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Se Gabriel García Márquez scrisse il capolavoro L’amore ai tempi del colera, prossimamente io pubblicherò Bologna Hard Boiled e l’amore ai tempi del COVID-19, vero Once Upon a Time nella città felsinea
Avete mai letto Cent’anni di solitudine?
Io scrissi, per lulu.com, il libretto informativo Il fascino e la seduzione della solitudine con tanto di mio “bugiardino”, cioè istruzioni per l’uso in caso di scompensi psicologici dovuti all’angoscia, oserei dire contagiosa, emanatami per colpa delle mie inibizioni, preda a loro volta della cattiva suggestione effettuatami dai maligni fascistoni. Mentre le false informazioni sul Covid, propinateci oggi come oggi dagli oscurantistici ignorantoni, cioè da giornalisti bravi soldatini assoldati ai più sporchi soldoni, appartengono non solo a falsi e bugiardissimi decreti governativi più ammorbanti della peste bubbonica. State boni! Chiariamoci, uomini e donne pestiferi, non appestatemi. Non opprimetemi, la mia dignità non calpestate. Inoltre, mi rivolgo in tal caso agli uomini di Bari vecchia. Adesso, se in questo periodo assai difficile per l’umanità intera, vi sentiste economicamente ed emotivamente molto squilibrati, non lasciatevi prendere dall’USL, no, dall’ansia. Non bestemmiate ma vi posso concedere di esternare sane blasfemie esuberanti a mo’ del miglior Lino Banfi ruspante. Sì, uomini bollenti delle Puglie, se in queste settimane brucianti di coprifuochi asfissianti più delle fiamme infernali, alle undici di sera volevate almeno rivedere un film con Pasquale Zagaria (L’esorciccio?) in streaming ma la connessione vi andò a putten’ alla pari del nostro ex premier di Loro, se imprecherete Madonna impestata dell’Incoronet’, non me la prenderò. Dio impestato!
Intanto, ricordate che la vostra ex moglie ambiziosa e assai sessualmente sfiziosa, oserei dire maliziosa e molto vogliosa, vi lasciò perché, già prima della vostra disintegrazione in quanto giammai alla società capitalistica v’adattaste, sanamente integrandovene, cioè non foste manco cassaintegrati, neanche emigrati o mantenuti immigrati, neppure v’improntaste alla prostituzione degli uomini potenti appartenenti alla “savia” e robusta Costituzione (più che fisica, diciamo orientata alla f… a, ottenuta in maniera poco virtuosa grazie ai soldi fruscianti, forse quelli che elemosina nelle mini-recensioni Patreon il critico cinematografico YouTuber F. Frusciante, ah ah), ecco, dicevo… Dicevo che lei, stando con un uomo di Potenza, cioè potentino, no, potente non solo a letto, vi lasciò in mutande completamente. Anzi, vi spogliò del tutto di ogni p… ne, sì, bene. Cosicché, mentre lei venne, eccome, e vive serenamente da esaltata arricchita ricca sfondata (specialmente nel sed… re montata), mentre lei sta con un monaco, no, con un mentecatto-montato, i vostri sogni sono stati pezzo per pezzo smontati e messi a novanta. Siete pazzi? Che volete farci? Volete farmi? Volete mettervi contro un pezzo grosso o con un’altra? Lei sta messa con un pezzo di merda. Sono volatili per diabetici! Fracchia la belva umana! Quello ve lo farà a strisce. Dunque, vermi e “falliti”, strisciate e non rompete le balle che vi raccontate per non farvelo. Vi sentite cornuti, traditi dalla vostra ex dea del c… zo. Al che, per farvela, no, per farcela, non lo date via ma vi siete dati a Lucifero. Sì, in questo periodo di Covid maledetto e diabolico, vidi gli uomini più innocenti e angelici darsi a immonde diavolerie pur di credere a qualcosa. Pensarono pure di essere il messia, uomini peggiori della peggiore catto-borghesia. Ma per cortesia!
Sì, sembrano Mickey Rourke di Angel Heart. E ho detto tutto. Ah ah. Fidatevi, sono terminati i tempi in cui ve la tiravate da duri come Mickey de L’anno del dragone. Manco riuscite a tirarvene… Vi vedo molto mosci, sapete? Comunque, questa porcata è partita dalla Cina, da me o dagli altri? Sì, il Covid è una tr… ia come J. Lo, no, come John Lone del succitato, eccitante masterpiece di Michael Cimino.
Al che, distrutti nelle finanze, finanche massacrati a livello mentale, cioè destrutturati, v’immolaste a salvatori come De Niro de Il cacciatore. Di nome, per l’appunto, Michael. Alter ego forse del Cimino?
Credo di sì. Lei, in vestaglia, no, in o senza veste, no, in vece di chi, no, invece ora crede a Belzebù? Sono Barbablù? Ah, allora lei va nel frutteto, no, lei nel frattempo va rieducato come John Lone… de L’ultimo imperatore. Lavaggio del cervello e anche di qualcos’altro, no? Comunque, non pensiate che i governatori delle varie regioni (direi nostre erogene, poco erotiche né eroiche, cari miei eroi che amate ogni eroina, in quanto viviamo quotidiani spappolamenti dei marroni) le donne bone si passino, no, tanto bene se la stiano passando.
Avete mai visto L’ora più buia? Oh, a me quel principe parve un bell’uomo. Come mai non stava con una come Lady Diana e invece Carlo, pur possedendo Diana, voleva sia la camomilla che Camilla, sognando di essere sexy come Kristen Stewart? Cristo!
Ora, non molti lo sanno. La scena d’inseguimento automobilistico in Ronin, ambientata a Parigi in un tunnel abbastanza famoso, fu girata da John Frankenheimer durante l’attentato a Lady D. Spencer. Comunque, nel Don Camillo di e con Terence Hill, non vi fu Bud Spencer. Il Ponte dell’Arma dei Carabinieri che non indagarono? No, il Pont de l’Alma… De Niro, in Ronin, si salvò ma è identico tuttora fisionomicamente a Dody Al-Fayed? Com’è possibile? Qualcosa non è andato per il verso giusto, sì, non va manco a spingere col Viagra. Dove sta la verità?
A Nizza, De Niro fu peraltro inseguito pure dalla polizia. Che, ai tempi delle riprese di Ronin, lo indagò. Prelevandolo dalla sua camera d’albergo in quanto ebbe una relazione clandestina con Charmaine Sinclair. Celeberrima entraîneuse nera come molte ex amanti di Bob. Vedi Naomi Campbell, Lady Diana, no, Diahnne Abbott, Toukie Smith e Grace Hightower. La Sinclair, escort d’alto bordo quasi quanto Moana Pozzi. Con la quale De Niro pare che, fra un ciak e l’altro di C’era una volta in America, fra du’ bucatini all’amatriciana con Sergio Leone e James Woods alla fantozziana trattoria Gigi il troione, no, al ristorante Er Colosseo de te rode e penne (penna, in gergo dialettale di origine controllata come il vino d’annata della Bologna più volgare, significa grande donnone, detta eufemisticamente ed elegantemente) alla puttanesca, gustava la patata al forno di Moana con tanto di bistecca à la Bobby Cannavale di The Irishman. Dopo il dolce, De Niro esigeva un altro tiramisù. Indeciso se ordinare un profiterole o approfittare della cameriera, adoratrice dell’olio piccante sull’italiano maccheronico di De Niro che, dinanzi a costei, non tanto vergine ma bella come la Madonna, ovvero una napoletana emigrata nella capitale e amante, non a letto, del compianto Antonio de Curtis, detto in arte Totò, la quale gli chiedeva se veramente la serva serve (senza servirsi del congiuntivo serva), Bob non capiva l’ammiccamento non solo cinefilo, le offriva piuttosto, anzi tostamente, la quaglia e voleva sol essere imboccato. Cosicché De Niro non soddisfatto ma strafatto, fra inguini allo scolo, la sua incerta Lingua italiana da amante bilingue, aiutato nelle finanze, no, finanche dall’interprete della particolare “linguista” non abbiente né perbene, voleva persino le linguine più buone e giustamente salate. Insalata! Ora, non molti riescono a spiegarsi come mai De Niro, dopo aver lavorato con tante bernalde, no, con Bertolucci Bertolucci e Leone Sergio, abbia scelto per il suo triangolo alla Renato Zero, no, per le sue cinematografiche collaborazioni con registi nostrani da non c’è due senza tre, “nientepopodimeno” che Giovanni Veronesi. Mandando per un attimo la sua carriera a pu… ne, per l’appunto. Be’, voleva imparare meglio la lingua di Monica Bellucci anche con Manuela, no, in Manuale d’amore 3. Bellucci Monica, donna poco monaca e più che belloccia, dotata di un enorme paio di bocce. Da nessuno mai bocciata. Quindi, bellissima ma incapace assoluta, dal punto visto attoriale e non solo, eh già, una cagna. Infatti, appena apre bocca, come attrice “pura” non si può vede’ né senti’, la si adora solo quando prende lezioni recitazione in modo orale. No? Dico solo la veritas, sono un povero cristo contro Maddalena! Non vi rabbuiate né abbaiate! Avete rabbia? Guardate Il Vangelo secondo Matteo! Pisellini, no, Pasolini! Datemi retto, no, retta. Fatevi un pisolino! Sì, De Niro, Sergio Leone, Gianni Minà e forse un pagliaccio di siti come blacked.com, si sa, scattarono assieme una foto epocale. Muhammad Ali non era certamente un cazzone come Dredd o Isiah Maxwel!
Era un clown incredibile come Elvis Presley. Si faceva le prugnine/one, no, le pug… te, no, si faceva dare pugni a non finire. Criticato da tutti in quanto micione e romanticone. A un certo punto, spiazzava ogni avversario con colpi da maestro mica da venduti e/o volponi, colpi e botte da gran signore.
