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TOO OLD TO DIE YOUNG: ne vogliamo parlare della recensione apparsa su Rolling Stone della serie di Nicolas Winding Refn? E del JOKER?


10 Aug

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Guardate, ogni altra parola sarebbe superflua, oserei dire pleonastica.

Colui che ha scritto tale recensione, secondo me, vista la figuraccia, non si salverà nemmeno con mille facciali plastiche.

E questo è pus underground da Nanni Moretti di Caro diario!

Copiamo-incolliamo qui tale recensione assurda in maniera integrale, senza dunque apportare editing alle virgole di cui questo recensore abusa più del minutaggio lunghissimo della suddetta serie di Refn, senza correggergli alcun errore di battitura.

Una recensione cult, più che altro scritta col culo, contro la quale anche il mitico Pino Farinotti di C’era una volta il West si deve arrendere.

Sì, dinanzi a questo campione dell’esegesi cinematografica, non possono esistere al momento rivali.

Speriamo che la maggior parte delle persone si stia approcciando a Too Old to Die Young, la serie televisiva fottutamente pulp del regista danese per Amazon Prime Video, in quanto fan o qualcosa di simile. O, per lo meno, come spettatori semi-consapevoli della sua filmografia. In bocca al lupo nel caso invece questo sia il vostro debutto nel mondo di Refn – è la peggiore introduzione possibile al suo marchio di fabbrica di noir al neon stilizzato e sotto steroidi, o la “migliore” introduzione nel peggiore dei modi possibili. Buona fortuna a chiunque sia caduto nel suo paesaggio di anti eroi stoici, violenza e ritmo lento e doloroso come la tortura dell’acqua senza una mappa.

Ma torniamo alla domanda iniziale: il vostro film preferito fa parte della trilogia di Pusher, il racconto in tre parti e a tre prospettive, che ha contribuito a lanciare Refn a livello internazionale e ha introdotto il futuro criminale Hannibal Lecter / cattivo di Bond / Mads Mikkelsen nel mondo? Oppure è Bronson, biopic incredibilmente brillante del condannato britannico Charles Bronson che vede Tom Hardy raggiungere i livelli di teatralità del kabuki? Con tutta probabilità è Drive, il riff stellare guidato da Ryan Gosling sugli autisti per la fuga; quasi sicuramente non è il film successivo del duo, Solo Dio perdona (anche se questo thriller ambientato in Thailandia è migliore di quanto la sua reputazione suggerisca). O forse è The Neon Demon, il suo benvenuto all’Inferno, una parabola sulle modelle che si mangiano da sole.

Ok, ora immaginate che il vostro film preferito duri 13 ore. Con la stessa trama però. Potrebbe essere diviso in narrazioni parallele, forse qualche deviazione extra qua e là. Ma lo stesso materiale narrativo di base. Stiracchiato. Su. 13. Ore.

A meno che non ti chiami Ken Burns o David Lynch, forse devi pensare bene se quel tempo, suddiviso in più di 10 puntate con una durata media di un’ora e 15 minuti, sia una necessità o semplicemente un’indulgenza. (Alcuni episodi durano fino a 90 minuti, l’ultimo una mezz’ora, chiamatelo coda). Specialmente se il motivo principale per lavorare a un prodotto serializzato più lungo è: “Sembra che tutti stiano facendo roba in streaming, dovrei farlo anch’io!”. Questa è stata più o meno la scusa che Refn ha accampato a Cannes, dove ha mostrato due episodi centrali, per dare uno sguardo esteso ed esistenziale sia nell’abisso che nel proprio ombelico, dove ci sono poliziotti, truffatori, cartelli e modi creativi di torturare forme di vita basate sul carbonio. Ha anche detto che questa non era tv – un mezzo che definisce “tutto reality show e notizie” – ma un lunghissimo film. Ovvio. Certo, sua maestà. La sensazione di guardare qualcosa di un autore che in qualche modo crede virtualmente di abbassare i propri standard proviene dal tuo schermo.

