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Il ritorno di Gary Oldman, un mio mediometraggio su Villa Clara e Letter to You di Bruce Springsteen, sempre più misticamente simile a Bob Dylan


23 Oct

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Ne vogliamo finalmente parlare di Gary?

Presto, lo vedremo in Mank nei panni dello sceneggiatore di Quarto potere.

Finalmente, il grande David Fincher è riuscito a realizzare il sogno che covava da tempo immemorabile.

Lavorare con Gary in un film da lui diretto. Inizialmente, al posto del primo Hannibal Lecter del grande schermo, ovvero Brian Cox di Manhunter, in Zodiac doveva esservi Oldman. Il quale però, all’ultimo momento, per ragioni ancora ignote, diciamo non del tutto appurate, all’improvviso diede sorprendentemente forfait.

Nel frattempo, negli anni intercorsi fra Mank e l’Oscar assegnato ad Oldman per L’ora più buia, Oldman recitò sfigurato in Hannibal di Ridley Scott. E Fincher accrebbe la sua fama, ottenendo inoltre un figurone con Mindhunter. Del quale diresse e dirigerà alcuni episodi…

Credo, in tutta sincerità, che Gary Oldman sia stato per molto tempo identificato erroneamente soltanto come villain con indole da Joker. Sebbene, nella trilogia nolaniana di Batman, Oldman fu un buon tenente e non quello di Harvey Keitel nel Bad Lieutenant di Abel Ferrara. Per l’appunto, appuntatevelo, appuntati, carabinieri e poliziotti della Critica superficiale. Non impuntatevi con prese di posizione limitate e fasciste. Gary è la versatilità fatta persona, incarnata, pareva morto e datato, incartapecorito e imbalsamato, invece resuscitò e ringiovanì di colpo come in Dracula di Bram Stoker.

Gary, figlio di un saldatore, giammai laureatosi e presto istradatosi da autodidatta.

Un duro, un’anima ribelle, ancora bello nonostante le sue non più freschissime primavere. Ah, incontrò da adolescente molti bulli. Lo so…

Assomiglia a qualcuno di mia conoscenza. Sì, questo qualcuno (che) io vedo allo specchio dalla mia nascita. Non credete?

Sì, come noi uomini sappiamo, non si può mentire dinanzi alla propria immagine riflessa.

Specchiandoci, infatti, cogliamo intimamente il silenzio del nostro vero, vivo, scalpitante e viscerale cuore specularmente simbiotico alla nostra coscienza più inesplorata, riaffiorata dal profondo…

Nella realtà di tutti i giorni, siamo spesso costretti, giocoforza, a indossare delle maschere. Per accontentare il gusto della medietà conformista, adattandoci alla tristizia dei compromessi più puttaneschi pur di essere stimati dal prossimo. Al fine di ostentare, esteriormente, la nostra immagine migliore possibile.

Sto parlando ovviamente di molti di voi. Di mio, non ho mai pensato che un uomo debba svendere la sua dignità per piacere agli altri pur di ottenere la patetica simpatia e un contentino come si fa coi bambini e, semmai, elemosinare piacevolezza da una donna, mostrandosi a lei con un look fintamente perfetto che trasudi impeccabilità morale, invero truccata.

Ma che film sarebbe mai questo che vi siete “sparati?”. Whore di Nicolas Roeg?

Sì, a causa del mio istrionismo personalissimo in linea con la mia autentica unicità indissolubile, i miei coetanei, durante l’adolescenza, credettero che fossi matto e mi consigliarono di vedere Mille pezzi di un delirio.

Essendo taciturno, mi dissero perfino: – Guarda pure Niente per bocca.

 

Al che, ne successero delle belle. Insomma, delle brutte più racchie delle ragazzine da Harry Potter, frequentate da chi mi accusò di essere agorafobico e più incosciente, poco previdente delle conseguenze come Lee Harvey Oswald di JFK.

Se ne fece un caso e voi non fate, per l’appunto, caso se mi va qui di sdrammatizzare sulla situazione assurda che involontariamente innescai, inducendo le persone ad addebitarmi la diagnosi di persona afflitta da disistima, da allucinante atimia affettivamente fredda, forse solo emozionalmente sofferente di tachicardia mancante d’empatia. Ma per cortesia!

C’è da rimanere senza parole. Ah ah. Speechless.

No, al punk di Arthur Fleck, preferisco Sid e Nancy. Mentre, a Nancy Brilli, Gilda Sbrilli. Curatrice di un’edizione dei Promessi sposi.

