Posts Tagged ‘Oscar’

Attori bolliti: Nicolas Cage, stacanovista, versatile, odiato e bistrattato


18 Jun

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Ebbene, come non potevo andare a parare sul bollito e soffritto per antonomasia, su Nicolas Cage, ovvero Nicolas Kim Coppola nato a Long Beach nel 1964 e nipote conclamato di Francis Ford Coppola?

Eh sì, Nic d’altronde non ha mai nascosto la sua immensa raccomandazione, come si suol dire, e infatti è stato co-protagonista, praticamente esordiente, di ben tre opere del Maestro e regista de Il Padrino e Apocalypse Now. Ovvero i bellissimi Rusty il selvaggio, Cotton Club e Peggy Sue si è sposata, tre meravigliose pellicole a mio avviso memorabili. E quindi è il folle interprete assieme a Holly Hunter di uno dei primissimi film dei terribili fratelli Coen, Arizona Junior. E prima dell’epocale Palma d’oro a Cannes, e il suo Sailor lynchiano di Cuore selvaggio, Cage è stato anche un “nosferatu” sui generis nel sottovalutato Stress da vampiro. E quindi è tutto un succedersi di ruoli su ruoli, fra sue performance oscene come nel tremendo softcore Zandalee, e brillanti ruoli un po’ insulsi in tutta una serie di commediole come Mi gioco la moglie a Las Vegas o Cara, insopportabile Tess. Ed è proprio con un altro film girato nella città dell’azzardo e del vizio, Via da Las Vegas, che Cage un po’ a sorpresa vince fenomenale il suo Oscar, tanto contestato e forse immeritato. Ma l’Oscar a soli trentatré anni lo consacra e gl’illumina il cammino, tanto che prima della fine degli anni novanta non sta fermo un attimo, e interpreta un po’ di tutto, incrociando autori di risma come John Woo, Brian De Palma e Martin Scorsese. Guadagna un’altra nomination con Il ladro di orchidee e va vicinissimo a un’altra candidatura col suo ruolo di gaglioffo e ladruncolo da strapazzo, maniaco-compulsivo ma di gran cuore ne Il genio della truffa di Ridley Scott. Stacanovista, versatile, odiato e bistrattato da una nutritissima schiera tantissimi detrattori, lui instancabilmente macina un ruolo dopo l’altro e non si placa un istante. Tanto da finire sulla bocca di tutti. Buona parte del pubblico lo adora, altri decisamente no, ritengono la sua recitazione iper-caricata, overacting come si dice in gergo, esagitata, quasi “cibernetica” e folcloristica. Ma questa è la sua caratteristica. Prendere o lasciare.

Al che, Nic Cage s’indebita, sperpera un patrimonio in spese folli, gli autori importanti via via si dimenticano di lui e ora gira 5 o 6 film all’anno. Ma tutta robaccia da quattro soldi. Film che a stento vengono distribuiti al cinema, girati in tempi limitatissimi, sciatti e maldestri.

Vi basterà andare su IMDb per notare che sta girando come un ossesso, ha sei pellicole pronte per quest’anno e altre già in preparazione.

Ma, ripeto, film assurdi e perlopiù impresentabili.

 

di Stefano Faloticoattori-bolliti-nicolas-cage-02- attori-bolliti-nicolas-cage-01- attori-bolliti-nicolas-cage-04-

Attori bolliti: Adrien Brody


01 May

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 Ebbene, da oggi inizia questo mio personale giochetto, che spero di tutto cuore davvero possa divertirvi quanto indurvi a una risata amarognola. Sì, perché inauguro gli appuntamenti con una rubrica dedicata agli attori bolliti, cioè uno spazio esclusivo riservato a quegli attori che, sino a poco tempo fa, erano sulla cresta dell’onda, cavalcavano furiosamente il successo e poi, per strambe circostanze sfortunate, per loro pigrizia, per rocamboleschi, assurdi, strani casi del destino, lentamente sono quasi scomparsi dal grande giro o, perlomeno, si sono sempre più livellati e arenati in performance decisamente alimentari, come si suol dire, in filmetti discutibilissimi e alle volte perfino inguardabili. Robetta straight to video o produzioni squallidamente commerciali. Insomma, sono sprofondati nell’infimo oblio, in un mesto quanto avvilente purgatorio cinematografico.

Semmai, come nel caso che fra poco menzionerò, sono attori anche abbastanza giovani ed è inspiegabile questa loro improvvisa débâcle mortificante.

Ebbene, dopo questa necessaria, piccola introduzione, direi d’iniziare con Adrien Brody. Eh sì, so che voi cinefili non l’avete mai perso di vista e l’avete seguito e sostenuto anche in abomini come Giallo di Dario Argento, ma lo spettatore medio oramai credo che non veda un film con lui protagonista sul grande schermo da una vita. Insomma, ne ha perso memoria.

