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Mickey Rourke, intrepide vene di un wrestler


10 Mar

Mickey Rourke,

intrepide vene di un wrestler

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Una monografia dedicata al grande Mickey, attore sopraffino eppur selvaggio, scalpitante in muscoli tonanti, rifatto, slanciato in funambolico frizzo dei suoi lampi abbarbaglianti e abbaglianti in zampillii   furibondi smaltati, piangenti nella lussu(ri)osa “machine” (imbatti)bile del coriaceo suo corpo mutevole, trasfuso in sinergia dinamica d’iridi luminescenti, miscelate, esplosive, (s)tirate in vulcaniche detonazioni repentine, un flusso ininterrotto d’un purpureo lottatore, tumefatto da tanti colpi spappolanti d’una sua (r)esistenza sempre sbraitante, emotivamente instabile, arcuata a suo ispirato, magnifico attore rotante la gioia del sé stesso (t)esser la fibra ipnotica dell’anima dirompente, eruttante sua illanguidita, romantica posa, diguazzante e smargiasso in un oceano nero del suo intimo cangiarsi potente, impressionante nudità d’uno spropositato ego maniacale a narcisistico perfezionismo attoriale erto a una recitazione carismatica che a lui vien così naturale, timidezza nascosta dietro un abito malsano da ubriacone, com’appare infatti tale, spesso sconcio, marcio, distrutto in molti film, svelante lentamente il suo sex appeal magnetico, un uomo che si martoria, macellante divora il toro che, nel cuor suo feroce, lo sbrana e, angosciandolo, strozzandolo, strepitante rabbia (in)esplosa, vivo lo mangia. Mickey s’incarna nei suoi occhi mangiati vivi dal sé già smembrato e chirurgicamente palestrato, le palpebre sbatte fra mille donne sbattute, scorato poi si lascia andare come dovesse esser presto deceduto, disarcionato della sua dignità, si crogiola nel far nulla vizioso, capriccio personificato della sua immediata venustà cataclismatica, frenesia d’ardori densi di vita roboante, titanica e splendente, pura, suadentissima, simbiotica ipnosi ammaliatrice che trasmette e infonde istintivamente agli affini spettatori che, applaudendolo in gloria del san(t)o elevarlo come il suo Francesco, lo riveriscono quando, sul tappeto rosso, innanzitutto delle sue tremende, sacrosante ire emozionali, irresistibili/e, picchia inesausto nel ring(hiar) con rabbia e inestimabile, vampiristica, sanguigna bravura..

Va giù, poi si “tira a lucido”, su.

 

Un man barfly sui marciapiedi del suo silente star (in)espressivo, bolsa trasparenza d’un corpus attoriale “mortificato” nel suo amar(si)… (in)finito


Forse, Mickey, cereo, (in)certo, scolpito nello sgretolato pianger il sangue zampillante d’un suo mutarsi sempre in dissipato(re) del suo talento (s)confinato, rannicchiato nell’angust(iat)o spacc(i)atore di sé rotto nell’anima illimitatamente (com)battuta, si sbraccia, tutti bacia, si brucia e si buca, s’arrabatta nello scriversi da solo la storia della sua “troia”. Cadendo, d’angelo v(i)olato, in tal putrido squal(l)o(re) del mondo ubriaco… salta di palo in frasca, s’ammorbidisce (forse il pelo) e quindi scappa, sé stes(s)so scopa, scoppiato.

Pugile suonato, libra, lib(e)ro aperto, troppo.

Chiuso poi dalle limitate mentalità borghesi, arroganti ché deturparlo vogliono affinché, tarpato, come tutti i tappi, si recida in ali bruciate e non più brucianti da fiero attore-toro… crolla o solo barcollante, bar-col(l)ante vivente, collante di chirurgia, sì, svenato, (s)venutissimo…, (dist)rutto sputato nel “normal” eloquio ove l’etica falsa, ahinoi imperante, col suo imperioso, inderogabile motto, è non dovere dar di matto mai e star b(u)oni, belli di plastica. E, non (r)esistendo a tal (in)visi finti, fa una brutta fine, facendosi “rozzo” di chirurgia al suo vol(t)o seg(n)ato, si plastifica da bella “figa”.