Ah, Orson Welles ed Hayworth Rita, la leggendaria Gilda.

Mi urlarono… sei Il mai nato. Un film pessimo. Lo andai a vedere solo perché la locandina m’attizzò.

Sì, nel poster originale viene riflessa la strega di Cappuccetto rosso sangue?

No, semplicemente una che fa sesso. Il film invece fa senso e lei non soltanto non si spoglia, bensì non sa aprirsi, a differenza di Oldman, ad una recitazione sbottonata da vetusti codici di rigidità formale assai pallosa.

Adoro Gary. Quest’uomo nevrotico, imprevedibile, che recita col cuore e non a c… o.

Quando carica da matto, no, di brutto-bellissimo da matti come per il suo epocale, gigionesco Norman Stansfield di Léon, è uno spettacolo più eccitante di Monica Bellucci dei tempi d’oro.

Lo amo quando è uguale a me in A Christmas Carol.

E quando se la ride come un pazzo ne La talpa. In cui, degl’ingordi idioti pensarono di aver compreso un mistero alla Rosebud, invece rimasero con un palmo di naso.

Cantando La Mer poiché distrutti e costernati dinanzi alla loro umana miseria oceanica.

Amo anche da morire La finestra sul cortile ma non so se The Woman in the Window sarà un bel film.

Quello che so per certo è che Amy Adams è più f… a di Grace Kelly.

No, non voglio diventare il Presidente degli Stati Uniti. E non so se sia peggio Donald Trump o se sarà ancora più scemo di lui, eh sì, Biden. Per me, quasi tutti i politici sono sporchi e meriterebbero un bidet.

Non sono comunque un anarchico terrorista come Oldman in Air Force One.

So anche che Mozart fu un genio indiscutibile mentre Oldman, in Amata immortale, sembrò una caricatura di Amadeus, sì, il presentatore televisivo. Mica quello divinizzato da Alex di Arancia meccanica. O no?

Gary sbagliò tante volte nella sua vita da fuori di testa. Perse, sì, la testa per molte donne e pensò che un genio come lui potesse accontentarsi di Uma Thurman ed Isabella Rossellini.

Sì, devo dare ragione al mio amico Ottavio. Lui crede fermamente alla dottrina gnostica. Che suddivide l’umanità in tre categorie.

1) I nani, cioè gli ilici. Il 90% delle persone. Che vivono di gelosie, invidie, corna, tradimenti e oscene competizioni superflue.

2) gli psichici. Categoria nella quale Ottavio mi annette. Cioè persone a un passo da essere elette. Spero non a capo degli States. Ah ah.

La terza categoria, comunque, il mio amico pensa che io possa raggiungere fra circa un mese.

Quando pubblicherò il mio prossimo libro.

Un libro che, alla pari di Orson Welles di Citizen Kane, ribalta la concezione di tempo e lo supera a mo’ dell’Oldman del Dracula. Abbattendo ogni barriera.

Sì, Welles è un gigante del Cinema.

Comunque, penso che questo sia un bel mediometraggio mistico-spirituale, perfino ero(t)ico, e che Bruce Springsteen, col passare degli anni, sia uno splendido fantasma ancora capace di commuovere alla maniera di Bob Dylan.

Insomma, date il Nobel anche al Boss.

Date l’Oscar ad Oldman per Mank o ad Anthony Hopkins per The Father.

A me date un bacino. Mi accontento.

Tanto, qualcos’altro, è la mia lei a darmelo(a)…

Goodnight and good luck.

Presto sarà Natale.

E vi regalerò altri sogni.

Sì, sono Clint Eastwood/Babbo Natale di Fino a prova contraria.

Se non vi sta bene, non pot(r)ete amare Gary Oldman. Dividerete le persone fra sfigati e fortunati, tra fighi e cog… ni, chiamerete l’altro orfano di madre od aborto vivente, vi odierete e non amerete, in cuor vostro, l’immagine di voi stessi che si rifletterà davanti allo specchio.

Mi spiace, non vivrete bene, non amerete non solo il Cinema.

E non sarete mai Gary Oldman, Orson Welles, Bob Dylan e Bruce Springsteen.

Per quanto mi riguardi, mi riguardo sempre per migliorare. Io sono io. Va bene così.

