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Pinocchio (s)mania: Guillermo del Toro, Garrone/Benigni, Falotico da Leggenda del re pescatore


26 Oct

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Un mio commento plateale, senza vergogna, su Instagram…

Ebbene, che culo superbo, ottima, continua ammiccante a provocare con far piccante, sì sì, fottitene dei moralisti, insegui questa donna tua birbante e lasciaci guardarti desideranti di esserti ardenti, bacianti, esausti nell’ammirarti, lascia che io sia ardente nel focosamente bramarti e forse eccitarmi, che gnocca, che tocco delizioso di donna sfiziosa, anche oziosa, probabilmente scaldante e mi fermo, infermissimo, perché la rima potrebbe di lingua peccar lussuriosa e di te troppo vogliosa.

Non mi ha bloccato e sinceramente non è che questa qui poi sia un granché, ma ero annoiato.

Mah, se penso alla mia infanzia, ricordo che mi piacevano i gelati, leccavo avidamente, se penso alla mia adolescenza, nel mio carnet di masturbazioni da ossesso-deficiente ci fu anche quel troione di Eva Grimaldi, una donna che pare sia stata anche con Sean Penn fra un risotto e il chirurgo plastico, se penso a come sono adesso, non è che poi, detta come va detta, sia un patito del sesso. Di mio, mi piace accavallare le gambe con la sigaretta in bocca. Non so te. A te piace accavallarti?

I problemi si accavallano e io preferisco ancor sbugiardarvi. Vi credete stabili ma io vi dico che siete solo più grassi.

Non dovete allarmarvi, lo sapeva Leslie Nielsen ne L’aereo più pazzo del mondo.

 

Eh sì, non molti lo sanno ma, nel fervore delle mie rinascenze, molti anni fa (credo fosse il 2006), cominciai a buttar giù un libro mai finito. L’occhio di Pinocchio. Ma poi, per varie vicissitudini sfiancanti, fui dal fato avverso sfinito e caddi preda di una società alla Mangiaf(u)oco che, con le sue chiacchiere, voleva far sì che mi “frivolizzassi” (bellissimo neologismo) e mi attenessi al più bieco materialismo porco. E collassai, assillato da donne voraci che attentarono alla mia verginità, Loro, discinte e aggressive, vedendo il mio bel faccino e, ben consce fra le lor ardenti cosce ch’ero ancora sessualmente immaturo, mi ballarono attorno. Al che, tirando fuori le loro ispide linguacce desiderose di ciucciarmi e baciarmelo tutto, con occhi bramosamente vogliosi ardirono a turlupinare la mia virtù, affinché dentro di loro potessi dominarle con la mia spada da Re Artù. Vibrante di un Excalibur lubrificata con del burro ad addolcire la penetrazione sguainata del mio esser in loro interamente duro eppur non più moralmente integro, dopo che codeste, inguainate di reggicalze sfilate, nel sesso più mentecatto m’inguaiarono e nella perdizione m’infilarono, ficcandoselo. Perché, una volta persa l’innocenza, e lor signoria lo sapeva, mi persi e rappresi in una landa orrenda e putrescente di nightclub fetenti. Ancor per ghermir altre donne, concupirle come un lupacchiotto ed entrar nei lor cor(pi) di passioni sfrenatamente lussuriose. No, sto mentendo, per chi mi avete (s)cambiato? Senti, scambista, piglia questo! Ah ah. Eh sì, ciò non avvenne, solo in una io venni. Ella mi svenò, mi sverginò e poi a fanculo mi mandò. Lasciandomi esausto e di lei innamorato col membro ancor penzolante e densamente ingordo di volerla nuovamente ignuda, a me congiunta e untissima.

Fra noi, teneramente e di pene duramente, durò poeticamente un an(n)o, appunto. Me ero stato oramai violato, nella sua carne violacea (im)bucato. Oh sì, le fate son fatali ma sanno essere anche delle stronze fetali.

