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I più visti di Netflix? Ma voi vi siete visti? Non demonizzate lo streaming senza conoscere il Cinema e le sue tempistiche, soprattutto le mie


19 Apr

irishman falotico

Sì, voi non avete di meglio da fare che accanirvi contro i politicanti corrotti, che spettegolare sull’amico di turno, screditandolo, complottando giorno e notte per fregare la ragazza al prossimo in quest’esasperante gara competitiva basata su rivalse misere, su giochi psicologici assai meschini, su tribali faide molto barbariche?

Sì, qua da noi hanno impazzato per anni programmi pseudo-culturali ricalcati sui migliori e anche peggiori talk show statunitensi. Le invasioni barbariche docet. Ove la conduttrice è stata colei che, dapprima, per far carriera e scalare i vertici del giornalismo televisivo, ha iniziato per Mediaset a pubblicizzare alla buona gli Oscar Mondadori. Poi, ottenuta una certa credibilità intellettuale da radicalchic dei primi anni novanta, si è platealmente svenduta. Io invece, mie serpi, son come Serpico! Prima tenendo banco al Grande Fratello, dunque ripudiando il suo mainstream, divenendo paladina delle becere scienze delle comunicazioni squallidamente mediatiche, pubblicando libri come Non vi lascerò orfani. Libro di cianfrusaglie pedagogiche, di psicologie d’accatto che scopiazza da Nanni Moretti, dallo psicoterapeuta Raffaele Morelli, da Francesco Alberoni, da Paolo Crepet, perfino da Vittorino Andreoli, miscelando il tutto in una sociologia-geriatrica, oserei dire pediatrica, dunque modellando la sua operetta ad autolatrica esaltazione d’un pasoliniano manierismo di natura egotista, probabilmente solo egoista, in un certo senso dunque spudoratamente qualunquista e relativistica.

La signora da me citata in causa ha sofferto di un brutto male e ciò mi dispiace. Ma il suo libro era da latrina. E non voglio far la rima baciata con… perché odo uno squillo del mio cellulare. Sì, scusate un attimo.

È arrivata una notifica.  Sì accesa una lucciola, no, non mi ha contattato una di quelle che imperano su Instagram, spacciandosi per modelle/a, volevo dire una lucina.

La lucina di un mio amico che mi chiede di parlare male di Netflix. Poiché lui non ne è capace e pensa che io possieda un acume superiore per imbastire un ragionamento lucido.

Potrebbe essere. Ma mi chiede di far campagna diffamatoria nei confronti della più famosa e importante piattaforma di streaming del mondo.

Io gli rispondo che parlerò, sì, di Netflix ma in maniera neutrale, fredda e distaccata, oggettiva.

Perché io sono più obiettivo di una macchina fotografica della Nikon.

Mi definisco apolitico ma in fondo son solo uno che non si chiude in ideali fanatici, in quanto uomo falotico un po’ selvatico che non prende mai gli antibiotici contro chi, a priori, assume atteggiamenti idolatrici, scagliandosi contro il contemporaneo cosiddetto malcostume cinematografico.

Sì, fa molto cinefilo cazzuto affermare in totale baldanza che Netflix sia attualmente la rovina della Settima Arte.

Di questo ne siete sicuri? Io vi vedo solo più tristi e scuri. Già mi espressi tempo addietro sull’argomento e ora voglio solo liquidare la questione in maniera brillante, bollente e aromatica perché fra pochi munti devo bermi un caffè della Nespresso.

Ora, chiariamoci. Sono un drogato di cappuccini e cioccolate calde. Sì, come sono buone le calde, no, le cialde della Ciobar.

Mentre so che molti di voi si riforniscono di “tazze” fatte in casa acquistate da un nostrano Pablo Escobar.

Sì, dite agli altri di sgobbar e ve la tirate da intellettuali che si danno un gran da fare. So bene invece che i vostri son soltanto intrallazzi ruffiani ove prostituite, da viziosi, la vostra dignità morale per mettere a fuoco solo e sempre di più le vostre capricciose, maniacali voglie di scopar’.

Sì, davvero, un troiaio mai visto.

La dovreste finire poi di pontificare e sacramentare, dicendo che viviamo in tempi bui. Imbrodandovi in disfattistiche pose iconoclastiche davvero falsissime.

Siete pieni di soldi, di baiocchi e vivete nel Paese dei Balocchi. Suvvia, giù le maschere. Fate come Robin Hood.

Prima vi nascondete nella retorica sinistroide per apparire come pensatori moderni ed ecumenici, buoni e solidali ma vi attenete a ogni più triviale, frivola moda.

Siete più fake di una dolciastra pubblicità del Buondì Motta. Siete come questa brioche. Golosi e fotogenici, ricoperti di glassa, invero stopposi e stupidamente smargiassi.

Insomma, denigrate i ricchi per ottenere voti dai poveri. Poi però prendete i giro i poveracci, in quanto siete solamente degli avari ipocriti.

Sì, attaccate Netflix.

Vero, Netflix produce tutto, non ha un impianto regolatore. Ma vogliamo parlarne degli “appalti abusivi” della Warner Bros?

Capace di passare da Clint Eastwood alla Suicide Squad/Joker con Jared Leto? Questo è uno smottamento tettonico da massimo grado della scala Richter per un casino qualitativo assai poco idealistico bensì “terremotistico”.

Terremotistico (non) esiste in italiano? Sì, hai ragione ma son anche stanco dei tuoi sgrammaticati discorsi qualunquistici. E ti correggo subito.

Sì, abbiamo comunisti che ce l’hanno col capitalismo e poi mettono su i Patreon per un imprenditoriale, fintissima virtù culturale.

Invero, per diventare più ricchi in maniera parimenti micidiale a Iervolino che vuol far ora concorrenza a Netflix con TaTaTu. Roba da bambini.

Ma smettetela. Vi vedo bene col tutù.

