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La La Land secondo Paolo Mereghetti


31 Aug

The Hateful Eight – Mereghetti e il suo Corriere stroncano Tarantino, delusione!


29 Jan

Ma che passa per la testa a Il Corriere?

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Un western interminabile, lungo tre ore, in cui il regista americano concentra tutti i suoi vezzi: un catalogo delle sue ossessioni e manie, alla fine senza una vera ragione

di Paolo Mereghetti

No, The Hateful Eight non è un «grande» Tarantino, nonostante l’Ultra Panavision 70 (millimetri) e una durata che supera le tre ore. È un film molto «tarantiniano», dove ci sono tutti i suoi vezzi e le sue specificità, ma diversamente da altri suoi titoli quelle caratteristiche qui sono sprovviste di una qualche necessità e smascherano un vuoto (d’ispirazione?) che il gigantismo della produzione e dello schermo finisce per rendere letale.

Grazie a una simpatica e contagiosa invadenza, e a una conoscenza mirabolante del cinema di serie B, il regista ha saputo conquistare un posto di primo piano dentro un cinema che sembrava aver perso ogni bussola e che preferiva sottolineare i propri limiti invece che cercare di superarli. La citazione, il «plagio» sistematico non era più il debito che il cinema di oggi aveva con quello di ieri ma solo la confessione di una serie di guilty pleasure, l’elenco potenzialmente interminabile dei propri giochini preferiti. Con tre inevitabili conseguenze: a livello di «contenuto», la perdita di un qualche sguardo unificante (non si dice morale) capace di mettere in fila i diversi gradi di interpretazione e di senso; a livello di «forma», una centralità sempre maggiore data (o meglio: lasciata) ai dialoghi, gli unici capaci con qualche salto mortale di dare un ordine alle scene, che non rispondono più a una vera logica narrativa ma solo al proprio gusto della citazione o della sorpresa. E a livello di regia, il dover ogni volta accentuare la forza delle singole immagini per accecare lo spettatore e stordire la sua voglia di razionalità e di gusto.

Se questo modo di procedere era abbastanza evidente in Kill Bill e in Grindhousee meno in Bastardi senza gloria e Django Unchained, è perché la struttura di genere — il film di guerra e quello storico — aveva imposto a Tarantino dei «limiti» che in quest’ultimo western non ha voluto più rispettare. Troppo preoccupato (forse) di voler rimescolare le carte di un genere di cui ha sempre preferito gli epigoni «revisionisti», italiani in particolare, e troppo compiaciuto (sicuramente) della propria scrittura e del proprio gusto per le immagini iperrealiste, The Hateful Height è diventato un catalogo delle proprie manie e ossessioni, ma ha perso la forza che l’autentica messa in scena è capace di trasmettere alla macchina-cinema.

Una «perdita di senso» in cui non è estranea la scelta di girare (in pellicola) nel formato Ultra Panavision, quello che impone all’immagine una base di 2.76 volte più lunga dell’altezza. Il formato di Ben-Hur, di Gli ammutinati del Bounty e La battaglia dei giganti, film che hanno fatto delle riprese in esterno la loro carta vincente. In The Hateful Height invece Tarantino sfrutta molto poco l’immensità degli spazi del Wyoming per imprigionare i suoi protagonisti prima in una diligenza e poi in un emporio. La pellicola 70 mm (in Italia visibile solo in due locali, a Melzo e Bologna) restituisce una straordinaria profondità all’inquadratura ma quando serve solo per mostrare un occhio tumefatto, un paio di baffi molto folti o una chiostra di denti ultra bianchi, ti chiedi se non sei davanti a una montagna che ha partorito solo un topolino.

E così la storia di un cacciatore di taglie (Russell) che viaggia con la donna che deve consegnare alla giustizia (Jennifer Jason Leigh) e che durante una tempesta di neve accetta di dare un passaggio sulla propria diligenza a un altro bounty killer (Samuel L. Jackson) e a un sedicente sceriffo (Walton Goggins) ma poi è costretto a cercare riparo per la tormenta in un emporio dove lo attendono quattro persone — un ex generale sudista (Bruce Dern), un messicano (Demian Bichir), un boia (Tim Roth) e un misterioso cowboy (Michael Madsen) — diventa una versione verbosa e splatter dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie: chi non è quello che dichiara di essere e vuole solo impedire che la donna finisca sulla forca?