Ecco, Zucchero cantò… lo sai fratello, siamo nella merda, a proposito come ti va? Vado via domani e non vengo più. Ah no, scusate, non torno più. Perché mai? Hai spiccato il volo per i tre giorni concessici dal Governo per andare soltanto all’estero? E lì, Verdone Carlo, ex amico di Leone, no, il principe della risata Totò, no, Joker di Gotham City, no, Carlo dello stretto di Gibilterra, no, Carlo terra terra eppur figlio della Queen d’Inghilterra, ex principessa sul pisello, ha fatto il buon samaritano, regalandoti una seconda ca(u)sa? Destinazione Paradiso… Evviva Gianluca Grignani. Mi va di scimmiottarlo, storpiando una sua canzone storica e anche stoica. Viviamo in un mondo di scemi e di scimmie. Dunque, tanto vale essere uno scimmione o uno scimunito? Domanda da un trecento milioni di dollari che non avrò mai. Neanche voi avrete tutti questi soldi. Non perché siete dei falliti, bensì perché chi lo ha, no, le ha, no li ha, eh già, non solo è attorniato da gente di malaffare ma, in termini puramente affaristici, credo che sia stato corrotto per utili suoi opportunistici. Esistono molti leccaculo al mondo. Se volete passare la vita, dunque, a inseguire queste ambizioni non so se solo da tromboni, sappiate subito che da me sarete trombati. Nella mia vita vengo ancora molto spesso coglionato. Però mai mi scogliono poiché so che la maggior parte della gente si crede chissà chi e invece fa, contro di me, puntualmente la figura del coglione. Si può utilizzare, mia acculturata brava gente, la parola coglione riferita a queste brave persone? Come si dice, persone coglione o semplicemente coglioni. Comunque sia, si levassero dalle palle.
Almeno resta qui per questa sega
Ma no che non ci provo, stai insicura
Può darsi già mi senta troppo solo
Perché conosco quel sorriso
Di chi ha già deriso
Quel sorriso già una volta
Mi ha aperto l’inferno
Può sembrarti anche una banana
Ma è un istinto naturale
Ed è per questo che mi diventa duro
Ricorda a volte un uomo va anche inculato
Comunque non sono omosessuale passivo e dunque dagli uomini inchiappettato
Tanto di me
Non ti devi preoccupare
Me la saprò chiavare
Stasera scriverò una canzone
Per soffocare dentro un’esplosione post-erezione
Tu non mi dai vie d’uscita né di fuga, sì, ho detto fuga
Per digerire, prenderò le fave di fuca
E te ne vai con un altro che indossa pure le infradito,
forse è anche un ermafrodito,
e te ne vai con la mia sfiga, forse con un figo con la tua figa fra le dita
di Stefano Falotico
Il Mereghetti 2021, dizionario dei film, è un buon acquisto da farsi a Natale? Paolo stronca l’ultimo Tarantino, non ha tutti i torti anche se credo che, in cuor suo, vada matto per Margot Robbie
E, onestamente, se non possedete il mio carisma, è meglio che rimaniate a vita spettatori della vita e del Cinema, in quanto siete critici solo degli altri ma non avrete mai quel falò delle vanità che mi rende il Roman Polanski italiano.
Sì, sono un realista pessimista, giammai disfattista eppur obiettivo e crudelmente sincero.
Il 90% delle persone crede davvero alla validità delle quarantene del Covid-19.
Di mio, credo che Margot Robbie sia una donna che, anziché fare l’attrice, dovrebbe vendere il pesce al mercato.
Sì, assomiglia a una di Non è la Rai. Ve lo ricordate?
Io ricordo tutto. Nel mio ambiente, mi chiamano Jena…
Sì, non frequento più ruffiani ambienti altolocati e alto-borghesi dei miei stivali. Non sono salottiero e, alla Mostra della Laguna, programma cinematografico trasmesso direttamente dal Festival di Venezia di tantissimi anni fa e condotto da Serena Dandini, programma peraltro mal ricordato da Paolo che lo definisce Il mostro della laguna, preferirò sempre La forma dell’acqua.
Di mio, posso dirvi che la mia lei non è Sally Hawkins del film appena citatovi di Guillermo del Toro, cioè non è la Pallavidino.
Molte ferite del mio animo ella rimarginò, conduco ancora una vita affogata nella marginalità ma non mi lamento se Benicio Del Toro si arrabbia perché lui ha le occhiaie e io no.
Nella mia vita non sono mai stato felice, giammai lo sarò.
So però che non canterò con Laura Pausini, consolandomi nel falso buonismo clericale d’un mondo oscurato dal Covid? No, dalla retorica e dalle bugie messe in giro dalle persone più fake di Nick Nolte di Cape Fear.
Ora, scusate, s’è fatto tardi. Andrò a prepararmi una buona cioccolata calda e, con le gambe accavallate, guarderò su Netflix il “capolavoro” Qualcuno salvi il Natale 2.
Interpretato dall’attore de La cosa oggi ridottosi peggio degli zampognari vestiti da Santa Claus che, in via Indipendenza a Bologna, sperando di pagarsi le bollette, regalano alle brave personcine delle dolciastre schifezze a base di ruffianerie e pose meschine. Che manichini.
Preferirò sempre la mia vita amara alle persone che si spacciano per buone ma non conoscono nemmeno un fotogramma dei film di Carpenter.
Ricordate, a Bologna in questo periodo, come puntualmente accade in autunno, c’è la nebbia.
Sto infatti girando The Fog 2. La storia di un uomo, cioè il sottoscritto, scomparso nel buio.
Io stesso non vedo chi sono e dove mi trovo/i.
Meglio così. Tanto, come detto, molta gente non sa neanche dove stia di casa… il loro cervello.
Su questa mia battuta cinica, vi auguro Buon Natale. Spero di avere allietato le vostre tristi giornate con un candito, no, con una ben condita e non tanto candida faloticata. Salutatemi a sorrata e a mammata. A parte gli scherzi. Dai, suvvia. C’era una volta a… Hollywood è una mezza boiata. Ha ragione Mereghetti ad assegnare a The Irishman la bellezza di 4 stellette. Non abbiamo bisogno della Pallavidino e di “critici” come Francesco Alò che The Irishman stroncò.
Se volete conoscere la verità, non me la passo benissimo. Ma almeno non lecco il culo a nessuno. Tranne alla mia lei.
Evviva il Falotico.
Il Mereghetti 2021 è da acquistare? Paolo stronca Tarantino e impietosamente assegna il vuoto pallino a THE LIGHTHOUSE ma esalta giustamente THE IRISHMAN
Paolino, mica un qualsiasi pinco pallino.
Ebbene sì, è uscita la nuova edizione del Mereghetti Dizionario dei Film.
Il celeberrimo, temibile MEREGHETTI. Spauracchio di ogni regista in erba che, dalla prosopopea spesso trombonesca di Paolo, viene stroncato severamente e soventemente reciso sul nascere. Sfiorito ancor prima che possa floridamente sviluppare la sua rosea poetica cinematografica. Poiché Paolo non vuole sentire ragioni e, in modo arbitrario, sentenzia con fare autoritario. Puntando il dito contro i giovani esaltati che a lui stanno, a pelle, antipatici.
Un uomo coraggioso, il Paolo. Un uomo con le palle! Che, nella scorsa edizione, rivalutò molti film del genio di Brian De Palma ma in questo suo ultimo aggiornamento irriverentemente abbassa il voto, da lui precedentemente e generosamente assegnato, a Omicidio a luci rosse.
Definendo inoltre Sidney Lumet, autore di Serpico e di Quel pomeriggio di un giorno da cani (mica pizza e fichi), come un normale, bravo artigiano. Poi, nobilitandolo tanto per fare il bastian contrario di sé stesso. Si decida, Paolo, altrimenti sarà citato in tribunale dal mitico Vin Diesel di Prova a incastrarmi.
Sì, un Vin nell’unico film decente della sua carriera. Un Vin simil Di Pietro! Il risolutore della tangentopoli di Mereghetti? No, delle contraddizioni di Paolo che frequentemente parte, come si suol dire, per la tangente.
Mereghetti, senza fare altresì una piega, continua a inveire contro Tarantino e, con estrema cattiveria inusitata, decide a suo modo insindacabile che The Lighthouse non è/sia un grande film, bensì una ciofeca spacciata per sofisticata, ermetica arte.
Insiste peraltro, in modo indefesso, a dichiarare orgogliosamente che Lars von Trier sia un venditore di aria fritta.
Che la Forza sia con te, Paolo.
Cosicché se, nella sua ultima edizione, campeggia Darth Vader, nel frattempo muore il suo interprete epocale, ovvero David Prowse.
Secondo Paolo, il film più bello del mondo non è affatto Quarto potere, bensì La morte corre sul fiume.
Come dargli torto, bravo!
The Irishman è un capolavoro?
Ovviamente, sì.
Mereghetti la pensa come me. Dunque, non vogliamo più vedere Francesco Alò e non vogliamo più nessuno che critichi il più grande attore di tutti i tempi.
Chi sarebbe? Robert De Niro. Certo. Ma anche questo non scherza.
Cioè il sottoscritto.
di Stefano Falotico
Omaggio a Morricone, le sue migliori colonne sonore: epico, rivoluzionario, monumentale
Se n’è andato. In punta di piedi. Nel suo stile, sobrio e al contempo, come le sue colonne sonore magnificenti, in sé stesso magniloquente. In quanto ha sempre vissuto discretamente, umilmente.
Lasciando un vuoto, dietro di noi, incommensurabile. È morto il più grande compositore di colonne sonore della storia del Cinema italiano e non solo.
Colui che, dopo aver composto la colonna sonora del sopravvalutato, pressoché inguardabile e tedioso The Hateful Eight, riciclando un suo geniale pezzo portante della soundtrack de La cosa, fu, assieme a Sergio Leone, l’anfitrione dell’utilizzo della musica, nella Settima Arte, a mo’ di cavalcante, scalpitante crescendo rossiniano d’emozioni immensamente potenti.
Autore, ça va sans dire, di colonne sonore da urlo per la celeberrima trilogia del dollaro leoniano.
E, prendendo in prestito la celebre frase del doppiaggio straordinario di Giancarlo Giannini di Donnie Brasco, pronunciata in originale da un Al Pacino bravo in maniera spaventosa, che te lo dico a fare?
Amico e amici…
Che c’entra Donnie Brasco?
C’entra, eccome. Sebbene Morricone, per questo bellissimo film, non abbia composto una sola nota.
Memore degli echeggianti fasti roboanti forse perfino di C’era una volta in America, il capolavoro di Mike Newell (sì, lo è, non ridacchiate) con Johnny Depp e Pacino si staglia, in modo unico e originalissimo, all’interno del panorama cinematografico di genere gangsteristico.