Chiariamoci. True Detective è una grande serie ma è altresì inferiore a The Night Of. E, se dite di no, è perché Matthew McConaughey, sessualmente parlando, spinge di più rispetto a John Turturro.

Ma non baratterei, miei batteri, mai uno Steven Zaillian e un Richard Price con questo Pizzolatto. Ah ah. Non c’è price, prezzo. Che pezzo!

Insomma, dovreste dirla tutta.

Sì, fate i moralisti, i moralizzatori, oserei dire i demoralizzatori, dunque i demonizzanti demolitori.

E dite che Sharon Stone in Basic Instinct non sappia recitare.

Potrebbe essere vero. Ma come qualche giorno fa io dissi: conoscete uomini a cui non piaccia Sharon Stone di Basic Instinct? Esistono secondo voi?

Certamente, non lo metto in dubbio.

Ci sono. Infatti sono in un centro psichiatrico.

Ah ah.

Dunque, aveva ragione Paolo Sorrentino. Sì, Berlusconi è un corrotto, lo è sempre stato. E andava con quelle…

Come diceva Andreoli, no, Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha.

E voi non avete i soldi per produrre The Irishman, le serie di David Fincher e compagnia bella.

No, mi sa che avete solo le chiacchiere populistiche.

Così è.

In fondo, siamo proprio sicuri che io sia un’Alda Merini in abiti maschili? Cioè la madre di Matt Dillon e Mickey Rourke in Rusty il selvaggio?

Ci mettereste la mano sul fuoco?

Io non avrei mai scherzato col diavolo…

Conosce le verità del mondo e non è mai assolutistico.

Netflix è il male?

Non ne farei una questione tragicomica da Divina Commedia.

 

 

di Stefano Falotico

Dario Argento è tornato alla regia e io son tornato a essere quello per cui sono nato


17 Mar

argentotop

 

Ora, sento dire da voi di questa generazione che definire Maestro il signor Dario Argento significa peccare di generosità. Di troppa magnanimità. Perché Argento, al massimo, secondo voi, è un discreto artigiano e uno che da più di trent’anni non ha più girato un grande film.

In questo posso darvi ragione. In effetti, Dario, essendo figlio di un’altra epoca, così tanto è stato innovatore e rivoluzionario della stessa in ambito cinematografico, quanto, non sapendosi rinnovare nei suoi, diciamo, canovacci a loro volta passatisti e anacronistici, ha poltrito in un modo di fare Cinema forse sorpassato, senonché macellato da giovani resisti certamente più svegli. Come se fosse stato colto spaventosamente da un sortilegio stregonesco alla pari della sua eroina di Suspiria. E si fosse incantato, in senso lato.

Ma arrivare a dire che l’appellativo maestro bisogna adoperarlo soltanto per gente come Hitchcock, lui sì, oh, maestro vero della paura, delle ossessioni umane più profonde, perverse e recondite, mi pare alquanto irrispettoso.

Come disse, infervorato e adirato a morte, il giornalista calcistico Franco Ordine, quando a Controcampo, la platea a furor di popolo urlò che Figo era una scamorza, Ordine, con urla disordinate e molto arrabbiato, richiamò appunto all’ordine. E declamò, dico declamò, oserei dire sbraitò, gridò un…ma  sapete di chi state parlando? Di un pallone d’oro. PORTATE RISPETTO!

Quindi, si rivolse a Piccinini e gli disse: – Piccinini, ma perché io devo parlare con dei piccini?

 

Ah ah. Invero, questo non lo disse ma lo dico io. Ah ah.

Un momento comunque, oserei dire, epico.

Dunque, a chi, con ignoranza abissale dice che Dario Argento è un semi-cazzaro, io dovrei suonargliele.

Ma lo perdono perché è incosciente. Sì, non ha coscienza di chi Argento è stato negli anni settanta. E di cosa ha rappresentato, non soltanto a livello cinematografico.

L’unico, insuperabile “folle” che ha avuto il coraggio spropositato, dunque ammirevole allo spasmo, di scardinare totalmente i canoni vetusti del Cinema italiano. Fregandosene di quel Cinema amarcordiano, dunque bolso e felliniano, ripiegato su patetici ricordi di gioventù, sul farlocco concepir la Settima Arte come un diario di memorie personali a magnificazione del proprio piccolo mondo sempliciotto e provinciale sin all’osso. Sì, Fellini aveva rotto.

Non fraintendetemi. A Federico riconosco meriti immani, oserei dire disumani. Ma il Cinema italiano, parimenti alla statunitense New Hollywood, appunto, dei seventies, doveva fare il salto di qualità.

Ovvero emanciparsi da storie, sì, belle, lodevolissime del neorealismo, dalle tragedie del dopoguerra ed esplodere, oserei dire, fiammeggiare turbolento in maniera artisticamente invereconda e potente.

E allora ecco che Dario fa una cosa che nessuno, perlomeno quasi nessuno, aveva fatto sin a quel momento.

“Parlare” di storie dell’orrore, aprirci gli occhi sull’incubo chiamato vita.

Se negli States, il grande John Carpenter inventava e tirava fuori dal cilindro il suo archetipico psicopatico per eccellenza, cioè Michael Myers, con Halloween, datato 1978, il signor cazzaro Argento, come dite voi, aveva già girato “filmetti” come L’uccello dalle piume di cristallo4 mosche di velluto grigioProfondo rosso e, appunto, Suspiria, datato 1977.

Vero? Ora io che dovrei farvi? Spaccarvi la capa e accoltellarvi alla mannaia, no, maniera di Myers?

No, sono clemente e vi scagiono da ogni colpa, figlia della vostra smemoratezza, della vostra avventatezza, della vostra impavida, diciamocelo, scemenza. Ah ah.

Sì, Dario Argento, peraltro, sta preparando, a essere precisi, una serie. Ancora le riprese non sono iniziate.

E in streaming, forse su Netflix, la vedremo.