No, sì, no, sì, abbasso gli asini e le teste di mulo.3_Tavola disegno 1 2_Tavola disegno 1 1_Tavola disegno 1

Letter To You, recensione del grande, nuovo album di Bruce Springsteenletter-you-recensione-album-bruce-springsteen-copertina

Ebbene, il Boss è tornato con Letter To You. Un’ode alla più dolce, fosca, tenera e al contempo tenebrosa, malinconica sua reminiscenza monumentale di natura mondialmente musicale, un’epica e soffice raccolta delicata, già d’antologia, incastonata e sigillata eternamente nella mirabilissima sua rocciosa eternità perpetua ed eterea. Una carezza lieve donata alle nostre anime. Alle volte spaurite, melanconiche, altre volte grintosamente auto-echeggianti l’evocativa virtù dell’infinità (u)morale delle nostre stesse accorate sensazioni traballanti, in continuo mutamento e rigenerativa freschezza persino euforica dopo tante eclissi dei nostri cuori spezzati, oscuratisi nel buio e poi, di colpo, risorti magnificamente in gloria.

Quest’uomo immarcescibile, oramai appurata ed incontestabile leggenda vivente incarnata nel suo viso oggi smagrito, nella sua ectoplasmatica sagoma avvolta da una nebbiosa atmosfera nevosa, camminando nell’asperità romantica dei suoi perenni, giammai vinti, crepuscolari e al contempo infuocati dubbi esistenziali, pare che riemerga dalle soffuse penombre di sé stesso, incorporandosi nel revenant cantore delle sue incantevoli memorie magiche. Pietrificate nello splendore dell’adamantino rammemorare il suo e nostro cammino poetico, addirittura ambiguamente ermetico. Sobrio e lucente.

Bruce Springsteen, ladies and gentlemen, che nella copertina del suo nuovo, stupendo album imprescindibile non solo per i suoi irriducibili aficionado, ormeggiando in metaforico the river sulfureo della plumbea, “accordata” mareggiata emotiva della sua carriera oceanica, ci regala un’altra perla piena di canzoni dolcemente lievi evocanti forse A Christmas Carol di Charles Dickens, soavi come un’onirica, atmosfera natalizia, per l’appunto, appaiabile a Paul Auster o, forse, alla squisita amabilità commovente del derivatone, cinematograficamente, racconto vividamente sentito di Harvey Keitel in Smoke.

Letter To You profuma di concettuale spiritualità quasi gospel, sì, di mistica ed avvolgente, allo stesso tempo sanguigna vivacità toccante. Pare, a tratti, addirittura un moderno canto gregoriano.

Dopo Western Stars, elegia dedicata alle anime spare parts dell’infinita, folle e visionaria America forse perduta eppur combattivamente resiliente, a settant’uno il Boss si restaura nel ricordarsi, nel contemplare la bellezza sfuggevole e cangevole del tempo rivisto, introiettato e cantato con la forza ancora gagliarda della sua tempestosa leggendarietà inscalfibile ed immutata.

Cosicché, recuperando dal cassetto dei suoi stessi sogni giammai arenatisi ed assopitisi, alcune canzoni incomplete ed inedite degli anni settanta, alternandole a brani del tutto nuovi, levigati nelle sue vocali corde già, puntualmente, indimenticabili, c’allieta e culla con vibrante, senziente beltà marmorea.

Rilluminando sé stesso, estasiandoci nel far sì che, ancora una volta, possiamo immergerci attraverso lui in un altrove luccicante di lucida, fortemente impalpabile voglia di vivere e rivivere. Di amare e ricordare per rinascere nuovamente intrepidi ed agguerriti. Ancorandoci al passato per rielaborarlo, assieme a lui, in forma catarticamente suadente e morbida.

Con Ghosts supera sé stesso, mormorandoci la levità della fantasia immaginativa e della mnemonica frenesia del suo rispolverare il suo e nostro excursus insuperabilmente, strenuamente agganciato alla purezza dei nostri ricordi riscaturiti vulcanicamente in esplosiva potenza vitale, inarrendevole e, nonostante tutto, ancora intatta. Ripetiamo, immutabile.

Anche se a noi è piaciuta da morire soprattutto Song for Orphans.

Sì, Letter To You non tocca certamente le vette di perfezione stilistica di Nebraska, Bruce Springsteen non è più quel ragazzo strepitosamente e meravigliosamente scalmanato di Born to Run, ma è sempre lui.