Per saperlo dovremo sorbirci tre ore di interminabili dialoghi, compiaciuti e francamente poco divertenti, dove l’unica cosa che interessa a Tarantino sembra la distruzione di ogni possibile mitologia, western o nordamericana fa poca differenza (ne fa le spese anche Abramo Lincoln). Ma senza un vero perché. E soprattutto senza un vero interesse.

Federico Frusciante e Spielberg – (Non) ha tutti i torti, qualche torta in faccia


28 Dec

MunichFrusciante

Egregio amico Frusciante, dopo mesi di astinenza dai suoi video, la volontà altissima del Cristo, se (r)esiste, ha voluto che cercassi e trovassi tal suo cortese, pregiato video su Spielberg, che LEI, esimio, bistratta, e su cui centra molti giudizi per i quali siamo concordi, dei quali abbiamo letto e imparato a menadito le recensioni del Mereghetti, su cui molte/i di essi, come si capisce, combaciano con le sue parole, talvolta rubacchiate dal Paolino. Dissento, infatti, su Munich, così come parimenti fa Paolo nel suo celebre, non so se celebrato, Dizionario, poiché considero Munich opera di fascinoso splendore e attimi folgoranti, quanto molto noiosa in alcuni spezzoni e con un Daniel Craig al solito piacioncello prima che diventasse il James Bond più odioso della Storia. Sul resto siamo in perfetta sintonia.

Riproponiamo dunque, però, qui il suo amato-contestato video. De gustibus.

Paolo Mereghetti stronca parzialmente Everest, Cinema che non svetta né precipita, rimane arrampicato agli specchi della mediocritas


03 Sep

ELENA Watson?

Povera EMILY!

Belén lascia De Martino per Mereghetti!


14 May


 

Notizia vera: Belén Rodriguez lascia De Martino per Paolo Mereghetti

Nelle prossime ore, la notiziona farà capolino su tutti i giornali, e riempirà riviste e quotidiani d’Italia.

L’argentina modella Belén, colei che da noi ha trovato l’America, sculettando alla mercé del primo “offerente”, insomma un’orfana che ci “sa fare”, è da oggi ufficiosamente la nuova fiamma del famoso critico da “Dizionario”, l’eminente Paolo Mereghetti.

Vi narro il retroscena che ha portato, nelle braccia recensorie di Paolo, la Rodriguez “popolana”, molto polla per “troppa carne arrosto”. Anche se, invero, ultimamente ha perso qualche chilo(caloria), che le estorse il “caloroso” Corona dal braccio “destro” della prigione “rugginosa” al ruggito di “Belena è mia, aiutami Moby Dick, la bianca balena! Sono prosciugato in mutande!”.

Ieri Notte, Belén e il compagno Stefano, oramai ex, si recarono al “celebre” ristorante romano “Il Satanazzo”, per una cena a base di “Mi fai sangue, fra queste salsicce rosolerò di linguine il tuo salame con del carpaccio, poi ti donerò il mascarpon’ dolcetto con dei piedini da leprotta”.

A pochi metri dal loro tavolo, in posizione hitchcockiana come “stratega” del metteur en scène, di “cenette” da buona forchetta, quel marpioncin’ del Paolino-psycho.

Critico della mutua, divenuto ricco grazie alle sue “analisi” filmiche imbastite di “sveltina” con delle mignottine fra un Crash di Cronenberg sottostimato e una sovrastruttura alla von Trier d’“aria fritta” per genial vender bene il suo “tutto fumo”. Mise, eh sì, a “frutta” la sua scimmia neuronale da “banana” onanista-virtuale.