Se dite che Netflix non è il futuro, pigliatevi il drivein. E smettetela.

Sì, dovreste veramente finirla. Andare al cinema è bello, è bello gustarsi i grandi film sul grande schermo.

Ma lo ribadisco, senza vergogna. Le sale d’essai son sempre meno, soppiantate oramai da un ventennio abbondante dalle multisale. Che hanno un parcheggio spazioso e poltroncine confortevoli. Ma devi sorbirti mezz’ora di pubblicità, la folla che, mangiando patatine e popcorn, non capisce niente del film e ti distrae con la sua sguaiatezza.

Poi, la sala, diciamocelo, ha perso oggigiorno valore. Sì, non sto bestemmiando. Un tempo le coppiette andavano al cinema per potersi baciare, lontane dagli sguardi malevoli dei genitori e del film se ne fregavano. I ragazzi marinavano e, quando ancora c’erano gli spettacoli mattutini, s’infilavano in una sala per passare due ore in compagnia dei loro eroi.

Il Cinema, non scordiamolo mai, è nato come intrattenimento popolare. Le sale erano un luogo di ritrovo, di aggregazione. Questo valore le sale l’hanno perso per tante ragioni.

Quindi, è inutile che vi ostiniate, duri come delle capre a combattere Netflix e Amazon.

E ripeto: portate rispetto per il signor Argento.

di Stefano Falotico

When They See Us, una serie che aspetto con ansia


16 Mar

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Mi spiace che si fa gran parlare di serie decisamente brutte, iper-sponsorizzate e invece si sia trascurato il notevole teaser trailer, innanzitutto, di When They See Us di AvaDuVernay.

Regista che, personalmente, non è che mi stia simpaticissima. E, sebbene io non l’abbia visto, da quel che sento, deve discolparsi per quella ciofeca kitsch de Nelle pieghe del tempo. Film costosissimo che doveva far sfracelli e invece è stato subissato dalla Critica. Da tempo amica intima di Jane Rosenthal della TriBeca di Robert De Niro, assieme al signor Bob, alla stessa Rosenthal e a Barry Welsh, si è lasciata produrre quest’affascinante serie Netflix, della quale abbiamo avuto qualche giorno fa un primo assaggio visivo.

Il trailer, stringatissimo e ridotto all’osso, è sinceramente bellissimo.

When They See Us sarà una serie di soli quattro episodi di cui, statene certi, sentiremo parlare. E infatti, ripeto, mi stupisco che questo primo filmato di lancio sia passato abbastanza inosservato.

Tant’è che Netflix Italia non ha ancora rilasciato quello della versione, appunto, italiana, nemmeno sottotitolato. Il cast è notevole fra giovanissime promesse e nomi affermati come la bellissima Vera Farmiga e John Leguizamo, fra la stangona Famke Janssen e quel bravissimo Michael Kenneth Williams che avevamo avuto modo di apprezzare in una serie, però firmata HBO, secondo me fra le più potenti degli ultimi anni, The Night Of. Parimenti a The Night Of, peraltro, anche in questo da me molto atteso When They See Us abbiamo a che fare con un caso eclatante d’ingiustizia atroce. Se però in The Night Of la storia era figlia della pura fantasia di Richard Price, straordinariamente sorretta dalla regia puntuale e cattiva di Steven Zaillian, qui parliamo invece di un caso giudiziario fra i più sconvolgenti e scandalosi della storia. Eh sì. I cinque di Central Park. Una delle più oscene mostruosità mai avvenute sulla pelle di cinque ragazzi che hanno passato i migliori anni della loro vita fra le sbarre e, soltanto dopo un quarto di secolo, sono stati scagionati dalle pesantissime accuse e dichiarati innocenti. Storie che, ahinoi, succedono ancora. Fra equivoci di portata mastodontica e tristissima, tragicomica e perenni, impuniti torturatori ove l’indagato a vita può essere, che ne so, anche di un futuro premio Nobel e la persona moralmente più sana del mondo, ma qualcuno non ci sta. Perché è una sadica capa tosta. E sulla base di pregiudizi, di allarmanti visioni distorte, non desidera mai fargliela passare liscia. Provocando una un “tanto a chilo” per indurre a sbagliare ancora. Storie allucinanti, miserevoli e agghiaccianti. Storie da denuncia e da risarcimenti pesantissimi. Che, purtroppo, non hanno niente di miracolistico ma, onestamente, hanno tanto di angoscioso, repellente e devastante. Sì, purtroppo o per fortuna rimango fra quelle poche persone convinte che prima d’incarcerare qualcuno, sulla base di pochissimi elementi partoriti da deduzioni approssimative, psicologicamente circostanziate e circospette, bisognerebbe, con estrema cautela, indagare a fondo.  Per appurare la verità. Solo allora, dinanzi a prove evidenti e schiaccianti, si può procedere. Altrimenti è un orrore, una terrificante limitazione della libertà delle più aberranti e schiavistiche, una stigmatizzazione non solo fisica, un pasticcio mai visto. Prima di parlare e sputare sentenze, appunto, a casaccio, bisognerebbe ben conoscere tutto. Vederci chiarissimo. Anziché seppellire il vero sotto un cumulo di scemenze, di tremendo occultamento, di plateale insabbiamento politicamente corretto, di idiota buonismo utopistico.

Buona giornata.

Parola di un duro, di un amante del Conte di Montecristo. Libro che scommetto molti di voi non sanno neppure che esista. Ah, misere, inutili parole al vento… che triste(zza) come direbbe chi vuol mentire perché gli fa comodo tacere o non volerne sapere… tanto la vita va avanti. Forza, coraggio!

Sei un grande… sì, e altre frasi fatte di circostanza.

 

di Stefano Falotico

In attesa della seconda stagione di THE PUNISHER, promemoria recensorio


03 Jan

punisher punisherfalotico

E questo è quanto, amici.