Cosa dipinge il nostro uomo su questa grande tela? Iniziamo con un poliziotto di nome Martin (Miles Teller), un tipo forte e silenzioso che suggerisce un blocco da sofferenza post-traumatica o una lavagna intenzionalmente vuota. Il suo partner (Lance Gross) ha la capacità di trasformare un controllo del traffico di routine in una situazione alla Cattivo tenente in un batter d’occhio. In ogni caso è sorprendente quando qualcuno si avvicina semplicemente a lui e gli spara una pallottola in testa. La tragedia fa guadagnare a Martin una promozione a detective, ma non la libertà da un gangster locale (Babs Olusanmokun), che lo costringe a ricoprire il ruolo del suo defunto partner come sicario. Né vi impedisce di essere scettici sul fatto che il protagonista frequenti una studentessa delle superiori di 17 anni (Nell Tiger Free).

Seguiamo poi chi ha sparato, Jesus (Augusto Aguilera), a sud del confine. Il poliziotto aveva ucciso sua madre, una famigerata signora della droga. Suo zio (Emiliano Díez) lo accoglie e lo introduce al cartello. Quando c’è uno slittamento di potere, Jesus e la pupilla del vecchio – una giovane di nome Yaritza (Cristina Rodlo) che ha salvato dal deserto e cresciuto come sua figlia, non senza alcune implicazioni spiacevoli – sono sposati. La coppia viene quindi mandata in America, con l’intenzione di proteggere gli interessi dell’organizzazione. Ci sono anche questioni incompiute riguardo a quell’omicidio per vendetta. Ci sono sempre. Ah, abbiamo detto che Yaritza potrebbe essere l’incarnazione di un’antica leggenda folcloristica / pilastro dei tarocchi conosciuta come l’Alta Sacerdotessa della Morte?

Altri personaggi vengono buttati nella mischia, in particolare un ex agente dell’FBI con un occhio solo (John Hawkes di Deadwood) che diventa mentore di Martin e una guaritrice New Age (Jena Malone) che assume l’ex federale per dare la caccia a criminali sessuali particolarmente efferati. Ci sono anche magnati fissati con il rape-porn, pedofili, tossici, casi di molestie da studio del #MeToo, più controfigure di Trump di quante non ne riescano a far entrare in una registrazione di Access Hollywood e, qua e là, solo ordinari stronzi. In altre parole, un sacco di mascolinità tossica – e il punto è questo. La galleria di parassiti della malavita, molestatori seriali di bambini e misogini violenti che Refn e il suo co-creatore, il fumettista fuoriclasse Ed Brubaker, hanno inventato non rappresentano solo il peggio di quella società quanto della Società del 2019, un “chi è chi” quotidiano di degenerati e miserabili. E come per il mondo in cui viviamo, molto di ciò si riduce al male che fanno gli uomini. ‘Bravi ragazzi’ qui è un ossimoro.

Ci vorrà un angelo della morte per ripulire il mondo dai maschi abusivi, ed è per questo che la serie e l’attenzione continuano a tornare a Yaritza. È il veicolo per le inclinazioni più soprannaturali e surreali del regista, che sono cresciute dai tempi di Solo Dio perdona e la sua decisione che preferirebbe essere una nuova versione di Alejandro Jodorowsky piuttosto che un povero Michael Mann. Aiuta anche che a interpretare Yaritza sia Rodlo, un’attrice che sa come tenere uno schermo, indipendentemente dalle dimensioni. È una grande osservatrice con un occhio killer per i dettagli, un’artista che sa come far sì che la calma e il tocco minimalista contino in un pasticcio splatter massimalista. Va da sé che Refn, un cineasta che non ha mai incontrato una luce colorata che non abbia amato biblicamente, e il leggendario direttore della fotografia Darius Khondji (La città perduta, Seven) immergono tutto in colori allucinogeni, ombre da notte oscurissima e atmosfera infernale da night club. Vale anche la pena sottolineare che il personaggio di Rodlo è l’unico che sembra davvero adatto al tono e alla visione dello show; nemmeno Teller, che offre la migliore imitazione di un Robert Mitchum del XXI secolo, può sincronizzare il piglio alla Raymond Chandler del suo protagonista alla narrazione. Un giorno, qualcuno realizzerà un super-montaggio delle scene di Rodlo e ci regalerà un incubo cromosomico XY di tre ore.

