Posts Tagged ‘Ricordi’

C’era una volta a Torino…


30 Dec

 

bd06


49062758_10212769010442972_7487042520019369984_n
america

 

Ieri, era il 29 Dicembre e Rai 3, come di consueto in questo periodo, in concomitanza con la fine dell’anno e l’approssimarsi vicinissimo dell’Epifania, ha trasmesso C’era una volta in America.

Stefano Falotico, il qui presente-assente, Bickle e Joker Marino, uomo rispuntato dalle tenebre per fortunati accadimenti miracolosi della sua mente che, dopo essere andata a letto presto, invero tardissimo da After Hours scorsesiano per molti anni, dopo essersi persa nei vicoli meandrici di amnesie storiche, dopo tanti eventi rovinosi, impazzimenti vari, ha riacquistato la luce, una luce tenue come il crepuscolo adamantino del suo Nosferatu passeggero in questo mondo bislacco ch’è il nostro.

Così, ho deciso di far visita a un mio amico di Torino, per una giornata e mezza di allegre rimpatriate.

Sono passati tanti anni dalla prima volta che lo incontrai e più volte ci siam rivisti, anche se di rado, negli ultimi tempi.

Così, quando la malinconia si fa così forte nel mio animo che ho bisogno d’incendiare i miei ombrosi umori in serate piacevolmente amicali, non perdo mai il treno.

Che, semmai, sosta anche alla splendida stazione di Milano. E il mio animo, in quel frangente in cui le ruote del treno stridono sui suoi binari e sospendono il loro cammino nella metropoli lombarda per eccellenza, si placa, vien colto da spasmi romantici e ripenso a quando, nel 2006, amoreggiavo con una ragazza che forse non amavo neppure. Un periodo seppellito nelle mie memorie. Con lei non andai d’accordo tantissimo ma mi piaceva baciarla.

Poi, finito che ho di rimembrare quell’amore bizzarro, ecco che chiudo gli occhi ma non dormo. E odo, a palpebre abbassate, il casino dei passeggeri. Il treno è pieno di gente e, sapete, io mi sento sempre a disagio in mezzo alla folla ciarliera e rumorosa. Fra bambini che piangono, cullati dalle loro madri appunto amorevoli, trogloditi che urlano al cellulare e nuove persone che salgono nel baccano generale.

E, come per magia, eccomi a Torino. Scendo piano, m’incammino verso l’atrio e incontro il mio amico che mi aspetta. Prendiamo il taxi, alloggio nel mio albergo, sento una donna strillare, inizialmente pensavo che ridesse sguaiatamente. Apro la porta della mia camera e colgo un’ombra fuggevole che, disperatamente odorante di lacrime, chissà perché scende le scale, l’uomo della reception cerca di chiederle che succede ma lei esce dall’hotel e, dalla terrazza, la scorgo furtivamente inoltrarsi nella sera già buia.

Chi è questa donna? Chi era? Mistero.

Stordito, indosso il mio giubbotto, chiudo delicatamente la porta, consegno le chiavi. E il mio amico è lì che mi aspetta. Mi porta in un locale molto accogliente, molto d’elite, raffinatissimo. Doveva essere solo un aperitivo ma alla fine ci vien servita una lauta cena. E il mio stomaco è ben sazio.

Girovaghiamo per questa periferia torinese, fra parchi illuminati fiocamente e gente che come noi passeggia o beve nei bar, dunque sostiamo a un pub.

Vien la notte, dormo. Mi sveglio prestissimo, è alba ma a Torino sembra ancora notte. Notte, notte, notte. Esco a prendermi un caffè. Pochissimi passanti e l’odore genuino di un inverno freddo ma al contempo mite.

Aspetto mezzogiorno, incontro nuovamente il mio amico. Pranziamo a un ottimo ristorante, ricordiamo assieme i film che Dario Argento ha girato a Torino. Profondo rossoNon ho sonnoLa terza madre.

Il mio amico li ricorda assai meglio di me. Inferno? No, è stato girato a Roma.

Suspiria all’estero. Altri giri, altre bellissime chiacchierate, un altro taxi. Il viaggio finisce.

Intanto mi arriva la recensione di un egregio direttore di una rivista letteraria importante.

