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Il cattivo nullatenente – Nicolas Cage è mille volte peggio di De Niro ma io amo entrambi


08 Jun
ITALY - SEPTEMBER 04: The 66th Venice Film Festival: Premiere of the film 'Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans' in Venice, Italy On September 04, 2009-Actor Nicolas Cage. (Photo by Pool CATARINA/VANDEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images)

ITALY – SEPTEMBER 04: The 66th Venice Film Festival: Premiere of the film ‘Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans’ in Venice, Italy On September 04, 2009-Actor Nicolas Cage. (Photo by Pool CATARINA/VANDEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images)

Comprate il mio saggio monografico Nicolas Cage, l’attore vampiro

In vendita su Amazon e altrove. Cercatelo e accattatelo!

Così, coi soldi a me elargiti e da me intascati, potrò ancora avere tempo per dedicarmi agli attori e ai registi.

Sono sfegatato di Nic. Nel senso che Nic recita adesso in filmacci impresentabili e a me viene sempre più il fegato amaro.

Vi ripropongo questa foto oserei dire storica ed emblematica di un periodo mio stoico da voyeur cinefilo assai incallito e non incagnito come la recitazione oramai cagnesca di Nic.

A chi indovinerà di rapidissima, anzi, immediata occhiata, senza battere ciglio, chi io sia tra questa foll(i)a per Nic impazzita durante la première di Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans, regalerò il dvd di Snake Eyes di Brian De Palma.

Se non vi piace questo regalo, allora mi trasformerò in Harvey Keitel de Il cattivo tenente di Ferrara Abel. Fatemi vedere…

Eh sì, miei papponi da Taxi Driver, non giriamoci attorno.

Gli anni passano, i fanatismi vengono soppiantati da una vita meno sognante ma io non ho rimpianti, miei poppanti.

Son sempre più uguale a Travis Bickle. E combatto nelle mie notturne insonnie ogni lestofante ma soprattutto la povertà morale di un mondo più ricco di me in quanto bugiardo e più furbescamente arrogante.

Parafrasando Ray Liotta di Goodfellas, ho sempre voluto fare il culo ai gangster.

Per svelare il marcio di questa società corrotta che, sin dai primi battiti adolescenziali, m’ha rotto.

Una bella ripulita e visto che uomo?

Ho più fascino di Bob De Niro ma la sua ex moglie Grace Hightower ha chiesto, appunto, a Bob cinquecento milioni di dollari di risarcimento poiché Bob, a suo avviso, le avrebbe rovinato la reputazione.

Reputazione di che? Solo perché Bob, durante questi anni in cui è stata con lei, ha recitato in film indegni della sua nomea? Ma che vuole questa qui?

Di mio, chiedo a una donna se vuole fare un giro in macchina con me sebbene non possa poi donarle una causa, no, casa. Né a Beverly Hills né nell’estrema periferia bolognese.

Detto ciò, vado a bere un caffè.

 

di Stefano Falotico

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Bringing Out the Dead, il migliore Scorsese degli ultimi vent’anni, finalmente ce l’ho in dvd, che società era?


24 Apr
 
Film misterioso, fallimentare dal punto di vista commerciale, film che alla sua uscita videro in tre gatti, Al di là della vita, titolo enormemente sbagliato appioppatogli in maniera new age soltanto perché, appunto, viviamo in Italia e inserire la parola morto in un titolo, in questo popolo di arretrate persone scaramantiche, l’avrebbe sin dapprincipio precluso dai buoni incassi. Che comunque non sono arrivati in nessuna parte del mondo. Essendo stato, Al di là della vita, un flop colossale.Per fortuna che, a parte i soldi spesi per un paio di pirotecnici effetti speciali della Industrial Light & Magic, il budget fu risicato. No, non è un colossal o kolossal che dir si voglia.

Una catastrofe al box office. Un film pressoché mai citato da nessuno quando si parla di Scorsese. Tant’è vero che non ne esiste a tutt’oggi l’edizione in home video sul mercato italiano. Prima c’era ma, visto che non vendeva neppure il dvd, anzi, visto che in pochissimi l’hanno visto e vogliono vederlo, non esistono ora più copie in circolazione audio-visive di questa pellicola. Scandalo da The Last Temptation of Christ!

L’altro giorno, mi sono comprato l’edizione inglese di questo straordinario film. Che possiede la traccia audio nella nostra lingua. Ma è pur sempre un dvd. Il Blu-ray non c’è praticamente da nessuna parte.

