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Attori rinati: Anthony Hopkins, il fascino immarcescibile di un genio camaleontico


08 Sep

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 Come, vi chiederete voi. Anthony Hopkins non è “rinato”, è sempre stato un attore di altissimo livello. Ma io lo piazzo in questa categoria perché, negli ultimi anni, è stato molto discontinuo, sebbene come suo solito assai prolifico, alternando prove egregie ad altre decisamente alimentari od opache, persino trombonesche e insopportabilmente manieristiche.

Sir Anthony Hopkins è nato a Margam, nel Regno Unito, comunità gallese sulla costa meridionale, il 31 Dicembre del 1937. Sì, Anthony Hopkins, nonostante continui a imperversare sui nostri schermi, ha ottantuno primavere. Al di là delle evidenti rughe, non si direbbe che abbia quest’età, vero, vista l’energia e la forza che continua a profondere in ogni sua interpretazione. Dandosi indomitamente a ogni genere di film.

Dei suoi trascorsi giovanili, prima di approdare al Cinema, e in merito ai suoi prestigiosissimi studi, c’è Wikipedia che vi darà una mano nell’informarvi dettagliatamente sulle sue già innate e spiccate propensioni artistiche. Mi limito col dire che, dopo aver frequentato con successo la Royal Academy of Dramatic Art, una delle massime scuole di Teatro al mondo, arriva subito a rimpiazzare l’indisponibile, e forse indisposto, Laurence Olivier in Danza di morte di Strindberg. E quindi, immediatamente dopo, esordisce al Cinema, affiancando Peter O’Toole e Katharine Hepburn in Leone d’inverno, e interpretando Riccardo Cuor di Leone. Niente male come primissimo esordio. Voi che dite? Insomma, il purosangue attoriale, il cavallo di razza, come si suol dire, che è sempre stato, era già sotto gli occhi di tutti.

E Hopkins era già pronto a scalpitare di gran furore recitativo, cavalcando ardimentosamente il successo.

Interpreta, fra gli altri, Magic di Richard Attenborough, l’immenso e commoventissimo The Elephant Man di David Lynch, nei panni del “vero” dottor Frederick Treves, affianca Mel Gibson ne Il Bounty, proprio con Anne Bancroft, la signora Kendal del capolavoro di Lynch, duetta meravigliosamente in 84 Charing Cross Road di David Hugh Jones (Jacknife), e affianca Mickey Rourke in Ore disperate di Michael Cimino.

Ma è soltanto nel 1991, con la sua magistrale interpretazione del mitico cannibale-psichiatra Hannibal Lecter del Silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, che raggiunge la gloria mondiale. E pur comparendo, alla fin fine, soltanto una ventina di minuti scarsi nel film, la sua prova è talmente potente e memorabile, che vince a man bassa l’Oscar come Miglior Attore, battendo niente meno che Robert De Niro di Cape Fear, Nick Nolte de Il principe delle maree, Robin Williams de La leggenda del re pescatore e Warren Beatty di Bugsy. Una prodigiosa cinquina di candidati che non capita tutti i giorni, mica roba da ridere. Ma è appunto lui a trionfare, alzando la statuetta al cielo.

Da allora, Hollywood non lo abbandona un solo istante e Hopkins viene sommerso di proposte a non finire. Girando di tutto e di più, dal Dracula di Bram Stoker alle pregiate collaborazioni con James Ivory, Quel che resta del giorno e Casa Howard su tutte, da Nixon di Oliver Stone ad Amistad di Spielberg, da L’urlo dell’odio di Lee Tamahori alla Maschera di Zorro di Martin Campbell, da Titus di Julie Taymor a Cuori in Atlantide, e s’impossessa ancora del suo Lecter in Hannibal di Ridley Scott e in Red Dragon. Ma non tutte le ciambelle, come si dice, escono col buco. E gira infatti anche film tremendamente sbagliati come Tutti gli uomini del re.