Bentornato, Frank.

 

 

 

di Stefano Falotico

Video cult: Francesco Alò e Federico Frusciante a confronto


31 Dec

frusciantealo

Federico Frusciante, che io sa che stimo molto e seguo sempre appassionatamente nelle sue cinefile scorribande ribalde, non lo definirei un “fenomeno”. Ché pare quasi spregiativo delinearlo e imbrigliarlo sbrigativamente in questo superficiale, limitante appellativo, come fosse un personaggio da tendone del circo. Questa definizione lo sminuisce perché, per quanto simpaticamente affibbiatagli, lo depriva della sua importante personalità. Fede è un uomo malato di coerenza, nel senso tanto ampio del termine da sconfinare nel radicalismo esasperato, anti-istituzionale e anti-democratico, al contempo umanissimo nella sua folle, quasi donchisciottesca virtù pregevole di perseverare a rotta di collo nei suoi ideali forse utopistici, irrealizzabili, perfino anacronistici. Perciò Alò lo accusa di passatismo e retriva adesione a una visione del Cinema forse troppo legata alla nostalgica magnificazione di quel che è stupendamente stato e purtroppo, travolto dal mercantilismo di massa, sta scomparendo, si sta tristemente estinguendo. Quindi Fede incarna tutto e il contrario di tutto nella sua accezione più positiva, perfino principesca, da autarchico che, ogni giorno, da quando si è lanciato senza sprezzo del pericolo in questa sua sorta di missione istruttiva, naturalissima e viscerale, si deve giocoforza scontrare con chi, semmai laureato al DAMS o cattedratico, sussiegoso e boriosamente certificato che sia un critico, persino lo deride e lo provoca. Ed è per questo che la gente, da me il primo, oramai quasi si fida più di lui che di un critico “attestato” tale. Con tanto di attestati e curriculum vitae noiosi e inutili. Perché, un po’ come faccio io nel mio canale e nelle mie recensioni online su vari siti, non è legato a logiche editoriali, non deve compiacere nessuno e non vien pagato per dire che un film è bello anche se non lo pensa. Nella sua ruvida, talvolta anche indisponente, ruspante schiettezza esplosiva senza filtri, arriva direttamente al cuore di ogni spettatore, dal più colto e competente a quello alle prime armi che, incantato dalla sua vistosa mimica esuberante e quasi strafottente, rimane piacevolmente ipnotizzato dalla sua toscanità verace e tonante, addirittura volgare nel suo significato (mi raccomando, non fraintendetemi) più calorosamente popolaresco, un uomo animato da una sconfinata, onestissima passione pulsante, ai limiti dell’imbarazzante per quanto è grandiosamente sentita e, appunto, non veicolata da interessi e logiche di mercato, da affaristici compromessi, da leccate di culo. Il suo percorso, per così dire formativo, no, non è stato canonico, cinematograficamente scolarizzato, universitario e dunque spesso solamente improntato al bisogno di fare il critico per essere critico col titolo. Non è un percorso che cerca la gloria o a scopo di lucro. Lui ha zigzagato da autodidatta onnivoro, ha letto mille libri e ha visto più film di Tarantino, a livello formale non può dimostrarlo, non ha niente che lo acclari, diciamo così, e quindi come un temerario continua nella sua avventura ammirabilissima, guidato dal fervore vero e anche romanticamente arrabbiato di un selvaggio cuore straordinariamente puro. Un intrepido.

Non è impeccabile, ci mancherebbe, per quanto, se leggerà questo mio pensiero, potrà adirarsi, certo, anche lui prende delle cantonate pazzesche e sbaglia clamorosamente su molti film, ha delle fisse incurabili e forse è troppo manicheo nel suddividere semplicisticamente il mondo fra comunisti contro fascisti.

Ma è comunque lodabile, anzi, forse ancora di più, proprio perché fermamente convinto che il Cinema, l’Arte e la Cultura non passino obbligatoriamente dalla via “principale” di un giornale “importante”, ma siano alla portata di chiunque voglia giustamente cimentarsi, senza presunzioni e superflui nozionismi sterili con la sua magia, e che ogni persona abbia il diritto, per quanto discutibile e opinabile, di dire la sua, di spararle anche grosse senza il bisogno squallido di mercificarsi o, appunto, istituzionalizzarsi per farsi, per crescere in lui.

Il Cinema è di tutti. E, pur con le sue inevitabili ingenuità, sorretto da un cuore magmatico e bruciante, Federico Frusciante insiste coraggiosamente, al pari di un personaggio di un’altra epoca e allo stesso tempo di un personaggio imprescindibile della nostra contemporaneità. Che, come lui, è piena di contraddizioni amabilissime.

 

Quando sostiene che lui non si emoziona perché, se si emozionasse alla prima visione di un film, il film lo avrebbe fregato furbescamente, in maniera ricattatoria, mente spudoratamente. E allo stesso modo dice il vero. Se non si emozionasse, non starebbe a guardare film da mattina a sera e a parlare di Cinema. Forse, avrebbe partecipato al Grande Fratello o si sarebbe candidato come futuro Presidente del Consiglio.

Il Cinema, invero, lo emoziona parecchio. Vive per quello. Però io ho capito benissimo cosa voleva dire. Anche voi. Cioè, Fede non è un tipo manipolabile che si lascia fottere. Più coerenti di così, si muore.

 

 

di Stefano Falotico

Le migliori serie televisive e il mio video cult da fantasma di Bob


17 Nov

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Stranger Things

Stranger Things

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Ebbene, devo ammetterlo, sebbene qualche insegnante di semantica-semiotica cinematografica del DAMS o scuole affini mi rimprovererà tosto. Le serie televisive mal le digerisco.

Perlopiù la maggioranza di esse.

