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A proposito di cinecomic e supereroine come Scarlett Johansson di Black Widow: io ricordo assai bene la “Catwoman” Anna Falchi di Dellamorte Dellamore e Brandon Routh, Superman impotente, in Dylan Dog


29 Apr

anna falchi dellamorteSì, senza se e senza ma, rimembro in questi giorni miei decadenti, oh, miei perdenti, Anna Falchi. Certamente, senz’ombra di dubbio alcuno, una delle più grandi fighe planetarie, oserei dire cosmiche, madornali e dunque spaziali, celestiali degli anni novanta italiani.

In Palla di neve è comunque, rispetto a lei, più figa Monica Bellucci. Be’, ovviamente.

Ecco che molti mi chiedono quali siano i film con Monica più arrapanti in cui tale donna straripante di Città di Castello potrà imbarcarli di ponte levatoio… si spera per lei alla(r)gante.

Ebbene, ne La riffa già si mostro alquanto ignuda. Donandola peraltro a un attore bruttissimo che ebbe il privilegio di deflorarla nella finzione in modo volgare e irriverente, poco in linea col cortese romanticismo dei romanzi bretoni. Sebbene la sua bellezza, da fotomodella ancora molto in auge, allo zenit del suo splendore muliebre da Ginevra per ogni Re Artù e Lancillotto che l’avrebbe cornificato, potrebbe risultare troppo acerba a maschi della loro “Excalibur” poco erigente, essendo costoro solo dei patetici nerd troppo esigenti che finiranno soli e soltanto con una singolare tenzone da poveri cazzoni.

Cioè, una come Monica non la vedranno nemmeno nelle loro più fantasiose masturbazioni. Forza, tirate fuori… il fazzoletto e vai di detergente… Ah, solitarie eiaculazioni!

Andiamo avanti…

In Irréversible, Monica viene fottutamente sodomizzata ma tale scena potrà eccitare solo dei maniaci sessuali assai pervertiti. Poiché è disgustosa. In poche parole, viene stuprata. Dunque, è un nudo il suo, in tal caso, che sortisce un effetto contrario. Sì, se vi arrapate dinanzi a una donna violentata, siete malati di mente irreversibili.

E subito vi affiderei alle cure del suo ex storico, ovvero Vincent Cassel in versione Dobermann.

Anche in Malèna di Giuseppe Tornatore, eh sì, Monica abbondò di nudi integrali ma, vedasi il caso appena eccitato, no, sopra citato, pure in questo film fu a sangue brutalizzata. Diciamo, eufemisticamente, inchiappettata…

In Under Suspicion, Gene Hackman la protesse col suo potere da avvocato della minchia, come si suol dire. Ma, alla fine del film, tutti i protagonisti, chi più chi meno, furono metaforicamente inculati.

In tale film di Stephen Hopkins, Monica si chiama Chantal.

Chantal, nome che fa già sesso di suo. Con tante gocce di Chanel… Preston, una delle mie pornoattrici preferite di sempre. Chanel Preston, donna da Ali della libertà per ogni Freeman più dotato di Lex Steele, cioè io. L’unico uomo di quarant’anni ad avere, spesso, un viso più giovane di Jordi “El Niño Polla” e qualcosa di più consistente di John Holmes. Però, non ho ancora fatto sesso con Kendra Lust.

Spesso infatti divento scemo come Dougie Jones/Kyle MacLachlan di Twin Peaks: il ritorno.

Ora, già ve lo raccontai ma ve lo narro ancora. La mia prima ragazza fu una biondina come Naomi Watts e io, all’epoca, fui più andato col cervello, per l’appunto, di Dougie Jones.

Lei mi guardò mentre mangiai una tortina e, pregustando tutta la sua torta di mele, mi disse:

Lo sai che sei sexy?

 

In verità, lo sapete, la mia prima volta avvenne a Porretta Terme. Lei mi sverginò ma, alla fine del rapporto sessuale, rimase incantata e beatificata più della Vergine Immacolata.

Andiamo avanti, po… o dio!

Ne, il Patto dei lupi, la Bellucci ebbe un culo superiore alla mia prima ragazza. Sì, la mia prima ragazza ebbe un bel fondoschiena… ad avermi.

Io, amante di ogni Stallone di Nighthawks, considerato erroneamente misogino, invero investigatore di ogni sogno a occhi aperti e di ogni mio incubo da Rupert Everett. Sì, a differenza di Rupert, a cui Tiziano Sclavi s’ispirò per concepire fisicamente il suo Dylan Dog, non sono e giammai fui omosessuale.

Insomma, Anna Falchi ora ha la sua età. E Monica Bellucci è buona solo per Davdi Lynch. Geniale ma io credo poco genitale.

Di mio, scrivo ottimi libri poetici anche sensualmente romantici, torbidi ed erotici da Black Dahlia, a detta di tutti ho una voce che fa venire l’acquolina in bocca, ho degli occhi noir adatti a ogni donna fotogenicamente da boudoir.

Che cazzo volete di più?

Che io vada a consegnare le pizze?

Ecco, ve le offro pure gratis.

Ai maschi, solo in faccia, alla mia donna con tanto di olive piccanti.

Che c’entra Brandon Routh?

È meglio Brandon Lee.

E sapete che vi dico?

Quentin Tarantino mi ha proprio stufato. Che palle quelle sue teorie del cazzo da pre-finale di Kill Bill 2.

Oggi come oggi, gli è superiore Nicolas Winding Refn. L’unico capace di utilizzare una canzone melensa come Mandy, rendendola epica.

L’unico regista a essere un Prince come Aguilera del suo Too Old to Die Young.

Ché, quando il personaggio interpretato da Miles Teller esagera, lo scanna come un porco.

La stessa cosa che fece il grande Ryan Gosling di Drive. Però non solo al malcapitato e decapitato. A tutti in maniera sacrosanta e cazzuta.

Altro che Uma Thurman, Bruce Lee e stronzoni vari.

Ci vuole un Falò di superba annata, cioè tornato maledettamente bello e dannato.

Sì, nella vita ci sono gli erotomani e gli eroinomani. Di eroi veri, sinceramente, a parte il sottoscritto, ne vedo pochi.

Ci sono anche molte porche e speriamo che, dopo il Covid-19, riaprano totalmente Ken Park. Ove, chi non ti aspetteresti mai, eh sì, la lecca in primo piano a Maeve Quinlan.

Cazzo.

dellamorte dellamore falchi

di Stefano Faloticobrandon routh dylan dog

C’era una volta a… Hollywood esce in 4K il 2 Gennaio 2020, mentre io il due me la dormirò dopo il mio viaggio a Monaco di Baviera, beati voi che ancora credete nel Cinema del Tarantino


17 Dec

una volta a hollywood

81LXf2BZoTL._SL1500_Sì, comprerò la versione Steelbook. Bella tosta, intonata al mio essere oramai armato di amianto dopo tanti pianti.

Il mio nichilismo è oramai sfrenato. A Margot Robbie preferisco Miles Teller di Too Old to Die Young. Pensa te.

Non avrei mai immaginato, sino a qualche mese fa, che sarei diventato un fan di Nicolas Winding Refn.

Ma Tarantino m’ha nauseato. Ce la vogliamo dire? Il suo Cinema autoreferenziale e onanistico, passatistico ed elegiaco dei cazzi suoi ha veramente rotto le palle.

Oramai Quentin è più disgustoso di William Baldwin della serie suddetta di Refn. Sì, è divenuto un ricco nababbo viziato e capricciosissimo con le sue turbe sessuali, i suoi complessi di Edipo mai risolti, il suo feticismo da uomo incestuoso di sé stesso.

Insomma, è ora troppo presuntuoso. Ma molti di voi ancora gli leccano il culo e s’addobbano di feticci e memorabilia tanto per riempire i vostri interiori vuoti.

Sinceramente, una persona che dai trent’anni in su non sa se comprare un Blu-ray normale o quello super speciale con tutti i contenuti extra, eh già, a me pare solo un American Psycho versione Christian Bale.

Insomma, un pazzo sesquipedale. Ci sono anche 7 scene inedite? Io avrei tolto proprio ogni scena del film. Anche Margaret Qualley, una scema.

Cioè, non godendo voi più di emozioni quotidiane, avete proiettato nei cofanetti le scopate che invece dovreste farvi sullo stesso divanetto ove riguarderete quest’ignobile filmetto.