Ve la faccio leggere in anteprima. Sono commosso, davvero, non so se merito queste parole.

Ho fatto tantissimi sbagli, tanto ho sbadigliato, tanto ho peccato, tanto sbaglierò ancora. Ma mi sento della vita ancora innamorato.

 

UN SAGGIO CRITICO SU STEFANO FALOTICO

 

L’inserto tutto-cultura PROMETEIA sarà un allegato costante del Faro Italiano, che nel 2019 sarà sottoposto a un’importante evoluzione. Nelle prossime edizioni di PROMETEIA appariranno i saggi critici sui libri di Stefano Falotico con riferimenti a tutte le pubblicazioni precedenti. In questo saggio, invece, mi soffermerò sull’Autore. La crisi che vive la lettura italiana (ma anche mondiale) è dovuta essenzialmente all’inconciliabilità fra lo scrittore e il lettore. Il lettore del XXI Secolo non è più quello del XX e, meno ancora, quello del XIX. La tradizione scolastica, che ha le sue radici in una specie di ripetitivo classicismo, si scontra, volenti o nolenti, con una trasformazione, che, posta in essere nel XX Secolo, ha trovato nel XXI il suo compimento. Ovviamente, molti scrittori, pervasi da un agone egotistico, non si rendono conto della nuova capacità di lettura e insistono in un canovaccio inestirpabile forse a causa di una cultura eccessivamente libresca. I grandi scrittori hanno trovato invece elementi “istruttivi” e “insegnanti” nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere, nell’analisi della società e delle sue evoluzioni culturali, economiche e di costume. Restare “classici” in questo contesto non avrebbe avuto come sfogo il lettore, ma una ristretta cerchia di amici “complimentosi” per “adeguarsi all’occasione”. Stefano Falotico si è posto il problema di come restare classici, senza “urtare” la suscettibilità del lettore. Ha dato vita così a una prosa complessa, attiva, interattiva, non dormiente, non assuefatta, non cantilenante, non ripetitiva, ma sempre fornitrice di soluzioni letterarie che, scatenando l’intimo sentimento, come forse era accaduto soltanto a Victor Hugo e Lev Tolstoj, ha “tradotto” in realtà pensante anche i lettori più indifferenti e sopiti. Lo ha fatto non solo attraverso la curiosità “linguistica” avveniristica, ma soprattutto a mezzo di una sequenza di contenuti che si susseguono in una “asfissiante devozione” al mondo. Se, in qualità di critico letterario (ma sono soprattutto autore di non indifferente livello), mi soffermo sul fenomeno Stefano Falotico, è perché il nostro soggetto letterario offre al divenire culturale soluzioni che dapprima non abbiamo rinvenuto neppure nei maggiori scrittori contemporanei. Stefano Falotico si è certamente posto il problema: Come “raggiungere” il cuore del lettore? Come “svegliare” la sua mente? Come evitare di essere scontatamente evolutivi? Come essere evolutivi e “classici”? I suoi libri narrano di “dame” e “cavalieri”, ma in questo costante divenire-trasformativo-interattivo non troveremo Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e, ancor meno, Dante, Virgilio e Milton. Non troveremo il narratore romanzato. Non troveremo “scontati-inutili” castelli. Troveremo invece l’uomo pluridimensionale, l’amore per l’enigma-vita (Il Cavaliere di Londra – in una mia prossima recensione), lo snodarsi lungo le difficoltà della vita (Il Cavaliere di San Pietroburgo). Le avvisaglie della nuova filosofia linguistica si hanno già nel Cadavere di Dracula (che si pone come confine fra il vecchio dire e il nuovo dire). “La libertà e anche il libero arbitrio passano attraverso perigliosi cammini e ardui ostacoli. Anche la libidine e la lussuria per l’Autore passano attraverso la catarsi “profetica” di un’intima soffusa sofferenza (La mia lussuria si scaglierà terribile di veemenza arsa a vostra finta sapienza. – Il Cadavere di Dracula – Stefano Falotico), attraverso la paradossale lente di un epidiascopio, che, con le sue immagini alterate e “assurdamente iperboliche” ci offre una visione “esagerata e folle” della vita, perché, in fondo, la vita umana non è che “un mezzo” per perfezionarsi per pervenire a vite “diverse”, a