Ubicato vicino al cantuccio, sgranocchiando dei grissini torinesi con prosopopea destrorsa da milanese orso, Paolo ordinò della “puttanesca” al peperoncino davvero piccante, una damigianina per meglio “pigiare” d’occhiolino finto strabico su gote sbronze e faccia paonazza da stronzo, il filetto verde e “Famo du’ conti” da Conte Max, togliendo il caffè allo scontrino m’aggiungendo la mia battutina “frizzantina” in attesa di “stapparlo” alla battona Belenottera “strappata”. Una che, di “spumante”, ti rende la vita champagne sul “bagnarla” da “botte” di Capodan(n)o.

Paolo, osservando la die(ge)t(ic)a dei due piccioncini, colse la sua fava di fuca e la sua fame di figa. Più che quattro stellette a Il cacciatore di Cimino, proprio un bel volpino per la “cerbiattina”, con tanto di “mirabile”-cerbottana.

Mangiò in fretta e furia, ingurgitando per (“love me…”) tender poi, con calma, l’imboscata da “boschetto” del condimento alla Rodriguez. Sì, anche Robert nella sua mente male-fica, appunto, da Planet Terrona ma abito in Settentrione. Che “torrido” terrore!

Belena trangugiò quelli alla boscaiola infatti, e Stefano sbavò, “adorandola” nel ballerino con un timballo fra le tagliatelle delle sue “cotolette”.

Mentre poi entrambi si ficcarono… in bocca un profiterole, Paolo era già “fuori” nello “strofinarseli” da caldo cioccolataio…

Stefano pagò e “accomodò” Belena a prendere una boccata.

La lasciò sola con le suolette… e fu allora che Paolo la “imbavagliò” e la sbatté nella sua roulotte.

Con pose da sanculotto…, un rivoluzionario per “ghigliottinarla” a gogò in amplessi estremi. A collo se la scopò di bru(t)to alla Bestia. Senza preliminare “alla francese”, ma con quel tocco “nobile” da marsigliese. Libera e sciolto in “lei” legata. Alla pummarola in Coop!

Il suo “marzapane” grondò di “panna montata”.

Lei, inizialmente avvelenata, contattò uno della Sinistra per denunciare quest’anomalo “Corriere della Sera”.

Se si fosse venuto… a sapere che Belena con Mereghetti dondolò le “altalene”-donnaiolo, ne sarebbe andata a puttana di “carriera”.

“Fallo” sta che Belena, dopo il momentaneo shock (e scotch…, sia come alcolizzata che come “adesivo” per “tapparla”…), ha preso la sua definitiva decisione.

Del Paolo, nonostante la “strinse” nell’incoscienza del suo orgasmo “finto”, ha scoperto essere un amante molto più “fra le gambe” di De Martino. Stefano è da “ristretto”.

Perché Mereghetti Paolo dà alla “donna” il Martini con il “fascino” laido della sua “mortadella” l(omb)arda.

Mereghetti Paolo


18 Jan

“Mereghello”, di righelli”, Paolo, da sputar poiché poco pulito ma imputtanito

Racconti di uomini “duri” da “Ti sp(i)ezzo in due”, sì, degli spezzatini, me li cucino nelle grigliate, affumicandoli al fulmicotone, eh già, ho il capello cotonato, e non sono idrofilo. I miei cappelli si scappellano, mia signorinella, prego, ora voglio un inchino ché, chinandoti, a me va innalzato nel cavallo

Chi è Tom Hardy? Un tizio grande e grosso? Posso dirvi che pare un orso ma non è il cattivo George Foreman, anche se viene alle mani Ali da “Beccatelo qua” nel Mohammad! Sono Maometto e tutti li ometterò!

Di mio, la vita va. Ove non so, e chi lo sa? Tu lo sai? Allora sei un incosciente. Oggi, dieci donne t’allettano, domani ti potrebbero crescere le “tettine”. Come? Ah, non ne sei a conoscenza.
Fai male. Apri il “bugiardino” della lozione al tuo bulbo erogeno, se abuserai d’erezione, potrebbe il metabolismo giocarti lo scherzo cattivello di poco “trivellare” ma, di mammelle, sessualmente voltar nell’alt-r-o da te, “odiernemente” amato, domani da appiattire, speriamo non di cervello.