In Letter to You aleggia anche la presenza, chissà, di un altro rocker immenso, Bob Dylan.4_Tavola disegno 1

 

di Stefano Falotico

 

Indietro nel tempo, DOPO LA MORTE e oltre, prima della nostra (ri)nascita


07 Jul

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Indietro nel tempo

Bagliori intermittenti ed emozioni fuggevoli di un me che parve svanito, e or riluccica estasiato, bramoso di baciar il mondo nel suo ventre e mordere gli ardori che volarono via, immolandomi alla bellezza e a un’alta felicità sovrana, scevra dal dolore e riscaturita laddove pensai che l’avessi persa. Oh, vita perduta, anche in me temuta, ribatti scalpitante e rivivi in ipnotico ballo della mia anima festante, leggiadramente ancor amante, lucida come il più pregiato diamante, dissanguata e spolpata, adesso a fonti battesimali di me restaurato rinnovata.

Per tutto questo tempo, oh sì, scomparve l’estasi, il brio della leggerezza del vivere tramutò in mugugnante apatia, in borbottii melanconici di torpori glaciali si bloccò il mio cuore rattristato, e vanamente inseguii la felicità, perdendo il senno nella brace di sogni arsi, che si stan ridestando nella lor potenza però ancor fugace. Rinascenza, ricoglimi splendente ove d’anima poco suadente perii disamorato in languore ardente. Abbagliami di nuovo, vita, e suda con me in passioni che brucino di verità e soffice manto prelibato d’un tempo adesso sorpassato, nei suoi strazi scuoiato e così spossato. Qui or righermito in abbacinante, gaudente abbraccio.

Non so se mi crederete, ma questa è la mia storia, una delle tante che colorano il mondo anche quando vieni posseduto dal più spettrale grigiore, e moristi illanguidito nella nera vacuità dello stesso tempo tuo rimuginato, combattuto, dalla tua anima osteggiato, vilipeso perché t’arenasti ai più vili spregi, e sfregiato viaggiasti avvolto da fantasie vivide ma sempre inumidite nel loro bagliore dalla pioggia del tuo umore ruvido.

Ricordo che ero giovane, quasi bambino, appena adolescente, o soltanto sfiorato da quei dubbi acerbissimi di quando la vita appena nasce in nuovi passi evolutivi. Che ne so… avrò avuto quattordici anni.

E di colpo, come tramortito da troppa bellezza, troppo preso dalla mia anima freneticamente vogliosa di vita, paradossalmente la vita stessa respinsi, e abbandonai tutto, cullando le mie noie e le mie gioie in entropico far sì che veleggiassero nel mare dei sogni, dell’immaginazione più linda e anche notturna. Nel tepore segreto del mio giardino mentale, della mia anima rapace.

Forse, fui un figlio della notte, un’anima inquieta che scivolò dove la Luna sposava il buio, immergendomi nella sua carezza seducente, come mano di donna leggera ad accudire il mio lungo sonno o sogni pulsanti di furore. Di vita apparentemente rinnegata eppur così in me allucinatamente, splendidamente sprofondata… in un finto, faceto o profetico letargo illuminante.

Come se quel chiudermi, o forse rifuggire una realtà che m’appariva opaca, attutisse un mal di vivere perenne, nell’estasiante contemplazione gioivo, sbiadendo vellutato in un boato luminescente di fiorite, perlacee emozioni.

E riverberarmi nella candidezza più melodica del cuore, lontano dal frastuono, dal cicaleccio ciarliero, dal sesso e dalla carnalità animalesca, m’illuminava sereno e quieto. Lontano e distante, eppur vivo e presente.

Una purezza, così la definiscono, incendiante, uno stato quasi amniotico di sofisticatezza, un pianto strozzato, un grido lucido inghiottito dalle notti, bramose del mio cuore, ardimentose nello sciogliersi apparentemente immote in tanto sobrio lindore.

Come una spaccatura, in questa fratturante trappola ch’è la vita che, nel suo farsi, dirompente ti spacca in tanti pezzi, che afferrai in un piacevole, sì, delirar vorace delle mie taciute ansie, soggiacendo di gaudio e di letizia scalpitante in quella tempesta emotiva ch’era l’inizio dell’adolescenza fugace. Remoto, in una zona crepuscolare, in cui il tempo s’era fermato, addolcito nelle mie tempie e, inabissandomi con tutta la forza delle mie straziate viscere, sprofondandovi come ibernato, specchiato nel buio vivace, in una dimensione raggelante eppur così bruciante, vissi dischiuso nella tenebra ermetica della cauta pacatezza, degli anni murati vivi dall’eternità senza spazio del mio girovagarvi felice, poi triste, rotto, abbagliato da sogni lucenti, da avventure lontane dalla carnascialesca realtà così ricattatoria, mendace e borghese. Figlio delle mie stelle, di astrusa scelta, incomprensibile agli occhi altrui, così sciacalli e malati dell’ingordigia del voler saper chi sei, avvoltolato nell’astro nascente dell’inquietudine mansueta, perché v’è spasmodica tenerezza friabile, fragilissima, nel recludersi in qualcosa d’incantato e mistico.

