Mendoza nel suo eremitaggio dorato di cascate, a pregare per il silenzio dei “vivi”
Di quelle pellicole avvezze a commuovermi e ad avvinazzar le iridi mie “pensatrici”, a effonderle in caldo “sciacquio” ove il Tempo è l’aurora parsimoniosa del mio tenero “ottenebrar” la calma, navigandoci di vigoria che contempla le nature docili d’un Mondo remoto da me, nei “distacchi” di cui rimpiango solo le frenesie degli orrori a cui mai mi genuflessi, né m’inchinerò alla predica moralista del loro asservimento.
Sì, sono un cacciatore, di taglie o di schiavi, nerbo di “neve” e dissolvenza che adocchia il becero qualunquismo nel suo “tempestarsi” di t(u)oni futili, a cui sfilo i miei “cappellai matti”, ingraziandomi il Cielo di non avermi ingravidato nei suoi troni, “proni” alle poltrone.
(S)calzo nella mia guerra, battagliero che “fuorviò” le ripicche e i giochi di spada, ché già caddi nei vizi della gelosia e del suo “dilaniarmi” dentro. Mi salvai in questa selva di primigeni pudori incontaminati e illesi dal barbarico “amputar” la Bellezza.
Qui, “vigo” vigilissimo in me, nei miei arbitri senza fischietto ma di musica evocativa alla Morricone, magica foschia delle palpebre e del non “assonnarmene” o a voi assoggettarmi.
Fra i selvaggi rinacqui, e ora son padrone del destino, libero dai falsi oneri del vostro “onore”.
Io sono il Re. Della foresta. Sono Rodrigo.
(Stefano Falotico)