A parte gli scherzi, si prospetta una calamità mondiale: il mondo intero s’è trovato impreparato dinanzi al Coronavirus, siamo tutti in guerra
In data mercoledì 11 Marzo, cioè oggi pomeriggio, per l’esattezza alle 17 e 30 circa, la World Health Organization ha diffuso mondialmente, in modo scioccante, la notizia che non avremmo mai voluto sentire.
Oramai, è tristemente ufficiale. È pandemia planetaria.
Da tempo immemorabile l’uomo non si trovava dinanzi a una calamità di questa portata.
A quanto pare, oramai non è più tempo di scherzarvi sopra. Sì, inizialmente, noi tutti credemmo che si trattasse di qualcosa di facilmente superabile.
Io stesso, così come Vittorio Sgarbi e altri eminenti esponenti del pensiero “tuttologo”, mi scagliai contro i virologi più pessimistici, oserei dire allarmistici.
Basta anche coi complottisti e gli ufologi. Per troppo tempo la mia via fu presa di mira dai gufi, gelosi che io fossi un alieno, cioè non di questo pianeta.
Un uomo stellare. Comunque, dalle stelle finii, per qualche anno, nelle/alle stalle.
Sono infatti uno Stallone. Colui che, in Rocky, toccò il cielo con un dito, anzi col suo pugno sinistro.
Da allora, scopò Brigitte Nielsen, una vacca.
Sì, Brigitte lo munse e Sylvester, tutto (m)unto, cadde nuovamente in disgrazia. Oramai corrottosi per colpa di una rompiballe.
Lo dico sempre, uomini, non fatevi allattare, continuate ad avere i denti da latte. Non sviluppate mai i vostri canini. Le donne vi renderanno dei lupi.
E poi vi perderete nella brughiera. Ove, però, potrete gustare ottimi formaggi. Ah no, quello è il Gruviera. Comunque, al cioccolato svizzero preferisco una svizzera. Ben rosolata con sopra un po’ di ketchup.
A me parve, debbo esservi franco, esageratamente sensazionalistico questo “cazzo” del Coronavirus.
Cioè, come sempre s’è fatto, anzi, si fece, a mo’ di Essi vivono di Carpenter, mi sembrò una troiata per depistare l’opinione pubblica su una malattia irrilevante.
Insomma, pura, faceta distrazione di massa per (de)programmare, attraverso banali dibattiti politico-scientifici, l’interesse quotidiano dell’uomo medio catodico e (di)pendente dalle labbra di speaker radiofonici o televisivi piuttosto ridicoli, verso qualcosa che potesse occupargli il tempo.
Per far sì che dimenticasse l’orrore del suo cotidie vivere spesso noioso e imbarazzante. La cui noia, al massimo, viene per l’appunto distratta dalle stesse partite di Calcio adesso, di “diretta” non solo eurovisiva, bensì in mondovisione, sospese.
Hanno chiuso tutti i cinema, a teatro già non vi andava nessuno. Da me il primo. Che, da sempre, considero il Teatro una forma d’arte morta e seppellita, un’esibizione grottesca di morti viventi che recitano tragedie greche oramai superate quando invero dovrebbero migliorare la “dizione” delle loro recite giornaliere.
Fatte di corna, di gelosie fratricide, di squallide lotte da (non) ipocondriaci.
Ah, fui un malato immaginario non tanto alla Molière.
Sì, rimembro i miei tempi funesti in cui ogni due minuti desiderai gettarmi giù dalla finestra.
Poiché, sebbene dedicassi alle ragazze delle poesie rosate e regalassi loro più di una ginestra, loro giocarono a cavallina con ragazzi invero bambini, forse pure babbuini, spassandosela sulla giostra e poi leccando cremosi gelati, non solo quelli, alla yogurteria di un chiostro assieme a molti uomini mostruosamente libidinosi e uguali a Cagliostro.
Sì, fui un Orlando furioso alla Ludovico Ariosto. Più che altro, un pollo arrosto.
Fu allora che idealizzai il mio Inferno, vagheggiando la mia Beatrice. Cioè Cybill Shepherd di Taxi Driver. Poiché precipitai in notti insonni pure da Al di là della vita.
Notti metafisiche senza molta figa, a dirla tutta. Ma compensai il vuoto… da me non riempito, registrando tutte le puntate di Fuori orario con e di Enrico Ghezzi.
After Hours, sempre di Scorsese, mi provocò mille orgasmi.
Dopo essere scivolato in un incubo kafkiano, divenni all’improvviso Jeff Goldblum de La mosca.
Sì, in me avvenne un mutamento spaventoso, oserei dire rabbrividente.
Dopo essermi tolto tutto nel non essere, dunque immergendomi, anche sommerso, nel trasfondermi nel Cinema in maniera “immersiva” come James Woods di Videodrome, pigliandolo però in culo dal Woods/Max di C’era una volta in America, dopo Il pasto nudo auto-perpetratomi all’anima e alla mia carne divorata, dinanzi all’ennesimo, villano bullismo, reagii in maniera troppo brusca e sconsiderata come Viggo Mortensen di A History of Violence. Forse solo sacrosanta.
Però, per anni gli psichiatri dovettero appurare se, per via di queste mie reazioni esagerate, fossi schizofrenico come Keira Knightley di A Dangerous Method.
Mi arrabbiai ancora di più e fui preso, da parte di un Freud di turno, anche per Mortensen de La promessa dell’assassino.
Sì, m’indurii troppo anche se, a essere onesti, non è che come al solito indurissi molto qualcos’altro.
Anzi, tutta questa cosa s’intenerì, divenni un rammollito e fui nuovamente equivocato. Cioè, la gente cominciò a vedermi come un poveretto Stephen Lack di Scanners.
Insomma, fui scannato.
Varie teste di cazzo mi danno ancora dello sfigato.
È cosa buona e giusta esserlo, perpetrate, figlioli, la sfiga a iosa.
Poiché, come si suol dire, se Nicolas Cage sta con questa qui, è veramente arrivata la fine.
Sì, Nicolas Cage se ne fotte…
Del coronavirus. Adesso sta pure assieme a una che viene… dalle zone ove il virus si è diffuso. Tale Riko Shibata.
Sì, non stringete la mano a Nic. È un attore spesso inetto, adesso pure forse infetto.
Detto ciò, dopo la stronzata serale, se dobbiamo morire, tanto vale fottersene prima che ce lo ficchino in quarantena.
Fidatevi.
Cioè, fottetevi. Ah ah. Siate debosciati come Nic. E comprate il mio libro a lui dedicato. Cercatelo sulle maggiori catene librarie online.
di Stefano Falotico