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Cosa ne pensate di Julian Schnabel? Un grande! Un artista con le palle lontano da ogni falsità moralista, uno che sbatte in faccia la verità in maniera potentemente inaudita


27 Jun

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schnabel moglie olatz

Mi perdonerete per la mia lunga prefazione che, talvolta, sarà sconsideratamente screanzata, sanamente “malata” d’irriverenza savia?

Mi perdonerete per queste mie esternazioni “pittoresche” oppure dovrò rinunziare all’autenticità di me stesso, rinnegando la mia viva spontaneità più smodata per compiacere il gusto medio del conformismo più stoltamente perbenista e ipocrita?

No, non credo nelle lauree e nelle istituzioni, soprattutto cattoliche, progenitrici d’un pensiero, questo sì, malsano e distorto. Prostituito e prostrato all’essere timorati di un dio che non esiste, creato in forma solipsistica solamente a immagine e somiglianza d’una visione della vita propagandante l’iniquità capziosa più ripugnante.

Sì, sono sempre ripetitivo, la mia mente, la mia anima e il mio cuore ruotano soventemente attorno alle stesse cose. Poiché, ogni volta che mi sforzo di aderire a un concetto di “sociale normalità” che, per me, fa rima con aberrazione del proprio io (s)consacrato nella fatua e faceta moralità, mi sento io stesso immondo. E, adattarsi a quest’andazzo di false allegrie e stupide euforie, non mi rende affatto un uomo migliore, bensì solo un lurido stronzo come tutti. Vale a dire un comune cazzone.

Ma, a quanto pare, preservare la beltà della parola innatismo è sinonimo, in questa società, di stupidità o addirittura di viltà.

Ma veramente, nel 2020, voi ancora credete alla laurea? Il basamento a mo’ di aureola per cui la gente cattedratica si ammanta di autorevolezza dietro il carisma dell’alloro?

Allora, la laurea attesta soltanto, a livello prettamente formale, una presunta conoscenza in un certo a(m)bito istituzionale.

Serve ai più per coprirsi di decoro. So benissimo che molte svergognate, no, ragazze deturpate, no, sventurate, no, denudate e snaturate maturate forse smutandate, eh sì, in fretta di più maturano, laureandosi nel darla ai professori perfino con due lauree ma una sola moglie di nome Laura.

Il cantante Michele cantò dite a Laura che l’amo mentre Totò de… la malafemmina sostenne che suo nipote fu/è ragazzo che studia, che si deve prendere la Laura e deve tenere la testa al solito posto, cioè sul collo.

Ah sì? Lei ha carta bianca? E ci si spazzi il culo!

Julian Schnabel sempre se ne fotte di tali cagate. Non credo che sia laureato e non penso che abbia mai visto un film molto amato dagli insegnanti di un par de palle, anzi balle, ovvero I laureati di Pieraccioni. Meglio uno che sta al bar a raccontare cazzate. Fidatevi.

E ho detto tutto… Qui, sono Peppino!

Sì, all’apparenza, Julian sembra un camorrista, un partenopeo che ha mangiato troppe pizze. Oppure, un tipo che le pizze in faccia te le regala senza fare sconti sulle vostre facce da mozzarella. Se lo farete incazzare, vi spremerà pure le olive, condendo il pestaggio con un po’ di sangue spalmato sulle vostre teste croccanti.

Nel suo Cinema, nelle pochissime scene violente dei suoi pochi film, fra l’altro, da regista, utilizza il sangue palesemente finto del Suspiria di Dario Argento, verniciandolo di vernissage da pittore di risma, da artista un po’ astrattista, un po’ alla Kandinsky oppure Julian, da anni sposato a una donna bellissima con un fondoschiena da cubista, affresca le sue pellicole con troppa retorica un po’ patetica da uomo appassionato delle storie intimistiche, forse troppo pietistiche? Probabilmente da du’ lire o immensamente liriche?

Un tipo, insomma, alla Bud Spencer. Sì, un Piedone lo sbirro con una corporatura da Bomber. Un Flatfoot che, se lo giudicassimo soltanto per l’aspetto fisico, lo potremmo associare alla scontata stereotipia del più volgare camionista.

Invece, Julian è uomo sensibile e dall’ottima testa. Inoltre, ripeto, sua moglie (la vidi dal vivo e posso garantirvi che induce a contemplazioni del suo corpo poco poetiche) deve, eccome, sensibilizzarlo… parecchio.

Con lei, Julian usa il pennello e, scommetteteci, lui non pitta una natura morta. Ah, che donna… la moglie di Schnabel. Ha un seno vellutato come le pesche di Raffaello Sanzio e un paio di cosce per cui anche un eunuco sano griderebbe Cristo santo!

Roba da matti, da Arcimboldo. E non è una squallida battuta da Massimo Boldi.