Nel ficcar il suo orgoglio arrostito, avvilito, gioendo dell’icona immor(t)ale di cangianti suoi sempre conturbanti e perturbanti lineamenti stanchi, lui, giammai allineato, come se “aggiustarsi” la faccia da “culo”, per (parad)osso (sm)unto, da pallido gonfiato “pallone” d’ingrassato faccione come se avesse assunto il cortisone, lo salvasse dal “coglione” andato a ma(ia)le, che fesso-sesso… n’è ossesso, lo (s)mascheri in (ca)muffa, lo (s)vesti e (s)copri da una furiosa… (insana)bile sua troppo malsana, ah, sano o non tanto santo, intanto ancora sul tappeto rosso salta con la saliva salata da lottatore non più zuccherato nei suoi tempi d’oro ma ora arrugginito nei suoi denti cariati e non più a mille carati. Malgrado sia una vecchia cariatide e cera troppo sincera sviscerata nel suo viso macerato, ancora vola come una mosca da bar(o).

Barcolla fumante, Mickey, fischiettando, dentro la sua anima corrugata da mille sfregi ed errori (in)volontari, un motivetto canterino da barbone appiedato col dono però ergente dell’erigersi vanaglorioso, per l’appunto grandioso, grazie al suo letterario talento grandissimo. Chinaski, suo alter ego, no, di Bukowski, da lui interpretato.

Ubriacone, non spegnerti ma accenditi d’animo maudit come un’altra sigaretta rubata alla tua angoscia inaudita. Sfogliala tra le dita, dai, bell’uomo sempiterno, che dio ti maledica.

Delira sinché puoi, insisti su questa sbandata, meravigliosa vi(t)a sregolata, non ammainarti e ammanettarti al destino borghese, vacuo, ricco solo fuori di finti fiori, di dolori immani interiori perforati. (S)colpito, un altro pugno da letterato sfoderi e sferri di classe alta mischiata al tuo (mal)essere… un frequentatore di una prostituta di basso bordo.

Un’altra sconcia storiella importante nel tuo fragile cuore innaffiato d’alcol, lordo, cari lord, un’anima da mille e una notte e cento, cento più botte come un’umana, disumana e immane lode andata a bottane.

Qui, nel brutto letamaio di questo baretto di periferia del borgo, sei rugoso più di una spugnetta da te mai davvero gettata nonostante via ti buttassi in tanti filmacci che sono delle orride pugnette.

Altri pugni e di tutto punto, con qualche ferita in più e suture di punti sempre aperti, non rimarginabili, da emarginato, scrivi la tua storia un po’ da fina troia, tu sto(r)ico, immor(t)ale.

Lasciati andare, lasciatelo stare, Hollywood merita i suoi scritti ma non fa per lui un’iscrizione agli Oscar.

Meglio tirarsela, Mickey. Anche se la tua vita è sbagliata e oramai stirata. Ti sei rifatto il volto ma non rifarti contro chi te lo spaccò, scoreggiando cagate ché son soltanto, cazzo, lucide cazzate di lusso per pochi maledetti eletti.

Un’altra bagascia entra nel tuo letto ed è sempre il solito autodistruttivo leitmotiv, cazzone!

Sempre a letto, sì, con la pancia gonfia e il fiatone da porcellone, sotto lo pseudonimo di Eddie Cook un’altra ne cucchi e lei te lo ciuccia ma rimani un ciuco malgrado tu scriva a perdifiato, oh no, stramazzi al suolo per averle prese in un’altra rissa, per colpa di un potentissimo schiaffo datoti da una sberla coi capelli rossi, hai il volto (ar)ross(at)o perché invero sei timido, biancastro nell’incarnato viso d’angelo ceruleo di pessima cera ma ci sei ancora, però, però che stile.

Bastardo impeccabile.

Quello di Mickey è il pianto disperato di un bambino imprigionato in un corpaccione d’adulto all’apparenza smargiasso, guascone, discolo e da troppe discoteche ove, impenitente, tutte le donne scopasti impunemente.