Ah, la plastica. La mia vicina di casa, Lucchi, mise il lucchetto al marito ma si cuccò un Cancro al seno, appunto. Al fin d’evitare, dopo l’evirazione violenta al marito “violetto” di dolore non più “levitante”, che qualcuno potesse v-i-olarla, volle che le amputassero un capezzolo per impedire l’asportazione, nonostante la chemio…

Mah. L’operazione riuscì, al marito “entrò” del tutto, insaccato nel sacco a pelo a non dormirle sopra, ma la Lucchi desiderò poi che prendessero il “coso” del consorte per appiccicarlo nella zona mancante.

Che casino…, roba dal nuovo film di David Cronenberg, The dead zone della zotica nello zoo dei mutamenti d’una storia violence con la mosca dell’amante, anche lui non tanto piccante ma impiccato, con tanto di Spider sul soffitto delle ragnatele alla covata malefica.

Titolo wertmulleriano, altro che Travolti da un insolito destino…

Eh sì, John Travolta ballò atletico, ora ha la pancia e due coppe al posto dei pettorali.
Una pulp fiction. Ce “lo” vogliamo dire? Diciamocela!

Pochi attori contemporanei mi “soddisfano”. Uno di questi è Tom Hardy.

Interpreta, quasi sempre, il personaggio d’uno che ne ha prese tante, non solo metaforicamente, vuole sfondare ma vien “perforato”.

Accade in Warrior, rivisto ieri sera. Un cazzo di film, miei cazzetti.
Non è roba da calzette e calzoncini. Né da canzoncine.

Abbiamo un Nick Nolte distrutto dagli errori. Mollò la prole e poi ecco che vuole salvarla di “capra e cavoli… a merenda” per bere una birretta da ossesso sciagurato nel complesso di colpa da “Facciamoci una bevuta, vedrete che, ubriacandovi, non vi suiciderete”. Sua moglie morì in ospedale mentre lui era lì a brindare con qualche vacca, spedì Tom in guerra e l’altro a lezioni di Fisica, fregandosene del suo fis(i)co.

Ma è un grande Uomo. Impazzisce di vergogna e non vuol starci a lasciare un’altra volta i suoi cari nel fango e nelle poltiglie. Che si diano alle “polpette” di fegati spaccati… di pugni.

Al che, rimpatriata, nonostante le cicatrici di tutta l’allegrissima…

Allena Tom, alienato irrecuperabile, sprona Joel, Leone con una Donna commovente, soprattutto all’inizio del film, smutandata per infarti quasi migliori delle emozioni provocate nel finalone.

Russi alla Ivan Drago, mohicani, mosse carpiato su smottamento della testa sbullonata, prese, “Acchiappa l’occasione al volo”, presidi scolastici che tifano per la “lott(eri)a”, e un simpaticissimo trainer semi meridionale nell’America più industriale.

A parte gli scherzi e, tralasciando qualche ingenuità, un gran bel già classico.

Un film d’amalgama.

Una domanda, però. Io tifavo per l’altro, Tom, appunto.

Chi cazzo ha deciso che doveva perdere? Non aveva già perso abbastanza?
Che ci frega di Edgerton? Ah, gli avrebbero tolto la casa. Capisco. Sì, ma Hardy non ha adesso neanche più la capanna dello zio…, manca la caparra, sotto la panca degli addominali la capra crepa, e rimane pure con le costole fracassate e la spalla slogata.

Ah, capisco. Però ha avuto le “palle” di resistere.

La perplessità resta.