Io non dovrei parlare in merito al fare il Brad Pitt della situazione.

Sì, dopo la prima volta, tutti pensarono che sarei stato finalmente felice. Invece divenni prima fallico e poi fallace, m’inculai, dopo che l’inchiappettai, soltanto nell’incarnata infelicità totale e ora passo le giornate a ricordare ciò che di magnifico vi fu nella mia purezza esistenziale prima di questa porcata bestiale.

Avrei una domanda da farvi. Voi come fate a sopportare la condizione umana?

Cioè, superata la linea d’ombra di conradiana memoria, come riuscite a tollerare l’orrore kurtziano?

Per quanto tempo potrete ancora andare avanti a scrivere cazzate su Facebook, illudendovi, così facendo, di allentare il vostro inestirpabile male di vivere?

Contenti voi, non contento io. Ah ah. Per voi, tutti i film sono capolavori.

Aveva ragione, come al solito, Carmelo Bene. La vostra vita non è un capolavoro perché vi fate i film degli altri. Diciamocela, qualche volta, vi fate pure le fighe altrui ma poi v’accorgete che non valevano il prezzo del biglietto.

Di mio, vorrei iscrivermi a un corso di montatore del suono. Sì, un lavoro “tecnico”.

Sì, mentre voi vi montate la testa e, per fare colpo su di una al fine di montarvela, indossate un montone, portando una tizia con la cellulite a vedere questa celluloide bulimica, io voglio fare il John Travolta di Blow Out della situazione.

I vostri mugolii e le vostre grida isteriche, i vostri dannati lamenti nella notte non mi convincono.

Non è che, dopo essere stati al drivein, avete inseguito e pedinato Nancy Allen in macchina come Stuntman Mike?

Guardate che io sono RoboCop. Lasciate stare Nancy, altrimenti vi sparo ove sapete.

Si vede che di poco v’accontentate. Cioè, trascorrete ogni dì a celebrare le vite degli attori hollywoodiani e, in tale vostro patetico, sognante delirare, eh già, surrogate quel che poteva essere ma non è stato e credo, onestamente, mai sarà.

Allora ben venga Refn con le sue invettive pessimistiche, poco agiografiche né celebrative di tale immane scompenso umano devastante.

Tu ce l’hai l’ultimo album di quel cazzone? Hai tutte le sue canzoni? In vinile, in cd, in mp3? Non conosci i Van Halen?

No, di mio bevo una valeriana, ascoltando la Cavalleria rusticana. Tu pensa alla tua cavalcata con quella valchiria e lasciami fare il ghiro. Me ne fotto se sei Richard Gere o un figo della minchia.

Vi fu un tempo in cui anch’io fui collezionista di cazzate. Pensate che ho ancora un dvd con l’ex pattinatrice Katarina Witt. E non è quello di Ronin.

Semplicemente un dvd in cui le si vede bene il culo. All’epoca, servì a stimolarmi nei momenti mosci.

Adesso, sono io una lastra di ghiaccio. Sì, sino a due mesi fa, tentai di ringalluzzirmi, scaricandomi porno a man bassa. Più che altro…  a mani basse. Ma nuovamente a un cazzo servì.

Mi feci… una cultura su tutte le pornoattrici americane, tipo Sharon Tette, Margot Poppie, Leonarda di Capri con tanto di stalattiti e stalagmiti del suo amante, detto Alfredo James BACINO che sgocciolò dopo che le entrò, con far da Padrino, nella sua grotta di Castellana da vero “gentiluomo”, un Riccardo Corleone, insomma.

Un Tony Montandola.

Sì, credo che dopo il mio viaggio a Monaco, avrò appunto finito la mia vita.

Sapete fra l’altro che vi dico?

Munich non è un grande film.

Morirò presto, diverrò una leggenda come Bruce Lee?

Pensate che scrissi anche il libro Kickboxing, seguito letterario di Kickboxer.

Sì, amici, è finita. Stavolta definitivamente.

Ieri, vi parlai della mia nuova pubblicazione.

Infatti, sarà l’ultima.

Insomma, non mi piace il sesso, non mi piace più Tarantino, De Niro forse non sarà neanche candidato all’Oscar per The Irishman.

E su Instagram impazza il porcile a tutt’andare.

Uno come me, in questo mondo, è già troppo che sia arrivato a quarant’anni.

La scena più bella di quest’anno di Cinema, oltre a quella del pre-finale di Joker, è questa.

TOO OLD TO DIE YOUNG: ne vogliamo parlare della recensione apparsa su Rolling Stone della serie di Nicolas Winding Refn? E del JOKER?


10 Aug

joker

Guardate, ogni altra parola sarebbe superflua, oserei dire pleonastica.

Colui che ha scritto tale recensione, secondo me, vista la figuraccia, non si salverà nemmeno con mille facciali plastiche.

E questo è pus underground da Nanni Moretti di Caro diario!

Copiamo-incolliamo qui tale recensione assurda in maniera integrale, senza dunque apportare editing alle virgole di cui questo recensore abusa più del minutaggio lunghissimo della suddetta serie di Refn, senza correggergli alcun errore di battitura.

Una recensione cult, più che altro scritta col culo, contro la quale anche il mitico Pino Farinotti di C’era una volta il West si deve arrendere.

Sì, dinanzi a questo campione dell’esegesi cinematografica, non possono esistere al momento rivali.

Speriamo che la maggior parte delle persone si stia approcciando a Too Old to Die Young, la serie televisiva fottutamente pulp del regista danese per Amazon Prime Video, in quanto fan o qualcosa di simile. O, per lo meno, come spettatori semi-consapevoli della sua filmografia. In bocca al lupo nel caso invece questo sia il vostro debutto nel mondo di Refn – è la peggiore introduzione possibile al suo marchio di fabbrica di noir al neon stilizzato e sotto steroidi, o la “migliore” introduzione nel peggiore dei modi possibili. Buona fortuna a chiunque sia caduto nel suo paesaggio di anti eroi stoici, violenza e ritmo lento e doloroso come la tortura dell’acqua senza una mappa.

Ma torniamo alla domanda iniziale: il vostro film preferito fa parte della trilogia di Pusher, il racconto in tre parti e a tre prospettive, che ha contribuito a lanciare Refn a livello internazionale e ha introdotto il futuro criminale Hannibal Lecter / cattivo di Bond / Mads Mikkelsen nel mondo? Oppure è Bronson, biopic incredibilmente brillante del condannato britannico Charles Bronson che vede Tom Hardy raggiungere i livelli di teatralità del kabuki? Con tutta probabilità è Drive, il riff stellare guidato da Ryan Gosling sugli autisti per la fuga; quasi sicuramente non è il film successivo del duo, Solo Dio perdona (anche se questo thriller ambientato in Thailandia è migliore di quanto la sua reputazione suggerisca). O forse è The Neon Demon, il suo benvenuto all’Inferno, una parabola sulle modelle che si mangiano da sole.

Ok, ora immaginate che il vostro film preferito duri 13 ore. Con la stessa trama però. Potrebbe essere diviso in narrazioni parallele, forse qualche deviazione extra qua e là. Ma lo stesso materiale narrativo di base. Stiracchiato. Su. 13. Ore.

A meno che non ti chiami Ken Burns o David Lynch, forse devi pensare bene se quel tempo, suddiviso in più di 10 puntate con una durata media di un’ora e 15 minuti, sia una necessità o semplicemente un’indulgenza. (Alcuni episodi durano fino a 90 minuti, l’ultimo una mezz’ora, chiamatelo coda). Specialmente se il motivo principale per lavorare a un prodotto serializzato più lungo è: “Sembra che tutti stiano facendo roba in streaming, dovrei farlo anch’io!”. Questa è stata più o meno la scusa che Refn ha accampato a Cannes, dove ha mostrato due episodi centrali, per dare uno sguardo esteso ed esistenziale sia nell’abisso che nel proprio ombelico, dove ci sono poliziotti, truffatori, cartelli e modi creativi di torturare forme di vita basate sul carbonio. Ha anche detto che questa non era tv – un mezzo che definisce “tutto reality show e notizie” – ma un lunghissimo film. Ovvio. Certo, sua maestà. La sensazione di guardare qualcosa di un autore che in qualche modo crede virtualmente di abbassare i propri standard proviene dal tuo schermo.