E così tutto iniziò e pian piano nel mio mondo mi rifugiai…

Insomma, di me si può dire tutto, mi si può apertamente disprezzarmi e deridermi ma è oggettivamente insindacabile che ci troviamo dirimpetto a un uomo che non è tanto normale.

 

di Stefano Falotico

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Il più grande attore e cantante della storia: vedere per credere


25 Jun

dicaprio prova a prendermi

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64915135_10213936153940830_1434793258986242048_oEcco, avete visto bene questa faccia da culo imbattibile? Lo so, a prima (s)vista, può sembrare un demente certificato con tanto di attestato (ig)nobile.

Ma dietro questa faccia da schiaffi, questa faccia da Leonardo DiCaprio di Prova a prendermi, si nasconde un uomo capace di scrivere libri interminabili, di recitare con dizione straordinaria, un amante di ogni donna vogliosa di notti selvagge e scalmanate, un trasformista persino della sua anima multiforme e sfaccettata.

Un campione del fregolismo, a volte anche del menefreghismo, un adoratore del nichilismo e anche un piacione di risma.

Non più, baggiani asinissimi, lo fregherete, oggi lui cammina con fierezza e disdegna questi omuncoli che raccattano le prostitute in zona Fiera.

Se la tira con enorme contentezza, fottendosene di ogni moralista e di ogni panzone a lui fascista.

Sì, per anni fu scambiato invece per DiCaprio di Marvin’s Room. Per un ignorante come Leo di Titanic.

La moralità che risiede nel suo cuore moralmente giusto l’ha sempre frenato dal divenire Leo di The Wolf of Wall Street.

In questi anni, numerose donne, perfino più belle e attizzanti di Margot Robbie, sfacciatamente l’hanno contattato in privato per ricevere da costui un po’ di calore cocente.

Ma il Genius-Pop, tale è infatti la sua auto-definizione, non ha mai voluto sputtanarsi con baldracche da due lire.

Soffrendo comunque immensamente nel sapere che codeste, ottenuti i suoi incredibili rifiuti, si sono accoppiate con uomini che valgono sinceramente l’unghia del suo mignolo sinistro.

Ah, tenne tutto dentro…

Ah, che stile, pur di non mercificarsi, castamente si negò ogni carnale piacere. Perché tanto sapeva che, al di là di un attimo esplosivo e infuocato… quello che sapete voi, ah ah, è sopravvalutatoBiochimicamente non è diverso da una grande scorpacciata di cioccolata.

Ma a questa idiozia nessuno ci crede, tantomeno il Genius-Pop, uomo raffinato, giammai affettato, nemmeno affrettato poiché non si volle mai bruciare nel chiasso infernale di tutti questi scemi e cretini oramai andati.

Egli è uomo tagliato, come si suol dire.

Poiché il Genius-Pop non si vende alla prima che gli capiti a tiro… con attenta oculatezza, entra in un bar, beve un caffè morbido e bollente senza dar nell’occhio, fuggevolmente inquadra le donne più ardenti e al dente come la schiuma di un cappuccino cremoso e scottante, dunque sceglie le migliori e più dolci con fine gioco di labbra irresistibile, muovendo il linguino come Al Pacino de L’avvocato del diavolo.

Sì, la vanità è decisamente il suo peccato preferito. Il Genius-Pop vaga di qua e di là. Lo so, se non lo si conosce nelle immani profondità delle sue imperscrutabili interiorità e invece, sbadatamente lo si valuta solo per la sua modesta esteriorità, può onestamente sembrare un pazzo senza molte qualità.

Invece, miei baccalà, lui volteggia fra recensioni svettanti in mezzo a tante stupidaggini, a tanta inutile insulsaggine.

È anche maestro, oltre che dell’oratoria, a differenza di donnette che hanno sempre bisogno di essere imboccate, un irreprimibile fenomeno della spiritosaggine, un geniale, demenziale auto-didatta sfrenato della presa pel culo ben lì posata alla società di massa più mercantilistica, edonistica e da lui con classe impari, sì, smascherata.