mete da conquistare nell’evoluzione biologica, sociale e filosofica, che si dipana nell’incessante comporsi e scomporsi degli “elementi” – così nella mia recensione (già ampiamente pubblicata e inerente libro di riferimento). Stefano Falotico si è quindi posto il problema di come innovare, trasformare, essere “contenutistico”, concreto ed “emblematico”, non travolgendo totalmente i canoni classici della scrittura, ma adeguandoli e rielaborandoli con l’immissione di una straordinaria linfa vitale. Come riesce a ottenere questo? “Caratterizzando” i personaggi, facendoli “lievitare”, crescere, come un padre e una madre pazienti che intendono impartire la migliore educazione alla prole. La prole, nella fattispecie, si chiama libro, scrittura, passione per la crescita letteraria. Non allievo mai, Stefano Falotico è in realtà un appassionato “Maestro”. Ha l’ascia di chi colpisce e il cuore del bambino che rimane tale per tutta la vita. A lui piace “bere” nei suoi stessi libri, non per quel sentimento “draculiano” che, oberato dal peso del nome, si trasferisce nella realtà, ma perché fra incantesimi, “diavoli”, “estemporanee divinità” e uomini-dei, si dipana in lui la “tragedia” dell’umanità nel divenire e nell’essere sempre uguale o simile a se stessa. In questo modo Egli infligge una lezione morale e sottilmente satirica, se non palesemente ironica, agli “umani”. Costoro amano, odiano, non amano, non odiano, finiscono nella spirale dell’indifferenza, si “mediocrizzano”, risorgono dalle ceneri del proprio pensiero, si interrogano, si esaminano, sono contemporaneamente “allievi” e “maestri”: allievi teneri e “maestri d’ascia”. I personaggi di Stefano Falotico sono composti Cavalieri, ma anche uomini bizzarri, fedeli a se stessi e senza una reale fede universale (nel senso classico della parola). Sono esseri ribelli, che fuggono dalla realtà quotidiana, dalla “ripetitività”, dalla tristezza “comune”, dal lirismo della piaggeria e del finto altruismo, dalla pace senza costruzione, dal “senso del dovere”, ovvero da quell’inferno intimo che costringe l’uomo a fare sempre le stesse cose, non chiedendosi nemmeno perché e non domandandosi il perché del “mancato cambiamento”. Nei personaggi di Stefano Falotico la vita chiama a soccorso se stessa, esce dall’infantilismo letterario-creativo per “erompere” come petali in fiore. La sua prosa è fiore e taglione, magistrale rievocazione classica e distruzione del passato “inutile”, in una specie di “anti-religiosità”, che si perpetua in un moto uniformemente accelerato e in un bizzarro divenire. Se i suoi personaggi dovessero delinquere, lo farebbero conservando la loro compostezza, la coscienza di stare a fare sempre bene come nel “Kick-Boxing”. Essi sono incassatori e “canne al vento”. Sono deboli e forti. Sono cani che mordono e arpie feroci. Sono “angeli custodi” della tradizione e innovatori “implacabili”. Leggono in se stessi e fuggono da se stessi. Si ribellano a se stessi quando scoprono di essere “quotidiani”, “sensibili” alle solite cose e vicini allo scorrere delle ore, lo scorrere monotono come le parole che si susseguono con un nesso logico che non si identifica mai con l’evoluzione. Spesso gli scritti dell’Autore “cercano” la “soluzione” e non sembri strano che tale soluzione si identifichi con la tragedia. Sono Romeo da Villanova e dittatori solenni. Sono schiavi e “contumaci ribelli”. Sono condannati alla vita e condannati a morte. Tornano vincitori e si comportano da vittime “solenni”. Sono il futuro, il presente e il passato, con tutte le patologie che proprio il passato può trasmettere e che, pur tuttavia, trovano un organismo ribelle e una “pelle” così mutevole da essere “portatrice” di novità e trasformazioni perenni, tali da “vanificare” il passato medesimo. I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.

 

Eliano Bellanova Direttore della Rivista Il Faro Italiano. Presidente dell’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia

 

 

Dopo tutto ciò, potrei anche suicidarmi. Come Mishima.