Procediamo con calma. Adrien Brody, dicevamo. Nato a New York il 14 Aprile del 1973, figlio di una giornalista e fotografa molto abbiente e di un professore. Insomma, Adrien proviene, come si dice, da una buona famiglia. Che infatti lo indirizza subito a potenziare la sua propensione innata per la l’arte attoriale, e l’imberbe Brody ecco che s’iscrive a corsi di recitazione egregi, e ottiene subito piccole ma incisive particine in alcune sitcom statunitensi.

Al che comincia a farsi notare in New York Stories, nell’episodio di Coppola, e in Natural Born Killers di Oliver Stone. Poi, la sua presenza diventa via via più consistente e il minutaggio che occupa nelle pellicole a cui partecipa aumenta. Dopo Bullet e L’ultima volta che mi sono suicidato, Spike Lee scommette tutto su di lui, e punta sul suo viso asimmetrico, magrissimo, sulla sua postura sbilenca e soprattutto sulla forza espressiva del suo naso elefantesco, dandogli uno dei ruoli principali nel suo bellissimo Summer of Sam. Lo vediamo anche ne La sottile linea rossa di Malick e nel “proletario” Bread and Roses del grande Ken Loach. A dire il vero, Adrien in quel periodo è come il prezzemolo e gira anche con Barry Levinson. Ma è il 2002 il suo annus mirabilis e sorprendentemente addirittura vince l’Oscar come Miglior Attore Protagonista per la sua intensa e sentitissima interpretazione nel magnifico Il pianista di Roman Polanski. Diventando l’attore più giovane della Storia ad alzare la statuetta di Best Actor. Visibilmente stupefatto e commosso, sale sul podio e bacia voluttuosamente Halle Berry, lasciando di stucco e all’asciutto i suoi diretti concorrenti, vale a dire Michael Caine, Nicolas Cage, Jack Nicholson e in particolar modo Daniel Day-Lewis di Gangs of New York che veniva dato per favoritissimo. Quindi, gira il pomposo King Kong di Peter Jackson, e da allora avviene la fine. Sì, vero, partecipa ad alcuni film di Wes Anderson, sfodera un brillante cameo in Midnight in Paris di Woody Allen nei panni di Salvador Dalí ma davvero qualcuno di voi ha visto American Heist di un “tale” Sarik Andreasyan o sa che esiste un film intitolato Septembers of Shiraz? Sì, ammettiamolo, se non ci fosse IMDb a darci una mano a mo’ di “promemoria”, certi film non sapremmo neppure che esisterebbero. Non perché sono di nicchia ma semplicemente perché sono pasticciacci indigesti.

Dai, forza, Adrien, hai solo quarantacinque anni, hai una vita davanti… per girare altre schifezze.

Ah ah.attori-bolliti-adrien-brody-01- attori-bolliti-adrien-brody-02-

 

di Stefano Falotico

Stephen Hawking: il più brutto “complimento” che può farvi una donna è di essere delle beautiful mind


14 Mar

A Beautiful Mind

Ora, quest’espressione è diventata celeberrima e usata spesso anche a sproposito dopo che quel retoricissimo film di Ron Howard è stato visto da mezzo mondo, vincendo Oscar immeritati. Si tratta di un tipo di Cinema a mio avviso indigesto, che appartiene a quel filone pseudo-buonista allineato ai canoni prevedibili e ruffiani della Hollywood più mainstream e paracula.

Insomma, è la storia di uno schizofrenico insopportabile, che tanto assomiglia al mio amico delle scuole medie, Torre, patito di matematica o solo “partito” già all’epoca, il quale vedo alle volte adesso alla fermata dell’autobus col sorriso da ebete nel prendere a calci le cartacce e gli scontrini che la gente butta sul marciapiede dopo che è andata nella tabaccheria adiacente. In poche parole, a forza di teorizzare sull’irrealtà intangibile, sulla metafisica scientifica, si è ammalato di “deficienza” palpabilissima tanto che, in maniera empirica, potremmo classificarlo come attuale buco nero insondabile della sua algebra neuronale abbastanza trigonometrica alla dementia praecox incurabile in maniera direttamente proporzionale al coefficiente di difficoltà del suo non scopare elevato alla non potenza al quadrato e anche al tonto.