Udite con quale calma olimpica, con quale ardore stupendo scandisce le poesie dei suoi amici e canta le canzoni del suo idolo.

Egli è il WANTED per eccellenza.

Sylvester Stallone di Cop Land gli fa un baffo.

Sì, Il Genius-Pop è un anticonformista stravagante ma, se gli scade la carta d’identità, legalmente si reca subito a farsi le foto per rinnovarla.

E questo è quanto, poveri deficienti.

Ricordate:

il Genius-Pop è come Mel Gibson/Interceptor, è imprendibile.

Vi saluta ora con una delle scene più belle dell’anno.

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Scena capolavoro #milesteller #toooldtodieyoung #mandy #barrymanilow

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di Stefano Falotico

Venezia 75. Vincerà la Coppa Volpi quella vecchia volpe del Dafoe? Invece, io son lupo che perde il pelo ma non il vizio, una creatura di Schnabel purissima, giammai mutilato, in passato muto ma voi pagate il mutuo


08 Sep
Directed By: Alejandro AMENABAR.

Directed By: Alejandro AMENABAR.

Eh sì, la mia vita nel corso del tempo è assai mutata. Dapprima, per imbecillità giovanili, fu mutilata. E trascorrevo le giornate nell’assoluto mutismo, rimanendo una voce fuori dal coro.

Poi ricominciai a parlare e, da un’atimia spaventosa, divenni un oratore persuasivo quasi quanto Hitler. Ma, in maniera diametralmente opposta ad Adolf, mi diedero del comunista e allora scappai a gambe levate per i campi di grano… cantando Viva la libertà di Jovanotti, stronzata uscita da poco ma il cui testo, in realtà, non molti lo sanno, sì, il testo di questa canzone populista e utopistica fu da me consegnato a Lorenzo venti anni fa. Quando in effetti amavo le stronzate. E davvero credevo che, senza farsi il culo, si potesse essere persone libere. Jovanotti è liberissimo, comunque, guadagna miliardi, cazzeggiando. Un caso unico. Solo adesso Jovanotti ha fatto uscire la canzone in tempi ove l’Italia vuole il reddito di cittadinanza e, con le pezze al culo, sogna di essere libera dall’Hera, eppur campa di camere a gas… Che furbacchione!

Così, sfiancato da calunnie abominevoli, mi diedi alla macchia. Macchiato nella dignità, volai di fantasia e ancor m’immersi in notti pittoresche follemente fantasiose, dipingendo il mondo coi miei occhi. E, in una notte stellata sul Rodano, sudato freddo, ero sul punto di buttarmi nel fiume suddetto, per affogare negli abissi d’una morte per assideramento. Eh sì, quel Rodano era gelato, ma non al limone. Leccate, donne, leccate tutto… bello pimpante, ardente e al dente…

Invece, quel fiume era gelato sottozero. E in quel freezer liquido un uomo normale crepa come DiCaprio in Titanic. Eppur sopravvissi, miei stoccafissi.

Sì, la gente facinorosa mi additò, emarginò, violentemente sodomizzò nell’anima, provando a deturpare la mia bellezza, ma io ancor fuggii e fortemente ruggii.

Ecco che i maldicenti dissero che soffrivo, come Vincent, di malattie mentali incurabili e che il mio cervello s’era incancrenito.

Invece li smentii col solo potere del mio occhio nero, nero quanto le loro fallimentari magie nere da iettatori maledetti, e con piroette letterarie da schienare anche Shakespeare. Sì, William annichilii soltanto con la forza di una tastiera ergonomica che vale 20 Euro.

Eppur questa gente perdono, perché io son poeta come Reinaldo Arenas. Interpretato da Bardem, l’uomo del Mare dentro. Film da confrontare con Lo scafandro e la farfalla.

Quel che so è che, se continuerò a fumare tre pacchetti al giorno, mi verrà un ictus come a Mathieu Amalric.

Le donne mi cercano, quasi nessuna me la dà, eppur la gente mi ama, m’incita e fa il tifo per me, urlandomi Daje!

 

Ce la vogliamo dire platealmente, senza mezze frasi?

Sono proprio un bel volpino pregiato. Dalla pellaccia dura e dalla penicillina, no, che cazzo scrivo, pelle purissima che avvolge le donne più belle, riscaldandole…

Eccovi servito il Genius! Ma Genius de che? Di tutto, anche di niente. Questo è il suo bello.1-5

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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