Nel frattempo, abbiamo questa lagna zoppicante e sgraziata che non giustifica la sua durata da maratona come qualcosa di più di una follia autocompiaciuta e durissima senza giustificazioni. Naturalmente puoi trasformare una crime story pulp in qualcosa di immoralmente magnifico dal punto di vista visivo, ammucchiando varie cose, dal costume da narco chic agli schemi visivi della Pop Art. Puoi dare al tuo gangster un tocco di stranezza facendolo diventare un fanatico dello ska vintage e puoi inscenare un inseguimento in auto ridicolmente lungo sulle note di Mandy di Barry Manilow, l’action-flick dito medio del giorno. Puoi ingaggiare Morgan Fairchild come White Privilege e dare a William Baldwin un pasto da sette portate da masticare, completo di mosse onanistiche di potere. Puoi usare l’immaginario misogino in nome dell’innalzamento della vendetta e dell’empowerment femminile, anche se ogni singola persona sulla faccia della terra vorrebbe davvero che non lo facessi. Puoi perfino usare la violenza estrema come esercizio di carneficina feticizzata. Chi non ama un cinemassacro ben fatto? O guardare un Nazista farsi sparare nel cazzo?

Ma quando ti viene data la possibilità di impegnarti in uno storytelling di lunga durata e lo traduci nel nulla, in scene che si estendano all’infinito semplicemente perché puoi farlo, o scambi il concetto di lentezza al cinema con quello di istantanea profondità, o non riesci a capire che forse “meno è meglio” quando si tratta della tua estetica art-to-grindhouse, potresti essere chiamato a risponderne. Refn ha ragione: questa non è tv. È auto-parodia. E non ci vuole una mezza giornata di visione per capire che forse stiamo diventando troppo vecchi per questa merda.

In attesa del trailer 2 di JOKER, immaginiamo Arthur Fleck al Murray Franklin Show con tutti gli altri ospiti della società (im)bandita

Sì, ecco che Robert De Niro, cotonato come Mike Bongiorno, invita in trasmissione il mezzo disgraziato, sciagurato, completamente devastato e rovinato, handicappato, scalognato, super sfigato mai visto, schizofrenico irreprimibile e not responder incallito Arthur Fleck. Sottoponendolo a delle domande da terzo grado derisorio per far ridere di gusto la platea gozzovigliante di applausi purtroppo spontanei e non telecomandati.

Sì, gente che ride dinanzi a ogni più sconcia, stolta provocazione di cattivo gusto, si scompiscia e sganascia di fronte alle sentenzianti stereotipie dei luoghi comuni espulsi malvagiamente dall’infernale orco catodico incarnato da Murray, inquisitore da Il nome della rosa con Connery, impomatato e in giacca e cravatta, in smoking impeccabile abbigliato. La gente va matta per tale tremendo mega-direttore, no, solo presentatore galattico del network di massa sparato negli occhi e nelle orecchie dei telespettatori paganti, ovvero l’uomo medio italiano, filoamericano che si beve tutte le stronzate della Rai, pagando anche il canone. Crepando di risate quando parte la donna cannone, mangiando nel frattempo, stravaccato sul divano, un cannolo.

– Ecco a voi, ladies and gentleman, signore e signori, un fenomeno della natura. Un ragazzo apparentemente anche di discreto aspetto fisico che però, ah ah, quando apre bocca pare afflitto da dislessia, epilessia, catatonia espressiva perché non si capisce un cazzo di quello che dice. Tartaglia, mugugna, si esprime come Benicio Del Toro de La promessa.

Questa sua deformità lessicale lo rende simile agli occhi della gente, oh sì, perché noi amiamo le apparenze, vero, a Joseph Merrick, elephant man, colui che soffrì della distrofica malattia muscolare denominata sindrome di Proteo. E non basterà il dottor Frankenstein per rigenerare questo Fleck, per garantirgli nell’anima una protesi, in quanto lui non è Prometeo, in verità è solo uno che si crede un poeta ermetico ma è sinceramente, obiettivamente, senza falsi inganni, senza consolatori buonismi ipocriti, senza velare nulla, un coglione plurimo. No, non dobbiamo usare con lui una piuma, se vuole però gli rimbocchiamo le lenzuola del piumino perché è paragonabile a Tom Hanks di Forrest Gump.