Cosa dipinge il nostro uomo su questa grande tela? Iniziamo con un poliziotto di nome Martin (Miles Teller), un tipo forte e silenzioso che suggerisce un blocco da sofferenza post-traumatica o una lavagna intenzionalmente vuota. Il suo partner (Lance Gross) ha la capacità di trasformare un controllo del traffico di routine in una situazione alla Cattivo tenente in un batter d’occhio. In ogni caso è sorprendente quando qualcuno si avvicina semplicemente a lui e gli spara una pallottola in testa. La tragedia fa guadagnare a Martin una promozione a detective, ma non la libertà da un gangster locale (Babs Olusanmokun), che lo costringe a ricoprire il ruolo del suo defunto partner come sicario. Né vi impedisce di essere scettici sul fatto che il protagonista frequenti una studentessa delle superiori di 17 anni (Nell Tiger Free).

Seguiamo poi chi ha sparato, Jesus (Augusto Aguilera), a sud del confine. Il poliziotto aveva ucciso sua madre, una famigerata signora della droga. Suo zio (Emiliano Díez) lo accoglie e lo introduce al cartello. Quando c’è uno slittamento di potere, Jesus e la pupilla del vecchio – una giovane di nome Yaritza (Cristina Rodlo) che ha salvato dal deserto e cresciuto come sua figlia, non senza alcune implicazioni spiacevoli – sono sposati. La coppia viene quindi mandata in America, con l’intenzione di proteggere gli interessi dell’organizzazione. Ci sono anche questioni incompiute riguardo a quell’omicidio per vendetta. Ci sono sempre. Ah, abbiamo detto che Yaritza potrebbe essere l’incarnazione di un’antica leggenda folcloristica / pilastro dei tarocchi conosciuta come l’Alta Sacerdotessa della Morte?

Altri personaggi vengono buttati nella mischia, in particolare un ex agente dell’FBI con un occhio solo (John Hawkes di Deadwood) che diventa mentore di Martin e una guaritrice New Age (Jena Malone) che assume l’ex federale per dare la caccia a criminali sessuali particolarmente efferati. Ci sono anche magnati fissati con il rape-porn, pedofili, tossici, casi di molestie da studio del #MeToo, più controfigure di Trump di quante non ne riescano a far entrare in una registrazione di Access Hollywood e, qua e là, solo ordinari stronzi. In altre parole, un sacco di mascolinità tossica – e il punto è questo. La galleria di parassiti della malavita, molestatori seriali di bambini e misogini violenti che Refn e il suo co-creatore, il fumettista fuoriclasse Ed Brubaker, hanno inventato non rappresentano solo il peggio di quella società quanto della Società del 2019, un “chi è chi” quotidiano di degenerati e miserabili. E come per il mondo in cui viviamo, molto di ciò si riduce al male che fanno gli uomini. ‘Bravi ragazzi’ qui è un ossimoro.

Ci vorrà un angelo della morte per ripulire il mondo dai maschi abusivi, ed è per questo che la serie e l’attenzione continuano a tornare a Yaritza. È il veicolo per le inclinazioni più soprannaturali e surreali del regista, che sono cresciute dai tempi di Solo Dio perdona e la sua decisione che preferirebbe essere una nuova versione di Alejandro Jodorowsky piuttosto che un povero Michael Mann. Aiuta anche che a interpretare Yaritza sia Rodlo, un’attrice che sa come tenere uno schermo, indipendentemente dalle dimensioni. È una grande osservatrice con un occhio killer per i dettagli, un’artista che sa come far sì che la calma e il tocco minimalista contino in un pasticcio splatter massimalista. Va da sé che Refn, un cineasta che non ha mai incontrato una luce colorata che non abbia amato biblicamente, e il leggendario direttore della fotografia Darius Khondji (La città perduta, Seven) immergono tutto in colori allucinogeni, ombre da notte oscurissima e atmosfera infernale da night club. Vale anche la pena sottolineare che il personaggio di Rodlo è l’unico che sembra davvero adatto al tono e alla visione dello show; nemmeno Teller, che offre la migliore imitazione di un Robert Mitchum del XXI secolo, può sincronizzare il piglio alla Raymond Chandler del suo protagonista alla narrazione. Un giorno, qualcuno realizzerà un super-montaggio delle scene di Rodlo e ci regalerà un incubo cromosomico XY di tre ore.

Nel frattempo, abbiamo questa lagna zoppicante e sgraziata che non giustifica la sua durata da maratona come qualcosa di più di una follia autocompiaciuta e durissima senza giustificazioni. Naturalmente puoi trasformare una crime story pulp in qualcosa di immoralmente magnifico dal punto di vista visivo, ammucchiando varie cose, dal costume da narco chic agli schemi visivi della Pop Art. Puoi dare al tuo gangster un tocco di stranezza facendolo diventare un fanatico dello ska vintage e puoi inscenare un inseguimento in auto ridicolmente lungo sulle note di Mandy di Barry Manilow, l’action-flick dito medio del giorno. Puoi ingaggiare Morgan Fairchild come White Privilege e dare a William Baldwin un pasto da sette portate da masticare, completo di mosse onanistiche di potere. Puoi usare l’immaginario misogino in nome dell’innalzamento della vendetta e dell’empowerment femminile, anche se ogni singola persona sulla faccia della terra vorrebbe davvero che non lo facessi. Puoi perfino usare la violenza estrema come esercizio di carneficina feticizzata. Chi non ama un cinemassacro ben fatto? O guardare un Nazista farsi sparare nel cazzo?

Ma quando ti viene data la possibilità di impegnarti in uno storytelling di lunga durata e lo traduci nel nulla, in scene che si estendano all’infinito semplicemente perché puoi farlo, o scambi il concetto di lentezza al cinema con quello di istantanea profondità, o non riesci a capire che forse “meno è meglio” quando si tratta della tua estetica art-to-grindhouse, potresti essere chiamato a risponderne. Refn ha ragione: questa non è tv. È auto-parodia. E non ci vuole una mezza giornata di visione per capire che forse stiamo diventando troppo vecchi per questa merda.

In attesa del trailer 2 di JOKER, immaginiamo Arthur Fleck al Murray Franklin Show con tutti gli altri ospiti della società (im)bandita

Sì, ecco che Robert De Niro, cotonato come Mike Bongiorno, invita in trasmissione il mezzo disgraziato, sciagurato, completamente devastato e rovinato, handicappato, scalognato, super sfigato mai visto, schizofrenico irreprimibile e not responder incallito Arthur Fleck. Sottoponendolo a delle domande da terzo grado derisorio per far ridere di gusto la platea gozzovigliante di applausi purtroppo spontanei e non telecomandati.

Sì, gente che ride dinanzi a ogni più sconcia, stolta provocazione di cattivo gusto, si scompiscia e sganascia di fronte alle sentenzianti stereotipie dei luoghi comuni espulsi malvagiamente dall’infernale orco catodico incarnato da Murray, inquisitore da Il nome della rosa con Connery, impomatato e in giacca e cravatta, in smoking impeccabile abbigliato. La gente va matta per tale tremendo mega-direttore, no, solo presentatore galattico del network di massa sparato negli occhi e nelle orecchie dei telespettatori paganti, ovvero l’uomo medio italiano, filoamericano che si beve tutte le stronzate della Rai, pagando anche il canone. Crepando di risate quando parte la donna cannone, mangiando nel frattempo, stravaccato sul divano, un cannolo.

– Ecco a voi, ladies and gentleman, signore e signori, un fenomeno della natura. Un ragazzo apparentemente anche di discreto aspetto fisico che però, ah ah, quando apre bocca pare afflitto da dislessia, epilessia, catatonia espressiva perché non si capisce un cazzo di quello che dice. Tartaglia, mugugna, si esprime come Benicio Del Toro de La promessa.

Questa sua deformità lessicale lo rende simile agli occhi della gente, oh sì, perché noi amiamo le apparenze, vero, a Joseph Merrick, elephant man, colui che soffrì della distrofica malattia muscolare denominata sindrome di Proteo. E non basterà il dottor Frankenstein per rigenerare questo Fleck, per garantirgli nell’anima una protesi, in quanto lui non è Prometeo, in verità è solo uno che si crede un poeta ermetico ma è sinceramente, obiettivamente, senza falsi inganni, senza consolatori buonismi ipocriti, senza velare nulla, un coglione plurimo. No, non dobbiamo usare con lui una piuma, se vuole però gli rimbocchiamo le lenzuola del piumino perché è paragonabile a Tom Hanks di Forrest Gump.