Ah, grande figa, una venere di Botticelli forse un po’ più volgare nei lineamenti della Gioconda ma pur sempre una donna dal viso affilato e possedente, emanante un sex appeal esagerato. Che femmina ammaliante da scopare seduta stante. Senza se e senza ma. Senza profilattico, eh già.

Slanciata e allineata su canoni classici della bellezza femminile più celebrata dagli ellenici, me lo indurisce, no, m’indurrebbe a essere per lei il suo Ulisse. Poiché, se Penelope utilizzò lo stratagemma della celeberrima sua tela, Julian è famoso per le sue tele di grosse dimensioni. Un uomo veramente dotato, cazzo.

Sì, la moglie di Julian, di nome Olatz, è abbronzata anche d’inverno. Dunque, dev’essere amatrice, oltre di suo marito, anche della lampada. Non solo ad olio. Olatz trasmette voglia di qualcosa di piccante come il peperoncino da versare sgocciolante sulle pizze che Julian vi darà in abbondanza, malgrado Julian sia grasso e, quindi, nonostante con quella panza a fatica riuscirà a mollarvele (a mollare, invece, riesce alla grande), se proverete a fottere sua moglie anche solo quando lei, forse su Facebook, esporrà una mostra fotografica dei suoi nudi privati da museo virtuale delle vostre cere scioltesi ardenti di onanistico struggimento desideroso di entrarle in galleria, traduciamo pure in “anale”, Julian ve ne darà tante in modo bestiale. Diciamo pure, prosaicamente, che Julian è uomo d’indurimento diluito in forma densamente bianca come l’acrilico sporco delle vostre vite sfigate che non sanno più emozionarsi neppure dinanzi a un tramonto vividamente ispiratore di pensieri alti e romantici.

Ora, facciamo i seri. Anche se qualsiasi uomo vorrebbe farsi Olatz.

Appurata la notevole arte pittorica di Julian, metaforicamente e non, sicuramente nei fori della moglie assai pitturante in modo continuativamente bollente, parliamo dei suoi film parecchio estasianti e grandiosamente emozionanti. Oserei dire commoventi.

Secondo me, Julian è un gla… e, un grande. In maniera inversamente proporzionale alla sua sessualità attivamente instancabile che dipinge schizzi (com)penetranti in Olatz apertasi di gambe, Julian è specializzato in film ove i protagonisti sono (in)castrati da sfortunate circostanze.

Javier Bardem di Prima che sia notte non è, sì, quello di Mare dentro di Amenabar ma poco ci manca.

Ce la vogliamo dire, senza cazzeggiare? È pure peggio.

Sublima la mancanza di reale amore carnale, in quanto ingiustamente fottuto in prigione in maniera devastante, elevando la coscienza poiché non può elevare qualcos’altro fra le cosce in modo calorosamente godente.

Anche se viene spesso pure sotto le docce inculato a morte con notevole crudeltà e impari veemenza.

Non ne soffre però più di tanto perché, già dalla pubertà, scoprì di essere omosessuale.

Ah ah.

Sì, il titolo del film è sbagliato nel congiuntivo. Ma quale Prima che sia notte! Io l’avrei intitolato Prima che fosse notte, prima di diventare un poeta giocoforza, difatti, Reinaldo Arenas fu già consapevole che nella vita si possono pigliare, non solo in quel posto, tante botte.

O si fa la rivoluzione o si agisce di extrema ratio di ribellione oppure sarà tutta una (s)fregatura a ripetizione.

Si può anche solo impazzire, perdendo la ragione. Non avete altre scelte se non, per l’appunto, lasciarvi ripetutamente sodomizzare. Dai, (re)azione!

A Paolo Mereghetti questo film non piacque e lo reputò una stronzata sesquipedale. Non importa, tanto la moglie di Schnabel non la darebbe a Paolo nemmeno se Paolo desse ai film di suo marito tutte le stellette del mondo. A Paolo, Olatz assegnerebbe solo il pallino vuoto. A suo marito, di night falls, consegna invece le palline vuote dopo che Julian con lei, soprattutto a tarda ora, piacevolmente le svuota.

Bardem, peraltro, interpretò anche il film Uova d’oro. Anche se in questo film lascia che Benicio Del Toro fotta la sua consorte. Ah, bella roba…, che pezzo di sorca!

A lei piace Basquiat? Ah no? Capisco, lei è una mezza santa come Miral. Ai neri genitali, no, agli uomini di colore geniali, preferisce Mathieu Amalric de Lo scafandro e la farfalla. Questo film è stupendo.

L’attrice protagonista però è sbagliata e poco credibile. Emmanuelle Seigner non starebbe mai, infatti, col suo partner di Venere in pelliccia. È una donna da Roman Polanski e da Luna di fiele. Eh già, in questo film sta con Peter Coyote, il quale non più gliela fa. Perciò lei si apparta, nell’altra stanza, con un tipo alla Basquiat, più che altro con un merdoso negro lucky bastard. Passa da una vita da frustrata ai giochi sadomaso da frustata e inchiappettata.