Sono profondamente convinto che, nonostante molte di queste, invero assai poche, possano essere ottimamente costruite, con sceneggiature perfino ingegnosamente architettate, e farcite di personaggi carismatici, affascinanti o solamente interessanti che, senz’ombra di dubbio, attraggono la nostra curiosità, siano allestite inconfutabilmente al fine di un solo, primario scopo. Quello d’intrattenere. E basta.

Non vi è Arte.

Basti vedere il nuovo format adottato ad esempio da Netflix. Ieri sera, ho visto con molto piacere, divertendomi da matti, il primo episodio de Il metodo Kominsky. Una serie che, se manterrà il ritmo dolceamaro dei suoi primi trenta minuti, scanzonato, nostalgico, leggerissimo, potrebbe ascendere presto tra le mie preferite. Ma questo lo saprò soltanto a visione completata delle sue dieci “puntate”.

Ecco, ogni episodio de Il metodo Komisnky dura appena, appunto, mezz’ora. Alcuni, dando io un’occhiata veloce ai minutaggi dei singoli “spezzoni”, non vanno addirittura oltre i venti minuti. Roba che non fai in tempo a guardare i titoli di testa che già sei arrivato a quelli di coda con un brevissimo intermezzo di qualche sketch fra Michael Douglas e Alan Arkin.

Gli episodi invece di Maniac durano singolarmente non più di quaranta minuti.

Ciò per dire che il livello di attenzione dello spettatore medio, quello a cui punta Netflix, si è notevolmente abbassato.

Un tempo, come da me già detto, la gente si piazzava sul divano e, su RAI 3, ai primi di Gennaio, quando spesso lo programmano, si guardava per intero C’era una volta in America, col solo spazio pubblicitario fra il primo e il secondo tempo in cui andava a dissetarsi e si fumava una sigaretta, oppure recandosi in bagno a fare un po’ di “acqua”.

La gente era abituata alla contemplazione, alla splendida “lentezza”.

Oggigiorno invece i ritmi troppo frenetici giocoforza impostici dalla società non ci permettono di soffermarci troppo sulle cose. Ché poi bisogna guidare la macchina nel caos cittadino.

Dunque, si è adottato questo formato, appunto, velocissimo, d’immediato consumo. Tanto per farci passare un po’ il tempo libero.

Le serie televisive, in generale, fanno esattamente questo. Sono storie che, a mio avviso, potevano essere sintetizzate, senz’assurde digressioni superflue e onestamente noiose, senza siparietti poco funzionali alla vicenda narrata, al fulcro sostanziale della trama, in due ore e mezza, al massimo.

Questa regola vale per ogni serie televisiva. Anche per quelle migliori.

Ecco, non essendo un patito di serie tv, appunto, non ne guardo molte. Ma le scelgo oculatamente in base ai miei gusti. Vado d’istinto. Decido di sorbirmi tutti gli episodi di una serie, semmai uno o due a sera, dopo aver vagliato scrupolosamente.

Posso dunque dire che il mio sguardo è “limitato” e forse avete ragione voi a sostenere che le serie televisive siano oramai il futuro non solo della televisione ma del Cinema.

Detto ciò, sono soltanto cinque le serie televisive degli ultimi anni che mi hanno quasi del tutto appagato e reso fiero di averle viste. Quelle per cui ritengo di non aver buttato del tempo prezioso nel visionarle.

Partiamo dal quinto posto per arrivare al primo.

5) Stranger Things. Sì, tutto vero. Non inventa niente, ricicla il sincretismo culturale anni ottanta, soprattutto, e ripesca da Spielberg, Joe Dante, perfino da Wes Craven, e chi più ne ha più ne metta.

Ma la miscela è ottima, commovente, è una serie che davvero ti riporta indietro nel tempo. Come Ritorno al futuro di Zemeckis.

Promossa appieno.

4) Marvel’s The Punisher. Oh, finalmente Frank Castle, dopo tante trasposizioni orrende, e mi riferisco a quelle con Dolph Lundgren (!) e Thomas Jane, trova nel volto roccioso di Joe Bernthal la sua mimesi perfetta.

La serie è violentissima con tanto di scena in cui The Punisher sfonda gli occhi del suo eterno torturatore e finale in cui macella il cranio dell’amico traditore figlio di puttana.

Ma, a parte qualche eccesso, funziona a meraviglia.

3) Mindhunter. Gli episodi di Fincher sono stupendi. Zodiac incontra Il silenzio degli innocenti.

Qualche luogo comune di troppo sui serial killer rovina l’amalgama ma la serie spinge, eccome.

2) True Detective, prima stagione. Non è assolutamente perfetta. Anzi, più la riguardo e più i monologhi di Rust, che tanto mi avevano impressionato la prima volta che li vidi, mi paiono costruiti, artefatti, e Pizzolatto mi sembra un tizio furbissimo, bravo ad accattivarsi, con pessimistico maledettismo, le simpatie dello spettatore hater del mondo.

Come per tutte le serie televisive, ribadisco, la storia poteva durare molto meno e se ne poteva fare un film. Semmai di tre ore. Molti risvolti e molte parentesi sono esagerate, la serie è dispersiva e alla fine ciò che resta è appunto la forza interpretativa di un McConaughey nel suo ruolo della vita e gli ultimi venti minuti.

Con la discesa nel covo di Carcosa, la resurrezione cristologica di Rust e i due amici di tutta un’esistenza che meditano su questa brutta faccenda. Da lacrimoni.

1) The Night Of. La perla per eccellenza. La prima puntata è qualcosa di magnifico. Abbiamo Fuori orario di Scorsese che incontra la penna di Richard Price. Sin alla lenta, mostruosa esplosione di un equivoco giudiziario spaventoso.

Ma anche in questo caso, come The Guardian disse bene, sebbene The Night Of rimanga a mio parere un capolavoro, la serie si perde un po’ per strada con una storia processuale abbastanza convenzionale da Perry Mason e John Grisham e smarrisce molta della carica della prima puntata.

Il finale però è da brividi e salva i pur minimi difetti enunciativi.