Sì, è una stronzata cinica ma il Torre, dopo aver torreggiato come campione imbattibile di razionalità indiscutibile, tanto d’ascendere precocemente a genio da tutti stimato, almeno nel vicinato, dopo esser addivenuto ai misteri profondissimi dell’universo e averli sviscerati in teorie lodabili, non è stato “eccelso” con la sua anima e con il suo cor(po). Tanto che si è dimenticato davvero di vivere. E ora credo passi le sue serate a guardare tribune elettorali per sentirsi vivo e partecipe della vita sociale…

Ho detto tutto…

Voglio raccontarvi questo… non so se mi crederete ma io so che è un racconto sincero. Quindi ve lo espongo. Di bella esposizione e argomentazione che non fa una piega, non so se otterrò una cattedra a Cambridge per questo aneddoto così ben disaminato ma all’epoca ero un soggetto certamente da esaminare.

Mi ricordo che scrissi un libro e bazzicavo un sito d’incontri, Meetic. Al che, beccai, sì, ero già un “becchino”, ah ah, una della mia città che di cosce mi parve immediatamente “appetibile”. Sì, io bado al sodo. La faccia non era granché, a dire il vero, ma era buona…

Sfacciatamente, le scrissi in chat che volevo scoparla. Lei fece la timida e mi mandò a fare in culo.

Poi, il giorno dopo mi spedì una missiva in cui diceva di scusarsi per essere stata troppo dura con me e che la notte le avevo portato consiglio. E voleva assaggiare qualcosa di duro… perché le delusioni della sua vita l’avevano per troppo tempo “intenerita”.

All’epoca ero davvero matto e incosciente, sì, diciamocelo, ah ah, e non sapevo davvero a cosa andavo incontro. Lei mi aspettò vicino a una Porta del cazzo, non mi ricordo quale, di questa Bologna la grassa. Salì in macchina e io cominciai a girare avanti e indietro, in circolo “vizioso”, sui viali. Dopo circa mezz’ora di tragitto, in cui parlammo del bel tempo (sì, era primavera e l’aria era salubre) atmosferico e altre amenità “meteorologiche”, soprattutto di lei, con le escursioni termiche delle sue vampate, disse che stava avendo freddo e voleva essere “riscaldata”. Già, questa “signorina” con la minigonna, di punto in bianco, paonazza in volto ma decisa ad arrivare al dunque, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, nonostante fossimo entrambi seduti, se ne saltò fuori con…

 

– Se non ricordo male, l’altro giorno mi hai detto… voglio scoparti.

– Uhm, cos’ho detto?

– Sì, hai detto… hai detto proprio così… voglio scoparti. Be’, sai, non sarebbe male…

 

Adesso, qualsiasi persona “normale”, avrebbe svoltato, in ogni sen(s)o, lato B soprattutto, e si sarebbe diretta spedita verso qualche parcheggio un po’ “porchetto”.

 

Invece, io mi diressi nel punto in cui l’avevo caricata, e poi le dissi gentilmente di scendere. Anziché scaricarlo, la scaricai.

Lei si mise a ridere, quindi, prima di congedarsi mi disse che ero una beautiful mind.

 

Insomma, morale della favola e anche della fava, quasi tutte le donne sono zoccole.

E voi mi domanderete: ma perché scusa hai voluto incontrarla e le avevi scritto che volevi scopartela?

 

E io rispondo: perché fa parte del personaggio Falotico, uno che cazzeggia, giusto per il piacere di far passare il tempo.

Poi, rimanga fra noi, sì, aveva delle bellissime gambe, ma la faccia faceva proprio schifo.

Insomma, non era Jennifer Connelly. E poi, adesso come adesso, pure la Connelly è un cesso.

 

E questo per farvi capire che le donne dicono di amare gli uomini con un gran cervello ma, sì, quello che vogliono davvero è solo… l’u… ello? No, vogliono i soldi.

E infatti Nash era ricco sfondato. Che cazzo fregava a sua moglie se era malato di mente? Tanto la manteneva alla grande…

 

Fratelli della congrega, cosa avete dedotto da questa lezione di vita vera? Che la teoria è una cosa, la pratica è un paio di belle cosce.

Ah ah.

 

Impratichitevi e fatelo anche sui prati.

 

Sì, ci sono i geni come Hawking che non servono a niente, e i geni delle stronzate come me, che rendono la vita infinitamente più godibile.