Invece, in Van Gogh, Willem Dafoe riesce a essere credibilissimo nei panni di Vincent anche se è molto più vecchio di lui. Semplicemente perché Willem, forse, non è un pittore espressionista ma sua moglie, Giada Colagrande, sa che a letto è più espressivo dello scorsesiano suo Gesù della minchia.

Sì, in The Last Temptation…, Willem sputtana il suo esser in odore di beatissima santità con la puttana per eccellenza. Per la Maddalena di Cristo!

Spero che abbiate riso per questo mio scritto goliardico e, diciamo, colorito, sì, variopinto. Sono un uomo che dona l’arcobaleno alle vostre vite ingrigitesi nell’incupimento, squallidamente imborghesite e prive oramai d’ogni salace, gustoso turbamento.

A mio avviso, Julian Schnabel è un genio. A vostro avviso, invece, io sono un cretino?

Vedetela come cazzo vi pare anche se, detta fra noi, secondo me non la vedete né a colori né in bianco e nero.

Siete solo dei poveri, spenti coglioni.

Fate i sapientoni ma non sapete scrivere un solo libro. Io ne ho scritti a bizzeffe e, alla pari di Schnabel, se ancora mi offenderete, vi darò molte pizze. Poiché tifo per i pazzi e per i pizzaioli!

Se volete mettermi in manicomio, ricordate che sono Sam Neill de Il seme della follia! Ah ah ah!

E vi rifaccio nuovi! Vi sta bene come un vestitino rosa.

 

di Stefano Falotico

Falotico

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Anna Paquin rischia di essere candidata agli Oscar come miglior attrice non protagonista, sebbene in The Irishman reciti una sola frase


30 Nov

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Burlesca disamina delle sordomute anime, invero eloquenti da uomo iconico di tutti gli intro-versi, cioè i poeti che scrivono versetti e, per quanto ricattati, non ne vogliono sapere di adattarsi, non c’è (capo)verso

Sì, sarebbe un caso unico. Più unico che raro, una rarità, come si suol dire.

Perché non hai chiamato Jo?

 

Sì, questa è l’unica frase pronunciata da Anna Paquin in The Irishman.

D’altronde, Marlee Matlin invece vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per Figli di un dio minore.

Donna meno(a)mata di poche minigonne tolte lei dagli uomini, elevati o non, eppur dall’Academy in gloria elevata.

Marlee detiene ancora il record d’essere stata l’attrice più giovane, cioè a solo ventun anni, a vincere l’Academy Award pur recitando la parte di una sorda.

Mentre Adrien Brody de Il pianista, un intellettuale in un mondo violento, nazistico e ricattatorio, è ancora l’attore che detiene il primato d’aver vinto, per il suddetto film menzionatovi, l’Oscar come miglior attore a soli ventinove anni.

Secondo me, anche Alberto Sordi meritava di vincere. E Ornella Muti, no? Ornella possedeva una bellezza che parlava da sé, mozzafiato, senza bisogno di aggiungere altro. Anche se va detto che gli uomini, rimanendo di fronte a lei senza parole, volevano indubbiamente scoparla. Anche a costo di partorire la prole.

Di mio, posso dire di aver attraversato tutte le malattie psicofisiche possibili e immaginarie. Immaginabili!

Dagli altri definite ipocondriache e dunque da costoro, gli impostori, fui visto e vengo tutt’ora visionato, molto superficialmente, come un coglione, solamente semplicisticamente, assai sbrigativamente, fallacemente e scarsamente psicanalizzante la mia anima invero emotivamente elettrizzante.

Fui enfant prodige, quindi m’ammalai di elefantiasi, divenni muto e non spiccicai parola e, ricordate, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

Sì, io provai a spiegare le mie emozioni ma gli altri non mi stettero ad ascoltare.

Anzi, non vollero assolutamente auscultarmi. Cioè entrare in empatia col mio cardiaco, viscerale, profondo sentire. Preferendomi snobbare e liquidare con fare fanfarone e protervia da costoro reputata insindacabile, veritiera e assolutistica. Sì, non riceverò mai da codesti pusillanimi una benché minima assoluzione poiché sono convinti che io abbia mentito e la mia versione dei fatti sia del tutto inattendibile e figlia, per l’appunto, delle mie distorsioni mentali giudicate insanabili, addirittura pericolose e malsane.