 

Ecco, personalmente, per quanto riguarda Gomorra, Narcos, Westworld in particolar modo, come dice il vecchio Jack Burton… basta, adesso.

Mi hanno scassato u’ caz’.

Ovviamente, ho trascutato apposta Twin Peaks Il ritorno. Che non è una serie televisiva… è la storia della mia vita. Soprattutto quando Laura Palmer torna a casa…

E urla di paura perché questa sua vita è stata tutta un immane incubo terrificante.

Sì, come la mia vita. Ve ne avevo già parlato di questo?

Sì, a un certo punto, similmente a The Night Of, chi mi stava attorno mi ha fissato negli occhi.

E, allucinato da quel che vide, urlò fra il meravigliato, lo sbigottito, l’incredibile materializzatosi ancora.

Sì, qualcosa di tragicamente lynchiano.

 

 

di Stefano Falotico

Maniac, su Netflix, non parte, Joaquin Phoenix è dimagrit’ come me, e saltello tutto bello nelle vostre patologie mentali, in quanto sono 009


21 Sep

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Joker dimagrit’

Un post condiviso da Stefano Falotico (@faloticostefano) in data:

009, colui che si fa il viaggio virtuale sino a Giove, va su Marte come Schwarzy in Atto di forza, e si scopa la tua Venere senza contrarre malattie veneree in quanto usa il profilattico, e su questo non ci piove.

Mah, non è che abbia una gran voglia di vedere questo Maniac. Del Fukunaga. Uno che adesso dirigerà James Bond 25 con Daniel Craig.

Ora, lo ribadisco, mi spiace che la pensiate in maniera diversa da me. Daniel Crag è il peggior 007 della storia. Mio nonno Pietro, ch’era un coltivatore diretto, aveva una faccia più elegante di Daniel. Uno a cui stringo la mano perché sta con Rachel Weisz, donna dalle cosce strepitose e dagli occhi ammalianti, ma che carismaticamente vale meno, appunto, di un trascurato agricoltore.

Sì, mio padre è ancora più cattivo di me quando gli chiedo cosa ne pensi di Craig.

– Ah ah. Chi, Craig? Quello del cantiere edile di Castel Maggiore (località limitrofa all’estrema periferia di Bologna, situata a nord rispetto al centro storico di questo capoluogo emiliano-felsineo) ha molta più classe.

 

Sì, concordo con mio padre. Craig ha una faccia da scaricatore di porto. Niente a che vedere col sex appeal maturo dello Sean Connery che fu, molto meno figo di Pierce Brosnan, che comunque faceva anche lui abbastanza cagare nei panni dell’agente segreto più famoso del mondo, più magro di Roger Moore ma assai meno simpatico. George Lazenby e Timothy Dalton neppure li prendo in considerazione. Ma, a loro modo, migliori del Craig. Una faccia da burino ch’è molto, paragonato a lui, più attraente Ricky Memphis.

Sì, Craig è veramente una merda.

Quasi quanto Justin Theroux. Uno che dovrebbe fare un monumento a Lynch per avergli dato, a tutt’oggi, il ruolo della vita in Mulholland Drive. È grazie a questo ruolo ch’è riuscito ad accarezzare le coscione di Jennifer Aniston. Diciamocela! Ah ah!

Sì, c’è anche lui in Maniac.

Ma questa serie non mi parte su Netflix. Mi collego al mio account, vado su questo titolo, clicco e mi dice: disponibile dal 21 Settembre.

Scusate, non è oggi il 21 Settembre? Dev’essere una sorta di strategia occulta e subliminale per farti impazzire come Jonah Hill. Mah, riproverò domani.

C’è pure Emma Stone. Tutti sostengono che sia una buona passerotta, questa qui. Insomma. Ha un seno inesistente e spesso interpreta la parte di donne patetiche e lagnose, sì, la Margherita Buy d’America. E Maledetto il giorno che t’ho incontrato del Verdone docet. Sì, piace molto a Nanni Moretti che, dopo quell’altra isterica perfettina di Laura Morante, ha trovato in Margherita la musa delle sue frustrazioni. Pessimo il Moretti, un uomo tristissimo.

Molto meglio Andrea Roncato/Margheritoni. Uno che, in Mezzo destro mezzo sinistro, sapeva che da Isabel Russinova voleva solo una trombatona in una calda alcova. Uomo verace, Andrea, ruspante.

E non sfogliava le margherite… Di mio, son dimagrit’ e mi piacciono i quadri del belga René Magritte.

Questa è la stronzata falotica del giorno! Non c’è nessun Joaquin Phoenix che tenga. Il vero Joker sono io. Imbattibile!

Maniac

Maniac

 

di Stefano Falotico

Netflix, i pro e i contro


18 Sep

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La questione Netflix, e già mi espressi in merito mesi fa, torna prepotente dopo che Roma di Cuarón ha vinto il Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia e Sulla mia pelle, sullo scabroso caso Stefano Cucchi, nonostante l’esigua distribuzione in sala, sta spopolando su tale piattaforma di streaming. La numero uno, con buona pace di Amazon Prime Video, che dovrà faticare non poco per reggerle la concorrenza, Hulu abbastanza scarsina, e via dicendo.

I detrattori di Netflix sono tantissimi, così come i ferventi sostenitori, ai quali si è aggiunto il nostro esimio David Cronenberg con le sue recenti dichiarazioni. E a cui dobbiamo certamente ammettere nientepopodimeno che Martin Scorsese col suo The Irishman. Film che scatena in me un hype da manicomio e che, purtroppo, a quanto pare non uscirà prima del prossimo anno. Azz.