Ho perso tanti amici, alcuni sono morti addirittura e non ho avuto il tempo di chiedere loro scusa.

La mia Deborah, il grande amore della mia vita, si chiama, lo sapete, Tiziana. E si è sposata. Ha anche dei figli.

Sono stato dappertutto nella mia vita. Con la fantasia e anche realmente.

Ma il viaggio non finisce qui.

No, non è ancora giunta la mia ora.

Ancora soffrirò, riderò, piangerò, mi emozionerò.

E dunque buon anno a tutti. A chi è ancora di questo mondo e a chi, dall’alto, non c’è più ma forse è orgoglioso di me.

 

 

di Stefano Falotico

L’uomo senza età, ex calciatore scalciato, scansato, scalognato o solo illuminato


13 Mar

Falotico Calcio Scuola Calcio Bologna Anleri

Io ve lo dico qua e non sono potete smentirvi, in quanto voi mentite e io ho una mente che rammenta con stile personale, che poi rimembri con esattezza non lo so. Quel che so è che sono sempre onesto nell’espoliazione del mio cuore, sì, lo sfrutto, lo impoverisco quando mi va e dunque di emozioni fantasiose lo arricchisco infinitamente, nel mostrarlo per com’è nell’attimo in cui lo metto a nudo e lo offro disinteressatamente alle empatie altrui.

Sì, potete girare tutto il mondo e un tipo come me non l’incontrerete mai. Col passare degli anni, la gente “normale” s’involgarisce, si svende e mercifica la propria anima, nell’inseguimento van(esi)o di gioie frivole, e son ossessionati tutti dal loro egoismo, edonismo, e accentrano la realtà unicamente in base ai loro interessi. Ora, qualcuno si è turbato… ma roba da matti, che su Instagram abbia postato dei video banalissimi in cui mi soffermo su elementi della mia casa, in modo warholiano, da Cinema verità, famigliare e intimistico. Sono squarci del mio lunatico rimembrare, accasciarmi ancora nelle nostalgiche mie memorie e sorridere con voracità laconica dinanzi al mio fantasmatico passeggiar in un mondo già imbrunito e troppo induritosi. Che vi è di male? Sempre meglio che postare foto con le linguacce, in cui tutti fanno il verso soprattutto a sé stessi, o peggio come manichini si dilettano con gusto discutibile in pose plastiche di sfacciata volgarità. Esibendo i loro tronfi corpi e ritraendosi attraverso selfie patetici, perpetrano un crimine nei confronti della dignità di sé stessi. Dandosi alla macelleria delle loro anime, pur di ricevere in cambio qualche insulso, inutilissimo Mi piace che li rallegra per i loro 15 minuti di “soddisfazioni” sciocche e vanitose.

Io e gran parte del mondo siamo agli antipodi, viaggiamo su linee psico-emotive diverse. Quasi tutti, la maggioranza, son presi dal fare soldi, son arrivisti, sarcastici, cinici, campano sulle sfighe altrui, ne traggono vantaggi e anche osceno giovamento. Beati gli stronzi…

Che poi forse non è neanche così. Diciamo che siamo soltanto diversi e basta. La domanda che, ripetutamente, in modo assillante, sfiancante, asfissiante, che mi viene sempre posta è: ma lei cosa vuole dalla vita? Come tutte le persone con un’età anagrafica (im)precisa, ma buona solo a livello burocratico, invero variabile, perché oggi sono un pagliaccio e domani un filosofo, oggi uno sportivo e domani un sedentario pigrissimo, oggi un asceta e domani un assatanato, per molti mesi in branda e in alcuni giorni come Marlon Brando, volteggio nel mio tempo ritrovato, senza sosta.

Una donna mi scrive che da tempo mi segue e questi miei ultimi post l’hanno inquietata perché, nel “verismo” di queste mie foto e di video ermetici, secondo lei trasmetto un’idea di tristezza.