Esiste invece ancora chi, sulle insegne stradali, scrive dio c’è?

No, questa scritta, un tempo messa anche sulle panchine dei parchi, non so se a Central Park, ah ah, serviva per identificare i luoghi di spaccio. Ove i pusher, segretamente, rifornivano i loro clienti.

Non lo sapevate? Ora, lo sapete. Vi ho svelato l’arcano ermetico.

Mi ricordo, or che le mie memorie, ottenebrate da offuscamenti farmacologi inutili, sguinzagliate dopo le coatte compressioni tremende, son ritornate nella superficie neuronale dei miei più vitali spasmi, sì, mi ricordo di quando lo vidi al cinema, qui a Bologna, città probabilmente più tetra e mortifera della New York descritta da Martin Scorsese, appunto, in questo suo ultimo grande film incendiario ed emozionatissimo. Al primo spettacolo delle tre pomeridiane. Non vi era anima viva in sala. Tranne me e due lerci che si sbaciucchiavano a manetta. Più dell’incipit frenetico a luci purpuree di questo capolavoro purissimo.

Immerso in una livida New York spaventosa. Prima della rifondazione fascista effettuata dal braccio ferreo del terribile Rudolph Giuliani. Che ripulì le strade dai barboni e dalla feccia. Rendendo Hell’s Kitchen una bomboniera. Sì, a livello superficiale. Perché la metropolitana fauna alla Taxi Driver, di cui questo film è una sorta di continuazione ideale, infatti Paul Schrader n’è ancora sceneggiatore, esiste ed esisterà sempre, sebbene sia stata addolcita e sepolta sotto un cumulo di apparenti levigatezze forse ancor più funeree nella loro ipocrita patina dolciastra.

Da allora, Scorsese ha girato solo film mediocri. Io ho le mie riserve anche su Silence.

Sì, non sto bestemmiando. Io sono un patito di Scorsese. Nel senso di amante sfegatato del suo Cinema cupo, veritiero, privo di quelle melense retoriche che invece, oggigiorno, par che tanto allettino quest’imbellettamento di massa e un mondo nel quale io non più tanto mi riconosco.

In Italia poi, lasciamo stare. Roba da Cinema pietistico. Vedo gente di cinquant’anni regredita alla prima adolescenza che si scatta selfie più patetici di Mick Jagger. E vedo settantenni che, essendo arrivati alla pensione, si crocifiggono, ascoltando J-Ax in un tripudio anacronistico teribile con una sola r romanesca, come direbbe Carlo Verdone. Ah ah.

Anche se in quel periodo venivo considerato un patibolare sfigato, il mio Falotico era proprio sintomatico.

Che società era quella di allora? Da poco tempo erano approdati i primi pc degni di nota. E, per vedere integralmente in anteprima, appunto su Internet, il primo trailer di questo film targato Paramount Pictures, dovevi aspettare circa mezz’ora. Affinché il caricamento su QuickTime fosse arrivato alla fine.

Non vi era l’ADSL, la connessione era lentissima. E non era come oggi. Oggi sappiamo tutto di un film ancor prima che inizino a girarlo. All’epoca, nonostante il film fosse totalmente completato, al massimo potevi vedere qualche immagine di scena appiccicata in riviste internazionali come Studio o Premiere magazine.

Neppure Ciak infilava più di due/tre images al suo interno, essendo questo un film ostico poco adatto a una rivista patinata.

Io non sono mai stato di questo mondo, forse come Edgar Allan Poe. Poeta del mesmerismo, maestro estroso e nerissimo della trascendenza più metafisica. Ancora oggi, nonostante le mille esperienze accumulate nella mia strana e lunatica vita stramba, non mi si può definire una persona gioviale.

Sono molto spiritoso, oserei dire spiritato. Fantasmatico come la ragazza morta e semi-resuscitata nel film.

Appaio, scompaio, danzo al plenilunio e considero Lullaby dei The Cure, diciamocelo, un’emerita stronzata.