E fra pochissimi giorni sarà disponibile alla visione mondiale l’interessantissima, almeno sulla carta, prima che possiamo vederla, serie Maniac con Emma Stone e Jonah Hill. Ora, permettetemi a tal proposito una severa digressione. Non ho dubbi, dopo True Detective, sulle capacità registiche di Fukunaga, ma girare una serie sulla “pazzia” può essere un bell’impiccio. Perché è sempre difficilissimo, e di questo Fukunaga credo ne sia ampiamente conscio, poter intrattenere con gusto e allo stesso tempo filmare qualcosa che non sia pacchiano, superficiale o stupidamente innovativo sulla pazzia, appunto. La pazzia è qualcosa di delicatissimo, che non può essere a mio avviso spettacolarizzato, non è roba per il grande pubblico, a meno che non si girino schifezze, appunto, psicologicamente poco introspettive, bensì filmetti per teenagers col manuale sulle psicopatologie delle Giovani Marmotte. La pazzia è qualcosa di tanto, sì, affascinante, quanto pericoloso, cinematograficamente parlando. E io, pur considerando Il silenzio degli innocenti un grandissimo film, gli preferirò sempre Manhunter. Perfino Mindhunter. Sì, in questo caso parliamo di serial killer, ma in fondo lo psicopatico assassino seriale altri non è che la degenerazione malata di una persona disturbata. E non dico altro per non peccare io stesso di banalizzante, lapidaria grossolanità. Mi basta però dire che, come sostenuto giustamente da Wendy Carr/Anna Torv, l’agente “stressorio” sta alla base del peggiorativo esplodere della “tensione”.

È così. Una persona calma, pacata, sensibile e retta moralmente da sani principi, può impazzire in seguito a spiacevolissimi eventi rovinosi, e franare, inferma, in atteggiamenti criminosi.

Ma non avventuriamoci in disamine sulle alterare anime. Ché non basterebbe l’intera biblioteca di Alessandria per raccogliere tanto scibile “psicanalitico”. E nemmeno quella di Alessandra, donna che non ha mai letto un libro in vita sua, però scopa da mattina a sera con tutti e non gliene sbatte una minchia. Sì, Alessandra non ha una biblioteca nella sua camera, però nella sua camera gli uomini la “sfogliano”, leccandosi il pollice tra una girata e l’altra, per meglio “inumidire” la “lettura” del suo corpo.

Torniamo a Netflix. Ribadisco quanto già dissi. È molto romantica, nostalgica, nobilissima l’idea della sala, semmai di paese, con le lucine e il proiettore arrugginito che riprogramma il capolavoro epocale di turno. Con la pellicola che salta e il macchinista che, sudando come una bestia per non essere licenziato, in tempi da record, attacca tutto con lo scotch e fa ripartire la magia. Ma dobbiamo attenerci alla realtà. Sai, donna, hai dovuto aspettare mezz’ora a cazzeggiare col cellulare prima che iniziasse nuovamente il film. E, sinceramente, sei preoccupata che, in quest’intervallo, tuo marito, ch’è rimasto a casa, sia riuscito a scopare la vicina di casa. Sì, ah ah, hai voluto tu che ti tradisse perché da tempo non sai soddisfarlo, non ci sai fare, e gli hai fatto il regalo di compleanno. Da anni ambiva alla vicina. Ma sì, ti sei detta, che se la scopasse pure. È un pover’uomo, lavora come un negro. Concediamogli questo “extra”. Ma non hai voluto, appunto, assistere al tradimento e così sei andata a vedere un film di fantascienza al cinemino, lontano 50 km.

Al tuo ritorno, tutto deve essere a posto… deve essere stato un tradimento “perfetto”. Ove tu sai che lui ha fatto quel che c’era da fare, e lui sa che tu sai, non hai visto nulla, e domani è un altro giorno. La vicina però, non contenta di essere stata anche lei accontentata, potrebbe bussarti alla porta per chiederti lo zucchero che ha finito. E questa sua poca mancanza di tatto, donna, ti farà incazzare assai. E scoppierà la tragedia.

No, questa scusa non regge a favore di Netflix. No, per niente, ah ah.

Però, ecco, ieri mi è arrivato il Blu-ray de La cosa. Ci sono film che debbo avere. Sì, li bramo e li faccio eternamente miei. Almeno finché non morirò, ché poi li regalerò a qualcuno, e quel qualcuno toccherà il disco sensibilissimo, immacolato, senza neppure un graffio, con le mani unte di prosciutto.

Però non è che, ogni volta che c’è un film capolavoro, possiamo noleggiarcelo o comprarcelo. Tu sei figlio di Montezemolo?

Io no. E pagare il noleggio innanzitutto costa. Poi, il film lo puoi tenere al massimo 48 ore, quindi non puoi rimandarne la visione, anche se ti viene la febbre a quaranta. Sennò hai pagato per l’anima del cazzo. E peraltro devi sorbirti tutto il traffico della città per portarlo indietro.

Sì, questo giova a favore di Netflix.

Ora, capisco che, se siete gestori di una videoteca, vi stanno girando le palle. Ah, se tutti si abbonano a Netflix, non è vero che nessuno noleggerà più. Perché Netflix ha un catalogo molto limitato. Ovviamente, però, i noleggi caleranno e il piatto piangerà.

C’è anche da dire che le major guardano al guadagno, agl’introiti, sono delle troie. E oramai finanziano quasi solo esclusivamente film sui supereroi, ché incassano da Dio.

C’è qualche casa di produzione, al giorno d’oggi, che finanzierebbe, ad esempio, Apocalypse Now?

Non è un film commercialmente affidabilissimo. Potrebbe spaccare il culo ai botteghini come esser visto da quattro gatti.

Netflix invece se ne frega. Su un film che va malissimo e che non guarda nessuno, altri 9 non solo vengono visti ma rivisti. Basta scorrere col mouse, e ti rivedi mille volte la tua scena preferita.