Se Francis Ford Coppola, per esempio, alla pari di Arthur Penn, nobilitò i criminali, magnificandoli in modo agiografico nella sua saga del Padrino, se Scorsese li mitizzò in Quei bravi ragazzi e, allo stesso tempo, li ridicolizzò come se ci fossimo trovati in una pantomima piena di disgraziati in cerca di remissione dei loro peccati, i quali scelsero, forse persino inconsapevolmente disperati come Frank Sheeran di The Irishman, eh già, la strada del male, sviscerando altresì, sotto forma di metafora, la sua antropologica visione della società, da lui giustamente intesa come una classista piramide ove, per sopravvivere, devi addirittura, accettando malvolentieri una tristissima esistenza malavitosa, adattarti giocoforza alle varie mafie quotidiane per tirare a campare, a meno che tu, tradendo gli accordi, non voglia finire crepato oppure, parafrasando Joe Pesci, cornuto e mazziato come Daniel Day-Lewis de L’età dell’innocenza, dicevo…
Dicevo, in Donnie Brasco, Mike Newell ci sorprese. Ma come!? Il regista di Quattro matrimoni e un funerale ebbe davvero la sensibilità, tipicamente italoamericana, di riuscire a sfoderare un gangster movie che, in effetti, tale non è?
Poiché è la storia di un’amicizia profondissima così commovente da lasciarci stesi. Su una sceneggiatura strepitosa, meravigliosamente giocata sulle dualità e sulle ambiguità perfino dei (o dai) risvolti non sempre comprensibili d’un intreccio, nel finale, volutamente complicato, Paul Attanasio creò uno script, poi recitato da dio, anzi da dei, veramente da Oscar. Da applauso!
Ove Al Pacino/Lefty voleva un’altra vita, forse un altro figlio. Persino nel suo “lavoro” poco nobile è stato scavalcato e declassato. Che uomo sfortunato ma, nella sua “famiglia”, ci tiene a ribadire, orgogliosamente non sicuro di sé ma d’origini certamente sicule, che tutti cammina/ino a testa alta.
E lui non è un allocco.
Ha avuto un cancro in una zona assai delicata e, se a Danny Aiello, i “goodfellas” di Once Upon a Time in America, combinarono uno scherzaccio di cattivissimo gusto, scambiando le culle in modo tale che suo “figlio” non potesse mai, un giorno, avere un tumore in quella zona sopra accennatavi, in Donnie Brasco, Johnny forse non voleva, in cuor suo, fare il poliziotto.
Affascinato, inconsciamente, dalla vita d’un Jack Nicholson di The Departed in versione molto più sfigata.
Lefty, al che, sognò la vita onesta che non poté mai avere, per una ragione o per l’altra e, di contraltare, Donnie forse non voleva fotterlo. Forse, non voleva neppure fottere una moglie piccolo borghese, noiosa e troppo perfettina come Anne Heche.
Forse, un Depp in versione Zac Efron di Nonno scatenato.
In cui De Niro lo “salvò” da una vita da laureato riccamente sistemato, donandogli il piacere inoculatogli della giovinezza recuperata.
Poiché Zac, in verità, non voleva continuare a fare l’avvocato, sposando la persona “giusta”. Voleva essere un po’ “fuori” e innamorarsi sempre di più di una ragazza dei fiori, leggermente auto-emarginata, una fotografa della vita che, sino alla fine dei loro giorni assieme, immortalerà quei piccoli attimi di felicità che la vita può e potrà donarci, estasiandoci d’inviolabile purezza e dolcissima venustà incantevole e incantata.
Senza troppe sovrastrutture, schemi mentali vetusti e superati, senza più pedagogie a buon mercato e maestrine già nate stanche. Già mentitrici, dalla nascita, riguardo i loro godimenti più veri, in quanto li sacrificarono fin dapprincipio sulla base di chissà quale onore mai esistito.
Quale? Quello, per l’appunto, caratteristico di chi ragiona come i mafiosi. Vivendo di stereotipi(e), di scremature, di suddivisioni sciocche e bigotte tra falliti e arrivati, forse solo figli di puttana cinici e arrivisti?
Ennio se n’è andato come Lefty/Al, lasciandoci tramortiti e senza parole come Johnny/Donnie nel finale.
Non so poi perché ma, quando rivedo Al Pacino in Donnie Brasco, mi ricordo di quando giocai a Calcio nella scuola Calcio Bologna. Lefty assomiglia al padre di Ortisi. Erano siculi.
A tutt’oggi, non ho mai conosciuto un calciatore “arrivato” di cognome Ortisi.
Mi ricordo però che imparai a nuotare da solo, rifiutando le lezioni della piscina Record situata al Pilastro.
Così come ricordo benissimo il finale de Il giovane Holden.
Mi spiace però deludere i miei hater ché mi danno del sociopatico. Non sono Salinger.
Ma voi che sapete? Che cosa volete sapere?
Fra cent’anni, parleranno di Ennio come di una leggenda.
Già lo è.
E questo è quanto.
Se non vi emozionate, ascoltando le colonne sonore di Ennio, anzi, nel cuore auscultandole, non siete degli indiani. Ma aridi come l’Indio, sì.
Indio, il gioco lo conosce/i.
Come la vedi? Ah ah
Quindi, quali sono le più belle colonne sonore di Ennio?
Suvvia, lo sapete meglio di me.
di Stefano Falotico
Non siete Lynch né Scorsese, non siete Stephen King né Thomas Harris, abbassate le creste
Ancora consigli per giovani scrittori di belle speranze e per inesperti cineasti alle prime armi, abbassate il tiro, pure Scorsese ha ora dei ripensamenti sugli effetti speciali del ringiovanimento in CGI di The Irishman.
Sì, avete letto l’intervista di Scorsese al Guardian?
Scorsese, visto il protrarsi inimmaginabile della post-produzione di The Irishman, ritardo imprevisto e assai spropositato dovuto al massiccio, sesquipedale, faraonico impiego sconsiderato degli effetti speciali de–aging di De Niro, Pacino, Pesci e compagnia bella, ha detto che non avrebbe mai, appunto, pensato che il tutto sarebbe risultato così difficile.
Avrebbe potuto semplicemente realizzare un’epopea gangsteristica da C’era una volta in America, forse scegliendo il sottoscritto come “sosia” di De Niro da giovane, eh eh. Anziché affidarsi alla Industrial Light & Magic.
Sì, The Irishman sarà un film epocale e storico sia nel senso di sviluppo narrativo e filologico di un’era oramai appartenente al passato, sia nell’accezione di storico in senso propriamente figurato del termine. Cioè, un film che con tutta probabilità entrerà di diritto, da instant classic fenomenale, nella storia.
Perlomeno, considerando le credenziali di uno come Scorsese, un regista pazzesco, noi tutti amanti della Settima Arte più alta ed eccelsa, vivamente ci auguriamo che questo possa gloriosamente avvenire e che The Irishman, di conseguenza, nel suo avveniristico alternarsi di flashback proustiani, rappresenti immediatamente il futuro a venire del Cinema stesso.
Sino ad ora, il ringiovanimento attoriale è stato limitato a pochissime scene di scarsissimo minutaggio ove l’Anthony Hopkins di turno di Westworld o Michael Douglas di Ant-Man sono apparsi ritoccati e rinverditi dai fasti computeristici delle super moderne tecnologie più futuristiche e avanguardistiche.
A quanto pare, per metà della durata di The Irishman, invece vedremo De Niro e Pacino giovanissimi come ai tempi de Il padrino e del suo sequel.
De Niro che è l’unico interprete nella storia del Cinema, appunto, ad aver vinto l’Oscar, come miglior attore non protagonista, per lo stesso personaggio oscarizzato di Don Vito Corleone interpretato dal suo putativo padre dell’Actor’s Studio, ovvero Marlon Brando.
E Pacino, come sappiamo, di entrambi è stato il loro figlio ereditario Michael.
The Irishman, strepitoso meta-cinema alla massima potenza. Il primo film in assoluto ove De Niro non viene interpretato da giovane, che ne so, da un clone che vagamente gli possa somigliare, come avvenuto per esempio in Red Lights, bensì da lui stesso in carne e ossa digitalizzate.
Scorsese, in questa suddetta intervista, ha ammesso che pensava sarebbe stato più semplice ringiovanire gli attori.
E i primi risultati non l’avevano convinto affatto. Un conto è, appunto, ringiovanire un attore per una scena di pochissimi secondi, come lo stesso De Niro di Joy, ove l’attore semmai non ha nemmeno delle battute e fissa per impercettibili istanti il vuoto con un’espressione catatonica, tutta un’altra storia… invece riuscire a ricreare l’espressività mobile e polimorfica di un attore che prima è incazzato e poi, alla Marlon Brando, improvvisamente parla unicamente, malinconicamente con lo sguardo, stando muto e senza proferire nulla.
Brando l’ha sempre detto. Un grande attore non si vede solo quando recita lunghi monologhi, bensì anche e soprattutto quando, pur stando zitto, riesce a parlare alle anime degli spettatori solamente con un’occhiata.
Brando, Pacino e De Niro sono campioni in questo.
Vale a dire nel saper comunicare enormi emozioni soltanto tintinnando il capo come lo stesso De Niro/Noodles del capolavoro succitato di Sergio Leone.
Una bella gatta da pelare, Martin. Siamo sicuri che riusciremo a vedere The Irishman prima che tu, De Niro, eccetera eccetera, sarete già nella tomba e vi ringiovaniranno solo i cinefili passatistici e nostalgici del Cinema delle memorie perdute?
Invece, cambiando discorso ma rimanendo in tema di storia però attuale…
Voi, belli miei, che continuate a idolatrare le Strade perdute di Lynch e vi sdoppiate come in Mulholland Drive, vivendo segregati in casa come Elephant Man e sognando di accarezzare à la Velluto blu la vostra Isabella Rossellini, ex compagna di Lynch e Scorsese, peraltro, non è che mi diverrete, oltre che frustrati, anche asmatici e pervertiti come Dennis Hopper?
Sì, la dovreste veramente finire di credervi psichiatri indagatori della mente umana come Hannibal Lecter, a proposito di Hopkins, cannibalizzando voi stessi in vampirismi degni di un becero horror di Stephen King.
Sognate di essere i nuovi anfitrioni e i rivoluzionari padri della letteratura più profetica e millenaristica, invece non avete capito né Snowpiercer né perché, con due lauree all’attivo, avete meno soldi del vostro vicino di casa.
Il quale non sa neppure chi siano Scorsese e Lynch ma è più ricco e porco di Ed Harris del film appena menzionato di Bong Joon-ho.