Prima le donne ti rendon teso(ro), tu te ne arrendi, a lor dietro le tendine lo (es)tendi eccome, ma è solo forse una canzone di Elio e le storie tese…

Grazie a Geppo mio papà 

Se si china la Fata Turchina 

Sento una forza dentro che neanch’io so come 

Ed emetto una specie di fruppè

 

Elio voleva dire frappè? No, proprio fruppè.

Sì, la fava di Pinocchio per una fata potrebbe divenir qualcosa da favola…

Se poi la fata era, come nella miniserie Le avventure di Pinocchio del Comencini, la tettuta Lollobrigida, allor sì che cresci in fretta e soprattutto furia e, dalle mini-seghe, passi alle milf in un batter baleno. Sì, oramai sei fottuto come fossi stato mangiato in culo alla balena! O alla balera!

Molti uomini invece retti, che non pensano solo al femminile retto, nonostante si sposino e sian fedeli, perdon lo stesso la retta via e impazziscono. Prendete ad esempio Robin Williams de La leggenda del re pescatore. Un maniaco ammazza sua moglie e il professore finisce barbone. Jeff Bridges si sente responsabile della tragedia perché involontariamente aveva spinto il suo radioascoltatore a “spararla grossa”.

Deluso dalla fidanzata e semi-disoccupato, Jeff/Jack Lucas vaga abbattuto e delirante per le strade del suo fango, e prega la statuina di Pinocchio, sperando che almeno questo burattino di legno possa comprendere il suo dolore di vivere. Ma anche Robin la tiene in mano.

E, tornando a Re Artù, arriverà il miracolo. Perché il Sacro Graal, amici carissimi, altro non è che la speranza di noi tutti ritrovata.

La nostra vita adulta rasserenata.

Ed è per questo che del Toro e Matteo Garrone sono affascinati dal mito sempiterno di Pinocchio.

Geppetto, per Garrone, doveva essere Toni Servillo, adesso sarà Benigni. Che girò la sua versione benign(esc)a con Kim Rossi Stuart as Lucignolo.

Dico a voi, amici che spesso mi coglionate, siete proprio il Gatto e la Volpe.

La mia vita non è una cuccagna e non and(r)ò mai con le cagne.

Può darsi che il Falotico, il sottoscritto, sia un cesso d’uomo o un grandissimo.

Sicuramente, non date retta a Paolo Crepet (non è ancor crepat’!), il quale sostiene che i cosiddetti adulti siano ancora dei bambini malcresciuti e che non sappiano educare i figli, invero più grandi di loro.

Ecco, dopo tutto ciò, Collodi era un favolista come moi. Mai si laureò con lode e spesso la sua testa doveva superare innumerevoli volte il collaudo.

Di mio, vorrei guidare un’Audi ma non posso.

Punto e basta.

Sì, io guido la Punto. Lei guida la Mercedes? Beato lei. Si scopa anche un’Alfa Giulietta? Ah no, è vero, sua moglie si chiama Flavia Lancia. Lancia Flavia, sì, scusi. Mah, una lontana mia parente si chiama invece Silvia Nissan.

Già, tornando al mio libro incompiuto L’occhio di Pinocchio, Luciano Ligabue, in Eri bellissima, così cantava…

Eri davanti a me, davanti agli occhi del bambino 

E gli occhi del bambino quelli 

Non li danno proprio indietro ma

Facevi gola e soggezione!

 

Ho ancora un occhio da Pinocchio. Mentre tu, lercio farabutto, non porgermi l’occhio da finocchio per incularmi. Stringimi la mano, il mio uccello lo st(r)ingo da me.

Evviva! Si brinda, si brilla e, dai su, andiamo a ubriacarci. Saremo brilli ma dalla società fascista non verremo mai resi dei rigidi birilli.

Dai, grullo, porgimi un’altra grappa e dammi un’altra guappa! In quest’osteria io me l’ingroppo e con lei vado al galoppo. Cameriera, un’altra scaloppina! Ehi, bambina, non fare la zoccolina. Dai, Simona, si limona! O(r)mone, non fare il culatone. Servitemi i culatelli!

Un due tre, stavolta l’hai preso in quel posto te. E ora vai a farti il bidet!