Sei un po’ demente, Mickey, ma fa niente.

Poi arriva la realtà ed è un incubo a occhi aperti recidente il tuo troppo far il deficiente, ti pialla nella sua dimensione claustrofobica di grandi praterie chiuse solo nell’infinitezza del tuo sognare sempre una realtà sconfinata bigger than life, in verità, scioccamente destinata a collassare in modo mortificante.

Fosti per un po’ disteso poi ancora steso, esser tensivo palpito esistenziale (s)fattosi in un destino poco terso ma sempre nevroticamente teso, sei un languido bacio rubato alla Luna, l’ipocondria e il dolore di esistere da nato bruciato.

Da qui, da questo coacervo di contraddizioni, nasce il combattuto Rourke. Che passeggia sbilenco, inciampa nel suo carattere magmatico o forse scivola nel suo cratere vulcanico, si fa tante facciali plastiche per sfuggire al suo “ritratto da Dorian Gray” come se una strega gli avesse perpetrato un maleficio per scipparlo della sua bellezza, soprattutto interiore, per depredarlo del suo vol(t)o angelico, per turlupinarlo con l’arte ingannevole della seduzione da Nove settimane e mezzo.

Ma, nonostante molte grinze, non perdi la tua grinta e non fai una grinza. Anzi ti fai una e glielo dai tutto tosto e ritto. Tu, Homeboy cavallerizzo, scopi come un riccio. E sei pure ricco.

Sei proprio un dritto.

L’arte insita in Rourke, la sua danza spettrale nel suo mor(t)o vivente tendente al platinato artificiale da dio greco scialbo e putrescente con accenni di forte, indubitabile biondezza lacrimante i sussulti del suo cuore inferocito, poi armonico, l’impeto dell’ardore che scalpita, lo tramortisce, non gli lascia tregua, l’attanaglia, lo corrode, scalfisce il suo stomaco bollente, rigurgiti di endovena in esibirsi di panza oscena, oh, onesto, troppo vivo per l’insincerità d’un mondo ammaestrato a (in)dotte regoluzze stantie.

Prendine le distanze, avanti. Mickey, ordina un’altra stanza del motel e scopatela tutta bell’.

Lui, che si camuffa dietro tanti vol(t)i, pseudonimo di Sir Eddie Cook, scrittore di sceneggiature raffazzonate a cui manca una pezza, lui, sì, pezzo di merda, rabbioso, inesausto, (in)frangibile pazzo. Che cazzo!

Schietta divinità cinematografica ch’è frutto di mille traumi, patimento dell’essenza, esistenza e/o resistenza, oh, sarebbe un delitto incommensurabile, un sacrilegio blasfemo se accantonasse la sua grinta di (non) de-mordere, (non) si lascia andare, viaggia nei suoi crepuscoli, insegue bramoso la preda della sua escoriata, striata anima turbolenta e si ricicla, faccia da schiaffi ch’è incarnazione dello sberleffo contro la borghesia pasciuta di massa, un ammasso di pelle e ossa in muscoli (s)tirati a (non) lucido che è, oh, sempre vagabondo come si confà al suo esser cuore angelico, tenere tenebre sanguigne dell’Angel Heart in lui ardente.

Così, ad ogni alba della sua mistica arte recitativa così masticata, rinasce agli albori della sua ticchettante fatiscenza (dis)organica poco armonica, viso incandescente, purpureo di ferite da vanitoso fetente!

Bile… “palle” in buca d’un biliardo tutto suo, d’un perso binario, dei suoi diari, del suo esser “a bordo” perennemente delle degradate periferie color bullet.

E dopo essersi scopato un’altra biondona, Mickey si fa il bidet.

Poi esce dal motel e fa l’occhiolino a un bambino senz’ambizioni che, da grande, vuol essere un bidello.

Quindi, Mickey lo stomaco ancora si sbudella, roso dentro dall’essere consapevole che ne passò di tempo e oramai non è più tanto bello.