E io, parimenti al demone del trash contro ogni ottava meraviglia del mondo improponibile, appunto impresentabile ma strepitosamente impressionante, ah ah, ovvero Demon Killian di The Running Man, gli sarò implacabile.

Oh oh. Ah ah.

Applause!

Ma non perdiamoci in chiacchiere. Diamo subito il benvenuto al demente per antonomasia, a questo mezzo uomo auto-flagellatosi ridicolmente nella rupe, anzi nel dirupo del suo esistenziale buio ai confini del mondo? No, nel suo pozzo senza fondo da confinato, ghettizzato, emarginato ma soprattutto immoralmente linciato da noi, figli dei giganti. I quali demoralizzeranno imperituramente ogni suo ardore vitalistico. Spegnendo ogni sua ribellione che, da essere piccolo e nano qual è, s’azzarderà, vanamente e pateticamente, a scagliare contro il nostro indomito potere forzuto da fascisti rocciosi, ferrei e duri stronzi.

Ah ah.

Sì, se questo Fleck spererà di avere una seconda chance nella vita, speronandoci, gliel’arderemo… ancor prima che possa solamente sperare di rivedere una pur minima, debolissima fiammella.

Sì, se dai sepolcri della sua malinconia tristissima s’illuderà di captare un fievole eppur speranzoso bagliore della luce del giorno, anneriremo questo suo rinascente, dolcissimo, chimerico fulgore, soffocandogli anche ogni alba e tutti i crepuscoli e, più che Ugo Foscolo, lo renderemo del tutto fosco. Buttandolo ancora nel fosso.

Sì, Fleck è un fesso e noi sempre lo affosseremo. Forza. Ora lo distruggerò. Mi raccomando, coi vostri clap clap, datemi manforte. Ah ah.

Questo qui non è Prometeo di niente, non ha neanche mai visto il film Prometeus. Stasera, crede che sarà Re per una notte ma, al solo tintinnare delle sue iridi accesesi estemporaneamente dal flash dei fotografi, ah ah, io lo tratterò da straniero della società. Vivrà la sua eterna, tetrissima vita nella scura agonia dei suoi tormenti da Travis Bickle di Taxi Driver dei poveretti!

Ok, partiamo con la distruzione.

Buonasera, signor Fleck. Si accomodi. È di suo gradimento la poltroncina o forse desiderava essere al posto di quella ove è seduto a dieci metri da lei, qui sul palcoscenico, quel gran culo della modella che può vedere vicino a noi?

Scusi, riesce a vederla? Ah ah.

Partiamo con le domande. Si sente pronto? Ah, a proposito, lei qualche volta ha coscienza di essere tonto? Ah ah.

Aspetti solo un secondo. Riesce a pazientare? D’altronde, lei è dalla nascita addormentato, in un centro di salute mentale ben sedato. Dunque, sì, lei è un paziente che ha molta pazienza.

Mi lasci riflettere. Oh, ecco la domanda. Risponda, mi raccomando, solo dopo una profonda, lenta riflessione ponderata.

Lei è solo come un cane, nessuno e nessuna la ama, nemmeno sua madre, mio mammone, poiché sua madre ora è fortemente malata. Dato che nessuno la ama, lei qualche volta riesce ad apprezzare il film Paura d’amare o perlomeno sé stesso? Insomma, detta come va detta, pratica l’autoerotismo? Si fa qualche sega?

– Sì, qualche volta me la tiro.

– Avete sentito? Se la tira pure di brutto. Sei veramente il mio idolo. Ecco, tutti noi ti amiamo. Non odiarmi per questo ma, vedi, ti beatifichiamo e glorifichiamo qui tutti da morire. Vero, pubblico? Un bell’applauso caloroso per incitare un po’ il nostro Fleck.

E tutti assieme appassionatamente, al mio via, urlategli: bravissimo, sei un grandissimo!