Alé! Miserere, misero me!

di Stefano Falotico

Circo(lo) ri-creativo, i giovani (dis)graziati


29 Sep

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Assisto stupefatto e tumefatto a una gioventù soccombente, “soccombuta”, da “imbuto”, da YouTube, da soccorrere, che corre e non si piscia, no, non si capisce che voglia. Sempre vogliosa di filmetti fumettistici, di Iron Man e capitani americani, che desidera stupirsi, che stupida tracanna e di canne s’inganna, pensando, pen(s)osi, di voler cambiare il mondo col “podere” delle serie televisive che fan bene, anzi pena, solo al sedere. Accovacciati nel mondo retorico, “dorato” di castelli vetrati di carta, una gioventù vitrea, che “spacca”, che “spinge”, che si riunisce nei boschetti per “chiosare” sulla vita in (dis)cor(s)i oggi cas(t)a e chiesa, domani casino e parolieri in cas(c)ina, ubriacandosi di demenza, d’imbecilli Mi piace su Facebook, per rifarsi la faccia(ta) dietro un PCino. E pulcini si credon ga(ll)i, sfottendo gli omosessuali, impuntandosi nel sesso e di sasso rimanendoci quando di “long”…drink-ano.

E vai di boll(ett)e di sapone, nelle canzoncine pomeridiane del pig(l)iamo la vi(s)ta di buon occhio, facendo i Pinocchi, togliendosi i pidocchi.

Insomma, una generazione degenerata da circoli creativi, no, volevo dire cretini. Ceccherini!

 

 

di Stefano Falotico

Quand’ero matto, quand’ero De Niro, quand’ero m(ar)e, quand’ero e or non sono, sempre più insonne, pirandelliano, mi (s)maschero in mill’imbrunire del mio “bujo” eremitico d’eter(n)o…


07 Dec

Pirandellodi Stefano Falotico

Quand’ero un mucchio d’ossa, un vivente-troppo vissuto di lagrimante ossario in mai esser (s)lanciato, m’ottundeste lancinanti e, crud(el)i, mi “baciaste-bruciaste-basta(rdi)” in “soffici” carezze da lebbroso, “ebbrissimo” d’aspirata morte senz’aspirazioni, nel fango danzai da (ar)cigno cotto, m’aggrovigliai in (im)mutevoli, tanti miei mentali glossari in mezzo a un (fras)tuono chiassoso di tizi grassi e (mari)tozzi disossa(n)ti, cremosi e (s)cremanti, che cremini, cretino, dammi una cremina, anche una cret(in)a di Cremona, ai gorilla plagianti, preferisco la mia argilla, (em)arginatemi, che piaga, che pian(t)i, voi, i (ro)busti di tante false p(r)ose da al(i)ti senza la mia melanconica poesia, quand’ero euforico, rammaricato, abbattuto come le stagioni fredde più nordiche, più all’anima mia ancorata al no(do), quand’ero “storpio”, snodato, (im)mobile, stravaccato sul (di)vano a “tirarmela” senza le vostre vacche da vecchi, masturbato(rio), quando me ne sbattevo… in “tor(ni)o” senz’alcuna “attorno” e lo sc(r)oscio s’arrot(ol)ava in arro(s)tino stronzo, galleggiante fra un rischiar la gale(r)a dell’infinito naufragar in questo “mal” d’abitante di Marte imprigionato fra le (s)bar(r)e, mai nel doma(n)i quel che (non) potei “(s)pos(s)ato”, quand’arrancavo e m’arrangiavo, abbarbicavo e abbrustolivo nei pisolini del mio iellato pisellino impestato, scoreggiante di troppa pasta di “fagiuolo”, d’ieri “zampillante” come un (in)esistente illudermi di “erigerlo”, nev(v)e(ro), e (ri)sorgere sol(ar)e, invero crepuscolare d’agghiaccianti (tra)monti, miei (s)montati, me la “monto” da sol non LA/lo “DO(rmo), MI FA in un mio onesto (diapa)son, mi “vien” (nel) sonno, insomma, non siamo sommi, som(m)ari, io, rosato come un colorito mio sbiadito senza ros(s)e di ser(r)a e “brutto” tem(p)o non (di)spero ch’è meglio (non) esser un ribelle che (bela)re, questa è beltà di purezza, un “ero(e)”, nel mio eremo da mit(ic)o, quando (non) fui un De Niro, quando mi camuffavo, “buffo”, nel suo ne(r)o, quando nelle notti eteree, eternissime, in vol(t)o angelico, m’ergevo volante e v(i)olato dai già (in)consci viola(ti), in pallore treme(bo)ndo mi scurivo, ancor qui oscurato vi (ab)uso di (s)cure, mi trascuro, la mia bar(b)a è la noia sempiterna del mai sfoltirmi fra le vigliacche rasoiate della vi(t)a che (non) m’accetta, la(cri)ma del ma(rt)i(re), del mio mar(z)i(a)no, del mio matto da (s)legare, da voi (po)matato, fammi un pompino, son estinto(re) di (s)pompa(to), adombrato, ospedalizzato, da (ospi)zio, nel mio ludico, strafottente ozio, che schifo, oh, mio Dio, evviva Clint di Gran Torino…