 

 

 

di Stefano Falotico

Sam Rockwell, succede sempre così… giochi occidentali e da Oscar


10 Mar
HEIST, Ricky Jay, Sam Rockwell, 2001, (c) Warner Brothers

HEIST, Ricky Jay, Sam Rockwell, 2001, (c) Warner Brothers

Ebbene, non mi finirò mai di stupirmi della prevedibilità insopportabile della gente. Sino all’altro ieri, Sam Rockwell era un nome che diceva poco o nulla a molti, perfino ai cinefili più accaniti e maniacali. Che semmai lo ricordavano per la sua prova esuberante e ambigua in Confessioni di una mente pericolosa, perché segnò l’esordio registico di Clooney, per essere stato “il genio della truffa” di Matchstick Men, con l’unico Nicolas Cage amabile degli ultimi vent’anni, per essere stato il figlio sfigato di De Niro nel discutibilissimo remake di Stanno tutti bene, per essere stato allu(ci)nato uomo perso in Moon, e qua e là una macchietta buffa e stravagante in tante altre pellicole, più o meno dimenticabili, di cassetta usa e getta.

Ecco che all’improvviso con la sua performance in Tre manifestti… diventa un attore “cult”. E già se ne scrivono monografie e si allestiscono premature, imbarazzanti agiografie sulla sua carriera, definendolo geniale, inconfondibile, lunatico, appunto, uno dei volti irrinunciabili del Cinema degli anni a venire. Sì, perché potete scommetterci, non viviamo più in un’epoca in cui il Timothy Hutton di turno, premio Oscar come non protagonista per Gente comune, lentamente sparisce nell’anonimato o viene relegato in film insignificanti che semmai neanche gli americani vedono. Adesso, la statuetta del nostro zio Oscar garantisce, a meno che la persona premiata non venga colta da pazzia, da insanabile depressione, a meno che da solo non si butti via, affogando nell’alcol, nella droga e altri “problemi” di sorta, a meno che per “indisposizione” non sia lui ad allontanarsi dal grande schermo, ecco, garantisce ripeto uno status pressoché intoccabile, che permetterà a Rockwell di essere bombardato di richieste lavorative in film che, posso giurarvi, saranno di medio-alto profilo. E, chissà, potrebbe fra un po’ anche salire al trono nella categoria di Miglior Attore Protagonista.

Il solito gioco occidentale delle maschere. Insomma, prima dell’Oscar questo qui se lo cagavano in pochi, adesso è diventato un grande. Indiscutibile!

Stessa sorte, anche se in termini diversi e più stratificati, toccò a McConaughey. Da tutti, oramai, veniva considerato solo un bel faccino con un prestante corpicino ridottosi a girare commediole scipite, poi arrivò la McConaissance, e nel giro di una manciata d’interpretazioni fortissime e folgoranti ribaltò ogni cattivo pronostico, affermandosi come attore amatissimo anche dai più severi critici. Aspettando, dopo i recenti, mezzi passi falsi, le sue prove in Serenity, White Boy Rick e Moondog.

Sì, l’Occidente basa le fortune altrui sul caso, sulle circostanze favorevoli, come si suol dire, sui giri della ruota nella giostra dei desideri. C’è chi accetta questo gioco abbastanza squallido, pusillanime e falsissimamente meritocratico, e chi abbandona ogni sfilata e carro. Si dice che chi lo faccia sia comunista. Non so. So che c’è gente con tre lauree che si trova disoccupata, e invece un ragazzotto ignorantone, che scoprì le sue doti in mezzo alle gambe, è diventato miliardario, scopando da mattina a sera, senza mai aprire un libro in vita sua. C’è uno che si chiama Justin Bieber che ha fatto sfracelli con un paio di canzonette per ragazzine brufolose e ora, dopo un paio di canzoni belline e orecchiabili, è preso sul serio anche dai “musicologi” più in vista. E guadagna più soldi di venti generazioni “normali” messe assieme.

Sì, la vita nell’Occidente è spesso questione di culo. Di sfacciate, alchemiche combinazioni “vincenti”.

Non c’entra quasi mai la vera bravura, il vero talento, non c’entrano le reali abilità.

C’entra il gioco di dadi. Se a questo si abbinano professionalità e un pizzico di dedizione, ecco che sbanchi…

 

 

di Stefano Falotico

Analisi spietata sugli Oscar, abbasso i vincenti, evviva i perdenti, cioè Willem Dafoe