E io, parimenti al demone del trash contro ogni ottava meraviglia del mondo improponibile, appunto impresentabile ma strepitosamente impressionante, ah ah, ovvero Demon Killian di The Running Man, gli sarò implacabile.

Oh oh. Ah ah.

Applause!

Ma non perdiamoci in chiacchiere. Diamo subito il benvenuto al demente per antonomasia, a questo mezzo uomo auto-flagellatosi ridicolmente nella rupe, anzi nel dirupo del suo esistenziale buio ai confini del mondo? No, nel suo pozzo senza fondo da confinato, ghettizzato, emarginato ma soprattutto immoralmente linciato da noi, figli dei giganti. I quali demoralizzeranno imperituramente ogni suo ardore vitalistico. Spegnendo ogni sua ribellione che, da essere piccolo e nano qual è, s’azzarderà, vanamente e pateticamente, a scagliare contro il nostro indomito potere forzuto da fascisti rocciosi, ferrei e duri stronzi.

Ah ah.

Sì, se questo Fleck spererà di avere una seconda chance nella vita, speronandoci, gliel’arderemo… ancor prima che possa solamente sperare di rivedere una pur minima, debolissima fiammella.

Sì, se dai sepolcri della sua malinconia tristissima s’illuderà di captare un fievole eppur speranzoso bagliore della luce del giorno, anneriremo questo suo rinascente, dolcissimo, chimerico fulgore, soffocandogli anche ogni alba e tutti i crepuscoli e, più che Ugo Foscolo, lo renderemo del tutto fosco. Buttandolo ancora nel fosso.

Sì, Fleck è un fesso e noi sempre lo affosseremo. Forza. Ora lo distruggerò. Mi raccomando, coi vostri clap clap, datemi manforte. Ah ah.

Questo qui non è Prometeo di niente, non ha neanche mai visto il film Prometeus. Stasera, crede che sarà Re per una notte ma, al solo tintinnare delle sue iridi accesesi estemporaneamente dal flash dei fotografi, ah ah, io lo tratterò da straniero della società. Vivrà la sua eterna, tetrissima vita nella scura agonia dei suoi tormenti da Travis Bickle di Taxi Driver dei poveretti!

Ok, partiamo con la distruzione.

Buonasera, signor Fleck. Si accomodi. È di suo gradimento la poltroncina o forse desiderava essere al posto di quella ove è seduto a dieci metri da lei, qui sul palcoscenico, quel gran culo della modella che può vedere vicino a noi?

Scusi, riesce a vederla? Ah ah.

Partiamo con le domande. Si sente pronto? Ah, a proposito, lei qualche volta ha coscienza di essere tonto? Ah ah.

Aspetti solo un secondo. Riesce a pazientare? D’altronde, lei è dalla nascita addormentato, in un centro di salute mentale ben sedato. Dunque, sì, lei è un paziente che ha molta pazienza.

Mi lasci riflettere. Oh, ecco la domanda. Risponda, mi raccomando, solo dopo una profonda, lenta riflessione ponderata.

Lei è solo come un cane, nessuno e nessuna la ama, nemmeno sua madre, mio mammone, poiché sua madre ora è fortemente malata. Dato che nessuno la ama, lei qualche volta riesce ad apprezzare il film Paura d’amare o perlomeno sé stesso? Insomma, detta come va detta, pratica l’autoerotismo? Si fa qualche sega?

– Sì, qualche volta me la tiro.

– Avete sentito? Se la tira pure di brutto. Sei veramente il mio idolo. Ecco, tutti noi ti amiamo. Non odiarmi per questo ma, vedi, ti beatifichiamo e glorifichiamo qui tutti da morire. Vero, pubblico? Un bell’applauso caloroso per incitare un po’ il nostro Fleck.

E tutti assieme appassionatamente, al mio via, urlategli: bravissimo, sei un grandissimo!

Ha sentito, Fleck, che roba? Sono tutti qua in platea e anche in galleria per lei. Non è quello che voleva? Scusi, non mi mandi a fanculo, le ricordo che mi mandò piuttosto anche una lettera di auto-invito come fece Valerio Mastandrea, quando ancora non era famoso, per partecipare al Maurizio Costanzo Show…

Che vuole di più dalla vita? Ah, capisco. Il suono degli applausi non sono musica per le sue orecchie.

Perfetto. Maestro, dedichi al nostro Fleck il celeberrimo ritornello di Jovanotti:

sono un ragazzo fortunato perché m’hanno regalato un sogno. Sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno e quando viene sera e tornerò da te… è andata com’è andata, la fortuna è d’incontrarci ancora. Sei bella come il sole. A me mi fai impazzire…

all’inferno delle verità,

io mento col sorriso…

Sentito, mio bel giovanotto?

Mi tolga una curiosità. Riesce a vedere almeno, seduta al suo fianco, Eleonora Giorgi? La saluti, forza. Che fa? Le pare il modo di starsene impalato vicino a una signora?

Lei usa come Carlo Verdone il Borotalco? Non è che mi farà la fine invece, coi suoi auto-inganni, di Paolo Villaggio de Il volpone?

No, sa, è per chiedere. Lei è davvero Troppo forteUn sacco bello.

– Signor Franklin/De Niro. Potrei cortesemente farle io una domanda, adesso?

– Ma certo. Non vedevo l’ora. Voleva chiedermi se potessi essere il suo unico amico come il ragioniere Filini? Ah ah. Mi dichi! Ah ah.

– No, se gentilmente mi permette, vorrei farle una domanda alla Tom Cruise di Collateral.

– Ah be’. Mi pare ovvio che lei s’identifichi con Tom Cruise. Visto che, da tempo immemorabile, sogna la sua Mission: Impossible. Ah ah, comunque chieda pure.

– Da giovane, la soprannominavano Bobby Milk per via della sua carnagione molto chiara, per via del suo pallore latteo. Giusto?

– Sì, è vero. Quindi?

– Lei ha dichiarato, nelle sue interviste, che è sempre stata una persona molto timida nella vita di tutti i giorni. Tant’è che, appunto, da giovane, l’affibbiatole nomignolo Milk forse si riferiva anche al fatto che qualche bullo, lì, nel Bronx o a Little Italy, deve avergliele suonate molte volte, cantandole pure… fatti mandare dalla mamma a prendere il latte di Gianni Morandi.

– Non capisco, signor Fleck. Che razza di domanda è mai questa?

– Infatti, questa era solo l’introduzione. La domanda è:

come mai lei nella sua vita sentimentale-sessuale ha sempre avuto una predilezione per le donne nere, per anni considerate diverse in base alla segregazione razziale che imperò negli Stati Uniti dai tempi di Amistad e non si è invece mai accorto che il suo famoso neo nero sulla guancia la rende unico?

Ecco, se ora io glielo strappassi, lei rimarrebbe sempre Robert De Niro, uno dei più grandi attori della storia.

Ma avrebbe perso la sua unicità. E sarebbe uguale a tutte le facce di merda omologate e fatte con lo stampino.

L’è piaciuta la domanda?

 

di Stefano Falotico

Ryan Gosling di DRIVE, un titano: la più grande, vendicata storia di violenza psicologica di tutti i temp(l)i


19 Jul

Immagine

Tempo fa vidi Drive di Nicolas Winding Refn per la prima volta in vita mia e, devo dirvi la verità, non ne rimasi particolarmente entusiasta.

Lo considerai troppo giovanilistico e, a parte la meravigliosa Nightcall che furoreggia in post-apertura del film sugli smaglianti, psichedelici titoli di testa, reputai Drive una mezza, loffia patetica imitazione del miglior Cinema meglio sviluppato e più ramificato di William Friekdin miscelato alle atmosfere melanconicamente forzate da Takeshi Kitano.

Un film perciò alquanto dozzinale nella sua stilizzata, reiterata reificazione d’una ingiustizia impunitamente crudelissima, vendicata in maniera potentissima da un Ryan Gosling out of control come l’omonimo hit storico dei Chemical Brothers.

Un mio grande nuovo amico m’ha definito in questi sintetici termini:

rappresenti la sublimazione reificata dei più reconditi meandri dell’animo umano. Là dove il mondo cela, tu porti alla luce.

Peccato che molta gente stupida abbia pensato esattamente il contrario.

Invero, come potete vedere dallo screenshot, lui ha scritto due volte dei.