Eastwood, nei boschi della città degli angeli o solo un mio (in)car(nat)o west da “cero” (in)viso una volta, che “C’era”, le vostre ce(r)n(it)e m’han beffato sotto i baffi, ancor non (s)vol(t)o, violo ove voi siete lì a strapazzarmi d’uova in quanto, non considerandomi uomo, farmi… (im)pazzi(re)… volete, combatter(vi), (non) vo(g)l(i)o! Volg(iam)o a Sud! Vongole, che siete voi, invece, a fanculo!

Domenica mattina, da mattino, cioè piccolo pazzo, esco presto, son ancor buio pest(at)o io stes(s)o, nella società non entro, mi penetrano, aspetto che un bar apra le serr(and)e di tal alba mia da cuore albino, da (dist)ratto in tal serraglio d’uomini puzzanti di (r)agli, tagliano d’a(si)ni, ancor, disancorato, mi brucia, non m’ardo d’arido nel lavorar come voi ché poi, nel sudar nei livori del “dur” non sognar di volare in quanto oberati da queste f(at)iche (di)sp(r)ezzanti, sempre a violarveli da indiavolati poco volanti, v’angosciate per un par de palle, di gambe(ri) e pantaloni sc(r)oscianti da (p)aia di “pol(l)i” che “la” guardan solo in notti in bianco mai (s)fumate di mio non (t)rombarvi appunt(it)o nel ner di ciglia eppur m’acciglio sbiancato, latte(o), mirando la vi(t)a lattea, malinconico per troppe letture e pochi (di)letti, te(tta) che cazzo vuoi, te lo inzuppo poco inglese in “pen” di Spagn(ol)a, fa(i) “venir” la “sciolta”, io, (s)consolato da donne diarreiche, acide come le lor anoressiche da insalata, perché pen(s)an di dimagrire sol, ma quale Sole, per (dis)piacere ad ignoranti (rab)bui(anti) che non conoscono il lessico delle vere cos(ci)e, bensì così fan tutte di bue… Si professan buo(n)i. Alle ginocchia…, questi da (g)nocche mie rotte, (e)ruttate. (Vulc)ano!

Io, masochistico, mastico, da mastino mi faccio da sol(id)o, senza “liquidi”, io e “lui”, mio amico di braccio destro, anche sinistro se me la sparo (s)tor(t)o su ambo i lati, sognandola avanti e (di)dietro, di-sper(m)a senza il “voi” che “liquidate”. Datemi (del) lei. Ancora iella. Ossobuco.

Son losco, liscio, tutto… lasci(v)o. Rosico, rustico son la tua ostia, mangiati le o(stri)che.

Fumo, la f(r)onte aggrotto, la spengo, spergiuro e bestemmio in mezzo a voi, le bestie che ve “la” (s)tirate.