Vivo senz’infanzia, senz’adolescenza, senz’infamia e senza lode. No, che me ne faccio delle lodi se son solo effimere glorie? Meglio Gloria, donna gloriosa e anche molto golosa. Ah, ha sempre fame…

Sono giovanissimo adesso e fra tre minuti vecchissimo. In un interminabile continuum spazio-tempo pieno d’intemperie esistenziali, di precipitazioni umorali più grandinanti e forse gravi di un lurido temporale, perennemente angosciato da una luce del giorno crepuscolare e opalescente. Poi son di nuovo vividamente fluorescente come la fotografia di Robert Richardson. Con traslucidi battiti di mie ciglia pittate a mo’ di pagliaccio sciocco, incastonate nel mio cuore asmatico, ficcate nei miei polmoni che profumano aromatici di sigarette lisce come l’olio. Ah ah.

Arrabbiato come la musica dei Clash, melanconico come lo sguardo in ambulanza, giocoso, innamorato e simbiotico fra Nicolas Cage e Patricia Arquette.

Io non ho mai vissuto la mia epoca, essendomi già allontanato dai miei coetanei chiassosi e volgari.
Eppur vissi, vidi, vigilai, confabulai e fui io stesso una vivente favola.

Ho vissuto di attimi, di frenetici frangenti, di amori quasi mai sessualmente tangenti, di viaggi in tangenziale, di virtuose, magmatiche, liquide incandescenze, anche caratteriali, ah ah. Crateriche come la peggiore crisi isterica di Marc Anthony. Qui fa il cavallo imbizzarrito, con Jennifer Lopez è stato uno stallone e basta.

Ho incontrato nella mia vita uomini bifolchi davvero pazzi come Tom Sizemore. Ché, mentre ero assorto nelle mie riflessioni profonde, dimenandosi appunto da matti, mi battevano le mani per spronarmi a vivere da idiota. Incitandomi al porcile generale.

Ma non come nel capolavoro omonimo di Dostoevskij.

Persone ossessionate dal sesso, poco cristologiche, casinari da Chemical Brothers, impasticcati nell’anima da troppo lerciume quotidiano, ah, pacchiani imitatori del peggiore grunge.

Quindi penserete: ah, allora Eddie Vedder, con la sua musica malinconicamente rock, deve piacerti un casino.

No, mi fa schifo.

Io non esisto. Hanno provato a curarmi, a rendermi normale. Per me la parola normalità fa rima con baccano, superficialità, con scemenza e bieca carnalità, con puttanesca svendita della mia anima notturna.

Io sono immortale. Sì. Quando pensi che sia morto, ecco che esco dai sepolcri delle mie depressioni e ti dico ciao, sorseggiando lo zucchero delle mie labbra amarognole ma sincere.

E non c’è stato verso. Inutile che mi facciate i versi. Io versai sangue e mi feci il culo per scrivere da dio. Voi che fate? Ma che cinguettate? Cosa ciangottate? Che farneticate? Ma che cazzeggiate?

Sono un paramedico delle mie ossessioni, delle mie stanche ossa, del mio teschio ambulante come una rossa ambulanza sfrecciante nel fascino intermittente del suo (neo)n alla Bob De Niro.

Se tu pensi che io sia un Don Chisciotte e che dunque necessiti quanto prima di un pronto soccorso, devi prima aver letto questo.

Se pensi che mi piaccia Jennifer Connelly, adesso non più, è anoressica. Ma ricordo che impazzii quasi quando vidi il suo seno della madonna per la prima volta. Quello, sì, che fu un istante da manicomio. Le mie orbite oculari subirono disconnessioni più cataclismatiche della neuronale demenza senile mista a un semi-infarto sesquipedale.

Pur di averla come Eva, ignuda e impudica, mi sarei genuflesso a ogni afflittiva pena che dio mi avrebbe inflitto con severità impietosa. Mi avrebbe sbattuto all’inferno. E allora? Ma almeno avrei goduto del paradiso più celestiale.

Ero un fuoco. Dovevate vedermi. Il mio corpo, incendiato come questo capolavoro esplosivo, subì numerose detonazioni. Credo che, se Jennifer in quel momento, fosse stata vicino a me in quel fatale putiferio mio ormonale, avrebbe avuto solo due possibilità. O chiamare i pompieri oppure sentire davvero la furente passione vibrante di un uomo totalmente datosi e denudatosi senza remissione di peccati a colei che simboleggiava la mela di Lucifero. Altro che quel baccalà freddissimo che s’è pigliato, Paul Bettany.

Sono un personaggio eastwoodiano. Adoro Blood Work, tratto dalla novella di Michael Connelly.