L’ha fatto apposta, non è una ripetizione. Io e lui sappiamo la verità… dei rappresenta a sua volta sia l’articolo indeterminativo suddetto che il plurale di dio.

Oddio, mio signore!

Sì, questo mio amico mi reputa una sorta di angelo sterminatore divino, anzi, divinatorio. Un po’ come Bacco, divinità simboleggiatrice del vino. Portatrice di buon umore, personificazione della guascona gagliardia in un mondo oramai bruciato in ogni senso, per filo e per segno d’ogni candido sogno più stupidamente, giustamente utopistico.

Sì, il mio amico è molto preso dalla Politica. Al che, gli ho proposto di creare un partito poco egoistico chiamato Utopia.

Il cui motto innalzato in gloria nell’alto dei cieli sarà… anche a Losanna, Osanna, Rosanna e Rossana odieranno ogni retorica da pettegola, falsa zia poiché noi siamo cherubini birichini come in City of Angels e, a Los Angeles, tutti sanno che adoriamo Mulholland Drive nella nostra Inland Empire sventolante la chimera lontana da ogni bandiera bianca!

Sì, Drive è un film futurista. Dunque, se nel 1909 nacque il Bologna Football Club, la squadra che tutto il mondo tremare fa, eh, come, no, se fu partorito anche il futurismo da Marinetti, perché noi nel 2019 non possiamo contrastare Di Maio il cretinetti, Salvini il panzerotto vivente, i figli troioni di ogni Berlusconi ed essere invece Colin Farrell di Miami Vice anche se quel figlio di zoccola di Flavio Briatore non lavora più per la Formula 1? Miei deficienti?

Sì, in questo gran baccano disumano, io brindo alla vita, malgrado non sia mai un uomo pietistico da Miserere…, in quanto sono l’incarnazione reale e regale di Richard Gere de Gli invisibili, capolavoro sesquipedale con tanto di accelerata scena super malinconica nel rush finale, poi lentissimamente immortalata in maniera tristemente realistica in quanto grande pellicola lievissima, però pauperistica.

Sì, non si sevizia così un paperino solo perché a tredici anni già disgustavo le oche e non guardavo Paperissima.

Di mio, infatti, ho sempre amato leggere Topolino e ce l’avevo già precocemente contro ogni Banda Bassotti che prendeva per il culo, di bullismi e nonnismi, le mie papere da Pluto.

Da allora, estraniatomi che ebbi dai miei coetanei, ancora fermi al Manuale delle Giovani Marmotte, cioè saccenti ragazzini pubescenti e di sé pienotti che sognavano il seno di Folliero Emanuela ma non venivano cagati neppure da Mariotta, la ragazza più brutta, invero molto mignotta, dei loro licei del cazzo, divenni un indagatore dell’incubo, ovvero Dylan Dog.

Nelle mie notti insondabili ed enigmatiche come Martin Mystère, mi celai in maniera tetra e cimiteriale.

Quelli della mia età sospettarono della mia sessualità ambigua da Rupert Everett. In realtà vi dico che ero e sono tuttora solo Sylvester Stallone di Nighthawks.

Sì, nonostante fossi depresso forte, quasi uno zombi da George Romero, Falchi Anna di Dellamorte Dellamore mi tirava sempre su.

L’ho rivista l’alta sera su Instagram. Ancora spinge…

Anna curò, sì, ogni mia presunta castrazione e attrazione verso Thanos, no, Thanatos grazie al suo seno sprigionante florido Eros pimpante su sue poppe esaltanti e sul suo culo molto piccante, assai sodo da pompare furibondamente in modo robustamente ficcante. A dispetto del mio autoerotismo peggiore di quei cazzoni che si fanno ora le seghe mentali sul significato esegetico della saga degli X-Men, sognando Scarlett Johansson di Avengers, io ero già talmente avanti che lo presi nel didietro.

Sì, la mia vita s’oscurò e la gente pettegola e maligna pensò perfino che fossi Black Dahlia, quindi mi trattò da lazzarone, ridendosela da matti.

Fra Di Lazzaro Dalila, Sansone e Maciste nella valle dei farmacisti, ancora nessuna mi resiste. Infatti, mi dà un calcio nelle palle ancora prima che possa lei fare l’ipocrita, leggendo a letto la Holy Bible dopo che s’è fatta fottere da Nick Nolte di Cape Fear.

Sì, esistono donne che (non) amano gli uomini come King Kong, donne come Jessica Lange. Le quali desiderano crescere le figlie nella dolciastra ruffianeria da Cinema di Muccino.

Che grande, Ryan Gosling.

Avete visto che coerenza, che statura morale impressionante?

È solo come un cane, s’innamora della dolcissima vicina di casa, Irene/Carey Mulligan.

Al che, ritorna il marito di lei dopo aver scontato il carcere. Ryan, di nome Driver come De Niro/Travis Bickle appunto di Taxi Driver e come Driver l’imprendibile di Walter Hill, diviene una sorta di Stellan Skarsgård nell’animo, ah, Le onde del destino.

Rinuncia, da quel momento in poi, a ogni avance carnale nei confronti della donna di cui s’è perdutamente innamorato.

Sublima la paralisi sua sessuale, dovuta al fatto che è amico di Oscar Isaac, eh già, gli amici non si tradiscono mai, assurgendo a eremita sceso in terra.

Poi, ammazzano il suo migliore amico, Isaac, appunto.

Al che, l’autista con un’espressione da semi-autistico, Gosling, non lo ferma più nessuno.

Come si suol dire, manco Cristo.

Solo dio perdona e siamo Too Old to Die Young…

Nella vita esistono molti uomini e donne “diverse” come Carey Mulligan.

Uomini come Gosling di Stay, sognatori come in First Man, uomini perfino antisemiti come Gosling stesso di The Believer. Questi ultimi però non si pentono mai, non si redimono e continuano all’infinito con le porcate. Distruggendo i migliori anni in fiore delle persone.

Maltrattandole, nazisticamente, da ultime ruote…

A quel punto, si scatena la rabbia vendicatrice di Gosling di Drive? No, non siamo epici, suvvia, biblici sì.

Mosè docet.

Tanti anni or sono, fui estremamente profetico e signorilmente chiarissimo.

Dissi contro chi volle farmi passare per matto che abbisognava di pesanti sedazioni farmacologiche, ecco, dissi imperiosamente: provateci, fatelo e si abbatterà su di voi una punizione divina.

 

Ora, non piangete.

Sono sempre stato sensitivo, d’una sensibilità unica. Questa magia e quest’unicità mia vollero che si appiattisse nel carnaio volgare di massa.

Per esempio, io sono un intellettuale, forse l’ultimo degli umanisti.

Non credo alle terapie psichiatriche né mi convincono, essendo io di natura scettico e razionale, oserei dire illuminista o forse illuminato, le storie buoniste del tipo… se soffri, ti curi e poi tutto andrà a posto.

Perché sono troppo intelligente per credere realisticamente alle utopie, appunto, sono Ryan Gosling de Il caso Thomas Crawford.

A me gli psicopatici omicidi che insabbiano i loro scheletri nell’armadio stanno sul cazzo.

Comunque, idioti, non ammazzerò proprio nessuno.

Potete dormire sogni tranquilli, cullati dalla vostra demenza narcotizzante.

Ma per il Festival di Venezia, sì, inizialmente avevo deciso di comprare una palandrana da Joe Pesci di Mio cugino Vincenzo per fare un po’ il Joker di turno, ma ho cambiato repentinamente idea.

Ho appena pagato Amazon per ricevere a breve, a casa mia, questa.

Che taglia ho scelto?

Non lo so, non sono un cacciatore di taglie…

 

di Stefano Faloticomio cugino vincenzo pesci palandrana gosling drive

giacca di drive

TOO OLD TO DIE YOUNG: la questione araldica di Nicolas Winding Refn


02 Jul

Augusto+Aguilera+Screening+20th+Century+Fox+d3G9uob17Jol

Avete finito di vedere la serie Too Old to Die Young?

Innanzitutto, pare che William Baldwin sia stato un mezzo profeta. Nell’episodio uno, dice a Miles Teller che è bello come Elvis.

Di poche ore fa infatti la notizia secondo cui Miles Teller, attore oramai lanciatissimo, è fra i nomi più in lizza e papabili per interpretare il re del rock nel biopic di Baz Luhrmann.