Ha sentito, Fleck, che roba? Sono tutti qua in platea e anche in galleria per lei. Non è quello che voleva? Scusi, non mi mandi a fanculo, le ricordo che mi mandò piuttosto anche una lettera di auto-invito come fece Valerio Mastandrea, quando ancora non era famoso, per partecipare al Maurizio Costanzo Show…

Che vuole di più dalla vita? Ah, capisco. Il suono degli applausi non sono musica per le sue orecchie.

Perfetto. Maestro, dedichi al nostro Fleck il celeberrimo ritornello di Jovanotti:

sono un ragazzo fortunato perché m’hanno regalato un sogno. Sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno e quando viene sera e tornerò da te… è andata com’è andata, la fortuna è d’incontrarci ancora. Sei bella come il sole. A me mi fai impazzire…

all’inferno delle verità,

io mento col sorriso…

Sentito, mio bel giovanotto?

Mi tolga una curiosità. Riesce a vedere almeno, seduta al suo fianco, Eleonora Giorgi? La saluti, forza. Che fa? Le pare il modo di starsene impalato vicino a una signora?

Lei usa come Carlo Verdone il Borotalco? Non è che mi farà la fine invece, coi suoi auto-inganni, di Paolo Villaggio de Il volpone?

No, sa, è per chiedere. Lei è davvero Troppo forteUn sacco bello.

– Signor Franklin/De Niro. Potrei cortesemente farle io una domanda, adesso?

– Ma certo. Non vedevo l’ora. Voleva chiedermi se potessi essere il suo unico amico come il ragioniere Filini? Ah ah. Mi dichi! Ah ah.

– No, se gentilmente mi permette, vorrei farle una domanda alla Tom Cruise di Collateral.

– Ah be’. Mi pare ovvio che lei s’identifichi con Tom Cruise. Visto che, da tempo immemorabile, sogna la sua Mission: Impossible. Ah ah, comunque chieda pure.

– Da giovane, la soprannominavano Bobby Milk per via della sua carnagione molto chiara, per via del suo pallore latteo. Giusto?

– Sì, è vero. Quindi?

– Lei ha dichiarato, nelle sue interviste, che è sempre stata una persona molto timida nella vita di tutti i giorni. Tant’è che, appunto, da giovane, l’affibbiatole nomignolo Milk forse si riferiva anche al fatto che qualche bullo, lì, nel Bronx o a Little Italy, deve avergliele suonate molte volte, cantandole pure… fatti mandare dalla mamma a prendere il latte di Gianni Morandi.

– Non capisco, signor Fleck. Che razza di domanda è mai questa?

– Infatti, questa era solo l’introduzione. La domanda è:

come mai lei nella sua vita sentimentale-sessuale ha sempre avuto una predilezione per le donne nere, per anni considerate diverse in base alla segregazione razziale che imperò negli Stati Uniti dai tempi di Amistad e non si è invece mai accorto che il suo famoso neo nero sulla guancia la rende unico?

Ecco, se ora io glielo strappassi, lei rimarrebbe sempre Robert De Niro, uno dei più grandi attori della storia.

Ma avrebbe perso la sua unicità. E sarebbe uguale a tutte le facce di merda omologate e fatte con lo stampino.

L’è piaciuta la domanda?

 

di Stefano Falotico

La cattiveria sardonica di un genio immacolato che odia le falsità buoniste ed è un rocker, nel senso di Joe? No, nel senso di cane Spaniel Inglese col pan di Spagna del cock maggiorato


17 Feb

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Io mi sto facendo delle risate che nemmeno il diavolo sa.

Ma non è da ieri, nemmeno da un mese, sono anni immemorabili che la risata sta assumendo contorni infinitamente strepitosi. Perfettamente allineati alla mia visione cinicamente romantica. Che per molto tempo imbecilli con poco sale in zucca vollero addolcire, ammantandomi di etichette affibbiatemi per puro diletto sadico.

Loro pensavano di conoscere tutto di me, io invece io ho sempre saputo di loro, non dando nell’occhio. Infatti, m’avevano scambiato per cieco. Io ci vedo benissimo. E, senza battere ciglio, sotto i baffi mi sparavo un divertimento immenso. Sì, son baffuto come l’ex frontman dei Queen.