Se credi che io sia schizofrenico, sì, stammi bene. Se credi questo, te lo dico io, sei insalvabile. Ti do l’estrema l’unzione. Inutile cercare di estrarti dalle tenebre e dalle lamiere della tua anima arrugginita.

Mentre in questi giorni, Nicolas Cage è impazzito del tutto, io posso oramai affermare che sono un miracolato.

È oramai visibile, conclamato. Allucinante come questo film lisergico.

Sono un Nic Cage. E anche Van Damme di Lionheart!

– Ho scommesso quello che avevo su Atilla!

– Hai fatto male…

 

Un Man on Fire.

    dio pronto soccorso  

di Stefano Falotico


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After Hours #martinscorsese #rosannaarquette #fuoriorario #griffindunne

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Matt Dillon è un grande, Nicolas Cage/Smokey, anche in smoking, è imbarazzante ma io lo filmai a Venezia, vedere per credere


08 Apr

Nicolas Cage Rusty

Sì, ho rivisto quel capolavoro che è Rusty il selvaggio. Turgida quintessenza della Settima Arte più alta e poetica.

Ma davvero… se non fosse stato il nipote di Coppola, il signor Nicholas Kim, in “arte” Cage, secondo me avrebbe fatto il pizzaiolo.

Ora, non voglio screditare il nobile lavoro artigianale del pizzaiolo. Quello ad esempio da cui mi rifornisco personalmente, nella mitica pizzeria d’asporto vicino a casa mia, praticamente a due passi, La Pantera (dei) Rosa (sì, citazione dell’omonimo film con Peter Sellers ma anche dei Rosa perché il cognome dei proprietari è questo, ah ah), è un pizzaiolo rinomato. Altroché.

Un uomo altamente stimabile perché, condendo delicatamente le sue gustosissime pizze con olive e “ritagli” a mo’ di collage, imbastendo con mani finissime le sue farciture, crea dei mosaici partenopei impagabili.

Ah, che delizia quando le sue pizze nella mia bocca si sciolgono, ancora calde e fragranti. Pura lievitazione di farina ben dosata, acqua cristallina e, appunto, lievito di birra che, già solo degustandolo, infiamma piacevolmente il mio palato e mi fa levitare nell’apoteosi del godimento morbidamente più amabile.

Le mie papille gustative, così squisitamente sfiorate dalla pregiata arte culinaria di questo pizzaiolo immenso, del quale giustamente non posso fare il nome pubblicamente, sfiorano vette, oserei dire zenit di soddisfazione pazzesca.

Come fare l’amore con Eva Mendes, una donna che di napoletana ha molto. Formosa, un po’ volgare, però molto verace, capolavoro di armonie fisiche impagabili.

Ebbene, io ho visto dal vivo sia Nicolas Cage, celeberrimo Ronny Cammareri di Stregata dalla luna ove, più che il pizzaiolo, faceva il fornaio che abbrustoliva le voglie bollenti della delusa Cher, sia la stupenda Eva Mendes. Alla prima veneziana de Il cattivo tenente di Herzog.

Ecco, a dire il vero, pensavo fosse più bella, sì, Eva. Eva la tentatrice per ogni uomo Adamo. Che passa le sue giornate a chiedersi, oh mia bramata dama, mi ami o non mi ami? Probabilmente mai ti amerà, pirla. Hai per caso i soldi di Ryan Gosling? Ah ah.

Sì, sfido ogni uomo sanamente eterosessuale a non voler assaggiare la trasgressiva tentazione diabolica cucinata, direi, da questa dea maliarda.

Cage l’ho visto anche alla prima de Il genio della truffa. Praticamente la storia della mia vita.

Sì, in Rusty il selvaggio è davvero impresentabile. Il film è intoccabile ma un paio di sue espressioni (solo un paio… forse molte di più), soprattutto quando sta al bar con a fianco Diane Lane, con cui peraltro pare abbia avuto una tresca per darle una cosiddetta spinta, essendo appunto il nipote del Coppolone, sono oscenamente inguardabili.

Una faccia da pesce lesso. Ché sembra si sia scolato un’intera confezione di Valium.

Poi, Nic indubbiamente è cresciuto.

Non credete che abbia visto, da vicinissimo, questo Nicolino? Gli ho pure stretto la mano, incitandolo a migliorare. Ah ah.