Sapete perché è avvenuto questo? Perché siete i classici tipi che, anziché aiutarsi a vicenda, emarginate il prossimo solo perché, d’ingenuissimo refuso trascurabilissimo, scrive Basilicata al posto di Basilica e avete passato la vostra giovinezza a pontificare sul mondo manco se aveste ottant’anni suonati come il Bergoglio.
Che è un grand’uomo, a prescindere che voi siate cristiani o no, mentre voi siete solo dei moscerini moralistici e più rincoglioniti di un rintronato in stato avanzato di demenza senile.
Sapete come ho fatto io a ringiovanire nel viso ma soprattutto nell’animo?
Ho capito che avevo sbagliato tutto. E che soprattutto voi state continuando a fraintendere la vita coi vostri sogni di gloria con le pezze al culo.
Vi credete dei geni e forse lo siete realmente. Non voglio metterlo in dubbio. Ma non allontanate Viggo Mortensen di Green Book. E non fate neppure come Mortensen di Carlito’s Way. Insomma, non fate i traditori e le merde.
Magnificate C’era una volta in America. Va benissimo. Un film indiscutibilmente magistrale ed emozionante. Però, se a vent’anni avete già dentro i vostri cuori l’amarezza di Leone, a novanta sarete messi a pecora, miei uomini Buffalo Bill da Silence of the Lambs.
Continuate pure a ballare davanti allo specchio come Buffalo, denudandovi per avere due Mi piace in più sui vostri selfie da figoni e fighette. Credendovi sapientoni, bellissimi e intelligentoni.
Sì, ha ragione il grande Joe Pesci di Casinò quando il tizio al bar gli parla di progetti forse non nobilissimi ma che comunque richiedono la necessità impellente ed evidente di farselo tostamente.
E lui, senza badare a sottigliezze e a sofismi da quattro lire, gli risponde: – Sì, ma dove cazzo stanno i soldi?
Un mio amico mi chiede di leggergli un libro e di recensirglielo, un altro vuole che gli realizzi un video d’immagini sue in slideshow, un altro povero cazzone, per dirla sempre alla Pesci, mi costringe quasi con la forza a condividergli tutti i suoi filmati e filmini in cui scoreggia per avere più visualizzazioni.
Ecco, ora basta fare San Francesco e Santo Stefano, il primo martire storico.
In questi anni, ho aiutato gente semi-analfabeta a ritrovare la sua fiducia persa, regalando loro dizionari di sinonimi e contrari. Reggendo il loro gioco, sostenendoli nei loro sogni.
Ma ancora una volta anche questi qua mi hanno voltato le spalle, dicendomi che sono un senza palle.
È davvero uno scandalo che io debba essere continuamente inculato a raffica in questa maniera ruffiana e ipocrita.
Per tutta l’adolescenza ho scarrozzato la gente come Travis Bickle di Taxi Driver, regalando perle ai porci. E mi son pure preso la patente di coglione schizofrenico. Mi pare giunto il momento di smetterla con le assurdità.
Mi hanno pure detto che vivo di riflesso… non credo e comunque sarebbe sempre meglio che vivere come voi, idioti molto fessi.
Urge sterzare bruscamente, cambiare marcia come Sly Stallone di Over the Top.
di Stefano Falotico
Che io mi ricordi ho sempre voluto essere Joe Pesci e non Good Will Hunting
Pezzo obiettivo come la fotografia di Michael Ballhaus di Goodfellas e di Robert Richardson di Casinò su andatura verace da rapper alla Joe Pesci
Sì, su Netflix hanno ficcato di nuovo uno dei film più brutti e sconsideratamente retorici di Gus Van Sant. Un cineasta a cui dovrebbero elevare un monumento in Piazza San Marco a Venezia per Elephant ma che, con l’insopportabile Scoprendo Forrester, invero un remake sui generis di Scent of a Woman che cita Salinger e inserisce pure Salieri/F. Murray Abraham per un confronto semi-teologico-ideologico sul growing up e sulla scolastica istruzione con tanto di Guglielmo da Baskerville/Sean Connery mezzo rincoglionito, roba melensa, aria fritta buona solo per i biechi ministri della cultura dei nostri stivali, e con questo film ampolloso, falsissimo a iosa, nell’anno di Titanic, creò l’anti-DiCaprio, ovvero Matt Damon.
Una pellicola iper-sopravvalutata che vinse la statuetta imbalsamata per la migliore sceneggiatura originale, scritta proprio da Damon assieme al Batman peggiore della storia, ovvero Ben Affleck, consentendo al povero Robin Williams di agguantare l’Oscar come migliore attore non protagonista dopo che lo prese in culo varie volte.
Sì, per far sì che Robin, in seguito alle forti delusioni precedenti, non impazzisse come ne La leggenda del re pescatore e non si suicidasse, tanto si ammazzò lo stesso, scipparono il tanto agognato Oscar ad Anthony Hopkins di Amistad, a Greg Kinnear di Qualcosa è cambiato, a Burt Reynolds di Boogie Nights e a Robert Forster di Jackie Brown. I quali, senz’ombra di dubbio, sebbene anch’essi non avessero fornito interpretazioni eccelse e al top, avrebbero comunque meritato di vincere, dunque impugnare cadauno, dico ciascuno, la bella statuina.
Donata, stra-regalata appunto a Williams nella sua prova più mosciamente, appunto, retorica. Roba che ne L’Attimo fuggente sembra invece il compianto Marco Pannella di Radio Radicale.
Sì, vogliono chiudere l’emittente radiofonica più sincera della nostra povera Italia. Rabbonita dai discorsi populistici di Di Maio. Un’Italietta di balletti e canti stolti che si consola dalla totale disfatta e dall’irreparabile frittata socio-economica con le pezze al culo degl’infimi, controproducenti redditi di cittadinanza. Parafrasando in maniera falotica Ethan Hawke e Williams di Dead Poets Society…, sì, tiri il lenzuolo da una parte e si scoprono le gambe, lo tiri ma invece lei non svela le gambe e preferisce coprirsi le vergogne con la sottana.
Ah, non va bene. Stavi già pregustando di soddisfarla, immaginando rovente una notte di sesso bollente come il più infoiato Antonio Banderas di Mai con uno sconosciuto e invece ecco che lei, ancor prima dei preliminari, ti castra peggio di un farmaco neurolettico pesantissimo.
Neppure godi di coitus interruptus, praticamente devi fare come Robert De Niro di Toro scatenato con Cathy Moriarty. Cioè gelarti le palle per frenare la voglia irrefrenabile di montarla invece da lei freddissimamente smontata.
Sì, Will Hunting – Genio ribelle è un film fake. Un film ove lo psicologo-psichiatra della mutua Robin Williams prima dice a Will/Damon che suo padre era muratore e poi è come se gli dicesse che è meglio un film di Michael Bay al Cinema di Ken Loach.
Cioè lo incita a cambiare la sua indole rabbiosa da ragazzo pasoliniano per prostituirla a mo’ di coriaceo, indistruttibile Transformer uomo molto The Rock. Ah, adesso capisco perché andate tutti in palestra. Siete tutti uguali e fatti con lo stampino.
Quindi, ecco che il Williams vuole rendere Matt Damon, uno che appena vede Minnie Driver non ha sinceramente pensieri da libri di Moccia, bensì vorrebbe solo scoparla e spremerla come il Vileda, sì, il mocio che usa da servo delle pulizie, un uomo rispettabile come Nicolas Cage nel rifacimento osceno di Brett Ratner de La vita è meravigliosa. Ma come?
Qui, lì nel capolavoro di Frank Capra, James Stewart aveva avuto una sfiga pazzesca. In The Family Man, Nic Cage si scopava solo delle fighe pazzesche, delle vallette. Sì, Amber Valletta.
Onestamente, siamo uomini di mondo. Vecchi lupi, suvvia. Avete mai visto un Silvio Berlusconi che si sarebbe sposato con Téa Leoni quando invece poteva fare il premier con tanto di villone coi suoi troioni?
Che leone! E gli servivano pure il caldo tè.
Io la verità la so, figlioli e cocchi di mamma. Basta, avete finito di rompere i coglioni…
E se uno preferisce Shakespeare e il pensiero kantiano a una fidanzata da Diabolik, cioè Eva Kant, ladri e doppiogiochisti quale siete, me, oh no, non m’incantate.
Rimarrò solo come un cane?
Perché non mi trovo una bella ragazza?
Ah, a tutti rispondo come Joe Pesci di Quei bravi ragazzi a sua madre, in verità la madre di Scorsese:
– Ma tu perché non ti trovi una brava ragazza?
– Io ne trovo di bravissime tutte le sere, mamma.
– Io dicevo una ragazza che ti ci puoi sistemare.
– Io mi sistemo benissimo tutte le notti e la mattina dopo sono libero. Ti voglio bene, mamma.
Sì, solo quando il sottoscritto è sé stesso è forse un genio, un poeta, un artista, probabilmente anche un futuro, enorme regista. Quando si piega alle pressioni dell’omologazione di massa, diventa un povero ritardato come voi. E questo è tutto.
Sì, per tanti anni, a causa dei buonismi consolatori di gente chiesastica invero più criminosa della mafia, venni snaturato nella mia essenza. E manco venni in quel seno, no, senso. Persi pure il senno. Sono riemerso come lava vulcanica. Perché io sono che guida meglio di Steve McQueen, che ama il tramonto della sera e soprattutto adora cavalcarla di sella nel rosso di sera bel tempo con me non si spera.
Tanto poi la lascio. Ah ah. Sono un grande compagno. Se andate dal mio amico Asso/De Niro e gli dite oscenità, attenti, divento come Nicky Santoro. E vi dico: la senti la femminuccia del cazzo? Che fine ha fatto il maschione del cazzo che ha detto al mio amico di ficcarsi la penna su per il culo?
Il mio amico è uno scrittore. E quella è la sua vita!
Ecco, quello che molti non capiscono di me è quanto segue: be’, ora hai realizzato il tuo sogno Dicono tutti i critici e i lettori più fini che tu sia un grande scrittore. Allora perché ora non esci, ti ubriachi e scopi come una scimmia?
Perché poi farei la fine di Elvis Presley. E vi garantisco che non è bello crepare strafatti. Meglio una strada da 8 Mile rispetto alla vi(t)a delle puttane, fidatevi.
Ogni tipo di pseudo-terapia della minchia con me non funziona. No, manco per il cazzo, poveri cazzoni.
Ricordatevi: a Las Vegas lo prendono quasi tutti in quel posto.
La vita reale, se non avete botte di culo e se non avete casini, è uno spaventoso deserto. Ci sono un fottio di buche.