Dio salvi la regina? Sì, lo sceneggiatore di The Queen, firmato Stephen Frears, è Peter Morgan. Lo stesso che, assieme ad Anthony McCarten, ha scritto Bohemian Rhapsody.

Ho detto tutto.

Credo che gli inglesi siano proprio delle teste di cazzo.

La signora Elizabeth Alexandra Mary, più comunemente nota come Elisabetta II, è uguale a mia nonna. Entrambe, nella vita, non hanno mai lavorato. Ed entrambe campano ancora.

Soltanto che la prima è arci-miliardaria, si fa servire e riverire dal maggiordomo della minchia, i disoccupati da film di Ken Loach muoiono di fame ma l’acclamano, distraendosi nel tifare Manchester City mentre la loro moglie ha il Cancro. Invece mia nonna ha sempre vissuto in un tugurio da farti venire il tumore ai polmoni. E suo marito, cioè il mio ex nonno, allevava le galline. Poi, vendeva le uova scadute al mercato.

Entrambe fan buono brodo? No, solo mia nonna che almeno, a differenza della Regina, sa cucinare. I suoi tortellini sono ottimi. La Regina non usa nemmeno la carta igienica omonima. Sì, la Regina non è una donna normale. Lei non caga come tutti/e. Lei è dinasticamente una pulitissima merda e basta.

Una stronzata di donna.

Insomma, noi italiani staremo messi male. Abbiamo al governo degli analfabeti e dei puttanoni.

Ma in Gran Bretagna, e non mi fate bestemmiare contro la Brexit, stanno a pecora. Sì, come le pecorine che pascolano nelle verdi valli della Nazione limitrofa, l’Irlanda.

The Commitments, comunque, è un bel film. So già che adorerò The Irishman e mi piace da morire Liam Neeson. Ma non fatemi vedere quel Bono Vox!

Fa l’umanitario con gli anelloni placcati oro al dito. Ho detto tutto. Mister ipocrisia per antonomasia.

Infatti, gli U2 son sempre stati molto amati dalla gente ricca che, per discolparsi un po’ dai loro privilegi spesso immeritati, di tanto in tanto vanno a manifestare in stile Sunday Bloody Sunday.

Sì, cazzo, c’è anche quel film Domenica, maledetta domenica. Che cosa? È di Oliver Stone? Ma no, quello è Any Given Sunday. Questo è di John Schlesinger.

Esordio attoriale di Daniel Day-Lewis. Day-Lewis è un ibrido. Sì, un britannico con cittadinanza irlandese.

Nel film Nel nome del padre e The Boxer è irlandese DOC. Talmente rabbioso che appartiene all’IRA.

Anche in Gangs of New York mi pare irlandese. Sì, un macellaio dal sangue freddo.

Questo è un maiale che scanna tutti, anche Liam Neeson. Ah ah.

Sapete che vi dico? Sono meglio le islandesi. Sembrano tanto fredde, eh sì, in Islanda si gela, ma sono più calorose.

Sì, per anni sono uscito con degli idioti. Che, pensando di avere a che fare con un timidone, un imbranato patologico di natura fantozziana, con un taciturno “malato” di melanconia, mi trattavano, che ve lo dico a fare, da coglione.

Loro giocavano a Sin City e io già avevo un debole per Jessica Alba.

Sì, alla prima veneziana di Machete, ho visto Jessica Alba dal vivo. Ho conservato il suo pregiato culo in qualche mini-VHS. Se volete il filmato, datemi cinquemila Euro.

Ma comunque è una bambina, Jessica. Non fa per me. Dopo che te la sei bombata, come passi la giornata con questa qui? Aspettando di prendere sonno, facendo le boccacce su Instagram o Snapchat? Mah.

I primi giorni ci può anche stare. Al terzo giorno, diverrete schizofrenici e crederete davvero alla minchiata della Genesi.

Finito che Dio ebbe di creare il mondo, io mi sono sempre chiesto: ma come ha passato il tempo?

In questa galattica noia abissale e spaziale, ebbe solo un attimo di umanità. Inseminò la Madonna via etere. Sempre meglio che in vitro. Poi è capace che i figli vi nascano con problemi genetici. A proposito di geni e credervi onnipotenti.