Questa storia della tristezza non l’ho mai capita. Uno è sé stesso e fai tristezza, ti omologhi e ti dicono la stessa cosa. Mi spiace dare un’impressione di me sbagliata. Sì, io sono molte volte triste, è perché penso, rifletto, su tante cose polemizzo com’è giusto e sano faccia chi non è una scimmia o ancora non si è orrendamente adattato all’andazzo lercio e stupidino della massa caciarona e ciarliera, frenetica e bastarda. Malata di sesso e di vanità. Di pettegolezzi, invidie, piccinerie e che se vole bene davanti e poi dietro si accoltella e fotte.

Sì, potete vedere il volto del mio ex allenatore di Calcio di quando ero bambino, anche se bambini restiamo sempre nonostante facciamo gli adulti, tale Anleri, crapa pelata, carattere severo e preparatore atletico amante della diligenza e del sacrificio. In poche parole, una testa di cazzo.

Poco fa, ha suonato il postino al citofono. Gli ho chiesto di salire perché ero in accappatoio. E lui, con far secco, mi ha detto che non sarebbe salito neanche se l’avessi pagato.  No, dico, ognuno ha i suoi cazzi… Valli a capire.

Ah, la gente parla sempre e racconta falsità… Ma chi è questo giovanissimo calciatore del Bologna? È Falotico? Incredibile!

Ah, lo sport preferito dagli italiani piccolo-borghesi non è il Calcio. Pasolini era un fanatico di Calcio. Lo sport preferito è voler coglionare le persone in gamba e far loro cattivissimi, vergognosi sgambetti.

 

E la vita allora non è più un gioco, gagliardo, simpatico, innocente e che ama i fraseggi tra compagni di squadra, ma una lotta individuale, immonda e da far spavento.

E il grande Pelé fa una rovesciata-sforbiciata immensa e anche il più porco nazista applaude.

von sydow

 

di Stefano Falotico

Amarcord, sì, son’ ‘nù(tella-nullatenente) terrùn di “carboni ardenti-neri” che s’ record’ di Scott(ato) Ridley


07 Nov

La vita è anche un negozio “Ricordi”

Stia zitta lei, pennuta! Lei, di Cinema, sep’ propr’ nudd’, cioè un bel niente. Inutile che s’addobbi dietro laureette, sempre mezza calzetta è, mia cara “tonna“. Dunque, vada d’uncinetto nel suo “piccolo mondo antico, cioè la cucina, veda di stirare e “tirarlo” un po’ a quel mosciarello del “pinguino” di suo maritin-“maritozzo” e, soprattutto, rammendi la calza.
Son qui, Io, Duca e Principe, a rammentare! Ora, pettini il suo cagnolino, e porti rispetto!

Lei di Cinema, mia micina da cinemino col “cremino” in bocca, sa quanto mio cognato Calogero, che passa le sue giornate a giocar di bile a biliardo, “sbullonandosi” per estrapolar un “ragno dal buco” della sua catapecchia formato “tugurio” e testa dura come il cocomero. Ah, Calogero amaro è, e si consola guardando il mare. Sperando nella sua “sirena”. Anche se quella dell’ambulanza presto suonerà “alla carica” di “soccorso” per prevenire il suo imminente suicidio. Fidati Calogero. Lo “scaldabagno” va riempito non solo di “bolle di sapone”, ma anche di donne in “calore”.

Ora, dopo Fellini (come da titolo), l’unico italiano a vincere l’Oscar come miglior regista fu Bertolucci Bernaldo.
Andate fratelli a vedere Io e te, portate anche del , ve lo suggerisce pure Fabio Caressa, che “intermezza” l’intercalare dell’Inter vs il Milan della pausa fra primo e secondo Tempo con tal bevanda rilassante. Suggerendo, al “braccio destro” (anche se giocò, talvolta, come “sinistro” terzino) Beppe Bergomi, il suo “Sky“.
Fabio Caressa è un “bell’uomo”, come Alessandro Gassman. Cioè, “detto” fra noi, aveva i numeri (anche “balistici”, basta misurarne la voce per calcolarne le ormonali “proporzioni” d'”insaccare” direttamente nelle “donne” da “fighi d’arte”) al fin di “sfondare”, appunto.
Ma preferì ripiegare nelle telecronache, ove finge d’esaltarsi per i goal della Juve, ma in fondo pen(s)a alle giornaliste sue “colleghe” d’occhiolino “tifoso” e “accaldato”.
Fabio è uno “in bretelle”, niente a che vedere con Floriana Bertelli. “Questa” qui avrà circa una “cinquantina” ma di quinta te “la” racconta ancora “giovanissimo”. La “scoprii” molti anni fa sul “Tre”, e me ne “sparai” multiple sul divano. Da allora, ha perso un po’ di tette ma allupa, “tenace”, di labbra-“sorbetto”.