03 Mar

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Domani notte, in concomitanza con gli exit poll delle Elezioni italiane, da me ribattezzate “erezioni italiote”, perché ogni partito sicuramente si ecciterà se vincerà, assisteremo, anzi, assisterete a questo spettacolo pacchiano chiamato Oscar, una manifestazione che aveva un senso, che ne so, cinquant’anni fa, quando la gente era molto ingenua e si faceva emotivamente turlupinare da lustrini, paillettes e sguardi mondani sul red carpet, sognando di trasfigurarsi nel suo attore preferito. Eh sì, quante casalinghe del Texas, ove ci son le mucche, andavan in brodo di giuggiole per quegli occhi viola di Liz Taylor, mentre il marito, alla consacrazione di Elizabeth (sì, il premio alla miglior attrice vien consegnato in tarda notte, da noi quasi all’alba, negli Stati Uniti al canto del gufo), era già bello sveglio per andar a cavalcar nel Rio Bravo al primo fiorir del crepuscolo sottilmente rugoso come la sua pelle da Grand Canyon. Sì, il Rio Bravo è in Texas e non in montana, miei montanari, mentre il Grand Canyon è in Colorado, ove Wile, detto Willy, il Coyote non riusciva mai ad acchiappare Beep Beep, e ove Michael J. Fox di Ritorno al futuro parte terza precipitava in un incubo da trenino della Lego. Sì, quel povero sciancato di John Wayne vinse la statuetta per Il Grinta, ennesima interpretazione uguale e monocorde come tutte le sue, e glielo diedero per anzianità. Infatti, di lì a poco schiattò. Da cui Jack Palance di Scappo dalla città – La vita, l’amore, le vacche. Eh sì, sempre le vacche, queste bovine domestiche da carne Manzotin come dimostra quel bel pezzo di manzo e patonza che è Kelly Reilly. E Kevin Costner di Yellowstone sa come (m)ungerla… Mah, ancora non è uscito, ma sicuramente il re di Balla coi lupi  pelerà la sua agnellina, da cui Il silenzio degli innocenti. Silence of the lambs.

Sì, è arcinoto che a vincere gli Oscar non siano necessariamente gli attori dell’anno più bravi, ma quelli più “mostruosi”. Non sempre mostri sacri, a volte semplicemente interpreti che fanno la parte degli handicappati, dei minorati, dei malati di qualche cosa, AIDS o Alzheimer, che si trasformano fisicamente, s’imbruttiscono, vengono truccati “a (d’)uopo” per commuovere. In poche parole, spesso si premiano le interpretazioni “patetiche”. Basta scorrere la lista dei vincitori di tutte le edizioni, in particolar modo degli ultimi trent’anni, per accorgersi che l’Academy preferisce usare questo metro di giudizio assai discutibile, prevedibile e scontatissimo.

Io sono un fanatico delle interpretazioni interiori, quelle che partono dall’anima e poi si trasmettono negli sguardi, sguardi dell’attore che aderisce a questo metodo attoriale, ben più complicato, sofferto e intenso, e sguardi nostri, da spettatori empatici che ci emozioniamo per come un attore riesce a effondersi, oserei dire, nel character, e dà vita a gioia, letizia, dolore anche solo attraverso un’occhiataccia, un’alzata sopraccigliare, un’espressione impercettibile.

Dunque, capite bene che, sebbene lodi l’egregio Oldman de L’ora più buia, tumefatto dal makeup, che comunque ha dovuto cambiare voce per fare Churchill, non poco sarei felice se a vincere fosse Chalamet.

Ma è altissimamente improbabile che ciò possa avvenire. Poi è ancora un “guaglione”, deve farsi le ossa…

Come certa è la vittoria della solita pazza strillona McDormand, a cui preferisco la solita Streep estremamente contenuta, che vive internamente i suoi dubbi e con la carica della sua magnetica espressività li comunica senza troppe grida o scene effettistiche.

Ma, si sa, gli Academy amano variare, anche se per la McDormand sarebbe comunque una “doppietta” dopo l’Oscar per Fargo, e allora anche la signorina Saoirse Ronan dovrà accontentarsi di essere ricordata come “semplice” candidata e nulla di più. È una figa bruttina ma comunque farà la sua porca figura.

Eh sì, per dare una seconda possibilità a quelle cariatidi della Dunaway e di Beatty, hanno deciso che non era giusto farli uscire di scena con la più grande gaffe della storia degli Oscar, e allora sono stati richiamati, acciacchi permettendo, per “sbagliare” di nuovo. Ah ah.

A proposito, rimanga fra noi: sebbene sia stato eccellente per Toro scatenato, De Niro ha vinto l’Oscar per questo film per via del fatto che è ingrassato trenta chili, ma l’avrebbe meritato molto di più per Taxi Driver.

Ho detto tutto…

E Willem Dafoe che c’entra? Anche quest’anno la sua sete di vittoria sarà solo un’ultima tentazione da povero Cristo. Perché l’Oscar se lo intasca Rockwell.

 

E, naturalmente, essendo io uno spietato, che dice la verità senza cazzeggiare in stronzate, vi mostro la foto di uno degli Oscar, secondo me, unforgiven…

Ah ah! E qui sono Pacino di Scent of a Woman!

Anche se, nella notte delle elezioni, l’avrebbe meritato Washington di Malcolm X.