Voi, uomini, siete solo dei nani partoriti male. Pieni di paure, di superstizioni, spettegolate, vivete d’invidie. E subito speculate sulle vite altrui.

Ad esempio, una ha letto il mio precedente scritto, ANGELO DEL BAVAGLIO e tale femminista, ragionando a cazzi suoi, turbata oltremodo quando ho detto che sono misogino, mi ha contattato:

– Ciao Stefano, come stai?

– Bene, grazie. Tu?

– Io sono eccitata.

– Perché? Finalmente la Mondadori ha accettato il tuo manoscritto?

– No, sono sdraiata a letto senza mutandine. Ti piace, vero? Forza, scendi dal pero. E succhiami le pere.

– Ah, però. Sei già alla frutta a trent’anni. Guarda che a settant’anni, bella mia, non so se ci arriverai. Non puoi andare avanti di dessert. Il diabete non ti darà tregua.

– Su, non fare il frocio. Sai la verità? Tu non sei misogino e nemmeno superiore. Sei un porco, una bestia ma non hai il coraggio di ammetterlo. E ti spacci per pensatore libero.

– Non ho il coraggio di mettertelo, sicuramente. Posso ora mangiare un kiwi? Grazie, buona serata.

 

Sì, sono terribili queste ragazze. Se sfoderi un po’ di sana virilità, anche solo a parole in uno scritto, appunto, s’incazzano e provocano per appurare se sei davvero elevato o solo uno che vuole elevarglielo.

Dev’essere stato quel movimento stupido del MeToo a fotterle del tutto.

Comunque, ora dico la mia sulle rockstar.

Jim Morrison era un maschione, anche un minchione. Si era dato da solo l’appellativo di Re Lucertola. Quindi, era “viscidissimo”.

Mick Jagger è una scimmia. Sì, avete presente quegli scimpanzé di Quark con Piero Angela?

Mick Jagger si differenzia da loro solo perché le donne dicono che è sexy. Sì, certamente.

Io conosco, ad esempio, Michele Iagghero, napoletano detto Mickey perché lui si crede Mickey, appunto, Rourke e invece non ha neppure i soldi per comprarsi e mangiarsi una banana.

Seppure sia povero in canna, non è il tipo a cui, come si suol dire, a vederlo non gli daresti una lira. No, no.

È alto, ha un gran fisico, sa ballare e ha una bellissima voce. E le donne, appena lo vedono, impazziscono.

Ma lui non può invitarle a cena, allora queste mettono su le canzoni dei Rolling Stone.

David Bowie? No, non era omosessuale. Era “trisessuale”. Sì, Life on Mars. Prima di scendere coi piedi per terra, David faceva l’amore con le saturnine. Uno Zeus. Un Giove. Poi è andato con la venere nera Iman.

Di mio, giocavo da piccolo a He-Man e ho giocato poco con l’imene. Ma me la meno.

Eddie Vedder non ho mai capito cosa sia e fosse. Piaceva ai ragazzi che hanno fatto la stessa fine di Emile Hirsch di Into the Wild.

Sì, quel rock malinconico da effeminati che si spacciano per duri.

 

Insomma, ce la possiamo dire?

La prossima volta andate a prendere per il culo vostra sorella.

Evviva Elvis the Pelvis!

 

di Stefano Falotico

Memorie del sottosopra: su Rolling Stone Italia paragonano Dostoevskij a un hater odierno, mentre io sono sempre più (pus) underground di mie stranger things


17 Oct

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Roco

Un post condiviso da Stefano Falotico (@faloticostefano) in data:

Ecco, come anche le pietre sanno, Taxi Driver è il mio film preferito. Ma non tutti sanno che il suo sceneggiatore, l’esimio Paul Schrader, oltre ad attingere a Lo straniero di Camus, all’epoca non aveva ancora conosciuto i poteri nutrizionali miracolosi della pizza al Kamut, e dunque era un pessimista contro ogni positivismo da Cinema di Muccino, e s’ispirò anche alle immortali Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij.

Invece, nelle scorse ore, sulla rivista Rolling Stone Italia, ove fino a pochi mesi fa la “direttrice” era Selvaggia Lucarelli, una buona solo a leccar l’uccello del Morgan che fu, spacciandosi per anticonformista maggiorata contro la maggioranza meno falsa di lei, è comparso un articolo abominevole, firmato da Enrico Dal Buono. Buono a che?