Too Old to Die Young sta già facendo discutere i fanatici dell’estetismo, forse anche le estetiste che vogliono assomigliare a Jena Malone. Poi, per via del loro narcisismo e della loro civettuola propensione all’ombelicale ballo del qua qua delle loro frigide, a mo’ di Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti versione donne frustrate, danzano per le loro stanze arredate a regola d’arte. Dunque, esauste, si stravaccano sul divano in vestaglia e recitano il monologo millenaristico, assai moralistico scandito da Jena distrutta. Soprattutto nei polmoni dopo essersi scalmanata come un’indemoniata. Sfiancata da sé stessa, esasperata da troppi dildo e monologhi della vagina.

Un soliloquio da donna delusa forse fanatica statunitense di Vasco Rossi.

Già, Nicolas Winding Refn, dopo i primi due episodi soporiferi da latte alle ginocchia, negli episodi 3, 4, 5 e 6 aveva/ha trovato la giusta amalgama, spingendo sull’acceleratore e tirando fuori un’interpretazione ipnotica da Augusto Aguilera nei panni di Jesus. Un pervertito esecrabile come tutti i protagonisti di questa serie.

Aguilera, uno che non ha il fisico a pera ma la faccia di Leonardo DiCaprio messicano e il fisico palestrato di un pornoattore sadomaso. A metà fra il portoricano e il bovaro che, dopo un pranzo luculliano, beve un faraonico amaro. Rilassandosi da solo sul divano, forse guardando Yellowstone con Kevin Costner.

Augusto qui non gliela fa proprio. Ha sposato una donna statuaria ma lui, in confronto a lei, nonostante la sua ricchezza e la sua dinastia regale, si sente un bambino col pigiamino.

E sua moglie Yaritza/Cristina Rodlo asseconda ben volentieri questo povero sfigatello. Divertendosi con lui a fargli da mamma… Divertendosi tanto a tiramento di suo uccello…

Infatti, echi di The Wolf of Wall Street si avvertono in più punti in questa villa angusta di Augusto eppur principesca, quasi da modello Scarface depalmiano.

Alla fine la spunta proprio Yaritza. Dopo nove episodi interminabili di un’ora e mezza circa cadauno, tranne un paio di un’ora e poco più, Refn fa il figo. E fa vincere la super figa.

Per distinguersi dalla consuetudine dei canoni standard delle serie tv, ove di solito l’episodio finale è il più lungo, lui invece ha girato, per l’occasione, uno spezzone di manco mezz’ora.

Regalandoci uno dei finali più insulsi della storia.

E John Hawkes che fine ha fatto?

Secondo me, il sito www.spietati.it impazzirà per questa serie con in prima linea il recensore “maudit” Luca Pacilio a piangere d’amozione.

Su rottentomatoes.com, questa serie di Refn ha invece ricevuto un 64% di voti positivi. Non un granché, a dirla tutta.

Un mezzo flop, insomma. Gran parte del pubblico ha lasciato stare già a metà dell’episodio 2 quando il rincoglionito nonnetto ripete sino allo sfinimento che il più grande calciatore del mondo sia/è stato Pelé.

Chiariamoci, Edson Arantes do Nascimento non era niente. Il suo goal più bello l’ha fatto in Fuga per la vittoria. Dopo cinquemila volte che hanno ripetuto la scena.

Ho detto tutto.

Mi spiace anche per Maradona ma era solo un mezzo panzerotto da circo Togni.

Lionel Messi è il più grande di sempre anche se c’è chi gli preferisce Ronaldo, cioè le donne.

Messi, come uomo, è un cesso. Ronaldo invece assomiglia ad Augusto Aguilera. Un altro mammone…

Oggi, d’altronde vanno di moda i modelli semi-froci.

Ho detto tutto.

No, io non sono nichilista. Ma non credo ai nazionalismi, alla retorica patriottica e neppure alla bioetica.

Stamattina, ho ricevuto peraltro in chat le offese di un trans. Transitava…

Che mi ha definito omofobo. Pensa te:

– Stefano, non devi incazzarti se ti ho rifiutato.

– Pensavi che volessi provarci con te? Guarda che, di punto in bianco, mi son trovato lo spam delle tue esibizioni illegali da prostituta/o online. Ti avevo semplicemente bloccato.

– Sì, ti è andata male. Dunque sei un intollerante sessista. Io vi odio tutti! Non potete capire.

Scusa, ora però ho uno che mi aspetta. Sai com’è, carissimo. Il mondo non mi accetta per quel che sono ma questo è un cliente che può aiutarmi…

 

Ma che voleva questo qui? Oltre a essere pazzo, racconta falsità. Adesso va a dire in giro che c’ho provato con lui e che ho semi-stroncato il film Flawless di Joel Schumacher perché vi è una drag queen.

Ma che dice? Che farnetica? Io adoro A qualcuno piace caldo. Questo qui l’ho bannato non perché sia un diverso, perché è scemo. Gli deve entrare… nel cervello.

Comunque, è un’umanità fredda.

Un altro bimbetto come Augusto Aguilera mi ha scritto su YouTube che si prodigherà affinché io possa essere curato e ricevere le migliori assistenze psichiatriche solo perché non voglio mettere su famiglia.

Ah, mettesse pure lui su la famiglia. Gliela lascio tutta. Compresi i litigi coniugali e i piatti che voleranno. Così, considerando la sua “nobiltà” d’animo nei confronti del prossimo suo e la sua finezza pedagogica, suo figlio a vent’anni si suiciderà in quanto massacrato da un padre perbenista che volle sedare gli altri ma non comprese di essere, dalla nascita, affetto da infermità mentale e da manie sessuali mai sanate.

Per forza, considerando la racchia di donna con cui fece il figlio (de)generato, cosa poteva aspettarsi? Una figlia più scema di lui, più ebete del fratello e più brutta della strega sua consorte?

Sì, uno di questi padri medi italiani. Che schematizzano fin dall’adolescenza la vita dei figli, obbligandoli a scelte e a tappe forzate. Tarpando sempre le loro ali.

Se poi, a trent’anni si credono Thor, cazzo, una ragione imbecille di questo depauperamento era già da addursi all’albero genealogico della mentale loro malattia ereditaria. Di mio, ammetto con enorme orgoglio e spudoratezza sfrontata che gran parte della vita sociale disgusto. Ma non sono Augusto.

Non sono comunque pietistico e non urlo, a differenza degli asociali da asilo, che il mondo sia ingiusto. Sono un uomo giustissimo.

Basti vedere Too Old to Die Young per capire che avevo e ho ragione su tutta la linea.

Sono l’ultimo dei paperini, in fondo un romantico pauperista.

Insomma, ricapitolando, nel mondo e in questa serie non si salva nessuno, tranne io.

Ecco il promemoria. Uomini e donne, tempi bui ci aspettano, tenetelo ben a mente:

Miles Teller/Martin Jones: un poliziotto corrotto sin al midollo, fa l’amore con una minorenne e finisce massacrato da Jesus, il ritardato par excellence.

Nell Tiger Free/Janey: assomiglia alla ragazza tipo, un po’ topa, di una prestigiosa scuola media superiore. Prende bei voti per fare carriera ma sceglie di sverginarsi con uno che non sa manco chi sia Jung, ovvero Martin/Teller.

William Baldwin/Theo, il padre di Janey: tutti i soldi gli sono serviti solo per scoprire che ha avuto sempre fantasie erotiche piuttosto spinte su sua figlia depressa.

Uno schifo d’uomo.

John Hawkes/Viggo: uno che non ha nessun problema ma dovrebbe curarsi dal fumo e comprare una sigaretta elettronica.

Yaritza/Cristina Rodlo: simbolo del femminismo MeToo.

Ovviamente, concludiamo col top(o) già, più e più volte, menzionatovi “lodevolmente”, ovvero Aguilera/Jesus: è Lapo Elkann versione sudamericana che manda in vacca la famiglia Agnelli di Once Upon a Time in Mexico.

E fa pure il porcellino, ammazzando, oltre a Teller, un altro poliziotto che gli aveva forse solamente rubato due euro dal salvadanaio di porcellana.

Insomma, la morale di Refn è questa: siamo tutti psicopatici, tutti marci, tutti schifosi.

Solo che c’è chi vince la Lotteria di Capodanno e fa il signore distinto e chi, la maggioranza, che ha pochi soldi e semmai casca nel crimine.