E si perde dunque, come detto, negli ultimi anni in pasticciacci come Conspiracy, film da ricordare soltanto ed esclusivamente perché gli ha permesso di recitare per la prima volta in assoluto con l’altro mostro sacro Al Pacino, oppure il roboante, tremendo Transformers – L’ultimo cavaliere di Michael Bay!

Ma se dovessimo elencare tutti i film, belli o brutti, a cui ha preso parte, non finiremmo mai.

Ecco allora che si riprende e viene molto lodato per la sua performance del Dr. Ford nella serie HBO Westworld.

Prossimamente è molto atteso in King Lear di Richard Eyre con Emma Thompson e in particolar modo in The Pope di Fernando Meirelles ove interpreterà Papa Benedetto/Ratzinger.

Che grinta!

 

di Stefano Falotico

 

Mezzanotte del riscatto di Richard: dicesi “tardivo”, prossimo al senil avervi insederato! L’Oscar è suo!


30 Nov

Quest’anno, l’Oscar come Miglior Attore è suo. Alla facciaccia dei detrattori. Il detrattore va in trattoria e mangia coi ratti

Lo so, vi sta antipatico. Solo perché si portò a letto, “ammogliandosela”, la superba Cindy Crawford, famosa per il suo neo atipico da tipetta topona. Crawford non ammoscia, Crawford è da “affondare” di “rafforzante”.
Be’, pare che anche quello di De Niro, celeberrimo di “stampo sulla guancia-zigomata”, se la sia fatta.
All’attore di Hollywood, una Cindy miei candidelli.

Che cosa rosicate? Richard, in fondo, è ben più misero di me.
S’incravatta, s’impomata eppur di gigolò non è come Al Pacino. Che fu calunniato quando ebbe successo, con le solite cattiverie infami sul sesso. Sì, sparsero la voce che, prima di essere Al, “abbacinava” le donne sicule. Son scherzi da prete. Il padrino non ci sta! E vi rifilò dei colpi in pancia!

Ecco, Al Pacino calza a Richard, essendo stato Richard a “rubargli le scarpe” per Arbitrage. Ruolo per cui era designato Alfredo e che invece andò poi al Gere.

Io so tutto. Mentre voi cazzeggiate e “mollate”, contentuzzi delle vostre (in)felicità da ipocritoni, io scruto la fauna di Los Angeles, e me n’affamo, alla faccia di voi, beffatori. A chi volete portar iella? Son io che vi sbudellerò di “patenti” pirandelliane se vorrete ancor cancellar le mie centomila trasformazioni, annerendomi in un “nessuno”, miei piccoletti qualunque. V’illudete, vi prostituite, v’inculate a vicenda, eppure siete sempre più insoddisfatti, soffrendo “pene” che aumentano parimenti all’uccello tanto “infornato” quanto sempre più “panettiere” da farine del vostro zucchero a velo velenoso.
Che vergogna! Adesso, pure con la lavandaia. Uno che vi s-tira il pann(olin)o. Che sconcezza!

Pane al pane e vino ai divini. Ma quali divani!

I panni sporchi non van lavati nei tradimenti di famiglia, ma esposti in pubblico. Se siete ossessionati dal pube, pubblicate. Invece no, di Clooney George v’”innamorate”, sognando il suo cotonato che “brizzolato” ruzzoli in voi, le zozze. Che zoccolone!

Sì, scherzate e volete l’uomo “maturo” (credo non sia il vero “duro”) di fascino “screziato”.
Che screzio. Ah, come vi screpolate le labbra e crepate d’invidia per la sua Stacy, ginnasta che “avvoltola” il suo “smoking”, “affumicandoglielo” di scopa che scoppietta “al tappeto”. Che mossa da lottatrice. Invece voi, “casalingue”, sol di lingua inaridita e spruzzata d’aceto nelle insalate, lordate le “lodi” d’un marito già sudicio che, di par suo, s’appaia “sudato” a “una” da sedar di “sedere”.
Che schifezze!
Mamma mia, che sifilide catodica, vi dichiarate cattolici con tanto poi di foto (segnaletica…) ambigua su Facebook dell’amico a fianco del vostro consorte con le braccia al vostro sen assetato. Conserte, assortite e tirate le cuoia.
Che malesorti. Che maialini! Che sorci! Che porconi!