Questa è una foto che attesta quel che vi dico. Sullo sfondo, quello con la videocamera sono io. Quello alla mia sinistra, alla destra per voi spettatori, è mio padre. Che quel giorno mi accompagnò al Lido perché era curioso di vedere anche lui dal vivo il mitico Nic.

Vi racconto questa. Nic si avvicinò a noi e alla folla gremita per firmare gli autografi. Mio padre non lo cagò. E Nic lo guardò malissimo con espressione, appunto, da incredulo bambagione come in Rusty il selvaggio.

Detto ciò. Matt Dillon è un vero attore, un vero figo.

Nic è quello che è. Un simpatico farfallone anche quando non indossa il papillon.

Eh, quante ve ne potrei raccontare.

Di come ho filmato donne meravigliose in alcuni miei video epocali che, se voleste cercarli, li trovate sul mio canale YouTube, JOKER MARINO.

Io sono un fanatico delle donne.

Mi spaccio per misogino perché spesso ne vengo deluso. E mortificato.

Ma sono un idolatra della bellezza tutta. Attoriale, muliebre, cinematografica, lirica.

Perché di Genius-Pop ve n’è solo uno.

Ricordatelo quando sarete soli come dei cani e penserete a me.

Perché io vi faccio sempre ridere e so sublimare nella poesia un mondo che dovrebbe essere migliore.

.

Insomma, figlioli, sparatevi questo.

Un vero Tim Burton osannato e preso d’assalto dalla folla a sua volta assalita dalla follia.

Udiamo le voci infervorate della massa accalorata.

Uno chiama in causa Ice Cube. Che c’entra Ice Cube?

Uno invece se ne frega di Tim e vuole vedere la Bonham Carter. Non ha tutti i torti, eh.

Mentre io, dopo essermi gustato il suo Corpse Bride, in Sala Grande, alla presenza di grandi come me, scivolai felpato nella penombra e filmai ancora Tim con luci fluorescenti.

Insomma, sono proprio un Joker Marino. Un gigione acquatico.

Che, tra una sigaretta, un capolavoro e l’altro, passeggia spesso incasinato in questo mondo di suonati.

La vita è dura, la fantasia aiuta.

INGRANDIMENTO debordante. Oh oh. Che spacca gli argini.

ITALY - SEPTEMBER 04: The 66th Venice Film Festival: Premiere of the film 'Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans' in Venice, Italy On September 04, 2009-Actor Nicolas Cage. (Photo by Pool CATARINA/VANDEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images)

ITALY – SEPTEMBER 04: The 66th Venice Film Festival: Premiere of the film ‘Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans’ in Venice, Italy On September 04, 2009-Actor Nicolas Cage. (Photo by Pool CATARINA/VANDEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images)

 

di Stefano Falotico

Un angelico miracolo durante la premiere di un film con DiCaprio


24 Jul

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Foto by Unsplash di Dario Veronesi

Salve,
mi presento.

Sono un uomo di trentotto anni e amo definirmi un menestrello pindarico, un funambolico poeta dell’immaginazione perché in me la fantasia più alata regna sovrana e incontrastata. Sebbene il mondo, con le sue trappole ricattatorie e le sue regole mendaci, abrasivamente spesso ci costringa a barricarci nella pigra, grigia alterigia e nell’osservanza dei superficiali valori sol improntati all’apparenza più edonistica.

No, io ostinatamente, coraggiosamente ancor inseguo, ghermisco e fortissimamente, irresistibilmente bramo quegli spazi materialmente intangibili ma vividi d’armonico splendore del cuore mio più incandescente, predatore dei più sentiti, personali e squillanti amori. Ove il magma candido dei miei sognanti nitori possa spandersi al di là dei tetri orizzonti miserabilmente angoscianti della vita che è sovente tanto abietta nella sua tetraggine più meschina e scevra d’ogni infuocante, marmoreo, vitalissimo ardore.

E ancor non mi rassegno a dar le dimissioni dalla mia sfrenata passione per la venustà leggiadra del mio innato romanticismo puro, invero, ahimè, da tanti cinici osteggiato.

Ora vi racconto un’incredibile storia accadutami anni fa. Non pretendo che crediate sia vera, appare a me stesso tanto fantomaticamente assurda che i miei stessi sensi ancor increduli e perplessi di oggi vorrebbero respingerla, ma poi puntualmente abdico all’inevitabile verità eccezionale che a me, in tutta la sua magniloquente potenza, fulgida e roboante come un bacio d’angelo bianchissimo sceso dal cielo a illuminarmi, mi si para dinanzi tutt’ora con ipnotico, inesorabile, magico furore.