E Denise Negri, in studio per la diretta su Sky, assieme al Canova e Castelnuovo, tiferà per i neri. Eh sì, evviva Get Out! Negro ti faccio nero, e su questa stronzata Scappa, no, scappo!

UNFORGIVEN, from left: Gene Hackman, Clint Eastwood, 1992. ©Warner Bros.

UNFORGIVEN, from left: Gene Hackman, Clint Eastwood, 1992. ©Warner Bros.

 

di Stefano Falotico

Intervista al mitico Raffaele Costanzo sul mitico Sylvester Stallone


06 Feb

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1) Ciao Raffale. Ebbene, dicci un po’ di te. Quanti anni hai, cosa fai nella vita, come passi le tue giornate. Io molte cose so di te, avendoti fra gli amici su Facebook, ma altra gente no. Quindi “evinciti”, esternati, eh eh.

Io ho 32 anni, sono musicoterapista oltre che attore di teatro e non, musicista, speaker radiofonico e di recente ho aperto un canale YouTube (Chicco & Raf ) dove insieme al mio storico partner facciamo dei video di stampo comico!

2) Sin da quando ti ho conosciuto, ho potuto appurare che nutri una passione oserei dire atavica, quasi irrazionale e “immotivata” per Sylvester Stallone. Potresti motivarcela?

Beh, con Stallone ho un rapporto di “affetto” vero e proprio dovuto al fatto che ci sono praticamente cresciuto; il primo film di cui ho memoria è proprio Rocky, da sempre infatti il mio film preferito. Ricordo che già a 5 anni conoscevo tutta la saga e andai al cinema a vedere, nel 1990, Rocky V! Da lì in pratica ho seguito tutta la sua carriera.

3) Se potessi scegliere i capi di abbigliamento usati da Stallone nei suoi film, come ti “acconceresti?”

Ovviamente gli abiti classici che Stallone indossa nel primo Rocky: cappello, guanti e giacca di pelle… tutta roba che posseggo infatti.

4) Quali sono secondo te le migliori interpretazioni del nostro beniamino Sly?

Io credo che Stallone abbia dato il massimo in Rocky, Rocky Balboa, Creed, Rambo, John Rambo e Cop Land su tutti, ma lo trovò molto in parte anche in Jimmy Bobo, I falchi della notte, Taverna Paradiso e ne La vendetta di Carter.

5) Credi anche tu che Stallone non sarà mai Laurence Olivier ma rimarrà, anche dopo morto, un mito inestinguibile? E perché?

Stallone ormai è diventato a tutti gli effetti un “mito”, per molta gente, me compreso, anche perché ha incarnato in molti suoi film l’uomo comune che grazie a coraggio e perseveranza riesce a sfondare nella vita.

6) Cosa ti aspetti da Creed 2? Ti convince il ritorno di Ivan Drago?

Non so bene cosa aspettarmi da Creed II… in effetti ho sempre accolto con molto scetticismo il ritorno di Balboa (forse proprio per il grande amore che provo per questo personaggio), salvo poi ricredermi con gli ottimi Rocky Balboa (piccolo capolavoro per me) e Creed. Non so se avrei reintrodotto Drago ma bisogna vedere come lo metteranno in scena. Terrò le dita incrociate!

7) Se dovessi stilare una classifica dei vari Rocky, dal primo all’ultimo, quale metteresti al primo posto e via via più in basso?

Al primo posto ovviamente il primo ROCKY, capolavoro assoluto, poi direi Rocky Balboa come miglior sequel, Rocky II, Creed, Rocky III, Rocky V, Rocky IV. Ma, a parte i primi due, cambio idea ogni volta che li riguardo, quindi dipende molto dal mio stato emotivo

8) Se Stallone ti chiamasse per un cameo in un suo film, in cui devi fare la parte di uno che le prende, accetteresti?

Accetterei senza battere ciglio!

9) Credi che, in fin dei conti, Sylvester meriti un Oscar, anche alla carriera? E perché?

Non do tutta questa importanza agli Oscar, ma dovendo rispondere direi che avrebbe già dovuto prenderlo ai tempi del primo Rocky come attore e sceneggiatore. Un Oscar alla carriera a questo punto mi sembrerebbe d’obbligo, anche solo per quello che ha rappresentato e che continua a rappresentare.

10) Ti piacerà rivedere Stallone nel quarto seguito dei Mercenari o preferiresti che si desse a qualcos’altro? E quali sono i progetti futuri di Stallone, e sicuramente li conoscerai, che maggiormente attirano la tua curiosità?