Che vanno riempite.
Pezzo realistico, anzi da cinéma vérité della vostra situazione sbandata da sbadati e spostati che si credono Brad Pitt
Guardate, non voglio più darvi retta. Avete stufato. Soltanto perché oramai reputate Tarantino un maestro, a causa del vostro timore reverenziale verso questo conclamato baggiano spara-puttanate, scrivete che C’era una volta a Hollywood è un capolavoro.
Non vedo niente di tutto questo così come molti di voi, pensandosi dotti, maggiormente istruiti di me e sapientoni, hanno sempre presunto di vedere nella mia cosiddetta invisibilità un’immaturità erettiva da uomo che non camminava a testa alta, ah, ma si capisce, siete gente esperta e navigata in questa vita che voi chiamate viaggio, richiamandovi alle peggiori canzoni di Nick Cave, come se voi, personcine a modo, foste nati in una highway sterminata del Texas e invece siete stati partoriti in un polveroso ospedale con le pareti ammuffite di qualche scalcagnato quartiere popolare con vostro padre che, appunto alla vostra nascita, urlò di gioia, mentre Marco Tardelli in contemporanea ficcò il suo fendente contro la Germania nella finale di Coppa del Mondo di Calcio dell’82.
Ma voi vi siete meritati Sandro Pertini e Mattarella, uno che è imbalsamato più di Tutankhamon.
Sì, l’Italia è veramente un Paese che, come disse Pasolini, non cambierà mai per colpa delle sue cicliche, ripetitive, oramai anacronistiche abitudini.
Un Paese lentissimo. Con le sue inflessioni dialettali, le strascicate in romanesco stretto, il pigliarla come viene ed evviva du’ spaghi. Che vuoi di più dalla vita? Oh, abbiamo ancora Ferilli Sabrina. Che desideri? Un piatto di fusilli?
Per anni fui tormentato da piccolo borghesi fissati con John Lennon e la loro smodata retorica da Imagine.
Sì, credo che John Lennon sia stato un bell’uomo intellettuale sposato a una indubbiamente più racchia di Katsuni, famosa pornoattrice oramai appartenente a un mio Yesterday ove, come Noodles/Bob De Niro, sognai di farmela anche violentemente così come fece, da uomo merdoso, appunto il nostro lucky bastard Robert nel capolavoro di Sergio Leone con Deborah. Una che comunque peggiorò di brutto.
Capisco l’infatuazione di Noodles per Jennifer Connelly, cazzo, ci stava. Già da bambina, Jennifer era protesa, diciamo, a sgambettare sensuale, stimolando tutte le fantasie pre-adolescenziali da Tutto può accadere con Frank Whaley. Uno che in Pulp Fiction capì subito che fu un colpo di culo averla di cavalluccio perché battersela contro un nero come Samuel L. Jackson, un vero mandingo, no, non sarebbe andata affatto liscia.
Eh sì, torniamo dunque a Quei bravi ragazzi e al Pesci. Quando Joe entra da farabutto nella casupola di L. Jackson e gli dice che è uomo schifoso che correda la sua biblioteca piena di cimici con riviste porno e allieta le sue notti con delle baldracche.
Dunque, gli spara appunto a bruciapelo.
Tornando alla Connelly, sì, era bona una volta. Adesso è più magra di una mini-sigaretta elettronica. Insomma, anche se volesse incenerirmi, bruciandomi e aspirandomi tutto, non me la fumerei. Preferendo un caffè macchiato caldo al suo visino imbruttito in maniera peggiore di quello di Elizabeth McGovern.
Sì, Elizabeth secondo me non valeva il pene, la pena di fare quel casino della madonna. Ma sì, con questa che avresti fatto, Noodles? Sarebbe stata la tua dolce metà? Ti avrebbe pungolato come dice proprio Robin Williams? Meglio che fosse andata a pasturare con qualche capo mandria che l’avrebbe messa a pecorina.
Sì, meglio mangiarsi da soli un pecorino piuttosto che incartapecorirsi con questa donnetta. Una che ti avrebbe rotto le palle quando eri giovane poiché troppo ambiziosa. E non avrebbe mai accettato che tu avessi fatto il muratore nonostante gliela spatolassi con tanto di calcestruzzo.
No, questa avrebbe voluto mettere su mattoni alla sua carriera da signora di classe, ti avrebbe reso matto, costringendoti a portarla alle feste e a diventare governatore. E avrebbe pure voluto una villa costruita da muratori per murarsi viva ad ascoltare musica classica.
No, meglio non essere il bastone della sua vecchiaia.
Sì, a me fanno ribrezzo i giovinastri già rimbambiti a vent’anni. Dopo adolescenze castrate da genitori che li vollero indirizzare alla borghesia più avvocatesca e burocratica, adesso passano il tempo ad amare Once Upon a Time in America ancora prima di essersi innamorati per la prima volta.
Una generazione d’idioti, di esaltatati, di Giovani Marmotte che, oltre a guardare film super malinconici, oltre a celebrare Non si sevizia un paperino e quel povero cazzone appunto del Tarantino, ah ah, ancora non sanno cosa sia un’ottima passerina.
E poi fanno gli uccelli migratori dal PC, collegandosi a un sito per adulti di milf da simpatici bambinoni.
Dunque, moralisti e catto-borghesi qual sono, essendo nati nella patria delle prediche papali, pontificano sulla Settima Arte quando invece non hanno neppure trovato una prima ragazza con la seconda.
No, sinceramente non credo che camperò molto a lungo.
Sono disgustato da tutto.
Vivo ancora per guardare The Irishman.
Perché, non giriamoci attorno, io non saprò mai cosa voglio davvero nella vita.
Anche perché la vita cosiddetta reale la trovo estremamente banale, prevedibile, volgare. Piena di pettegolezzi, corna, invidie, tradimenti fratricidi, assassini e morti bianche.
Di persone che reputi amiche e invece ti baciano come Giuda. Di donne come la Vergine che poi scopri essere Maddalena.
Fa bene allora Matt Damon a fottersene dei consigli. E a continuare a fare quel cazzo che gli pare da mattina a sera.
Lasciamo ai moralizzatori, agli educatori di questo paio de’ coglioni, la loro retorica, il loro spaventarti e inibirti coi sensi di colpa.
Come quel pistolotto assurdo di Williams su sua moglie.
Ah, mi dispiace.
Preferisco leggere Shakespeare. Tanto non avrò di questi problemi. Sarà qualcun altro ad assisterla prima di morire.
Questo significa ESSERE. Il resto è solo furbo Cinema hollywoodiano, belle parole ma vita poco vera.
di Stefano Falotico
Gli 80 anni del grande Francis Ford Coppola, i quasi quarant’anni del Genius
Sì, oramai ci siamo. Il prossimo 7 Aprile, Francis Ford Coppola taglierà il traguardo di ottanta primavere.
Onestamente non indossate benissimo. Visto che, dalle sue ultime foto da me rinvenute, debbo ammettere, un po’ sconcertato, che si è appesantito davvero notevolmente più di quanto, leggermente obeso, fosse già da giovane.
Obeso significa semplicemente sovrappeso, non è un ‘offesa, è una constatazione oggettiva del suo aspetto fisico.
Qui in Italia si fa molta confusione con le parole. Se dici a qualcuno obeso, il “malcapitato” a cui hai rivolto quest’epiteto, ti si scaglia contro, ti s’avventa, oserei dire, con avventatezza. Coprendoti a sua volta degli appellativi peggiori e più infamanti.
Non c’è niente di male, dunque, a definire obeso il signor Francis Ford.
Il suo aspetto esteriore, diciamo, non è mai stato propriamente quello di un modello di Dolce & Gabbana.
E quindi?
Io nutro invece stima immane per quest’uomo dall’eleganza inaudita, un regista sempre finissimo anche quando s’è cimentato con film violentissimi come il suo epocale Il padrino.
Film che, in men che non si dica, oltre a fregiarlo di Oscar a iosa, con tanto di seguito egualmente oscarizzato, l’ha elevato di colpo fra i maestri quando, prima di allora, veniva solamente considerato un buon regista e uno sceneggiatore dal discreto intuito.
Il padrino fu un colpo colossale, un colossal enorme che avrebbe generato, in maniera seminale e sesquipedale, tutta una serie di film “mafiosi” e gangsteristici emulatori del suo stile. Più o meno riusciti, variazioni sul tema dimenticabili o geniali rielaborazioni scorsesiane come Quei bravi ragazzi.
E chiariamoci una volta per tutte. C’è una profonda differenza tra Goodfellas e The Godfather.
Quest’ultimo è incentrato sulla genesi della famiglia mafiosa più potente del mondo, i Corleone. Dunque, per quanto esecrabile e orrenda, la “famigghia” (come diceva Marlon Brando) che stava al vertice piramidale della scala gerarchica di Cosa Nostra.
Quei bravi ragazzi invece è un amarissimo divertissement, guascone, irriverente, molto divertente, geniale e forse persino uno studio antropologico della mentalità e degli ambienti criminosi.
Ma parliamo della piccola manovalanza del crimine per antonomasia. Di teppistelli da quattro soldi asserviti a poteri molto più forti.
Parliamo di “buffoni” come il Tommy di Joe Pesci e del “playboy” dei poveri Ray Liotta. E di un De Niro/Jimmy lontano anni luce dal suo spettrale Don Vito.
Fra l’altro, Joe Pesci in questo film di cognome fa DeVito. Ah ah. Sì, come il tutt’ora in vita ex cantante dei Four Seasons e il bassotto Danny DeVito de L’uomo della pioggia.
Per caso, quando avete visto il trailer di Jersey Boys di Clint Eastwood, vi è venuto alla mente Goodfellas?
Ecco, ora sapete perché.
Detto ciò, eh eh, Il padrino e Quei bravi ragazzi sono due film completamente diversi l’uno dall’altro.
Lasciando stare invece DeVito, in C’era una volta in America di Sergio Leone, be’, sappiamo tutti che il protagonista è stato De Niro.
Anche nel caso dell’opera magna di Leone, il paragone col Padrino però non c’azzecca per nulla, tanto per dirla all’Antonio/Tonino Di Pietro.
Eppure, a ben vedere, tutto il Cinema del mitico Coppola… sì, del Coppola, non della coppola, famoso berretto da mafiosetti ben diverso dalle pellicole minimalistiche di Sofia, uh uh, dicevo… tutto il Cinema di Coppola è una Once Upon a Time in America. Una continua, eccezionale, infinita rielaborazione proustiana sul tempo perduto.
