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È morto Hugh Hefner, Sean Connery gli è “vicino”, Alain Delon anche, e io sono il playboy delle brioche


28 Sep

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Ebbene, dopo una vita da puttanone e comunque “editore” molto “digitante” delle più plastificate del Pianeta “terragno”, è morto a novantuno anni, e molti più ani, Hugh Hefner, magnate e non magnaccia. Sì, era uomo “raffinato”, di gusto, citato anche dai più attenti sociologi, un uomo che non aveva bisogno dello psicologo perché, quando era giù di morale, qualcuna “glielo” alzava immoral-mente. Hefner se ne fotteva in gran quantità, arricchendosi sugli arrapati che compravano il suo “giornaletto”.

Non faceva porno ma erotismo, certamente… e tutti i commilitoni in guerra, dal Vietnam all’Iraq, addolcivano le loro ire nel “tirarlo” su quelle conigliette così stampate di masturbazioni allegre come un “grilletto” sparato a mo’ di (cer)bottana.

Eh sì, scompare un mito dello scorso secolo, colui che spogliò per primo la Monroe e aveva sempre caldi i “marroni”. Quasi tutte le più grandi zoccole contemporanee, in prima linea la bombastica Pamela Anderson, (di)venute “attrici” di “gioielli”, ah ah, da Hugh si son fatte sfondare per sfondare. Sì, Hefner avrebbe fatto invidia a Higuain, è stato lui il più grande “centravanti di sfondamento” delle palle. Ah ah.

Ma lasciamo stare i morti e anche il suo “maritozzo”, e preoccupiamoci invece della salute del Connery Sean. Fu 007 e adesso invece al bar non riesce neanche più a giocare a tressette. L’Alzheimer incombe mentre in Italia fa paura il morbillo. Connery claudica vistosamente “fragile”, sorreggendosi col carisma del “bastone” fra le sue gambe che fu. Lo sa Ursula Andress…

Anche Delon sta morendo. È stato operato al cuore e presto nell’aldilà raggiungerà la moglie, deceduta pochissimo tempo fa. Il divo francese è oramai andato. Sì, anche lui “ne” vide parecchie, e adesso è nel corazón scoraggiato. Più che un gattopardo, uno col cuor pieno di lardo. Sì, è colpa del colesterolo. E fu anche laido nonostante l’apparenza “impeccabile”.

Di “mio”, vado al bar quando la mattina, piacevole, mi rende “felice” come un “uccello” senza vincoli, che migra e i cornuti mira, mangiandosi tanti cornetti alla faccia della vostra “crème de la crème”.

Anch’io un giorno creperò, ma intanto mi ficco in bocca un’altra crêpe.

Sì, tutti quanti dobbiamo prima o poi morire. Tocca a tutti, “toccatevele” e, nel frattempo, inculatevi.

 

 

Sentite condoglianze da parte del vostro Falotico, uomo appunto non morto ma che mangia le more, anche la mortadella.

A proposito di vecchietti. Nonostante abbia replicato il suo replicante nel nuovo Blade Runner, pietra “tombale” della nuova fantafigata, anche Harrison Ford lo vedo presto alle “pompe” funebri. Ah ah.

Ah, bando alla tristezza. Vi lascio in modo cremoso, “affiggendo” in memoria dei posteri un’immagine mia “inequivocabile” in cui, di “buchi”, prendevo la vita molto più a culo.

E ricordate: sono bello, quindi pappo le (ciam)belle.
 
Miei papponi e (s)chiappe.

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La morte di Frank Vincent m’induce a considerazioni addirittura sulla vita e la società


14 Sep

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Frank Vincent è morto. Ebbene, la sua prima parte davvero importante l’ebbe nel capolavoro indiscusso di Scorsese, Raging Bull, di cui estraggo un pezzo critico dalla recensione del dizionario Morandini…

è un violento film sulla violenza, in cui la boxe è un supporto per il ritratto di un uomo eccezionale sul ring, ma esemplare, nella sua normalità, in privato come prodotto avvelenato di una cultura, di un ambiente, di una società. Di questo mondo, fondato sulla violenza, Scorsese suggerisce la dimensione sociale di sfruttamento, mostrandone il funzionamento con acuta finezza.

Ma, come non ricordarlo in uno dei momenti più memorabili di Quei bravi ragazzi, quando provoca Pesci, rammemorandogli il suo umilissimo passato da “lustrascarpe?”.

Ebbene, Frank Vincent verrà ricordato, credo, soprattutto per quest’ultima parte. Da mafioso turbolento, dai tratti fisiognomici particolarissimi e una faccia da caratterista immenso, un volto che una volta codificato dal cervello non scordi più. E, proprio in “virtù” della sua immediata riconoscibilità, di questo ruolo, e riagganciandomi a Toro scatenato, mi sovviene questo pensiero… Si può sintetizzare una carriera e anche una vita in un “character?”. I cinefili forse non faranno così, ma gli spettatori pigri e superficiali certamente sì. Frank Vincent, “iconografia” dell’italoamericano criminale, anche se lui italoamericano non lo era, perché nato in Massachusetts. Ma in fondo, proprio per la sua tipicità fisica, indubbiamente, lo è, almeno per come è stato sfruttato dal Cinema. Pettinatura sempre “rigida” da siculo, viso meridionale, comportamenti da uomo di Little Italy. Guascone, burlone, cazzone, insomma il ritratto di molta Italia “bassa” ancora di oggi. Guardandolo nelle sue movenze, avevi l’impressione che fosse speculare al Jake LaMotta di Scorsese, un uomo “martirizzato” proprio dal suo DNA, schiacciato da una cultura italica della peggior specie e che, sicuramente, la domenica la passava con la FAMIGLIA a mangiare polpette “au sug’” o polpettone con le patate, scherzando con aneddoti “piccanti” e sguaiati sul tempo che passa.

Ecco, siamo tutti dei Frank Vincent. Fin da piccoli, sin dai primi vagiti, veniamo “schedati” dagli occhi degli altri che, piuttosto che esplorare le nostre profondità, quasi sempre si limitano a etichettarci per il nostro ruolo sociale nella vita. E ci soffocano in una dimensione da caratteristi. Molta gente fa così, la più stupida, quella che pensa che la vita sia appunto un reparto del supermarket, e che gli individui siano merce su cui affibbiare un prezzo, un “valore” figlio soltanto dell’apparenza più spicciola.

Frank Vincent, insomma, è per voi solo lo scagnozzo stronzo, che viene pestato a sangue, dei Goodfellas, un bravo guaglione…

Per alcuni, il sottoscritto, è solo un vaneggiante uomo con tanti grilli nella testa, abbastanza “minuscolo” nella realtà di tutti i santi, non sempre sani, giorni. Per altri solo uno scrittore gigantesco. Dipende dai punti di (s)vista. Da come si viene collocati dagli occhi che guardano…

 

di Stefano Falotico

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