Racconto numero 1, numero tre, se lo rapportiamo a quello d’ieri. Ieri, o dopo il dì che fu, quel che importa è se sarà redditizio. Che poi attizzi, son “falli” che riguarderannono le donne che guardan solo a “quello”. Cos’è quello? “Lo” incontrai prima di castrarmelo, poi si disincagliò da solo, dicesi autoerotismo, dunque fu dappertutto, un po’ in una e poi nell’altra. Metà mai, m’interessa la meta, non la “mela”

Sottotitolo: un guercio che si credeva Tony Montana e finì a letto con una montagna di debiti da drogato, “smitragliando” offese al suo cane. Ma anche il cane si ribellò, abbaiò, lo disarmò e, da quadrupede, si tramutò “impuntato in piedi” e non in punte, come le sue puttane, accusandolo di pedofilia dietro un notaio che scoprì i loschi affari del suo padrone.

Questa è la storia di un “tozzo” chiamato Fabrizio, dal soprannome “Er fringuello Aristogatto”, non aristocratico ma per tutte le gatte più “alla romana”. Sì, ogni Notte le serviva della sua “ostrica”, dopo averle concupite all’osteria “Hostel, qui i conti son tosti, ma ogni pollastrella, pagandoci, ve la rosolerete arrosto, basta non farsela addosso se vi chiederemo di più”.

Fabrizio, detto anche, fra i suoi mille nick, “Il fabbro delle labbra”, “Il farmacista della cubista”, “L’ostetrico che le spolpa fin a ischeletrirle”, e appunto “Il puerpiero delle pere”, è, adesso non ne sarei sicurissimo dopo che di “sicure” s’ammalò di veneree da “assicurato” all’assistenza anche dei suoi genitali, sì, “gelato”, un “uomo” che sapeva il fatto suo.

Dopo studi davvero diligenti e raccomandazioni al dottore (di)dietro le civette sul comò per una vita più comoda, si garantì un lavoro come portaborse del garante della privacy.
E, così, poté (un “grande” poeta, eh già) “potare” tutte le “selve” da “impomatare”.
La donna va matta per uno che rispetta il suo “corpetto”, e “la” protegge da eventuali “mani” lì intenzionate di “tizzone”.

Fabrizio, grazie a questo “lascia… passere”, tutte se le passò, fra una ripassatina e un Passato da oscurare nelle “scure” da imbiancare.

Se ne montò tante, come la sua testa, e, oltre alle patonze-patatone, tanti soldi a palate fece.
Che merda. Che “culi”.

Chi, oggi, ne fa le “feci?”. Tu facesti? No, non fosti sfacciato come Fabrizio, che ce l’ha sempre rizzo fra ricce e lisce e a pelo da pettin(g)-are. Almeno questo… ac-cadeva sin all’altro Giorno.

“Sorgeva” dal tramonto all’alba, ma non “pene” gliene sortì con la psichiatra delle sue “geriatrie”, Donna più dura di ogni Lee Ermey.

Lei lo fregò in codesti, “er-t-i” termini. Lo sedusse, recapitandogli a casa una foto di Lei nuda, con tale “augurio”: “Caro, spero che mi garantirai asilo nella mia aiuola. Fai presto, ma vieni… con calma, e pazienta, sono una che adora i preliminari”.

Ma glielo tagliò.

Fabrizio, eccitatissimo, arrivò infatti a casa sua, in via “Amami d’anima e soffiami con dolcezza, vesto Armani mio a-r-matore”.

Ma, appena aprì la porta, proprio mentre stava pregustando di “aprirgliela”, tutti i mariti di coloro che s’era trombato, in vari sen-s-i, imbracciarono i fucili.

Al che, Fabrizio assunse davvero il coraggio delle proprie azioni”, si slacciò la cerniera e gridò: “Sono Tony Montana! Il mio è già fuori, non intendo ritirarmi. Mi tirerà anche da morto. Ammazzatelo e ne stramazzerò altre, ribaltandole sotto e sopra nei sottosuoli”.

Lo uccisero, ma pare che la sua “legge(nda)” non detti più regole neppure all’Inferno, ove Lucifero “lo” usa come detersivo quando fa il bucato alle fedifraghe cadute nelle sue “fiamme”.