Sì, Floriana… se non si fosse “realizzata” come “una” che legge il gobbo, sarebbe stata una tabaccaia da “Gradisca” a “sfogliartelo” di “sigaro fumante”.
Con tutti i marpioncelli del barettino a “bersela” fra una birretta e uno “scapellarlo” di “berettini”. Che gnocca!
Ieri sera, un mio amico (che abita fuori Bologna) s’è attardato. Così, per distrarre l’attesa, ho cercato disperatamente una tavola “calda” per buttar giù un caffè. A pochi chilometri di distanza, capitai nell'”antro” d’una “matrona” gran “mammona”.
In punta di piedi, aprii la porta del “saloon“, e sobbalzai strabuzzato nel suo “balconcino”. Una figona clamorosa sui quaranta, attorniata da vari manigoldi per strapparle il Golden Lady da “cortese” cameriera con una camera, non tanto singola, “disponibilissima” al piano sopra le scal(ogn)e.

– Prego, come posso servirla, mio bel “giovine?”.
– Come vuoi, come vogliono tutti.

Rimediai un ghiacciolo con la liquirizia.
E il cane lupo, molto Liuk, del suo “leccarmelo”.

La voce della luna… Della “lupa”.
Ma Benigni, assieme a Fellini (appunto) e al Bernardo, è l’unico italiano che ha vinto, oltre al “Film straniero”, proprio la statuetta come “Regia”.
Presto, da tre moschettieri saranno quattro, perché m’aggiungerò io fra due anni.
Sto preparando, infatti, un capolavoro “devastante”: Girando a zonzo, m’ingozzarono, ma li sgozzai da bue per le corna.

Trama…

Ambientato nei peggiori ambientini di Roma, un Uomo venuto dal nulla, di cui s’eran perse le tracce (anche di sangue, visto che il suo “gruppo” è PH Neutro), giunge nella capitale, col Papa che l’aspetta assieme ai lanzichenecchi, i quali al suo arrivo gridano: – Ah, sei arrivato, checca?! Com’è stato il viaggio?
– Di merda. Si son sgonfiati tutti i pneumatici per colpa della “on the road“. Quindi, vediamo di non provocare oltre, altrimenti vi meno, palloni!

Il Papa lo ospita nella sua umile dimora e, privatamente, gli mostra tutta la collezione “personalissima” dei calendari Pirelli:

– Belle, vero? Stimolano la “predica” e anche il prepuzio…
– Dall’alto della sua “posizione”, le ha conosciute “dal vivo”, “monsignore?”.
– Sì, “le” benedico ogni Domenica tali “signorinelle”.

Il film finisce con l’Uomo venuto dal nulla che ruba la tonaca del Papa e “imbandisce” l’altare della “Patria”.

Be’, amici, l’ho presa “larga”, concentriamoci sugli ultimi film di Ridley Scott.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Il gladiatore (2000)
    Peplum con Russell Crowe versione “er meglio” de’ Francesco Totti, a incitar i “leoni” all’urlo: “E mò so’ botte!“.
  2. Black Hawk Down (2001)
    Ultimo film serio di Tom Sizemore.
    Spara all’impazzata. Dopo aver seviziato la moglie, se “lo” cavò grazie a cavilli legali, ma la sua reputazione andò più a puttane della prostituta che aveva sposato.
  3. American Gangster (2007)
    Un bel Giorno, Ridley guardò i film di suo fratello, il compianto, defunto e “postumo” Tony, ed ebbe l’illuminazione:

    – Chi è questo Nerone? Questo brucia tutti!
    – Denzel Washington.
    – Washington per cosa sta? Per Barack Obama?
    – No, per Man on Fire.
    – Cioè, il tuo ultimo film?
    – No, Denzel “sbianca” sua moglie la “focosa”.   

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)