Basta, ghiri che vi raggirate, date a Gere il Re del suo girino.
So che voi donne “lo” volete. Vi piacerebbe un figlio da cotanto sperma.

A me piace, non sono omosessuale, ma sono un Uomo.
Quindi, amo chi è un grande, come me.

Sì, è una società di puttane conclamate. Prima, negli anni ’80, avevano almeno un po’ di ritegno. Adesso si tingono, si fan mantenere, e dunque si tengono. Ma son più meretrici di Mara la “stiratrice”.

Oggi pomeriggio, sempre attraverso questo mezzo dei “Mi piace-Condivido”, falso come una stampante a colori per la vostra testa in bianco e nero d’inchiostro “simpatico”, mi contatta una senza “cappella”.
Elargendomi “grandi complimenti”.

– Sei carino. Mi dai il tuo (ucc)cel.?
– Sì, hai due belle tette. Però, ora devo preparare la cena. A base di peperone.
Ciao.
– Ma come? Non ho delle fantastic boobs?
– Certo, infatti mi son già salvato le tue immagini.
In poche parole, per “farla” breve, me lo leccheresti?
– Credo di sì. Anzi, certo. Cosa vorresti di più?
– Che ti togliessi dalle palle!

Scoprii, tramite un altro suo contatto, ch’è una lesbica ragionierina del reparto amministrativo da segretaria-“segregata”, la qual nel Tempo perso s’”annoia”, fottendosene degli spam.

Ecco, recapitai al suo compagno, trovato nelle “Informazioni” del suo “nobile” Profilo, tutta la “messaggeria”.

Domani non divorzieranno.
Il fidanzato pare che sia un pappone.

Ho detto tutto.

Osserviamo tutti i ruoli che gli sfuggirono per “una manciata di secondi”, e furon la fortuna di altri.

Se il Poker non è fortunato, l’asso nella manica te lo sbatte.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Trappola di cristallo (1988)
    Willis Bruce.
    Meglio così. Richard è da doppiopetto, non da canottiera.
  2. Wall Street (1987)
    Michael Douglas.
    Peggio. Douglas è un erotomane, pure i soldi vuole.
  3. Traffic (2000)
    Ecco, qui Michael rinsavisce salvando la figlia.
    Gere sarebbe stato più credibile.

    A me Douglas, nella scena del “salvataggio”, parve uno che “ammiccava” all’attrice minorenne, “sangue del suo sangue”, un “Drogami nelle doghe”:

  4. Fuga di mezzanotte (1978)
    Brad Davis.
    Una faccia come il culo.
  5. Arbitrage – Sesso, potere e denaro (2012)
    Appunto.

 

 

“Toro scatenato” – Recensione


22 Oct

There Will Be Blood nel Cuore tumefatto d’un “cavallo matto” del Bronx

Raging Bull, ringhia la pelle muscolosa d’un peso medio distrutto nell’ambizione picchiatrice alle sue cicatrici, d’avvolger di guantoni “cuciti” nell’Everlast e negli elastici d’allenamenti su corde “tese” della sua anima ferita di “grinze”, tentacolar “brulicare” e “bucarsi” d’incosciente autodistruzione, saltellarci dentro a deflagrar la “crema” mai acchetata di rabbie incontrollabili.
Pulsanti, lì ad ammorbidirsi, a innamorarsi per una Donna peccaminosa, per un Angelo “pruriginoso” e poi immolato-molle in caduta libera, ancora, franando-frantumandosi nei vecchi vizi, nelle spirali della “crocifissione” da Cristo ambiguo, nel morsicare le sue stesse spine, a “rosarle” di vividi colpi furenti, scheggianti, sfreccianti nei “frontali” duri, imbattibili, scagliati con una vigoria “impressionata” dal turgido disintegrare i nemici, la famiglia, il fratello e gli amici.