Chi pensa, insomma, che se si comporterà in maniera rispettosa di tutti, perfino dei più bavosi, ladri e miserabili, dopo la morte andrà in paradiso, be’, dopo la morte… come tutti finirà solo sotterrato.

Chi pensa che un pazzo sia una persona poco dotata, ah ah, è da manicomio.

Chi pensa soprattutto che fra vent’anni esisteranno ancora le arene estive e i cinema non scompariranno, demonizzando Netflix e Amazon Prime Video, è meglio che si spari in testa subito.

Questo è quanto.

È il mondo che avete creato e Refn ha fatto bene a sbattervelo in faccia. Senza ipocrisie.

di Stefano Falotico

Nicolas+Winding+Refn+Old+Die+Young+Photocall+fjqdeLeySTll

 

TOO OLD TO DIE YOUNG: la realtà non è mai come la immaginiamo, come la sognammo, perfino come la disprezziamo


29 Jun

Yaritza

Ero pervertito, no partito assai prevenuto, come si suol dire, riguardo questa serie di Amazon Prime firmata da Nicolas Winding Refn. Pensavo che si trattasse della solita narcisistica, pretenziosa, autoreferenziale castroneria spacciata per qualcosa di arty in tipico stile Refn.

Regista da alcuni osannato, venerato, elevato in auge. Da altri sinceramente snobbato. Refn è un megalomane nella tradizione dei cineasti più folli e autoriali di cui il Cinema, sin dai suoi albori, è tuttora stracolmo.

Mi mancano alcuni suoi film e onestamente, come già scrissi, ho le mie riserve addirittura su quello che da molti viene considerato il suo intoccabile capolavoro, ovvero Drive.

Che, al di là della strepitosa track Nightcall, di alcune fiammeggianti riprese notturne, malgrado la recitazione piacevolmente catatonica, in stato di trance lisergico, di un impenetrabile e carismatico Ryan Gosling, difetta assai nel finale, essendo a conti fatti una scialba, oserei dire patetica imitazione di Takeshi Kitano in salsa danese-statunitense.

Detto ciò, Too Old to Die Young è una serie magnifica. La sto vedendo, rivedendo, vivisezionando. A prescindere dal secondo episodio, lunghissimo, soporifero e insostenibile, dal quarto episodio in poi ingrana finalmente la quinta, azzecca il giusto, calibrato livello fra adrenalinico intrattenimento e artistico godimento. Assecondato in ciò dall’ipnotica musica di Cliff Martinez, sorretto dalla performance d’un Miles Teller in stato di grazia (in)espressiva, illuminato dall’innocenza angelicamente conturbante di Nell Tiger Free, dalla briosa follia d’un William Baldwin ambiguo e forse incestuosamente onanista (guardatelo qui per non credere ai vostri occhi), dalla venustà soda, capricciosa, maligna di Cristina Rodlo nei panni della stupenda, diabolica Yaritza, dalla presenza ieratica e oserei dire quasi pauperistica di un tosto, immarcescibile, profetico loser, John Hawkes, il cui personaggio è un diseredato a metà strada tra un semaforo ove fermarsi per elemosinare, sì, è un semaforo man, e il tipo/topo affascinante poiché maledettamente barbone con la barbetta incolta e le rughe marcatissime, il viso incancrenito nella perenne ansia oscillante fra il nevrotico vitalistico e il nichilista fottutamente menefreghista, un uomo arcigno, spigoloso e acidissimo con la faccia imbattibile di un equivoco viscido.

Una serie nerissima spaccata sensualmente dai semi-cammei della bomba Jena Malone, figa liscissima. Una che nei film da lei interpretati raramente si spoglia ma a cui basta un movimento inaspettato dei suoi occhi iridescenti per irraggiarci di beltà scostumata, emanando sex appeal a pelle, fottendo in maniera subliminale, forse inguinale, ogni uomo che indubbiamente non può resisterle, illuminandolo da maliarda fatalona di sobrio, elegante eppur devastante erotismo accent(u)ato da un po’ di caldo, provocante rimmel per indurre tutti gli eterosessuali non solo all’indurimento erettivo, bensì soprattutto e sopra e sotto all’intorpidimento toutcourt per i maschi intimamente noir ed eternamente affascinati dalle femme fatale bastarde con le gambe lunghe in tailleur attizzante.

Una donna vera e chi dirà che, vedendola, rimane col braccino corto… è un Pinocchio che fa finta di non amare i suoi occhi, la sua gnocca da notti ove giocarle di grossa oca.

Sì, con lei il gomito da tennista si sviluppa più di quello di John McEnroe e, se non hai i soldi, lei ti lascia a secco. Spompatissimo. Comunque, per ricarburare basta un po’ di benzina e una normale pompa…

Non ci crede nessuno che non vorreste giacere con lei sin all’alba e dopo gli ululati fare i galli, eh già, il naso vi si allunga e anche qualcos’altro.

Comunque, William Baldwin, se già in Sliver fu l’incarnazione del riccone cazzone iper-voyeurista, qui ascende a idolo assoluto prima della sua dipartita grazie alla sua confessione orgogliosa da uomo traviato e debosciato mai visto. Roba che Kurt Russell e De Niro/Ombra di Fuoco assassino l’avrebbero bruciato vivo.

Baldwin, lo scorso mese, è uscito pure con Backdraft 2. Film che, nonostante l’apparizione di Donald Sutherland, hanno visto solo i suoi fratelli.

Kurt Russell e De Niro, appunto, hanno disertato non solo la suddetta boiata pazzesca, bensì la incendieranno perché rovinerà la reputazione del capostipite. Che, comunque, non era poi chissà che.

Chiariamoci, un buon film di Ron Howard, non certo da mettere al rogo ma neppure paragonabile a Inferno di cristallo.

E torniamo a Sliver, film ove le dinamitarde, esplosive gambe chilometriche di Sharon Stone sono quasi più alte del grattacielo ove Baldwin viene arso nell’anima in maniera atrocemente pirotecnica.

In Sliver vi è anche Polly Walker, la donna dal culo più bello della storia. Tornito, modellato delicatamente in forme geometriche oserei dire simmetriche, anzi, perpendicolari a qualcosa che dentro di lei morbidamente e duramente si appaierebbe volentieri in maniera orizzontale o forse verticale. Spingendo in maniera bestiale. Badate a cos(c)e importanti.

Come no?

Una che a quei tempi era capace di uccidere un uomo senza accoltellarlo, appunto, come Sharon Stone di Basi Instinct ma usando soltanto il tritaghiaccio del suo fondoschiena tagliente.

Guardate 8 donne e ½ e poi morirete…

Insomma, a tredici anni pensavo che sarei diventato astrofisico nucleare.

Invece ho scoperto che sono un figo abbastanza atomico. Romantico a cazzo mio.

Il problema è che molte donne non vedono questo.

Per forza, non vedono una minchia.

Sono talmente frustrate che leggono L’insostenibile leggerezza dell’essere. Che poi…

Secondo voi, Antonello Venditti ha mai letto Milan Kundera?

Macché, Antonello sta sotto il cupolone della magica Roma.

Cosa volete che ne sappia pure dell’Inter.

E, tra una Ferilli e una Leoffreddi, è tutta una grande bellezza… tra fusilli e penne puttanesche.

Insomma, Venditti cantò…

quando pensi che sia finita è proprio allora che comincia la salita.

Invece, io sono come Matthew McConaughey di True Detective, un pessimista cosmico a cui fa schifo pure Giacomo Leopardi:

quando pensi che sia finita, sai qual è la verità? È finita davvero?

No, ma è una vita di merda. Oggi va, domani no.

Un giorno morirò e risorgerò.

Sì, se credessi a dio e alla religione cristiana, miei falsi, poveri cristi.

O no?

Notate infine questa finissima, raffinata miniatura ove la ypsilon, ipsilon, la i greca in maniera isoscele si accorda a mo’ triangolare con qualcosa che spara nel grilletto di dolce mitragliare. O no?

yaritzafalotico

 

di Stefano Falotico

 

Un grande attore è nato, forse, Miles Teller


23 Jun

Miles+Teller+Old+Die+Young+Photocall+72nd+Ueiz_JYOHzblNon so se state guardando la serie tv, si fa per dire, di Amazon Prime, Too Old to Die Young.