Ora, vi chiederete che c’entra il cane e la storia della pedofilia?
Pare che tutte le “donne” ebeti, che ebbe ove di “crema” crebbe senza mai credere a nulla, fossero delle cagne.

Ho detto tutto.

Anzi no…

Racconto contro Mereghetti, il critico delle “paperelle”. Infatti, mentre guarda i film, gioca nella vasca “idromassaggio” delle Escort del “Corri-ere” ché scoreggio ed evacuo cazz(at)one.

Leggiamo le stronzatine che, infatti, seguono di susseguirsi senza punteggiatura. Ecco Paolo, anziché (ap)puntare di stellette, io userei meglio le virgole. Qui sei diventato uno schiavista dell’analfabetismo più incatenato senza regole grammaticali.

Lei, più che uno sceriffo con la stella di latta, mi sembra un lattaio della “critica”. Dai, Paolo, un consiglio da “conigli”: “Prendi la Bignardi e arrostiscila al Jamie Foxx, detto la volpe per l’uva delle vulve”.

Forse dalle «catene» che lo imprigionano bisognerebbe liberare anche il film di Tarantino, non solo il suo protagonista nero. Perché prima ancora che sbarchi sui nostri schermi, Django Unchained è già stato bell’e imprigionato dentro una gabbia di interpretazioni e decostruzioni che ne hanno fatto l’ultimo erede del western italiano e l’ennesimo centone di citazioni, allusioni e strizzatine (o strizzatone) d’occhio. Con un’operazione, bisogna aggiungere, quasi esclusivamente italiana, dove il regista di Pulp Fiction sembra condannato a essere l’ultimo alfiere di un post-modernismo cinematografico che non sembra aver più corso da alcuna parte.
Non stupisce l’erudizione e il piacere della caccia alla citazione, perché è lo stesso regista che si diverte a mettere nel film omaggi e «prestiti», dalle musiche che aprono e chiudono il film (quelle originali di Luis Bacalov per il Django di Corbucci, sui titoli di testa, e di Franco Micalizzi per Lo chiamavano Trinità…, su quelli di coda) al dialogo con Franco Nero sull’esatta pronuncia di «Django» (che quel personaggio aveva interpretato nel 1966) e a tanti altri ancora. Ma che questa debba essere l’unico metro di giudizio di un film e non per esempio la «superficialità» per cui nelle prime scene il freddo a volte fa condensare il respiro degli schiavi e a volte no… beh, la cosa mi sembra per lo meno discutibile.
Certo, i film di Tarantino ci hanno abituato a una libertà di trovate e invenzioni che non ha paragone nel cinema contemporaneo, dove la logica non sempre è di casa. In Bastardi senza gloria metteva addirittura a segno un finale che ribaltava ogni verità storica sulla Seconda Guerra Mondiale e anche qui le libertà che si prende non sono poche. E più che sul filologicamente corretto «negro» che tanto ha scandalizzato Spike Lee (anche nel «corretto» Lincoln di Spielberg si usa ovviamente «negro») ci sarebbe molto da dire sulla verosimiglianza dei «combattimenti tra Mandinghi». Spesso il divertimento per lo spettatore nasce proprio da qui, dalle libertà che il regista si prende rispetto alla struttura codificata del genere.
In un processo creativo, però, che trova la propria ragione e il proprio metro di valore (almeno per me) nella coerenza dell’invenzione e nella forza della creazione. E non solo nella quantità delle citazioni.
Per questo Django Unchained mi sembra meno divertente (e interessante) di Bastardi senza gloria, perché dopo un inizio folgorante finisce per restare schiavo della sua logica «revisionista» e si avvita in una seconda parte a volte piuttosto ripetitiva e deludente. Certo, l’inizio, con quello strano dentista tedesco che ferma nel mezzo della notte due mercanti con i loro schiavi in catene si stampa subito nella memoria: il dottor King Schultz di Christoph Waltz, aulico nei modi ma sbrigativo con le armi, è uno di quei personaggi talmente irreali da diventare subito mitico. Così come lo schiavo nero Django (Jamie Foxx), a cui Tarantino regala una coscienza di sé e del suo «ruolo sociale» che sarebbe piuttosto arduo spiegare antropologicamente e storicamente (il film è ambientato nel 1858, «due anni primi della Guerra d’Indipendenza»).
Insieme però diventano una di quelle coppie sorprendenti e mirabolanti che si adattano perfettamente alla rilettura del western che può interessare Tarantino (e di cui abbiamo un’ulteriore prova nella presa in giro dei membri del Ku Klux Klan. Una scena degna di Chaplin). Così, trasformati in una temibile coppia di cacciatori di taglie («carne per contanti», come spiega con crudo realismo Schultz a chi quella logica l’aveva vissuta sulla propria pelle di schiavo comprato e venduto), i due nuovi amici attraversano un West dove le apparenze hanno perso ogni valore (uno sceriffo può essere un bandito ricercato) e bisogna imparare a rimettere in discussione i propri sentimenti (come nell’episodio del padre ucciso davanti agli occhi del figlio).
Fin qui è il «vecchio» mondo tarantinesco dove si sono persi i parametri di riferimento e bisogna adattarsi per cercare di sopravvivere al caos. Ma nella seconda parte, quando Schultz e Django si mettono alla ricerca della moglie dell’ex schiavo, Broomhilda (Kerry Washington), comprata dal più razzista di tutti i coltivatori razzisti, Monsieur Candy (Leonardo DiCaprio), l’inventiva del regista-sceneggiatore mi sembra perdere più di un colpo. Si fa aiutare da una più accentuata esibizione di violenza (fatta intuire più che realmente mostrata, come nel combattimento tra i due Mandinghi o nella punizione dello schiavo fuggiasco D’Artagnan) ma il risultato resta ben lontano dalle cose migliori della sua carriera. Il debito che paga visivamente al cinema di Hong Kong (come ha dimostrato lucidamente Alberto Pezzotta su «la Lettura» di domenica 13 gennaio) è molto alto ma meno funzionale alla logica del racconto. E il colpo di scena di Schultz che innesca il massacro finale rischia di sembrare – rispetto alla logica precedente del personaggio – fin troppo gratuito. Lasciando l’impressione di un film dove Tarantino si è divertito a giocare con i generi e i miti più di quanto potranno fare i suoi spettatori.