Cos’è Apocalypse Now infatti? Col pretesto del film bellico, di guerra, Coppola aveva elaborato un incubo a occhi aperti sui sogni smarriti di una generazione di americani distrutti dal Vietnam.
E non sto scherzando quando qui ora affermo che Kurtz altri non è altri che Cobain Kurt se l’ex leader dei Nirvana non si fosse suicidato.
Questa sarebbe stata la sua fine. Nella giungla delle sue ossessioni, della sua totale perdizione, ai piedi d’un fiume biblico e profetico, messianica incarnazione-mystic river della sua impossibile salvazione irraggiungibile.
Un asceta maledetto, un buddista nichilista, un uomo oramai totalmente congiunto al(la) this is the end del suo fratello “gemello” Jim Morrison in un continuum spazio-tempo rigeneratosi non solo in maniera rock. Un grunge man che, se fosse sopravvissuto, oggigiorno… nell’era edonistica d’Instagram, avrebbe preferito fare l’eremita nella sua isola selvaggia da Dr. Moreau.
Puro pasto nudo d’un musicista annichilito dai tempi bui di questa modernità che ha cancellato ogni poesia jazz, ogni Cotton Club.
Un ex Rusty il selvaggio, un ragazzo della 56ª strada a cui dedicherebbero retrospettive televisive introdotte dalla super malinconica colonna sonora di Carmine Coppola.
Sì, la sua storica ex Courtney Love chi è, ora come ora, se non Kathleen Turner di Peggy Sue si è sposata?
Una pazzerella che disdegnava tutti i ragazzi seri, i secchioni, i timidoni e ha avuto una cotta bestiale per lo “scemo del villaggio”.
Per il suo Elvis, per il suo Cuore selvaggio. Per il suo Charlie/Nicolas Cage col ciuffo da banana, per il suo biondino, un amante da Love Me Tender, un amico da Come As You Are.
Che film, ragazzi. Peggy Sue…
La prima volta che lo vidi, sì, sarà stato nel 2001. Alla fine del film mi commossi.
Che splendida storia. E lei si risveglia dal coma. Attorno a lei tutti i suoi parenti. Ma soprattutto il più grande Nicolas Cage degli anni ottanta.
È stato bravissimo, qui, Nic. Ha recitato come un cane da nipote raccomandatissimo, appunto, da suo zio. Ma ci ha messo l’anima.
Guarda la sua donna, è stato un miracolo, la sua donna, quella che per lui sarà sempre sino alla morte Peggy Sue, quella ragazza un po’ matta che gli ha fatto perdere la testa. Rimane immobile con le lacrime agli occhi.
Pare che le sussurri… siamo ancora tutti vivi, Peggy, più vecchi, più tristi, non siamo più quegli adolescenti cretini, quei nerd stolti. Io non sono diventato quello che volevo essere. Vendo solo lavatrici. Alcuni sono morti, quel ragazzo invece che era innamorato di te, quel genietto occhialuto, morirà e non verrà ricordato come Einstein.
È andata male a tutti noi. Ma siamo vivi.
È stato tutto un sogno. Magnifico. Un sogno lungo un giorno.
Quanto mi ha fatto piangere Peggy Sue…
Quanto ancora vorrei superare le barriere del tempo e rinascere come Dracula di Bram Stoker.
Eppure, devo essere realista. L’amore della mia vita è oggi sposata con uno stronzo.
Sono spesso solo nei mei giardini di pietra…
Sogno un’altra giovinezza e un ultimo sogno “pazzo” come Tucker.
Ma che posso fare? Ricominciare daccapo?
Ah, farei la figura di Jack.
Pensate che nella mia vita mi son/ho pure dovuto subire falsità sulla mia persona.
Io non ho mai delirato su nessuno. Ero solo molto incazzato. Non sono certamente Gene Hackman de La conversazione.
Al massimo, posso essere Edgar Allan Poe di Twixt. Anche se al Twix ho sempre preferito il Mars e a Marte un rapporto venereo.
Sì, sto coi piedi per terra, io. Sì. E se invece mi sposavo con l’amore della mia vita e lei mi trasmetteva qualche malattia venerea?
Già. È stata sempre bellissima. E già all’epoca sapevo che andava con tutti.
Che vi devo dire?
Probabilmente sono l’incarnazione della prima sceneggiatura di rilievo di Francis Ford Coppola, Il grande Gatsby.
Non giudicate la mia vita così come io non giudico la vostra:
ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi.
Ce la vogliamo dire?
E diciamocela!
Francis Ford Coppola è un Genius!
Già, ieri pomeriggio son stato dal cardiologo:
– Falotico, non andiamo molto bene, sa?
– Ho problemi al cuore?
– No, il cuore è a posto. Lei innanzitutto deve fumare meno sigarette, respirare di più, dare più ampio respiro alla sua vita.
Sennò, potrebbero accentuarsi i problemi. Chiusure non solo alle arterie, al sangue delle vene, bensì claustrofobie all’anima.
Lei è troppo sentimentale. E, ogni volta che riceve una delusione, si soffoca.
– Quindi il problema è solo questo?
– Sì, le ho fatto anche l’elettroencefalogramma. La testa va benissimo. Anzi, va troppo bene. Dovrebbe avere una testa più semplice. È molto cerebrale. Non stia sempre a rimuginare.
Se ne fotta.
– Ma sono un sentimentale.
– Anche questo è vero. Lei è un uomo da Megalopolis, il più grande dream mai realizzato della storia di tutti i temp(l)i.
Sa che le dico? Lei mi è molto simpatico.
– Grazie, dottore.
– Ce lo spariamo assieme, quando uscirà, il nuovo film di Sofia?
– Ci sarà ancora una volta Bill Murray.
– Eh sì.
Insomma, Francis Ford Coppola è un genio strabiliante.
Quando incontri uno così, tutti gli altri rimangono in mutande.
Con la sua poesia, i suoi sogni, la sua immaginazione, la sua forza distrugge in un nanosecondo tutti i nani.
Perché è un gigante!
Uno davvero emozionante!
di Stefano Falotico
I 5 film più sopravvalutati di sempre secondo un mio amico e secondo me… e l’atroce Creed II al primo posto degli incassi!
Stamattina, mi son svegliato con un forte subbuglio nello stomaco.
Dopo essermi sparato la puntata numero 8 della seconda stagione di The Punisher, serie che mi sta entusiasmando quanto se non più della prima tranche, anzi, mi sta esaltando e sto cadendo in trance, serie per la quale devo porgere i miei più sentiti complimenti naturalmente a Jon Bernthal, nato per questo ruolo, ma soprattutto elargire vivi e sentiti applausi a un sempre sorprendente Ben Barnes, davvero notevolissimo, un Dorian Gray frankensteniano, e a Josh Stewart, versione “psichiatrica” di Robert Mitchum de La morte corre sul fiume, ecco, leggo su Facebook questa “sparata” di Anton Giulio Onofri, uomo come me eastwoodiano e cronenberghiano, che stila questa brevissima classifica di sopravvalutati.
Fra i cinque titoli, a suo avviso, più sovrastimati di sempre, vi sono C’era una volta in America e Titanic.
Su Tre manifesti a Ebbing, Missouri, non perderei tempo. È un buon film che, a quasi un anno di distanza dall’Oscar un po’ immeritato a Frances McDormand, ovviamente premiata perché è la moglie del Coen ed è racchia e pazza, dunque si sa che le sfigate ottengono la benevolenza dei premi “simpatia”, vedi Luciana Littizzetto e la Sconsolata, ah ah, dicevo… oramai questo discreto movie non lo ricorda già più nessuno. Nemmeno chi, all’epoca della sua anteprima al Festival di Venezia, l’aveva magnificato.
E, col senno di poi, mi auguro che l’abbia ridimensionato. E non poco.
Woody Harrelson crepa suicida dopo mezz’ora di film e si è cuccato una nomination assurda, Sam Rockwell sembra un mio “amico” di quando giocavo a Calcio, Preci, un simpatico “scugnizzo” grottesco che combinava puttanate e, parimenti alla McDormand, caro Sam, hai vinto un Oscar davvero regalato.
Passiamo invece al Titanic. Sapete, l’ho visto soltanto una volta in vita mia. Quando uscì al cinema nel lontano 1997. Da allora, non l’ho mai più rivisto, neppure nelle varie versione rimasterizzate e 4K di tua sorella.
Io mi son sempre chiesto? Ecco, al di là del vento in poppa, no, in prugna, no, in prua dell’allora gnoccolona Kate Winslet (Holy Smoke docet), adesso diventata una matrona da La ruota delle meraviglie, una sorta di comare del meridione pugliese in cerca di giovincelli vogliosi e capricciosi per consolarsi dalla malinconia di un matrimonio col giostraio fratello del blues brother, una che sicuramente legge sia Moccia che Shakespeare a mo’ di compensazione e a seconda di dove tira il vento e soprattutto a discrezione della sua figa depressa e rancida, dicevo… come potete considerare capolavoro questo Titanic?
Insomma, la gente com’è ridotta? Aspetta tre ore, infarcite di melensi baci da Muccino, per godersi la tragedia immane. Adesso capisco perché Francesco Schettino sostiene tuttora che non è colpa sua se la Costa Concordia ha fatto la fine della nave di Speed 2.
Lui, dal carcere, continua a difendersi così:
– La gente ama le tragedie, la grandeur di uno spettacolo orribile, poi per un anno abbondante ho permesso a Bruno Vespa di lucrare a sbafo su questo dramma incredibile. Bruno non vede l’ora che succeda qualche oscenità, vedi anche la storia di quelli di Cogne e della Franzoni, per portar a casa la pagnotta. È uno sciacallo! Adora gli scandali, gli inciuci, le storie da True Detective, i misteri irrisolvibili. Irrisolti.
Direi irrisori! Tanto non sarà lui a tornare indietro nel tempo e a sistemare le cose.
Perché mi tenete qui dentro fra le sbarre? Ho alzato le quotazioni della RAI, gli ascolti sono andati alle stelle, altro che Milly Carlucci e i suoi balletti. Sapete… La gente ha una vita mediocre, patetica. Va a lavorare, svolgendo un lavoro che odia e provoca la gastrite e irreparabili infezioni intestinali. Deve sobbarcarsi le invidie dei colleghi, digerire le urla della moglie frustrata, arrabbiata perché il sugo della Barilla è scaduto, e le schizofrenie dei figli adolescenti, fuori di testa perché quella del primo b(r)anco, anziché innamorarsi dei loro idealismi poetici, ieri sera s’è fatta inculare da un minorenne Fabrizio Corona “fighissimo” che adora Rocky IV.