(S)tiro, stizzito, strozzato, m’intirizzite, m’azzittite, zi(tell)e, che stizza, non son tozzo, non ce l’ho “tosto” qui, donn(ett)a da quacquaraquà, nella mia in bocc(ucci)a t’inumidisco al bagno di Ave Maria, crocifiss(at)o perché io vergine e tu Maddalena, ma dai, non te lo do, e a te “viene” però l’acquolina.

Sei una baccalà, non te lo beccherai “lì”.

Acquetta, sciacquette, fuoco, Mangiafoco, fuochino, fuocherello, facciamo un falò… (Pin)occhio! Cazzo!

M’avete incendiato, sommerso, eppur, immerso, son immenso, mangio alla mensa da (di)messo, non vado a messa(line), voi andate a troie e le portate in un trattoria d’asporto, con tanto di vostri (ri)porti…

Meglio il barbone…

Pizze in faccia da culo alla marinara, un po’ d’acciughe, io rimango all’asciutto, (t)remando, fa freddo e non forn(ic)o di mio “riso” in b(i)anc(hissim)o (di)strutto, rotto, fra questi vostri rutti da (s)truzzi, anatra all’arancia… meccanica, son ca(r)ne alla pizzaiola, donna lupa, donna “uvetta”, furbina, dunque volpona, nella fav(ol)a di fungo ti avveleno, che fig(liett)a di puttana, mi magna di strafogo, non la cago di Fuca, è “tonna” che mette le mie olive su (non) lievito di “sborra”, aborro le birre, vado a dormir nella bar(r)a da c(i)occo(lato), cammino nei ciottolati bagnati, lontanissimo da questo vostro an(n)o afoso ed è “tutto” uno (stra)colmo d’umidità, m’acchiocciolate in (for)mica di minchia. Qualcosa mi manca, forse (il) man(i)co. Meglio le mie cornee, comunque, alle cornute.

Stracciatemi, stracciatella!

Mangio.

(In)sorgerò?!

Basta col Sole. Meglio il mio mon(a)co da saio, da san(t)o, basta con le finte suore. Malati/o di men(te). Quante menate!

Rimasto al s(u)olo, vivo d’assioli, nel mio “asilo”, asini, non rabbonitemi, non son un buono, quanto buio vuoi, non son bono, bov(ar)i.

Non son fine perché non fin(t)o, donna, “fingi”.

Affinati e “affinatelo”. Ché ti sia una fig(li)a come te, “(r)affinata” soltanto per il cazzone. Meglio i miei calzini.

Di mio, rimango di capra, di “pelato”, son crapa tosta, coi testicoli senza testa, non mi fan la coda, son un codino, non datemi, conigli, neppur un con(s)iglio, sotto la panca, io crepo, meglio di te, con la panza piena, ché mi fai pena, di vita non crepi(ti), anche se di pene “le” vuoi “bene”, meglio Carmelo alle “mele”, Carmelo fa ma(ia)le.

Miei merli, son uomo “mero”, miei cammelli, fumiamoci una Camel.

Questa vita lor da miel(os)e non fa… per noi, uomini a-mari da Marlboro.

Siam carbonai, facciamoci una carbonara…

Collodi!

Mica con lode!

 

Il “Pinocchio” di Tim Burton


17 Nov

Fra i miei innumerevoli scritti ancora editi, che presto saran editati, ce n’è uno “inerente” sulla favolona di Collodi, filtrata dai miei occhi. Ora, mio finocchio, io ho il “bernoccolo”, lei è solo un becchino

Mi dissipai, il mio naso s’allungò ma il mio uccello no, perché ebbe le 

  • Il cattivo tenente (1992)
  • Il sentiero del pino solitario (1936)
  • Bentornato Pinocchio (2007)
  • Asini? No, poker d’assi, anche un po’ “pork”, abbasso gli orchi, evviva gli occhi!


    25 Oct

     

    Avevo promesso che non dovevo anticiparvi altro del Travis Bickle 1979 “playlistarolo”, affatto “polistirolo”, invece son un gran bugiardo, e vi piazzo l’ultima(?) anteprima del mio “archivio”, cronologicamente nuovissima, quasi di zecca o da “Zecchino”.