Per forza, non parlavo, ah ah. L’abito fa il monaco, anche il monco. Infatti, per anni volli scopare donne come Renée Simonsen di Sotto il vestito niente ma, per l’appunto, essendomi chiuso nel mutismo poiché, vivendo libero da regole castranti e da dogmatismi genitoriali limitanti il libero, spensierato arbitrio puramente giovanile, fui paradossalmente reso limitato, angariato e psicologicamente minacciato, sessualmente inibito, represso e intimorito, venendo scambiato per uno psicopatico scemo più del film succitato e dei film di Carlo Vanzina.

Gli altri, essendo stupidi come Boldi & De Sica dei cine-panettoni, mi facevano le smorfie, in segno di compassionevole incomprensione ma, soprattutto, anche sotto e basta, si facevano infatti tutte le più smorfiose. Al che, dovetti aprirmi, giocoforza, in quanto umiliato e dunque sottostimato, vagliato e misurato soltanto come cosiddetto cacasotto.

A causa di questa stigmatizzante coercizione immonda, esplosi di pene… in modo furiosamente spasmodico. Tant’è che, a questo punto, dopo essere stato considerato un inetto, infetto, lebbroso e sfigato, fui patentato di un’altra immeritevole etichetta, quella dello psicotico-psicopatico con tracce indelebili caratteriali da perenne, penoso, insalvabile disadattato da cure psichiatriche e necessaria, consequenziale assistenza sociale. Fui però lo stesso scambiato per un maniaco sessuale. Sì, trovatomi che ebbi, dopo essermi perso in selve oscure, nel mezzo del cammin di mia vita che la retta via era smarrita, non essendo molti femminili retti(li) da me fottuti a causa del non poter comunicare loro d’averlo eretto, in quanto mi mostrai assai poco e ovviamente la gente pensò che fossi un mostro, appena mi tirai su, gli uomini e le donne con le palle, come no, credettero che volessi fotterli. Urlandomi: – Vai a prendere per il culo qualchedun altro, mica noi, testa di cazzo! Tu vorresti farci credere che eri muto solo perché reclusoti nell’essere elusivo? Hai finito di fare il taciturno con lo sguardo allusivo, non sei speciale, non sei un ragazzo che ha sul mondo l’esclusiva, sei un escluso. Capitolo chiuso!

Adesso, ti cuciamo la bocca e t’intimidiremo coi ricatti più mendaci. Vai a lavorare, porco, merdaccia!

 

In compenso, perseverarono senza vergogna a sfottermi, le donne, eh sì, togliendosi la gonna per mettersi a pecorina, in posizione su(p)ina da gogna, dinanzi e (di)dietro a bulli da loro visti come uomini lungimiranti. Delle loro prese per il popò, io me ne fottei, altamente me ne sbattei. Insomma, ricevetti inculate continue. Se fossi stato un omosessuale passivo, adesso sarei ricco. Invece, mi chiusi solo a riccio mentre anche le più brutte ricce mi chiamavano ciccio. Per quanto mi concerne, devo pubblicare il mio prossimo libro. Sì, sono un poeta al cui confronto Javier Bardem di Mare dentro è un principiante. Comunque, a parte gli schizzi, no, gli scherzi, non sono immobilizzato a letto. Sapete perché? Dopo essere stato ingiustamente sorvegliato speciale a vista da gente ignorante che non capì le mie apparenti chiusure e le mie immutabili introversioni da uomo non vanaglorioso e volgarmente appariscente, appena mi ribellai e con furore esternai la mia anima, come Bardem, però di Prima che sia notte, mi diedero solo più botte, anzi, pure della bottana da Uova d’oro. Detenendomi in libertà vigilata in attesa di giudizio. Ah ah.

Sì, sia come Anna Paquin che De Niro stesso di The Irishman, con lo sguardo loquace, senza bisogno di aggiungere troppi monologhi da Al Pacino, diciamo, ho detto tutto…

Marlon Brando, una volta disse a Jack Nicholson, sul set di Missouri, che un grande attore si riconosce dallo sguardo e dalla mimica facciale anche se non pronuncia una sola parola. Esperisce le emozioni della vita e le trasmette con la forza degli occhi. Quindi, posso affermare che, a furia di capire tutto ma dire quasi nulla, possieda io oggi gli occhi più espressivi del mondo e un carisma immane.

Comunque, per farla breve, Anna Paquin vinse a soli undici anni l’Oscar per Lezioni di piano. In questo film di Jane Campion, c’è Harvey Keitel. Ovvero Angelo Bruno di The Irishman. Uno che abusò del suo potere ne Il cattivo tenente e desiderò educare-imboccare Kate Winslet di Holy Smoke. Insomma, un povero coglione. Uno che non sa affrontare la complessa, sofisticata, stratificata realtà. Preferisce continuare nelle sue ottusità, nelle sue accuse relativistiche da figlio di puttana qualunque.

Va subito preso e in manicomio sbattuto.

Tornando invece a Lezioni di piano, che io mi ricordi, me ne sparai molte sul nudo integrale di Holly Hunter.

 

di Stefano Falotico

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