Firmato Paolo Beghelli, la lampada salva la sua vitina.

Tale e quale a quella di Aladino. Aladino almeno fu alano nelle luccioline, Paoletto invece ha un pisellin…

Domani, dopo aver visto questo Tarantino, potrei anche stringerle la mano.

Al momento, mi sento di staccarle le palle.

Perché al mio mulo non piace la gente che ride di cos(c)e che non sa.

Ora, vi domanderete voi: “E il racconto dove sta?”.

In Mereghetti che non sveste, neppure di sveltina, le “negre”, beve il Negroni e siam noi tutti incazzati neri…
Ora, mi domanderete ancora: “Ma non c’è una trama?”.

Risposta: “La trama ficcatela su per il culo. David Lynch ha deciso di girare un altro capolavoro con Laura Dern. La trama si farà da sé”.
Perché mai sa(li)rà?

Ora, oggi un mio amico di Facebook ha inserito un’immagine che non avevo mai visto né “toccato con manubrio”: Laura Dern che, sul set di Cuore selvaggio, tasta i testicoli del Cage Nicolas.

Laura pare che si fidanzò con Nic, tralasciando Bobby/Willem Dafoe e pure Piero Pelù.

Però, però, perché?

Lynch girò la s-cenetta, per il film che vedremo, immaginandolo d’oniriche astrazione nel bulbo oculare strabuzzato.

Lynch è occhio “lupino”, cupido e arrossò la nostra “Laurina”.

E non mi pare che sia “laureato”.

Della serie, i geni come me non han bisogno di pararselo.

Ma sapere come metterlo, anche in modo “surreale”.

Come? Dite che ha la Laurea? Davvero?

Allora a Laura, parafrasando Totò, ci pen(s)o io.