Rimembro la mia adolescenza spesso così tanto funestata da patetici lamenti, da un perenne, esistenziale tormento che, nella sua agonizzante, schiacciante, opprimente tristizia, mi soggiogava in stati d’animo d’insopprimibile malinconia come se fossi un fantasma vagante in un animo che, un po’ masochista, scacciava ogni spontanea gioia e ogni più lieta, naturale letizia.

Sì, ero immensamente depresso, tanto da chiudermi nel più assoluto mutismo. E avevo soppresso ogni slancio fieramente vitalistico, imprigionandomi in un ectoplasmatico cuore mio emozionalmente asmatico.

Ma comunque vivevo, altresì, di poderose passioni, come quella fortunatamente ancor in me furente per il grande Cinema più splendente.

Così, di buona lena, abbandonando momentaneamente le mie melanconiche, addoloranti inerzie, mi diressi a Roma, per assistere alla prima del film Gangs of New York con protagonista Leonardo DiCaprio.

Era l’11 Gennaio del 2003, sì, una quindicina di anni fa. Ah, come scorre celermente il tempo quando, adesso che superate le tristezze di quel mio paralizzante, emotivo spazio-tempo tanto a me affliggente, qui felicemente ricordo con nostalgia commovente quell’attimo miracoloso tanto infinitamente suadente. Dopo tante ipocondrie strazianti, il vigoroso attimo indimenticabile più lucente.

Sì, perché me ne stavo lì tra la folla osannante il suo beniamino e all’improvviso avvertii un lancinante intorbidimento dei miei sensi, cosicché fui prossimo allo svenimento più stordente.

Sì, l’ultima volta che in vita mia davvero ero stato spensierato e felice, avvenne molti anni or sono, molto prima di quella premiere.

Sempre a Roma quando, a pochi mesi dalla mia tribolata adolescenza, mi trovai nella bellissima capitale in gita scolastica. Ah, che periodo stupendamente ridente.

Si giocava, si scherzava, nell’animo si danzava squillanti.

Mai più, da allora, mi ero sentito tanto euforico e baldanzoso, robustamente, sì, orgogliosamente, vividamente adolescente e placidamente festante e pimpante.

Mai da allora più sentii in me scorrere la forza della vita più magnificamente sfavillante.

Non so cosa esattamente a Roma, lì, in quell’istante mi accadde.

Per molto tempo fui sentimentalmente arido e cieco ma finalmente udii rimbombare nella mia anima, com’irradiata dall’alto da un’illuminazione soavemente ardente, un brivido piacevolissimamente terremotante.

E tremai, dapprima impaurito da quel devastante fulmine emotivo piovutomi dentro l’anima turbata e di colpo rinvigoritasi in modo tanto bruciante che il mio spento cuore trafisse a ciel sereno in maniera meravigliosamente a me luminescente e tonante, quindi rividi il mondo con enorme chiarezza stupefacente.

Ero di nuovo vivo e innamorato del mondo.

Sì, così come se durante quella gita scolastica qualcosa di nefasto e misteriosamente inquietante mi successe e inconsciamente m’indusse poi a esiliarmi e a vivere sempre strozzato nella cupa nerezza della depressione più lancinante ma quindi, nuovamente ritrovatomi a Roma, per strano, non pronosticabile e imperscrutabile, fatale e sbalorditivo scherzo del destino, proprio lì, riscoccò in me la memoria del tempo perduto, il fulgore dopo tanto patito e perfino compatito, auto-ingannevole dolore. E risi fra lo sgomento, il terrore e il mio riagguantato, per troppo tempo smarritosi, sconvolgente amore.

Secondo me questo è stato un miracolo. Chiamatelo tenero, dolce, inaspettato e inaudito calore!

Io credo davvero che lo sia stato.

Tutto qui.

Ecco, vedete, credo che a leggere di quest’esperienza senza averla vissuta, si può rimanere indifferenti. E questa breve storia può indubbiamente apparire perfino banale e sciocca. E, ripeto, mai e poi mai pretenderò che possiate prenderla seriamente.

Io so che stentiate a credermi. E, per certi versi, come potrei darvi certamente torto?