    Decollai a Collodi, con una mia vita “a tracolla”

     

     

    Detesto i quattrocchi, che mi reputan un “testardo”, adoro le conduttrici gnocche (anche con Michela Quattrociocche “aquilenerei” di “Jocca“), e son Lu-Cigno-lo del mio “Pinocchio” che ama i “balocchi”

    Verrà il Tempo in cui “friabilizzerò” le mie ossa in deliranti disperazioni, angosciose agnizioni in uno spettral “paesaggio” dell’anima, per ora la passeggio, anzi, la “pastello”.
    Sì, fra qualche an(n)o, quando saran trascorsi molti e più giorni, evocherò me stesso in una “vecchiaia” nel “mare“, per ora “La Mer” m’immalinconisce e le preferisco la marmellata delle “mammelle”.

    Non mento mai, anche quando dico le bugie e son “sfregiato“.
    Pregiatissima Lussuria di chi s’invoca nella f… a, e focalizzerò sempre più le mie foghe senza attorniarmi di “foche”.
    “Cannibalizzo” la vita, attento a non “semiotizzarla” in analisi geriatriche da scolaretti viziatelli “imbacuccati” in troppe teorie da Umberto Eco. Datemi Valentina Vargas e sarò il suo “apprendista” Adso da Melk, uno Slater “seniorizzato” dal Sir Sean Connery, sino a quando non scopre il Sesso e se stesso in questo “verso”.

    Mentre, quasi svanito, cadevo sul corpo a cui mi ero unito, capii in un ultimo soffio di vitalità che la fiamma consiste di una splendida chiarezza, di un insito vigore e di un igneo ardore, ma la splendida chiarezza la possiede affinché riluca e l’igneo ardore affinché bruci. Poi capii l’abisso, e gli abissi ulteriori che esso invocava.

    Sì, mi sverginai affatto rosa, molto “rosseggiandoci”, quasi un sorseggio al rosé, alcoli(sti)camente “anonimi”. Forse, solo agoni(stici).

    Taluni, vole(v)an che non “la” volessi e in “essa” non m’involassi, e “scelsero” per me un ritratto da martire urlante, come il romanzo-Nobel che citai “addietro”.
    È, avanti, a cui bisogna “tender(lo)”, senza “intenerirlo”.

    A quel tempo ero affamato e andavo in giro per Christiania, quella strana città che nessuno lascia senza portarne i segni…

    Dai su, lasciam pure le “stigmate” alla fame d’un antieroe di Knut Hamsun.
    Eh sì, qui si “banchetta” di occhi e il mio Sguardo permea le mie finestre sul cortile, non contentandosi d’una Grace Kelly “a mezzo servizio” nella “cucina”, vogliamo anche i (ser)vizietti della vicina, noi siamo uomini-binocoli, un po’ “cocchi” che san ove posar l’occhio.
    Detta, più papale papale, senza falsi “papismi”, le iridi alimentan la fiamma ormonale che al culo sa che va sempre associato l’ardente “bastoncino”.

    Credo che non avrò mai un figlio “di sangue”, ma adotterò un russo con i capelli rossi.
    E lo chiamerò Nicola.
    Come dite? È un nome da “terruncello?”.
    Macché, è il nome esperanto (che si fotterà Gomez Esperanza… dopo aver letto “Grandi speranze”, capì ch’era meglio “beneficiar” subito delle sue gioie nelle lenzuola), il quale concilierà tutte le “guerre fredde“, perché unisce il fascino Nicolas di Las Vegas, da “perdente” debosciato e carnascialesco, al Nikolai di Cronenberg, Uomo “imbattibile” nella sua “Perestrojka” fallimentare che “mafieggiò” in America dimenticando le “guglie” di Mosca.

    Io non sono un Uomo che merita i baci Perugina, merito una patonza di Perugia che non indugi…

    Applauso!

    Firmato il Genius
    (Stefano Falotico)

    1.  La promessa dell’assassino (2007)
    2.  Via da Las Vegas (1995)
    3.  Pinocchio (2002)

     

     

    Rec-Genius


    21 Oct

     

    Qui troverete, in ordine sparso e dunque cronologico, alcune delle migliori recensioni della mente del Genius, cioè soltanto due con un assaggio della terza, com’è consuetudine del “Non c’è due senza tre”.
    Le chiameremo le Rec-Genius. Due pillolette, così!