Che poi The Irishman sarà un capolavoro o una delusione immane, senza Netflix non avremmo mai potuto saperlo. Semplicemente perché la Paramount, che inizialmente doveva produrlo, alla fine si è tirata indietro. Facendo questo squallido ma onestamente realistico ragionamento…

Sì, Scorsese è molto amato, De Niro e Pacino sono due leggende, ma un film sui gangster, sul tempo, in cui i protagonisti hanno più di settant’anni, invero quasi ottanta, verrà cagato?

Al che intervenne Netflix e disse: ok, quanto viene? Quasi duecento milioni di dollari? Tieni, Martin, ecco i soldi.

Non voglio più sentire stronzate su Netflix, intesi?

E non solo su Netflix. Anche sui materassi Permaflex. Secondo me sono più comodi quelli della Eminflex.

 

 

di Stefano Falotico

Secondo Cronenberg il Cinema non è morto, sta mutando nella “nuova carne”, mentre Marchionne è oramai andato


23 Jul

Cronenberg

 

Sì, oggi pomeriggio, dopo un lauto pranzo, in occasione del compleanno di mia madre, sono andato a fare un giro. Al che, dovete sapere, che dalle mie parti, sebbene abiti in periferia, hanno aperto oramai da anni un’università. Credo sia la facoltà d’ingegneria. Roba che non m’interessa. Ho scelto il giorno sbagliato per far “due passi” in macchina. C’era un pienone, con tante automobili strombazzanti. Sì, è stato il giorno delle lauree e tutti gli studenti uscivano festosi dal caseggiato con la “coroncina di spine”, inconsapevoli del mondo che li attenderà. Sì, edificheranno palazzi che, al primo battito di vento, crolleranno e, per inadempienza ai loro studi, fatti col culo, saranno accusati di omicidio colposo. Quindi, li rinchiuderanno alla Dozza, celeberrimo carcere bolognese. Ove resteranno dieci anni e poi, una volta scontata la pena, dovranno ricostruire tutta la loro vita, mattone su mattone, partendo proprio dal cantiere limitrofo all’università da loro frequentata. Riciclandosi come formiche operaie. Sì, c’è un cantiere sempre in quella zona universitaria, perché stanno mettendo su questo cazzo di People Mover, una sorta di trenino “galleggiante” nell’aria che collegherà la Stazione all’Aeroporto. Roba che uno fa prima a farsela a piedi. Proprio dei soldi buttati nel cesso.

Comunque sia, visto che c’era un traffico della madonna, ho dovuto sostare adiacente all’entrata dell’università. E, immobile, ho ammirato di “belvedere” tutta una serie di cosce femminili notevoli.

Soprattutto una donna, ottimamente equilibrata di forme graziose e voluttuose, ha attirato la mia attenzione e “tirato” anche qualcosa che ho dovuto bloccare col “freno a mano” del mio sublimarla subito. Sì, era in compagnia di un ragazzone palestrato e dunque i miei occhi, in maniera furbesca, sì vedevano il suo fondoschiena marmoreo, ben diluito in una minigonna floridamente attraente, ma allo stesso tempo dovevano far finta di non vedere. Insomma, se una donna di questo livello ha già il suo uccello, come si suol dire, non bisogna darlo/a… a vedere, occhio non vede, cuor non duole.

Sì, so, ragazzi miei, che vi struggete perché la donna dei vostri sogni, che tanto vi lascia insonni, sta con una testa di cazzo insopportabile, e per voi son dolori che alleviate con frustranti seghe pesanti.

Ma è la vita. Non si può azzardare laddove il vostro azzardo potrebbe farvi patire pene… dell’inferno. Perché, se vi va bene, vi beccherete un mal rovescio, se vi andrà male, come infatti già è andata, c’è sempre il canale del Tubo a luci rosse per compensare la fregatura e per sfregarvelo un po’. Eh sì.

Meglio di niente, no?

Ora, questo lungo… discorso per dire che, potete incazzarvi quanto vi pare, ma Netflix è come le donne. Siete dei romanticoni che sognate il Cinema sul grande schermo e invece questa piattaforma sta monopolizzando il modo di fruir della celluloide, e tal processo, che vi piaccia o meno, non si può fermare, cresce di ora in ora e “contagia” anche chi prima disdegnava lo streaming ma inevitabilmente vi ha abdicato, così come le donne, che non ve la danno, vorreste che fossero una vostra esclusiva e invece, a malincuore e a fegato amaro, scoprite che si scoprono con altri. Tutti oramai ne “fruiscono”, tranne voi, rimasti indietro. Ah ah.

Ecco, vi spiego una strategia “infallibile” di approccio. Andate da una donna che vi attizza in chat su Facebook e scrivetele…  ho letto i tuoi post, sono molto malinconici, pari sfiduciata, vorrei credessi ancora all’amore, e spero t’innamorerai di me.

Lei vi risponderà: – L’amore non si sceglie, è lui che sceglie te.

E voi: – Infatti. Io sono l’amore e ti ho scelto. Chiaro?

 

Ah ah.

Sì, probabilmente il suo ragazzo vi spaccherà la faccia, ma dovete comunque calcolare la possibilità che possiate essere voi a metterglielo in quel posto… liscio e caldo.

Sì, Marchionne sta morendo. Forse è già morto.

Molte sono come le macchine della FIAT, alla prima “botta” vanno giù di carrozzeria. Sì, dopo essere state sverginate, imbruttiscono e diventano chiatte. E si lasciano “sfasciare” a destra e a manca con una facilità incredibile.

Voi, invece, donne lussuriose, “lussate” e di lusso, venite… dal meccanico che sono io e sarà un Crash al bacio.

Dopo questa porcatella, vado a prepararmi un caffè con la cannella.

Cosa faccio di lavoro? Fuori dalla mia porta, c’è scritto: aperto dalle 9 di mattina alle otto di sera.

Il tariffario è a ore: più duro e più incasso.

Nel senso che è proprio dura e io di botte ne prendo un casino. Eh sì, un casino… la mia vita.

Ah ah.

Un bordello!

 

di Stefano Falotico

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