Una serie che, invero, serie non è, così come ho scritto nella mia recensione. Inizia in maniera turbolenta, con una scena alquanto disgustosa che può ricordare, più che Il cattivo tenente di Abel Ferrara, la versione remake di Werner Herzog con un Nicolas Cage viscido da fare schifo.

La scena in cui il corrotto Cage ricatta i due ragazzini fuori dalla discoteca e poi scopa la ragazza del tipo davanti a lui, cazzo, è veramente vomitevole, moralmente parlando.

Ecco, nell’incipit diToo Old to Die Young non assistiamo a uno stupro “legalizzato” bensì forse a qualcosa perfino di peggiore. I due sbirri, fra cui il protagonista, ricattano una ragazza. Il nero macho osceno le dice che lui e il suo collega chiuderanno un occhio se lei acconsentirà a dar lui un bel gruzzoletto.

Altrimenti, con l’accusa di detenzione di droga nel bagagliaio, la ragazza sarà spedita per direttissima in carcere, avrà la fedina penale indelebilmente macchiata e potrà immantinente dire eternamente addio ai suoi ambiziosi sogni da reginetta della città.

Un patentato motherfucker mai visto. Ma anche il suo amichetto, l’apparentemente innocente Martin, eh già, non gli è affatto da meno, è infatti parimenti al bastardone suo collega, cazzo, un lurido figlio di puttana porcellone da denunciare per criminosa umiliazione inflitta gratuitamente, previo mancia onorevolissima per disonore di oltraggio al pudore più intimo, alla castità emozionale dell’incastrata, ingenua sprovveduta, molto figa ma in tal contingenza sfigatissima.

Chiariamoci, una ragazza viziatissima, probabilmente non tanto affetta, ah ah, diciamo da immacolata verginità, una sciocchina che sta rincasando da una calda, scalmanata sera di bagordi. Dopo suoi amplessi con ragazzetti insetti molto balordi, dopo opportune sue precauzioni per non venire, in maniera venerea, infetta. Però, sebbene lorda, non meritava quest’illecito affronto virile davvero netto e poco lordo, figlio degenerato dei marci abusi di potere di una polizia merdosa e soprattutto assai vile da farci rivoltare la bile.

Cosicché, incassati i soldi che la ragazza, da loro tenuta psicologicamente in ostaggio, ha elargito ai falsi tutori dell’ordine, i due manigoldi col manganello si spartiscono il bottino, abbandonando la poveretta in mutande… economicamente parlando.

Succede un casino, un macello ed ecco che assistiamo, episodio dopo episodio, alla scalata al potere di Martin, alias Miles Teller.

L’attore spettacolare della serie è però William Baldwin. Qui, sorprendentemente, alla sua migliore prova recitativa di sempre. Sebbene appaia po’ imbolsito con una pancetta ottimamente dissimulata in camicie di manica larga… eh sì, è un riccone e il suo maggiore scopo nella vita è proteggere la figlia minorenne dalle violenze e dalle crudeltà di un mondo oramai andato a troie. Regalandole ogni lussuria, no, lusso e privilegio.

Anche se non gli fa né caldo né freddo che la sua ragazza dai capelli d’oro, ex enfant prodige come Dakota Fanning, sia stata trombata da nientepopodimeno che da Martin. All’inizio, il Baldwin non ha capito bene chi sia davvero questo Martin. Certamente non uno spiritualmente elevato come l’omonimo Scorsese. Questo Martin non sa neppure, peraltro, chi sia Jung.

Sì, è uno che bada solo a farsi il culo. Non si è mai posto domande esistenzialiste sulla vita, non ha mai psicanalizzato sé stesso per sviscerare l’escremento vivente, il verme solitario che vegeta nella sua pancia da testa di minchia. Al che Martin/Miles Teller incontra lungo il suo cammino, ecco, Freud, ovvero Mortensen di A Dangerous Method? No, John Hawkes, detto semplicemente Viggo, uno che deve aver imparato a memoria tutti i libri di Sartre e deve essersi immedesimato troppo nel cinismo della poetica pessimistica dei fratelli Coen di Non è un paese per vecchi.

Poi, in questa serie ne vediamo davvero delle belle.

Pezzi di gnocca inauditi come Cristina Rodlo. Nell’episodio 2, il regista Nicolas Winding Refn pare che voglia fare l’amore con lei attraverso la cinepresa. Vi è una scena interminabile in cui Refn inquadra Cristina semi-discinta in primissimo piano lunghissimo. Cristina in questa serie interpreta al top la parte di Yaritza. E a noi maschietti, vedendola così topa, diviene sinceramente lungo e rizz’.

In questa serie abbiamo anche la gnocca Jena Malone. No, non Gemma, Jena come Kurt Russell…

Jena Malone, da non confondere con Jim Malone/Sean Connery de Gli intoccabili.

Siamo schietti, signor Connery. Lei, nel capolavoro di De Palma, interpretò la parte di un metronotte integerrimo. Ma se, sul suo ponte, fosse passata Jena, non il ponte del finale di 1997: Fuga da New York, avrebbe abbandonato subito chiacchiere e distintivo per una serata da mezzanotte e dintorni, baciandola tutt’attorno. O no?

Dico! Siamo uomini o caporali?

Ebbene, questa serie è un noir, Miles Teller ha gli occhi chiari e io invece ce l’ho… come un nero? No, neri.

Sia il sottoscritto che il personaggio di Miles in questa serie, cazzo, spiccichiamo parola ogni era geologica. Roba da fare un baffo a Celentano, roba che intanto lo spettatore medio nostro interlocutore può finire in prigione, scontare tre anni per averci trattato da autistici e minorati mentali, poi può uscire con la condizionale, farsi pure un giro in tangenziale, riapprodare finalmente nella sua home sweet home e, solo allora, sentirà la nostra risposta.

Ma che carisma questo Miles.

Io e Miles, onestamente, siamo molto diversi. Lui è stato appena ingaggiato per recitare nel prossimo film di Sean Penn, Flag Day.

Di mio, tutti i giorni sono uguali con poche variazioni. Varie Jena Malone mi contattano su Facebook. Vorrei fotterle ma mi fotterei la vita.

A differenze di Martin/Miles, ho troppi sensi di colpa e scrupoli di coscienza.

La gente, da non confondere con l’agente, mi dice che dovrei fottermene. Ma è la stessa gente che di me, in fondo, se ne fotte.

Veramente una figata, cazzo.

Una situazione imbarazzante.

 

Miles+Teller+Old+Die+Young+Press+Conference+ZA7mnNLkgSvl

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2019+Vanity+Fair+Oscar+Party+Hosted+Radhika+FQqeefGTxB9l

 

di Stefano Falotico

“The Dying of the Light” ritrova la “Luce” con Cage diretto da Paul Schrader


01 Aug

From The Playlist:
With “The Canyons” wrapped, packaged and now ready to hit theaters and VOD this weekend (you’ll see our review soon), Paul Schrader is already looking ahead to his next project. Last night at the New York premiere of the film, when asked if he would ever do a movie like “The Canyons” again (a low-budget indie), Schrader said he would, but it would have to be under the right set of circumstances. He then went on to reveal his future plans, which include a project with a bit more financial muscle behind it. “The next movie I’m doing is with Nicolas Cage and it’s a much more conventional process,” he shared. So what is that movie?

When we spoke to the director last month (full interview coming soon), he revealed that his next directorial effort was “The Dying Of The Light,” a project that Nicolas Winding Refn was originally gearing up to direct a couple of years back. “I’m gonna make that this winter,” Schrader told us, adding: “I think Nic Refn will be exec producer or something, [and] we have gotten an A-actor for that. He’s agreed to the terms, but we’re still negotiating the perks. I’ll do that film starting at the end of the year.” It’s likely safe to say that Cage is the actor he was lining up.

The story centers on a C.I.A. agent who starts to become afflicted with blindness while on his last mission, and Refn’s incarnation infamously fell apart when he couldn’t convince Harrison Ford (who was set to star alongside Channing Tatum) about the fate of his character. But presumably, Schrader—who also wrote the script—will have no such trouble here with Cage on board.

According to Roger Friedman, the project is set up at Red Granite, the upstart production house whose upcoming slate includes Martin Scorsese’s “The Wolf Of Wall Street” and Scott Cooper’s “Out Of The Furnace.” More details likely to come, but with five years since his last feature, “Adam Resurrected,” it looks like Schrader isn’t wasting a moment in utilizing his newfound momentum.

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