     

     

    Prego, accomodatevi…
    Pinocchio di Roberto Benigni… Un capolavoro, sì, bestemmio, lo è.

     

     

    Ghost World di Terry Zwigoff… Perfetta ri-costruzione di un periodo.

     

    Ah, Pinocchio..

    La storia di Benigni, la storia di un Uomo in fuga dalla famiglia, nucleo ammorbante e distruttivo delle pulsioni, in fuga dalle istituzioni, quella burocrazia che mortifica la soggettività in sviluppo, in fuga dalle responsabilità e dai doveri, in fuga forse da se stesso e dal suo sembiante, un burattino stralunato e giocoso a cui gli altri non riescono ad associare un volto adulto ma solo una figura scissa a metà fra l’essere e il non essere. La storia di un Uomo furbo che sa cavarsi d’impaccio dai Mangiaf(u)oco grassi e giaculatori (Giuliano Ferrara?), la storia di un Uomo combattuto fra il calore affettuoso delle origini umili ma osteggiato dalla sua incontenibile ansietà di divenire e crescere, la storia di un Uomo che è stato tentato dal vizio e dal rischio ma che ha scelto comodamente il compromesso (equilibrata qualità senza disdegnare il pubblico dei soldoni facili). Pinocchio è Lui, il film è solo un pretesto per raccontarci la sua anima, la sua ombra, quel ricordo di ciò che avremmo voluto essere ma che purtroppo non possiamo essere. Siamo solo esseri “normali”  con le nostre peculiarità. E Lui, nel bene e nel male, è Roberto Benigni.

    12 ottobre 2002, 00:55 (sì, mi piace ricordar l’esatto momento in cui, tale, la memorizzai nel Net).

     

     

    Ghostizziamoci…

    Ghost World. In tanto piattume contemporaneo, ecco un film che spacca. Ghost World, il Mondo fantasma, il Mondo lobotomizzato di anonime identità, di asettici blockbuster e commessi annoiati, di punk nichilisti di lebowskiana memoria, di stucchevoli padri prodighi di consigli, di un’adolescenza frustata dai logos degli adulti, l’abominio dei compromessi, delle scelte indotte, della caduta libera senza ricevuta di ritorno in una tela fatta di villette a schiera e giardini tinta unita. Le uniche ancore di salvezza sono la musica, l’alienazione contagiosa di un “perfetto cretino”, uno che ha visto lungo, uno che non vuole perdere la memoria, uno che colleziona farmmenti pop del passato per colorire la sua spenta esistenza, un uomo con le palle senza una Donna!!! Le panchine e i vecchi rimpianti, l’autobus scivola via nella Notte, e almeno per un attimo ci (s’)illude che domani saremo in un mondo migliore. Cult.

    22 novembre 2002, 21:03 (leggasi, il “promemoria” sopra, vale lo stesso discorso d’anni scorsi, non ancora trascorsi).

     

     

    Chi vince fra questi grown up?

    Il “bambin” Benigni o l’ancor “bimba” Scarlett “birchata?”.

     

       A giudicar da come l’han pompata, s’è “impoppita” bene “la” Johansson…
    Vedere per credere, e per “toccare”.

     

     

    Sì, di fronte a cotanto ben di Dio, ecco la “recensione” del terzo film, il mio, intitolato Storia d’un fedifrago.
    Trama: un Uomo scalzo, si rende francescano e, ad Assisi, incontra la monaca di Monza. Riscoprirà la zona rodriga della figa, promettendosi a Lei in “sposo“.
    Fine. Pellicola avvincente d’un “vinto” che banchettò nelle sue mutande “al vino”. Oseremmo dire… capolavoro imperdibile.

    Se Carmelo Bene si “pinocchiò”, il Falotico si “burattinizzò!”.

     

     

    Eh sì… non vi son dubbi nel “naso”.

     

     

     

    Firmato il Genius

     

    Genius-Pop

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