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L’idiotismo romantico di un uomo poetico e cinematografico, di una balena bianca nell’oceano degli ingordi e degli invidiosi, evviva il Boss


21 Jun

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jokerspringsteenSì, gli anni sono passati.

Ma Bruce Springsteen rimane il mio cantante preferito. Posso stimare il compianto David Bowie ma il Duca Bianco era anche un cazzone troppo esuberante e damerino per far sì che io possa lodarlo più di quanto, spesso, riascoltando i suoi hit, mortalmente mi annoi e mi abbia sinceramente in passato annoiato, rotto le palle a morte, diciamo.

Tom Waits è sempre stato un gigante ma anche lui sovente m’induce a un’eccessiva ruvidezza che, in fondo, mi scontenta.

Non (ne) parliamo poi di quel frocio di Eddie Vedder. Le sue canzoni fintamente grunge in verità sono piagnistei per ragazzine col ciuccio in bocca, per sessantenni frustrate che sognano scopate selvagge nell’America che hanno visto col binocolo, sono adatte, calzano a pennello per quei vomitevoli bifolchi fighetti che se la tirano da anticonformisti rozzamente affascinanti.

Merda pura, passabile solo perché Sean Penn seppe suonargliele per Into the Wild. Contenendone gli eccessi insopportabilmente melodrammatici.

In tanti hanno cercato di dissuadermi dal perseverare a cavalcare la mia strada, spesso solitaria, innervata nella malinconia che voi, superficiali e avari, reputa(s)te amara e invece io ritengo l’unico attracco cheto per la mia anima diversa e non ancora (s)consacrata al puttanesimo sempre modaiolo e soprattutto civettuolo.

Io ho cercato ostinatamente, zigzagando alla meno peggio nel frastuono, nel ciarliero cicaleccio dei vostri malvagi pettegolezzi lerci, di disancorarmi e disarticolarmi, perfino disamorarmi, dunque innamorarmi, disconoscendo la mia autostima, dell’immagine di diverso che mi appioppaste in tempi non sospetti quando la mia emozionale alterità poteva essere scambiata per patetica timidezza, per fobia sociale da in(s)etto, per carenza di palle da allev(i)are a botte di machismi fascisti, per ritrosia vigliacca incapace di accettare le responsabilità di un mondo che, giustamente, tuttora perlopiù disgusto con sentita visceralità menefreghista. Sì, dal ventre caldo delle mie profonde vene oserei dire arcane, non voglio più stare ad ascoltare il vostro abbaio codardo, ché voleste sempre la vostra visione del mondo inculcarmi coi ricatti e la più capziosa suggestione falsamente pedagogica, invero ampollosa e figlia delle vostre pecche psicofisiche, bensì desidero, a tamburo battente e a spron battuto, inseguire l’onda del vento emotivo del mio ventriloquo e interiore, impercepibile monologo da apparente sordomuto. Sì, dal rombante silenzio mortifero, dal frastuono iper-spettrale delle vostre giornate anonime, vi odio, mi perdoni iddio, e odo riemergere in gloria il mio fantasmatico essere lunatico che s’incanta ad auscultare il cardiaco battito del mio taciturno bisbiglio, il mio crescente, esplosivo latrato repentinamente innalzatosi a melodia cangevole dei miei mille umori immutabili, alcuni sostengono che si possa dire anche immutevoli, incastonati nella mia anima oggi piangente eppur senza rimpianti, a differenza di voi, ritardati immutabilmente deficienti ché sublima(s)te le perdite con la retorica nostalgica più alla buona, in quanto nessuna scelta rinnego, anzi erigo a monumentale basamento granitico del mio spirito intimamente adamantino, immacolatamente felino in mezzo alle cattiverie permanentemente vostre da tristi volponi senza coglioni. Eppure rimanete, in parole povere, degli emeriti coglionazzoni.

Se non vi piaccio, a me il Boss piace.

Se non ti sta bene, ti asfalto.

 

di Stefano Falotico, uomo che non cambia manco se Patti Scialfa gliela dà.


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