Io guardo tutto quello che esce con Stallone. Magari un quarto Mercenari non era necessario, ma si sa… si fanno per soldi. Tra i progetti vociferati mi incuriosiva un suo ipotetico film da regista con protagonista Adam Driver (dove Stallone dovrebbe interpretare suo padre) e un film di stampo mafioso con Olivier Assayas alla regia. Mi è dispiaciuto molto l’abbandono del film diretto dal bravo Jim Mickle. Comunque qualunque cosa farà io la andrò a vedere!27935555_10214727463970859_1231173125_n

 

 

Grazie mille amico!

La questione Woody Allen: è ancora un regista capace di sorprenderci?


16 Dec

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Su YouTube commento la videorecensione di Francesco Alò, sentenziando nel mio stile provocatorio, al che uno mi “ingiuria”, poi aggiusto il tiro ma lui persevera. Ci appacificheremo? Insomma, la Winslet puntava agli Oscar per questo film ma, dopo la tiepidissima accoglienza da parte della Critica americana, il suo rimarrà un sogno decisamente fatuo. Costui, “inveendomi”, si ostina perentoriamente a ribadire che ad Allen non frega niente delle statuette e se ne sbatte perché è un genio, e come tutti i geni è al di là della cazzata chiamata Oscar. La discussione prosegue, cerco, tento d’indirizzarla verso una giusta prospettiva delle cose ma non se ne viene a capo. Ora, non sono un patito di Allen, sì, ho “bestemmiato”, e sinceramente non è fra i miei dieci registi preferiti della Storia del Cinema, sebbene ne riconosca, o meglio ne riconoscevo, prima che si arrugginisse e appannasse, la geniale maestria, l’umorismo pungente e vivacissimo anche quando è/era terribilmente, “insanabilmente” malinconico, la sapientissima al solito impeccabile direzione dei suoi attori, lo amo, anzi amai, perfino quando fa(ceva) “voluttuosamente” lo stronzo e nelle sue pose anticonformiste s’imbroda(va) e si crogiola(va), sedendosi sugli allori. E non starò certo a passare in rassegna la sua filmografia, perché essa parla magniloquentemente da sé.

La questione è un’altra. Ad Allen frega degli Oscar? Non dobbiamo essere ipocriti. Sebbene possiamo ammettere che gli Oscar siano “solo” uno spettacolone alle volte anche pacchiano, grossolano e che non sempre si premino i film e gli attori più meritevoli, sebbene nomi altisonanti come Kubrick la statuetta non l’abbiano mai vinta, sebbene Orson Welles ne vinse “miseramente” soltanto una come sceneggiatore, sebbene l’Oscar Scorsese l’abbia preso per The Departed, che è il suo film più standardizzato, siamo onesti, a chi non farebbe piacere vincerlo? Lo sa bene Bob De Niro, che si presentò agli Oscar solo per Toro scatenato, quando era convintissimo di vincerlo, e infatti a man bassa lo vinse. Si presentò soltanto un’altra volta, qualche anno fa quando fu candidato come migliore attore non protagonista per Il lato positivo, perché i pronostici alla vigilia lo davano per vincitore, e di merda ci rimase quando sentì pronunciare, al posto suo, quello di Christoph Waltz. Sì, De Niro ha sempre fatto il figlio di puttana. Non andò agli Oscar nemmeno quando ci fu un testa a testa fra il suo Max Cady di Cape Fear e l’Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti, perché non voleva mostrarsi perdente agli occhi delle telecamere.

Ciò per dire che a tutti frega degli Oscar, che piaccia(no) o meno E, quando sono quasi certi che lo vinceranno, nessuno è mai stato assente alla manifestazione, tranne lo stesso De Niro che lo vinse per il “secondo” Padrino, e non era in platea. Ah ah.

 

Ma a parte questo… Solo una persona non obiettiva e troppo innamorata di Allen può ancora sostenere che molti dei film di Allen degli ultimi quindici anni siano all’altezza dei suoi capolavori del passato. Se poi vogliamo insistere, non sarò certo io a dissuaderlo dalle sue “infatuate” convinzioni.

 