Ove il suo “pregevole” autore sostiene che, se Fëdor fosse nato oggi, avrebbe nutrito odi sociali da hater e probabilmente l’avrebbero sbattuto in qualche centro di disintossicazione mentale.

Parafrasando Nanni Moretti di Caro diario: ecco, penso: ma chi scrive queste cose, non è che la sera, magari prima di addormentarsi, ha un momento di rimorso?

Sai cosa stavo pensando? Io stavo pensando una cosa molto triste: cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c’è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un’sola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza.

 

Frase che Nanni rivolge a uno col macchinone mentre aspetta che si alzino le asticelle del passaggio a livello.

Sì, dovete sapere che io son stato anche considerato “socialmente pericoloso” perché, anziché, amare film come L’ultimo bacio e melense, ecumeniche, dolciastre piaggerie piccolo-borghesi, ritengo che Ghost Dog del Jarmusch sia un capolavoro.

Ma, a differenza di Moretti, considero anche Henry del McNaughton un film magnifico. Sì, sono un essere “purulento”, vero pus underground! E la gente perbenisticamente ipocrita, infatti, mi urla pussa via!

Sì, al che “zigoviaggio” nei miei strange days di un’adolescenza perduta, inutilmente inseguita e probabilmente mai avuta né goduta.

E mi ricordo che proprio non andavo d’accordo coi miei coetanei appena cominciai a prendere coscienza di come funzionavano le cose. Anche le cosce. Cioè che, “ruffiani” come Harvey Keitel, i cosiddetti papponi del magna-magna(ccia) generale, non avrebbero mai capito le mie melanconie e le avrebbero scambiate per demenza. Dandomi dell’incosciente perché lor “buoni” pensavano solo a come cuocersi un paio di femminili cosciotte. Ah, povero il mio Don Chisciotte!

Sapete, all’epoca, non c’era Internet e non potevi esternare i tuoi pensieri, trovare gente con la quale instaurare empatie e sintonie emozionali, e quindi mi chiusi parecchio. Stagnando in una zona angosciatamente “morta”, in cui languii nel mutismo, semmai sognando una donna pura come Winona Ryder prima che diventasse la zitella di Stranger Things. Quella che ti scopi tu, cinquantenne pesantissimo.

Appena cominciai a svelarmi, dopo che al servizio civile mi fecero ascoltare Lou Reed e i cantanti maledetti, compresi che indubbiamente ero stato coglionato. Mi ribellai ma venni nuovamente preso per coglione, più che maudit, inaudito.

Be’, so che oggi mi piacerebbe “rosolare” una donna castana, baciandola come se stessi sgranocchiando una castagna. Ma sarò ancora sfigatissimo. Faremo un figlio e io lo porterò a Castagneto Carducci.

Ma lui morirà per un male incurabile.

E io, travolto dal dolore, scriverò un capolavoro di mio pianto antico:

 

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor
.

 

Ecco, a distanza e a fronte di tutto, Taxi Driver rimane il mio film preferito.

Sapete, da piccolo avevo un sogno. Ora ve lo confido.

Sognavo di svegliarmi a tarda notte, di mettere in una busta della spesa delle cibarie appetitose, di aprire la porta di casa senza far rumore, quatto quatto di scendere le scale e di portare la cena al diavolo.

Sì, già all’epoca ero “schizofrenico” come Mick Jagger e adoravo Sympathy for the Devil…

Anche perché accendo la radio e son passate due canzoni davvero “belle”.


Sì, Francesco Sarcina, un sorcino. Parla sempre di orgasmi per commesse frustrate e di lenzuola sporche per ebefrenici maniaci di tettine.

E Zampaglione. Uno che, se sei triste, t’istiga al suicidio con le sue rotture di palle.

Poi dici che uno non deve essere una persona “negativa”.

Ecco, dovremmo chiudere le radio italiane e continuare ad ascoltare quel “rozzo, ignorante, cafone, incolto, burino, bovaro” di Bruce Springsteen. Radio Nowhere!

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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