Io ho ravvivato un po’ la situazione. Ho movimentato la noia quotidiana.
Volete farmene una croce?
Ah ah.
Invece, per quanto concerne C’era una volta in America. Se il mio amico Onofri va a dire a Ilaria Feole che è sopravvalutato, credo scatterà la rissa.
Mereghetti invece ne sarebbe contentissimo.
Ora, non scherziamo. Addirittura paragonare l’epopea gangesterica di Leone a una miniserie tv mi pare scabroso! Allucinante!
È giusto che sia un “carcassone”. È un sogno, un sogno proustiano. Il sogno di un loser, di un romantico stupratore stronzo più del suo amico puttaniere, Max, e come ogni sogno è la sua versione dei fatti.
Non dev’essere coerente. I sogni non lo sono. I sogni sono personali, sono una rielaborazione inconscia della vita diurna e senziente. Dunque, può essere kitsch, volgare, sconclusionato, folle, pazzo.
È questo il film. Non perdiamoci in sofismi. E aveva ragione Burt Young, a proposito di Rocky. E Cogne. No, cognati. Ribadisco. L’assicurazione più importante è quella dù caz’.
È così, non si discute.
E la finisse quella vecchia in radio di recitare… Adonis, figlio di Apollo, combatte contro il figlio di Ivan Drago.
Sì, cosa deve pur fare una povera donna per arrivare a fine mese. Leggere e registrare puttanate del genere.
Intanto, lo Stallone italiano si compra un’altra Ferrari.
Detto ciò, ce lo spariamo questo Corriere del Clint? Dai, dai.
E ricordate: come Balboa… non ho mai visto un uomo prenderne così tante. Davvero tante.
Eppure è ancora lì e non va mai giù. Deve avere davvero una forza sovrumana.
Altro che Creed uno due e dieci. Rocky è Rocky. Il primo è imbattibile. Tu chiamale se vuoi emozioni.
di Stefano Falotico
C’era una volta a Torino…
Ieri, era il 29 Dicembre e Rai 3, come di consueto in questo periodo, in concomitanza con la fine dell’anno e l’approssimarsi vicinissimo dell’Epifania, ha trasmesso C’era una volta in America.
Stefano Falotico, il qui presente-assente, Bickle e Joker Marino, uomo rispuntato dalle tenebre per fortunati accadimenti miracolosi della sua mente che, dopo essere andata a letto presto, invero tardissimo da After Hours scorsesiano per molti anni, dopo essersi persa nei vicoli meandrici di amnesie storiche, dopo tanti eventi rovinosi, impazzimenti vari, ha riacquistato la luce, una luce tenue come il crepuscolo adamantino del suo Nosferatu passeggero in questo mondo bislacco ch’è il nostro.
Così, ho deciso di far visita a un mio amico di Torino, per una giornata e mezza di allegre rimpatriate.
Sono passati tanti anni dalla prima volta che lo incontrai e più volte ci siam rivisti, anche se di rado, negli ultimi tempi.
Così, quando la malinconia si fa così forte nel mio animo che ho bisogno d’incendiare i miei ombrosi umori in serate piacevolmente amicali, non perdo mai il treno.
Che, semmai, sosta anche alla splendida stazione di Milano. E il mio animo, in quel frangente in cui le ruote del treno stridono sui suoi binari e sospendono il loro cammino nella metropoli lombarda per eccellenza, si placa, vien colto da spasmi romantici e ripenso a quando, nel 2006, amoreggiavo con una ragazza che forse non amavo neppure. Un periodo seppellito nelle mie memorie. Con lei non andai d’accordo tantissimo ma mi piaceva baciarla.
Poi, finito che ho di rimembrare quell’amore bizzarro, ecco che chiudo gli occhi ma non dormo. E odo, a palpebre abbassate, il casino dei passeggeri. Il treno è pieno di gente e, sapete, io mi sento sempre a disagio in mezzo alla folla ciarliera e rumorosa. Fra bambini che piangono, cullati dalle loro madri appunto amorevoli, trogloditi che urlano al cellulare e nuove persone che salgono nel baccano generale.
E, come per magia, eccomi a Torino. Scendo piano, m’incammino verso l’atrio e incontro il mio amico che mi aspetta. Prendiamo il taxi, alloggio nel mio albergo, sento una donna strillare, inizialmente pensavo che ridesse sguaiatamente. Apro la porta della mia camera e colgo un’ombra fuggevole che, disperatamente odorante di lacrime, chissà perché scende le scale, l’uomo della reception cerca di chiederle che succede ma lei esce dall’hotel e, dalla terrazza, la scorgo furtivamente inoltrarsi nella sera già buia.
Chi è questa donna? Chi era? Mistero.
Stordito, indosso il mio giubbotto, chiudo delicatamente la porta, consegno le chiavi. E il mio amico è lì che mi aspetta. Mi porta in un locale molto accogliente, molto d’elite, raffinatissimo. Doveva essere solo un aperitivo ma alla fine ci vien servita una lauta cena. E il mio stomaco è ben sazio.
Girovaghiamo per questa periferia torinese, fra parchi illuminati fiocamente e gente che come noi passeggia o beve nei bar, dunque sostiamo a un pub.
Vien la notte, dormo. Mi sveglio prestissimo, è alba ma a Torino sembra ancora notte. Notte, notte, notte. Esco a prendermi un caffè. Pochissimi passanti e l’odore genuino di un inverno freddo ma al contempo mite.
Aspetto mezzogiorno, incontro nuovamente il mio amico. Pranziamo a un ottimo ristorante, ricordiamo assieme i film che Dario Argento ha girato a Torino. Profondo rosso, Non ho sonno, La terza madre.
Il mio amico li ricorda assai meglio di me. Inferno? No, è stato girato a Roma.
Suspiria all’estero. Altri giri, altre bellissime chiacchierate, un altro taxi. Il viaggio finisce.
Intanto mi arriva la recensione di un egregio direttore di una rivista letteraria importante.
Ve la faccio leggere in anteprima. Sono commosso, davvero, non so se merito queste parole.
Ho fatto tantissimi sbagli, tanto ho sbadigliato, tanto ho peccato, tanto sbaglierò ancora. Ma mi sento della vita ancora innamorato.
UN SAGGIO CRITICO SU STEFANO FALOTICO
L’inserto tutto-cultura PROMETEIA sarà un allegato costante del Faro Italiano, che nel 2019 sarà sottoposto a un’importante evoluzione. Nelle prossime edizioni di PROMETEIA appariranno i saggi critici sui libri di Stefano Falotico con riferimenti a tutte le pubblicazioni precedenti. In questo saggio, invece, mi soffermerò sull’Autore. La crisi che vive la lettura italiana (ma anche mondiale) è dovuta essenzialmente all’inconciliabilità fra lo scrittore e il lettore. Il lettore del XXI Secolo non è più quello del XX e, meno ancora, quello del XIX. La tradizione scolastica, che ha le sue radici in una specie di ripetitivo classicismo, si scontra, volenti o nolenti, con una trasformazione, che, posta in essere nel XX Secolo, ha trovato nel XXI il suo compimento. Ovviamente, molti scrittori, pervasi da un agone egotistico, non si rendono conto della nuova capacità di lettura e insistono in un canovaccio inestirpabile forse a causa di una cultura eccessivamente libresca. I grandi scrittori hanno trovato invece elementi “istruttivi” e “insegnanti” nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere, nell’analisi della società e delle sue evoluzioni culturali, economiche e di costume. Restare “classici” in questo contesto non avrebbe avuto come sfogo il lettore, ma una ristretta cerchia di amici “complimentosi” per “adeguarsi all’occasione”. Stefano Falotico si è posto il problema di come restare classici, senza “urtare” la suscettibilità del lettore. Ha dato vita così a una prosa complessa, attiva, interattiva, non dormiente, non assuefatta, non cantilenante, non ripetitiva, ma sempre fornitrice di soluzioni letterarie che, scatenando l’intimo sentimento, come forse era accaduto soltanto a Victor Hugo e Lev Tolstoj, ha “tradotto” in realtà pensante anche i lettori più indifferenti e sopiti. Lo ha fatto non solo attraverso la curiosità “linguistica” avveniristica, ma soprattutto a mezzo di una sequenza di contenuti che si susseguono in una “asfissiante devozione” al mondo. Se, in qualità di critico letterario (ma sono soprattutto autore di non indifferente livello), mi soffermo sul fenomeno Stefano Falotico, è perché il nostro soggetto letterario offre al divenire culturale soluzioni che dapprima non abbiamo rinvenuto neppure nei maggiori scrittori contemporanei. Stefano Falotico si è certamente posto il problema: Come “raggiungere” il cuore del lettore? Come “svegliare” la sua mente? Come evitare di essere scontatamente evolutivi? Come essere evolutivi e “classici”? I suoi libri narrano di “dame” e “cavalieri”, ma in questo costante divenire-trasformativo-interattivo non troveremo Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e, ancor meno, Dante, Virgilio e Milton. Non troveremo il narratore romanzato. Non troveremo “scontati-inutili” castelli. Troveremo invece l’uomo pluridimensionale, l’amore per l’enigma-vita (Il Cavaliere di Londra – in una mia prossima recensione), lo snodarsi lungo le difficoltà della vita (Il Cavaliere di San Pietroburgo). Le avvisaglie della nuova filosofia linguistica si hanno già nel Cadavere di Dracula (che si pone come confine fra il vecchio dire e il nuovo dire). “La libertà e anche il libero arbitrio passano attraverso perigliosi cammini e ardui ostacoli. Anche la libidine e la lussuria per l’Autore passano attraverso la catarsi “profetica” di un’intima soffusa sofferenza (La mia lussuria si scaglierà terribile di veemenza arsa a vostra finta sapienza. – Il Cadavere di Dracula – Stefano Falotico), attraverso la paradossale lente di un epidiascopio, che, con le sue immagini alterate e “assurdamente iperboliche” ci offre una visione “esagerata e folle” della vita, perché, in fondo, la vita umana non è che “un mezzo” per perfezionarsi per pervenire a vite “diverse”, a mete da conquistare nell’evoluzione biologica, sociale e filosofica, che si dipana nell’incessante comporsi e scomporsi degli “elementi” – così nella mia recensione (già ampiamente pubblicata e inerente libro di riferimento). Stefano Falotico si è quindi posto il problema di come innovare, trasformare, essere “contenutistico”, concreto ed “emblematico”, non travolgendo totalmente i canoni classici della scrittura, ma adeguandoli e rielaborandoli con l’immissione di una straordinaria linfa vitale. Come riesce a ottenere questo? “Caratterizzando” i personaggi, facendoli “lievitare”, crescere, come un padre e una madre pazienti che intendono impartire la migliore educazione alla prole. La prole, nella fattispecie, si chiama libro, scrittura, passione per la crescita letteraria. Non allievo mai, Stefano Falotico è in realtà un appassionato “Maestro”. Ha l’ascia di chi colpisce e il cuore del bambino che rimane tale per tutta la vita. A lui piace “bere” nei suoi stessi libri, non per quel sentimento “draculiano” che, oberato dal peso del nome, si trasferisce nella realtà, ma perché fra incantesimi, “diavoli”, “estemporanee divinità” e uomini-dei, si dipana in lui la “tragedia” dell’umanità nel divenire e nell’essere sempre uguale o simile a se stessa. In questo modo Egli infligge una lezione morale e sottilmente satirica, se non palesemente ironica, agli “umani”. Costoro amano, odiano, non amano, non odiano, finiscono nella spirale dell’indifferenza, si “mediocrizzano”, risorgono dalle ceneri del proprio pensiero, si interrogano, si esaminano, sono contemporaneamente “allievi” e “maestri”: allievi teneri e “maestri d’ascia”. I personaggi di Stefano Falotico sono composti Cavalieri, ma anche uomini bizzarri, fedeli a se stessi e senza una reale fede universale (nel senso classico della parola). Sono esseri ribelli, che fuggono dalla realtà quotidiana, dalla “ripetitività”, dalla tristezza “comune”, dal lirismo della piaggeria e del finto altruismo, dalla pace senza costruzione, dal “senso del dovere”, ovvero da quell’inferno intimo che costringe l’uomo a fare sempre le stesse cose, non chiedendosi nemmeno perché e non domandandosi il perché del “mancato cambiamento”. Nei personaggi di Stefano Falotico la vita chiama a soccorso se stessa, esce dall’infantilismo letterario-creativo per “erompere” come petali in fiore. La sua prosa è fiore e taglione, magistrale rievocazione classica e distruzione del passato “inutile”, in una specie di “anti-religiosità”, che si perpetua in un moto uniformemente accelerato e in un bizzarro divenire. Se i suoi personaggi dovessero delinquere, lo farebbero conservando la loro compostezza, la coscienza di stare a fare sempre bene come nel “Kick-Boxing”. Essi sono incassatori e “canne al vento”. Sono deboli e forti. Sono cani che mordono e arpie feroci. Sono “angeli custodi” della tradizione e innovatori “implacabili”. Leggono in se stessi e fuggono da se stessi. Si ribellano a se stessi quando scoprono di essere “quotidiani”, “sensibili” alle solite cose e vicini allo scorrere delle ore, lo scorrere monotono come le parole che si susseguono con un nesso logico che non si identifica mai con l’evoluzione. Spesso gli scritti dell’Autore “cercano” la “soluzione” e non sembri strano che tale soluzione si identifichi con la tragedia. Sono Romeo da Villanova e dittatori solenni. Sono schiavi e “contumaci ribelli”. Sono condannati alla vita e condannati a morte. Tornano vincitori e si comportano da vittime “solenni”. Sono il futuro, il presente e il passato, con tutte le patologie che proprio il passato può trasmettere e che, pur tuttavia, trovano un organismo ribelle e una “pelle” così mutevole da essere “portatrice” di novità e trasformazioni perenni, tali da “vanificare” il passato medesimo. I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.
Eliano Bellanova Direttore della Rivista Il Faro Italiano. Presidente dell’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia
Dopo tutto ciò, potrei anche suicidarmi. Come Mishima.
Ho perso tanti amici, alcuni sono morti addirittura e non ho avuto il tempo di chiedere loro scusa.
La mia Deborah, il grande amore della mia vita, si chiama, lo sapete, Tiziana. E si è sposata. Ha anche dei figli.
Sono stato dappertutto nella mia vita. Con la fantasia e anche realmente.
Ma il viaggio non finisce qui.
No, non è ancora giunta la mia ora.
Ancora soffrirò, riderò, piangerò, mi emozionerò.
E dunque buon anno a tutti. A chi è ancora di questo mondo e a chi, dall’alto, non c’è più ma forse è orgoglioso di me.
di Stefano Falotico
Siamo… Messi male se invidiamo il prossimo
Eh sì, l’invidia è il sentimento più brutto dell’animo umano. Un sentimento, ahinoi, inestirpabile. Facile però a trovarsi, di questa “patologia” n’è affetta la maggioranza.
Appena uno è geniale, la gente non vede l’ora che possa cascare, per “normalizzarlo” nella sua mediocrità. Come dire… visto? Anche lui non è infallibile, ha dei punti deboli.
Per Superman era la kryptonite per Messi è l’Argentina che comunque, senza i suoi goal, non si sarebbe qualificata ai Mondiali. Per me è la vita di tutti i giorni, che io detesto, aborro, ripugno dal più profondo del cuore. Perché la quotidianità è a mio avviso ripetitiva, tediosa, puttanesca e dunque odiosa. Nel mondo di tutti i giorni, per essere apprezzato, devi continuamente venderti, offrire un’immagine di te da “intoccabile”, essere sempre sorridente e coi denti smaltati e non dare mai segnali di cedimento, ché possono allertare il prossimo, limitato e dunque pieno di pregiudizi, perché il mondo è malato di moralismo, desidera le macchine perfette e di lingua svelta spettegola appena ti mostri vulnerabile. Le persone non vedono l’ora di metterti in croce e poi, attorno al tuo cadavere impalato, sollazzevolmente deriderti e ballarti in circolo, in segno d’umiliazione. Ah, che bellezza, eh?
Questo è l’animo umano, ingordo a sua volta delle anime altrui, che adora vivisezionare per il ludibrio abominevole degli sfottò, delle burle malsanamente goliardiche, per l’orrore di massa che decreta i “vincenti” e, in questo carrozzone immutabilmente spaventoso, gode nel buttar giù dalla torre i “perdenti”. Cosa ci sia di divertente in questa competizione animalesca lo dovremmo chiedere a qualche antropologo. Ma non lo sa neanche lui perché sta con una scimmia miliardaria.
In Oriente non va così, in Occidente sì. In Occidente, vita significa sopraffazione, egoismo, arricchirsi sulle spalle di chi non regge certi ritmi, significa ammazzare psicologicamente chi non sta al passo con questa terrificante modernità.
Sì, Messi ieri è stato un perdente. Mentre lo strafottente Ronaldo, che vale dieci volte meno di lui, baciato da un momento inaudito di fortuna sfacciata, portosi (participio passato di porgersi) davanti alla videocamera, ha ammiccato con una smorfia inequivocabile, facendogli il gesto del pizzetto da “capra”. Come a voler sacramentare che lui è più forte di Lionel e lo sta dimostrando. Cristiano è un’altra merda sciolta quanto i suoi capelli ingellati. Un comportamento indegno del fuoriclasse, che comunque è indiscutibilmente, che però si abbassa a gesti di tale eclatante, riprovevole volgarità. Che triste inveire con le “emoticon” delle faccine, roba che neanche all’asilo infantile. Infatti, Ronaldo è tanto “grande” come campione quanto piccolo come uomo.
Ah, come si dice, scusate? Emoji. In questa vita, come nella pubblicità che passa per radio, ho sentito uomini guardare una donna sexy e gridarle che è da URL. Sì, dei matti da USL.
Ecco, sulla mia persona ne ho sentite tante. Tante derivate dalla miserabile cattiveria degli invidiosi. Perfino qualcuno avanzò l’ipotesi che sono il “mostro” di Eraserhead.
Sì, l’unica creatura… con più libri all’attivo di qualsiasi altro scrittore italiano, che scrive articoli di Cinema che neanche le persone laureate al DAMS, con specializzazione in filosofia applicata all’Arte convergente delle materie umanistiche rifrangenti e forse stronzeggianti di bacate menti, scriverebbero mai perché sono troppo occupate a corteggiare la fighetta in bikini su Instagram, “salvandola” in video “poliedricamente” noiosissimi a fini “finissimi”, detti anche seghe, che affinano il membro nello scorrimento calloso. Sono arrivati, quindi possono andare a puttane, anche a livello masturbatorio.
Sì, metto in vendita questo Blu-ray mai scartato perché è uscita già l’edizione migliore. Che non ho comprato perché aspetto la prossima. Ah ah. Io aspetto in continuazione.
Chi lo vuole, abbia la cortesia di non farmi la fine di quello stronzo di Max. Sì, Once Upon a Time in America è la storia di due uomini innamorati della stessa donna. Noodles, il romantico da Cantico dei Cantici, non riesce ad averla e la stupra da poveretto, Deborah disdegna anche Max ma alla fine lo sposa e gli dà un figlio perché lui le dà un impero e una rispettabilità del cazzo. Che vita da zoccola… anzi, da zoccolona, perché fa rima baciata. Ah ah.
Insomma, tutto un casino pazzesco per una che, invecchiando, è molto più brutta di quando era una ragazzina. Eh sì, Jennifer Connelly da giovane aveva un seno da mongolfiera, Elizabeth McGovern invece a me è parsa sempre un cesso. Scusate, forse non ho gusto. Ma la vedo così.
E, nonostante tutto, ho il mio fascino. Eh sì. Il fascino di colui che volteggia.
Sì, sono molto cambiato, crescendo. Prima avevo letto un solo libro di Stephen King, adesso ne ho letto qualcuno in più. Ah ah.
– Lei vuole salire in alto?
– No, solo al quarto piano. Buona giornata.
– Io invece oggi ho ricevuto la promozione e sono al settimo cielo.
– Ah sì? E l’ottavo qual è?
– L’ottavo?
– Sì, dopo il settimo c’è l’ottavo.
– Ma che dice?
– Scusi, se non sbaglio lei è laureata in Matematica. E non sa che dopo il settimo c’è l’ottavo. C’è anche la Nona, ma quella è di Beethoven. Ah, so io come ha fatto a ricevere la promozione…
– Cosa vuole dire? Che ho leccato il culo a qualcuno?
– No, macché. Mica il culo. Basta leccare qualcos’altro…