Scalpitio di “scarpette” davvero rosse da gladiatore fra i leoni, frattura all’irrequieto nerbo mai saldo, mai “sanato”. Che anzi rinsavisce d’illusioni proprio nelle effimere glorie di vittorie sempre avvelenate da un turbamento che raschia borderline, nei collassi emotivi, nel colpo-corpo che cambia “colore”, ch’è spasmo d’emozioni “pericolose”, turbolenza come un aereo d’aviator martire-Martin, d’un calvario reiterato, “stirato” nell’asciutto d’un fisico perfetto ma già guastato, marcio apparendo “macho“.

Macigni come pugni all’anima. Cigno traslucido nel B/N d’un Michael Chapman che poi squarcia di flashback “tridimensionali”, mescendo la nitidezza “alcolica” della fotografia, “satura” di nerezze e perverso grigiore, nelle brillantezze estemporanee d’avidi arcobaleni. Alterando l’incubo del Sogno americano di Jake LaMotta, il Toro…

Uno dei film più importanti della Storia del Cinema, il “tema” della boxe è un affascinante (pre)testo per “intestardirsi” sulle “religiose-maniacali” ossessioni scorsesiane-schraderiane:

vuoto, ostacoli insuperabili, montagne sudate da valicare, cime sublimi di s(ucc)esso, inevitabili eccessi, le solite umane fragilità ad avvinghiarti di nuovo nel fango, ad arrotolar l’addome nel fegato “pusillanime” o forse coraggiosissimo da “commedia” tragica, teatrini di specchi “onesti” a mascherare o a svelare chi sei davvero. Il monologo dell'”You talkin’ to me?” di “variazione” su Marlon Brando di Fronte del Porto.
Analisi e “autopsia” impietosa di Jake, di jet lag fusi, del refuso all’errore e all’orrore che non eri, sei diventanto ma (non) ci stai.

Primo sacrosanto Oscar a De Niro, spaventoso camaleontismo che sarà un modello “base” per ogni altra trasformazione mimetica d’ogni fighter alla Christian Bale, magro, poi lacerato, poi “grosso”, poi Batman e poi notturno senza sonno. Solo per appaiarlo a un altro fenomeno eclatante e “senza (s)prezzo”.

Scorsese su “commissione” di Robert, l’amico che con questo capolavoro lo salvò dalla morte “imminente”. Sì, Robert lesse la biografia di Jake, voleva farci un film “sopra”. Ma Martin non sta proprio bene, sofferente d’asma e dipendente dalla cocaina. Robert vuol tirarlo su.
Martin è dubbioso, poi accetta la sfida, convinto però che sarà la sua ultima regia.

Una regia che attinge da Rashomon, dunque da Kurosawa, perché il “materiale” di partenza, originariamente, “esplodeva” in Akira.
Toro scatenato doveva, secondo le iniziali intenzioni, essere una versione con tante analoghe “versioni” del racconto, intreccio a “spezzettarsi”.
Invece, si preferisce poi una “linearità” forse ancora più “concentrica”, ove tutto (non) si chiude, appunto. Anzi, la faccia e la pancia di Jake necessiteranno d’altri “punti”, è rotto peggio che nella prima (s)Cena. Suture…

Gli incontri sono (s)truccati, “ritoccati” dal montaggio di Thelma Schoonmaker sui montanti d’un De Niro dai bicipiti atletici, scattanti, iperreali, accelerati, “ralenti-ati”, intontiti, erotti ed eruttivi.
Nervosi, allucinanti.

Come dico io, un film che (di)strugge.

(Stefano Falotico)

 

 

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