Vorrei farvi credere che un semplice viaggio a Roma abbia in un nanosecondo cancellato tanta mia vita affaticata e affranta?

E che davvero dal cielo io sia stato prodigiosamente illuminato da una radente, angelica grazia a infondermi la scintilla vitale per immemorabile tempo in me offuscatasi?

Non so. Io ripenso oggi a quest’episodio con lucidità e puntiglio estremamente raziocinante e non addivengo a nessuna scientifica, chiarificatrice spiegazione logica.

Come mai però, in quell’interminabile, martellante intervallo di tempo, nella mestizia più sconsolante mi ottenebrai e, oserei persino dire, un po’ ingenuamente vagai fra umori così rabbuianti e una coscienza mia mai davvero di vita scalpitante, soffocato da continue, imperterrite, emozionali intermittenze? E poi, in un istante incantato, rinacqui?

Sì perché da allora, dopo quella mia visita a Roma, il mio cuore si rinvigorì di ritrovata e forse dall’alto a me ancor concordata, armonia e interiore, florida bellezza?

Questa è la mia verità e di verità, assurde, grottesche, surreali e allucinanti è fatto il nostro mondo, pervaso com’è innatamente e dannatissimamente da profondissimi e arcani, irrisolti misteri divini insondabili e addirittura perturbanti, davvero inquietanti.

Si racconta anche che Roma non sia stata costruita in un giorno ma poi si trasformò in un prosperoso, immane impero, che poi soccombette dinanzi alla sua tragica caduta e che, dalle ceneri del suo tristissimo disfacimento, in gloria e folgorata da nuova luce risorse come il mio stesso umore rivitalizzato di riafferrata temerarietà del cuore.

Ci avete mai pensato? Si nasce, si muore e si rinasce ancora, inseguendo altre abbaglianti, calorose aurore, con riscaturito, sfrecciante ardore. Fra altri sofferti dolori ancora bloccati dai nostri stupidi o vigliacchi pudori.

E a questo miracolo non credo ci sia né mai potrà esserci una veritiera, innegabile, realistica spiegazione.

Perché questa è la vita nel suo incedere tanto esoterico e strambo e noi siamo stelle viaggianti in quest’altalenante, incerto ma affascinante spegnersi e riesplodere dei nostri rinnegati e ritrovati amori, persi magnificamente in tale insistente, battente, eterno essere, fin alla morte, senzienti e presenti.

Figli del nostro inesplorabile destino.

Ma ora… Un antico proverbio dice che non c’è mai due senza tre. Quindi, vi chiederete se da allora io sia ritornato a Roma.

Sì, son stato altre volte a Roma. Ma non è successo niente.

No, posso dirlo in tutta sfacciata franchezza, non è il tipo di città in cui vivrei, è storicamente importantissima, architettonicamente un capolavoro vivente, ma è troppo frenetica, cinetica, caotica e frastornante per un tipo come me.

Che or riama la vita ma allo stesso tempo ama anche la paciosa rilassatezza sanamente inquieta di un’esistenza che vive nel suo appartato, tranquillo, più discreto cogliermi in ogni silenzioso e poi sonante, interiore rumore.

 

 

di Stefano Falotico

“Phil Spector”, Making of and Premiere


14 Mar

 

Debutterà a breve l’attesissimo Phil Spector di David Mamet, di cui estrapolo il “Dietro le quinte” dell’HBO, “a viva voce” proprio di Mamet, che c’anticipa la strana, intricata vicenda del “brutto pasticciaccio”.

Phil, vittima, carnefice, mostro, assassino, vittima del sistema giudiziario, genio o enigma assoluto che nessuno sviscererà mai?

   A incarnarlo, come sapete, Al Pacino, già ampiamente lodato dopo le prime proiezioni alla stampa, entusiasta della sua performance, da molti subito definita “tenebrosa” e inquietante, perfettamente aderente al ruolo richiesto.

Noi italiani, al momento, per quel che c’è dato vedere, possiamo “ammirare” le “ridicole” tante capigliature di Al/Phil. Possiamo considerarla però, senza dubbio, un’interpretazione degna di menzione e premi ai prossimi Emmy.

Intanto, ieri Notte, s’è tenuta la “Prima”. Al Pacino, accompagnato dalla sua giovane e bellissima “fidanzata”, c’è apparso in grande forma.

      

Genius-Pop

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