a metà, io avrei tagliato quasi cento pagine logorroiche e oggettivamente noiose, il resto son saggi da trombone dell’aria fritta del suo “scibile” da porco panzone.
Su YouTube, invece, ai commenti di “Jenny è pazza” del Blasco, “infilando” un (im)pertinente “Vasco è un coglione”, debbo chiamare la flotta navale per salvarmi dal bombardamento inaudito e assai “impudico”.
Ma poi, chiarita la questione “mondiale”, ritorno nello spazio “Commenti” e scrivo che chi ascolta Rossi è da no comment. Quindi, posto il mio bavero alzato di screenshot fiero di tanta mia sintetica prosopopea da giusto e imbattibile stronzo. Per di più, aggiungo, non soddisfatto, che chi ascolta Rossi è un frustrato necessitante di alibi lamentosi per rammendare la (mezza) calzetta del suo cazzone. E inserisco il mio dito medio, forse un’escrescenza “dotata”, modificando il video con un programmino “speciale” da Fight Club.
Qui, sarò odiato a morte dal Federico Frusciante. Ma ieri ho iniziato il mio prossimo, particolare e insolito saggio. Dedicato a Nicolas Cage, del quale traccerò il suo excursus filmografico, svelandone le perle più nascoste, sviscerando anche i suoi ruoli meno celebrati eppur per me geniali. Non scherzo, bestemmiatemi pur contro, nel dir ardendo che il suo Cameron Poe di Con Air, ad esempio, è una creazione attoriale di fervido, gran colpo. Trascurando alcuni Bruckheimer commerciali, Con Air conserva ancora un fascino malsano da guilty pleasure incommensurabile. Una vetta del Nic schizzato e folle che mi rapisce su sua canottiera più muscolosa di Bruce Willis, meno carismatica ma forse più sudata. Come una carriera discutibile eppur, per molti tratti, energica, variopinta, pindarica e di tutto enorme rispetto. Se volete trucidarmi, sfodererò il ghigno cageaino più furbescamente androgenetico in suo androide di alopecia, e sbroglierò la ma(ta)ssa delle doppie punte, anche di chi, spesso a torto, contro il nostro Nic si impunta.
Questo è comunque un estratto, a dardo di mie frecce alla carriera di Nic, arco fra voi porci che ingiustamente lo criticate “a bestia”… ma continuate solo a far le passeggiatelle sotto i portichetti, fischiettando alle (o)carine.
Occhio, ochette. Da oggi, bisogna vederla, ah ah, di ottica alla Falotico, miei ottici.
Son cazzi vostri. Anche in mezzo.
A vent’anni, ho scoperto di essere Nic Cage/Sailor Ripley con la faccia da culo di Matt Dillon e da allora, riesumato nell’anima, nessuno mi ha fermato, nemmeno l’irremovibile Sturm und Drang di me stesso che ora recita…
Sì, dopo un’adolescenza inghiottita dalla follia mostruosa di adulti repressi, che vollero circuirmi alla loro visione deformante da bavosi materialisti, svenni, rinsavii e piacevolmente precipitai angelico in un altro sogno diabolico, più grande e fragile quanto un incubo a occhi aperti, che è la vita nelle sue diaframmatiche ombre lancinanti, a spirituale palpito abissale immerso per sempre nella memoria eterea della vita universale, tutta eterna. Fremente quanto Satana ebbe la virtù intrepida di ribellarsi al Dio delle carneficine, un idiota (in)sensibile che donò all’uomo il libero arbitrio per illuderlo e mangiarselo vivo. Fregandolo del suo Paradiso, cioè la potenza del suo cazzo stampato in iridi frenetiche, rabbiose, sempre irrequiete, cristalline nei furori che la coscienza bugiarda vorrà sempre ammansire nella loro “densa” libagione da cuori rubati. Sì, sottratti negl’inganni del tutto fotterli l’un l’altro alla ricerca folle d’una salvezza impossibile… peni penosi.
E la mia fisionomia s’incendiò sempre più, ora dopo ora, laddove l’abbandonai e, macellata da codesti bifolchi, inneggianti soltanto alla “veloce”, quindi terrorizzante, “ragione savia” dell’adattarsi al porcile, si plasmò allo stronzo di classe per antonomasia, il grande Matt Dillon, un talento sprecato ma che non impreca, perché oggi è un Bukowski come mamma l’ha fatto, bestemmiandolo dall’utero, conscia che dalle sue cosce stava uscendo una merda, e molto probabilmente sudando il suo uccello da bastardo senz’alcuna remissione. Il sudario! Io (non) me la sudo. E la lecco al sugo! Egli, cioè me, il caramello, lo intinge nell’acqua benedetta su “cera” gocciolante sperma maligno in se(g)no della croce imprigionato alla figa della Madonna…, sussurrando fascinoso e irresistibile un desiderante, asmatico, spingente pompino perfetto ingravidante, accolto in “sacro”, vero sverginamento che nessuna puttana normale potrà dargli, il “plagio” cristologico, dunque salvifico e rudemente traditore delle moralità fritte, dello spalmarglielo fra le mani, offerto in mendicanza alla faccia dei poveri cristi.
Quindi, dopo averlo scrollato, così come il parroco dà l’estrema, placida “unzione”, consapevole che l’aldilà è stata una bugia incredibile per fregar i coglioni di tal truffa che è l’umanità, mangiando a sbafo i polli arrosto da mantenuto in tonaca dell’asservimento pecorone, Matt continua da “matto”, masticando un’altra patata prima di crocifiggerla perché tenebroso nel suo Lucifero sadico e alle donne torturante. Perché “lo” vogliono ma lo “colgon” solo a (t)ratti. Molto fragrante, mai in flagranza di rampa di lancio e patta slacciata.
Egli l’innalza da puro… (co)dardo, fiammeggiando col suo amico di Rusty il selvaggio, Sailor del Cuore…
Sì, questo sono (sempre stato) io, e ora “la” vedo con chiarezza, tornita a mio “tor(ni)o” che, vellutatamente, l’alliscia e la stuzzica, d’incazzature l’arriccia…, ah ah, perché è dotato oltre ogni umana “misurazione”.
Nel culo, v’inglobo in “gloria”.
Quindi, dopo averne “schiaffeggiata” una e sderenata una cameriera, Matt Dillon/Nic Cage sale in macchina, borbotta di cintura di sicurezza astringente su suoi addominali inquieti da peti leggeri, e scarabocchia la strada su attraente, imbattibile, sbattente carisma.
Fermandosi a una stazione di servizio, pisciando in testa al benzinaio panzone e carburando di tutte gomme, quelle che glielo fanno esplodere.
Delle ragazzine a lor boccucce e a suo stallone.
Ciao.
Che c’entra Frankie Machine?
Frank Machianno era uno richiamato in affari sporchi per scoprire che lo volevan far fuori.
Lui, senza cagar la mossa, li fotté.
Tornando ad Eco, ecco.
Io sono il becchino.
Ma nessuno scopa così come me i buchini.
Questa è la ros(s)a.
Salutami a sorrata!
Firmato Stefano Falotico. Assonanza di rima baciata e trombata, di echi sonori alla faccia di te, scemo da semiotica e da fidanzata scimmia.
Questa sì che è musicalità della parola. Ora, abbassati e succhia di ritmo onomatopeico.