In una società balorda, son l’eccelsa stravaganza canzonatoria col mio piumaggio altero e altamente menefreghista, in tutto (s)prezzo del mio colorito a te non annuito ma, annerito, annebbierai
Che io viva oramai sui monti eccentrici del genio inconsueto, è verità conclamata, e aderisco a ispida vostra invidia di prosapie mendaci con per di più mie smorfie da giullari “evasioni” in mezzo a questo casino di “vaselline”.
Lo so, sputatemi ma domani sarete spaccati in faccia, osannatevi in gonnelline castigate a vostro prostrarvi ché io mi gusterò la crostata, tenendo rizza la cresta di marmellata e domani montata.
Sono un montato ma non mi vedo sposato, né tu sarai mai mia. Già t’ho adocchiato, mentecatta da strapazzo. Ai galli tu aneli, ma io inanello altri deliri, spennacchiando le galline, ché farneticar m’è lietezza in vostre sconcezze con tanto di chicchirichì.
Vivo per volontà ai mar(gin)i e invoco l’oceano al fin che siate “imboccati” fra le sue piovre nascoste nei “cespugli” della Notte lorda, mentre poi volo nella tundra e sgambetto in tuta, suonando il liuto per le vostre bocche aperte, sottilmente provocate, dolcemente in(o)culate. Allocchi, come vi sfotto io neanche tua madre a (s)premerti d’Edipo, tuo padre è alla sua serva di tutti i servigi, scopando solo a terra.
Annoto un’argentina e le piazzo un calcio secco nel tanga, altro che Tango, sono il Cash a fracassarla, recapitandola sulla Luna, ove vivanderà i panni sporchi intergalattici a dispetto del mio santo di cartine tornasole.
I conti non mi tornano, il tornio non mi plasma nell’argilla e non argino il mio gigantismo, incapsulato in una nave spaziale per orbitare su una Venere ed esserle “marziano”, alienandola con tocchi essenziali di fanciullezza oggi e domani ficcarla nell’immondizia da “buco nero”. Che cesso, devo solo incassarlo! Altrimenti, sono cazzi. Di altri. Il mio merita Saturno.
In vita mia, ho letto tanti di quei libri che tua sorella non ne ha presi altrettanti, e gioisco di manne dal Cielo per essermi liberato dagli stronzi e ora poter galleggiare, con fra l’altro anche il diritto di galera a tali teste di svuotati testicoli se ancor vorranno imprigionare la mia libertà e volerla appallottolare per quattro biglie del comunque non imbrigliarmi.
Tu sei un bignè, io ti mescolo sul capo il caffè e ti lavo con tanto di ano nei miei vulcanici schizzi di “lava” nel buco tappato.
Insomma, se m’incontri, sai che non riceverai sconti e lo scontro sarà attrito a sbatterti negli antri ove gemerai, mio anatroccolo.
Sono colui che ti scaccola e disincrosta le tue “benedette” ostie, in quanto ostello del mio bianco cavallo in te “divaricato” e non aperto di mente. Mio religioso di acque sante, ecco il santone nel tuo culino. Demente sì, e io ti punii senza neanche accoltellarti di pugnali.
Mi piaccio così ché matto te lo metto lì. Sempre, in quanto prendo la tua donna e la spingo in manicomio, con te a urlare perché vuoi che impazzisca di più.
Lei o la maionese? Prediligi il ketchup? Ok, basta che ci siano le patate e ogni “salsa” è carne arrosto o al “fuoco” ardente in quanto bocconcini ai denti?
No, gli eschimesi scopano solo un tre quarti al mese perché lo tengono al freddo.
Quindi, freddati e frena il tuo pelo. Ricorda che la tua donna ha bisogno di coccole in quel loculo. Oblò.
Ecco chi sei. E hai incocciato la tua zucca.
Di terzo nome faccio Gustavo, di “soprammobile” mangio il mascarpone con la scarpetta e tu precipiti dalla scarpinata con la mia forchetta e un bavaglio “a col(l)o”.
Sì, son questo.
Piglio il pigiartela anche in pigiamino e caccio peti a innaffiare l’aria dell’intimo sapore “vernacolare”, in quanto dialettica “gargarismo” dei germi vostri intestinali a mio girino e orgoglio fra questi gergali volghi.
A proposito, alle vongole preferisco il goloso.
Al caramello, il mio uccello fra le Camel.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)