Stavo riguardando delle clip di True Detective. Col senno di poi, è la serie televisiva più sopravvalutata di sempre. Non parlo della seconda stagione, abbastanza impresentabile, con un finale osceno, in cui Vince Vaughn, nei momenti di rabbia incandescente, sradica cornicioni e frantuma bicchieri di cristallo come se fosse Bruce Lee culturista, e nemmeno voglio soffermarmi su Colin Farrell, l’unico che regge la parte ed è abbastanza credibile, ma il climax è ridicolo, patetico, tutta una sterminata sceneggiata hard– boiled per capire che il morto ammazzato sta dietro una squallida vicenda di disagi giovanili. Tutti crepano tranne le due donne che alla fine si coalizzano neanche fossero quelle del movimento Me Too. Una pacchianata immane.
Ma nemmeno la prima stagione scherza. Il signor Pizzolatto, dopo aver studiato ogni crisma, sì, crisma del pessimismo filosofico, allestisce dei siparietti in cui McConaughey, conciato come un barbone e un Cristo in croce, disserta lapidariamente sul senso dell’esistenza. Sciorinando banalità adolescenziali degne del peggior saggio sulla montagna. Ecco, scene peraltro talmente irreali e sfacciatamente ostentate che alla fine, parossisticamente, nella loro assurdità smodata, sembrano perfino attinenti alla veridicità del reale. Sì, quando mai si è visto un detective dell’FBI che passa ore a vantarsi delle sue ispirazioni filosofiche, teoretiche, geometricamente cartesiane alla sua visione cupa e tetra della vita? Con due bambagioni che lo stanno a sentire e non gli cacciano un ceffone? A che pro quei discorsi se non per allettare le manie depressive di giovani che son andati in brodo di giuggiole per queste isterie trascendenti, per questo pus underground che rinnega la vita occidentale con la faccia di Matthew, uno che ha almeno tre ville con piscina a Beverly Hills? Sì, poi il cattivone, il maniaco omicida satanista si viene a scoprire che è un giardiniere tonto. Al che, la HBO l’ha promosso di grado e l’ha fatto diventare giudice salomonico in The Night Of. Glenn Fleschler, un uomo, un perché.
Sì, ce lo possiamo dire in tutta sincerità? Un solo fotogramma di The Night Of, soprattutto del primo episodio, tutto in una notte, vale più di ogni orpello del Fukunaga.
Di mio, sono incurabile. Sì, arrivano notizie di bullismo di questo nostro Paese casa e chiesa. E la gente si sconvolge.
Ha ragione il mio amico Emiliano Sutera… Siete ridicoli. Inorridite per un bulletto da liceo che insulta un professore. Avete delegittimato la patria potestà, demonizzato la disciplina, ridicolizzato la gerarchia; E vi stupite perché questa è la generazione che sta infestando il mondo. Fatevi due domande.
Sbaglia anche Sutera, perché dopo il punto e virgola ci vuole la minuscola e non la E maiuscola.
Ma comunque avete capito il concetto.
Al che, passo in rassegna le persone di Facebook. Una, a scadenza regolari come l’orologio svizzero, sì, quello a cucù, per dimostrare che è donna di cultura, che adora il Cinema e la Musica, ogni santissimo giorno ci “aggarba” (sì, verbo che si usa nella marina ma che io uso scorrettamente perché così mi garba, non siatemi sgarbati, non fatemi gli Sgarbi Vittorio) con suoi “self–portrait” in cui nell’identica posa mette il suo viso in primo piano, “reciso” dal prodotto artistico che vuole pubblicizzare per vantarsi che lei conosce l’artista o gli artisti che l’hanno creato. Che vita eccezionale, non c’è di che…
Un’altra invece sostiene di essere una scrittrice e afferma di essere colei che difende gli oppressi e i ribelli, poi vediamo un suo album in cui, vestita come Wanda Osiris, è su uno yacht. Ho detto tutto… Ieri, invece ho saputo che Fabrizio Corona ancora si scopa LA, sì, ci vuole l’articolo determinativo da donnette casalinghe lettrici degli “scoop”, LA Belén. E mi chiedo se Corona con la Belena, a parte fare zin zin, arare, trapanarsi, spingere, pigiare, pinciare, “verbo” veneto per esprimere l’atto del “trombamento”, guarda qualche film di Takeshi Kitano. No, non è il suo mondo. Disse che voleva girare il remake di Scarface. Prima che lo dicesse mi stava simpatico.
di Stefano Falotico