Tre film che valgono la tarantinata, a prescindere se Lei ti cingerà, se ti stringerà, se sarà ristretto espresso o diretto da dritto.

Di mio, so che son retto quando ergo di verga.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Per un pugno di dollari (1964)
    In un paese ove ci si fa la guerra di pugnette, arrivai io col poncho.
  2. Dead Man (1995)
    Sono William Blake, quindi morirà quella zoccola di tua sorella.Morto sarò dopo aver succhiato una mortadellona del genere…
  3. Terra di confine – Open Range (2003)
    Ecco.

Se siete dei maniaci sessuali, il con(s)iglio per l’acquisto del vostro “aquilotto” è il “dizionario” di Paolo Mereghetti, ribattezzato (sì, va lavato dal “capriccio”) “Paolin’ il peper(onc)ino”


22 Nov

Quando la critica “tira” ove para il vento del “reggi(doppio)petto”

Nel 1995, accusai forti turbamenti sessuali.
Secondo alcuni psicologici, si chiama adolescenza. Freud “lo” identificherebbe con una “crescita puberale” in zona “allattante” per suzione causa polluzioni.
Le ragazzine mi definivano anomalo perché poco maialesco.
Gli adulti mi “collocavano”-incul(c)avano, ah che “cavità”, come “sfigato”. La depressione del ragazzo “vuoto” da riempire di “ricostituenti” per “tenderti” resistente. Vivo e “vegeto” nel “vitto” di massa dei carna(l)i.

No, dopo indagini “approfondite” del mio “reparto” erogeno, all’epoca balzanamente “deviante” d'”orogenesi” “ap-pen’-inica” di pennichella al pisello appisolato, alla base dei miei scompensi, surrogati-“sudato”, ci fu proprio Mereghetti Paolo, critico “stimato”,

Sì, quell’an(n)o acquistai il suo dizionario, vera “bibbia” per ogni critico in erba.
Sì, per finire drogati nel cervello come “lui”, che infarcisce le sue striminzite recensioni di “passere” e uccelloni a iosa.

Sì, se siete dei voyeur, nel vostro “armamentario” non deve assolutamente mancare tale “vademecum” per “(s)venire”.

Ve ne forni(s)co qualche esempio.

Mereghetti incita all’accoppiamento cronenberghiano-videodromico di proiezione “sognante” nel catodico “accattivante”.

Incontrai Mereghetti alla Mostra del Cinema di Venezia, e “lui”, molto supponente:

– Dispiacere, bello mio. Secondo me, c’è qualcosa che non va in “lei”.
Risposta a mo’ di “supposta”: – Basta che vada “lì”. A te non andò Paolo. Quindi, vai là.
– Dove sarebbe là?
– In culo. Lupo ululì, lupa con te non ulula.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. La villa del venerdì (1991)
    Liquida il filmaccio in due parole.
    Ma poi, senza ragion logica, si sofferma sul culo di Joanna Pacula, elargendo lode a chi, di liquido seminale, potrebbe giustamente cadere nel “tinello”.
  2. Zandalee (1991)
    Altro film da una sola stelletta e di mezza parolina spesa.
    Però, anche in questo caso, celebra Erika Anderson. Da vero Alessandro Manzoni nella sua “Blondel”. Invero rossa. E ci garantisce che vale il p(r)ezzo del biglietto…Da “staccarglielo”.
  3. Il profumo di Yvonne (1994)
    La recensione verte solo sul fondoschiena della francese. Secondo voi, Mereghetti come guarda i film? Da quale “angolazione”. Da “quaglia” di maial’ per Sandra Majani.
  4. Frankenstein junior (1974)

 

Naturalmente, tale play fu offuscata sul sito ove “lo” pos(ta)i”, per ipocrisia del “potere” che non vuole si critici il Mereghetti, “glande” critico.

Che abuso! Ce l’avete qua, eh eh, eh già(llo). Son preda degli eccessi? Sarà la smania di successo, mio maniaco del sesso?

Genius-Pop

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