di Stefano Falotico

A Salvatores e Tornatore, ho sempre preferito il mio aviatore


26 Nov

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Ora, ieri chissà perché la mia mente pindarica è andata a parare su Gabriele Salvatores, colui che fu insignito dell’Oscar per Mediterraneo, premiato da Sylvester Stallone che all’epoca soffriva davvero di pessima pronuncia e aveva il labbro più storto delle storture che girava. Film che torturavano la nostra pazienza grazie alla sua adrenalinica possanza tamarra. Sì, a quei tempi lo Stallone era reduce da troppe scopate con Brigitte Nielsen, detta la stallona. E la sua carriera era nella stalla. Eppur, in questa notte delle stelle, premiò il nostro filmetto. Sì, perché tale è. Un ritratto alquanto patetico e miserello di vitelloni “agguerriti” a farsi la bella del villaggio, persi fra Vanna Barba e il barbone di Abatantuono. Come ha fatto questo film a vincere? Caciarone, simpatico e “sensibile” ma abbastanza stereotipato, ma si sa lo stereotipo dell’italiano sfaticato, attratto solo da “quella”, che suona il mandolino e gioca a carte ha sempre affascinato gli americani, che vivono appunto di stereotipie ai nostri danni. E ci prendono per un popolo d’ingenui sognatori, dunque premiarono anche Nuovo Cinema Paradiso, firmato da quello che si è sempre creduto un erede di Sergio Leone per le sue elegie iper-romantiche e poi ha girato un Amarcord dei poveri con quella cagata di Baarìa. E dire che aveva ereditato anche il progetto mai realizzato proprio di Leone, quel Leningrad che fortunatamente è saltato, parlo della versione di Giuseppe.

Sì, il nostro Cinema profetizzava la piccolezza che oggi possiamo “ammirare” in otium contemplativo su Facebook, ove epicurei uomini scalcagnati espongono la loro medietà, scrivendo però che sono laureati alla Bocconi, e in cui le donne si appellano agli sguardi voraci dei voyeur di turno, “attizzandoli” con foto scosciate in cui (t)ergono il vinello su tacchi a spillo dell’ammiccare, anche falsamente amicare, di spallucce. Un’esibizione del narcisismo di massa, un vomito escrementizio di frustrazioni “abbellite” da post buonisti che predicano il volemose bene, mentre la barca va e si lasciano andare. E la nave va.

In quest’otto e mezzo di falsi ricordi, di foto dell’infanzia, di sogni fustigati, di donne procaci e voluttuose, di uomini che si credono grandi artisti, di velleità di una dolce vita invero amarissima, emerge il sottoscritto, un Falotico raro a trovarsi, infatti è una rarità persino per sé stesso. Egli vive sott’acqua, nutrendosi di fauna… intestinale nei silenzi abissali della sua oceanica fantasia, ove volteggia come un gabbiano che nessun ingabbia e che mai verrà gabbato. Ah, c’è anche chi mette le canzoni di quell’altro idiota del Gabbani. E chi mostra i suoi vestiti di Dolce e Gabbana.

 

Sono un grande bugiardo ma la gente (non) mi ama per questo.

La grande bellezza!

 

Vorrei concludere con questa stronzata, forse non ho neppure visto il film di Fellini ma di sicuro non ho mai guardato il programma con Lilli Gruber…

Comunque sia, uomini che sapete come va il mondo, datemi retta, mangiatevi un bel piatto di tortellini alla panna e sappiate che le crescentine abbisognano del prosciutto. Nudo e crudo.

Ah ah.

 

Domani è lunedì. Cioè il giorno della Luna.

Di mio, preferisco il giorno della lupa, mie volpi. Sinceramente, domani è sempre domani.

Ah ah.

Non lo dite in giro, Tornatore secondo me ha una gran faccia da culo.

 

di Stefano Falotico

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Nicolas Cage e Kevin Spacey, come può cambiare la vita a distanza di pochissimo


08 Nov

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Eh sì, che dire della mia vita? Proseguo letterariamente da maudit il cui senso, per me, non è letterale, in quanto “maledetto” che non può essere ascritto nelle facili, sciocche maledizioni altrui, ah ah, che la gente invidiosamente ingorda mi scarica addosso, illudendosi, schernendomi appunto, di esorcizzare la propria imbecillità.

Ma oggi invece punterei il dito su due attori decaduti. Il primo è Nicholas Kim Coppola, in “arte” Cage, uno che negli anni novanta può vantare un “carnet” di nomi come David Lynch, De Palma, Scorsese addirittura, ai suoi “servigi attoriali”. E che oggi, con questa faccia sempre più da contadino pugliese, gira una cagata di film al mese, film con cui si paga l’affitto di casa e si “consola” con dolci signori cinesine, celebrando l’ingiusto premio Oscar che fu a base di canti terruncelli.

Ma l’uomo di questi giorni è sicuramente Kevin Spacey. A ogni ora fioccano nuove accuse di molestie sessuali ai suoi danni. Insomma, guardatelo in questa foto di fine Ottobre, in cui sfoderava il suo sessappiglio sorridente da man che non deve chiedere mai…

Invece, Novembre gli fu fatale.

Ricordate: la nostra vita è appesa a un filo, oggi si è grandi, domani si è delle merde.

Di mio, a proposito di “fili”, dopo aver fatto i miei bisogni in bagno, tiro sempre lo sciacquone.

di Stefano Falotico

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