Sì, un attore col don’, col Condom (im)perfetto del roditore… di chi si mangia dentro per (non) soffrire sterminatamente, soffoca, si dilania, persegue obiettivi (mal)sani, si dimena e da solo se le dà, se lo mena, sì, abbrustolisce la sua pelle satanica in sfide accorate, forse mal accordate, al suono e gioco magico del profanarsi sempre, eternamente stronzo.

Risplende, poi si rabbuia con impertinenza, sba(di)glia(to), cartoccio ch’è mosca da bar, del tempo buttato via per noia o perché la vita è troppo piccola, oppure grandissima e dolorosa per chi ha un cuor di ca(r)ne. Come il suo… protraiti, Rourke, inimitabile cazzone.

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Esordirà, dopo lo Sbielberg di 1941…, in una particina con Michael Cimino, suo mentore, “prossimamente”, ne I cancelli del cielo, per poi rifulgere in ver’auge, da protagonista assoluto, nello stupendo L’anno del dragone, firmato al solito da Michael. Nella parte del “furbo”, scafato, iper-decorato capo della polizia Stanley White dalle origini polacche che sta con una brava donna che non è affatto una mentecatta polacca, o forse sì, messosi a rivaleggiare contro un leader del narcotraffico, un magnifico cattivo, John Lone.

Una battaglia senza esclusione di colpi ove non si salverà nessuno, neppure l’anima bruciata proprio d’un Rourke oltre la sfera del tuono nel finale “invincibile” e da duellanti western, simil Ore disperate.

Capostipite, in tal modus, in questo mondo, d’uno stile attoriale unico e immediatamente riconoscibile, con una recitazione tutta “introflessa”, interiore, a captare gli stati d’animo variegati della sua anima in mo(vi)mento dinamico, “ripida”, forte, combattiva, variopinta, stravagante, eccentrica e dalle scelte professionali intinte nella più disarmante stranezza, da villain del videoclip con Enrique Iglesias, “Hero”.

Let me be your hero

Would you dance if I asked you to dance?

Would you run and never look back?

Would you cry if you saw me crying?

Would you save my soul tonight?

 

 88982449_10215897681417791_5143216439242522624_oAllora si punisce ancora, si protrae la sua sofferenza, “intarsiata” in rivoli sudati delle pulsioni meno mansuete. Si “sradica” dal suo corpaccione, “basculante” dondola nel mondo, si dà con furia, fagocita il proprio cuore e se lo divora, lo inghiottisce, deglutisce, sputa, s’infervora e si “sbrana”, sbraita la pelle della sua atroce inviolabilità senza pari.

Seppur attorniato da mille donne, corteggiatore indefesso, (non) ne sceglie una, principe delle punizioni che s’infligge, tormentato, combattente e anche combattuto.

Harley Davidson and the Marlboro Man del suo “ubicato” trash corporale collegato all’anima(le).

Titanico, imperfetto, scultoreo, bronzeo d’una faccia che (non) chiede perdono, un nostro… o mostro fattosi purezza di rozzezza, di famelica (non) voglia di vincere, instancabile wrestler.

Lottatore del suo istinto primordiale, “faceto”, scorbutico, “bassotto” in una società di nani, di Giovani Marmotte, bellissimo, angelo sceso da un “dirupo” di meraviglia.

(In)etto di sudore, perversità primigenia, furore appeso a un corpo che oscilla fra un peso medio e un homeboy.

Sconfitto, “tracima” nelle sue interiora un sacco di fitte, di tagli e cicatrici, di pestilenziale puzza da Bukowski. E suo alter ego Henry Chinaski.

Si mura, muta, fa il “muto”, non parla, biascica dolore, singhiozza, starnutisce la sua alterità, (non) adatto a un mondo che non risparmia colpi nel/al fe(ga)to…

Scorriamo, “curiosamente”, la sua filmografia e “annotiamola” a memoria, un “carnet notturno”, un sogno vivido di birbante, euforica “pazzia”…

1941 – Allarme a Hollywood (1941), di Steven Spielberg (1979)

Dissolvenza in nero, di Vernon Zimmermann (1980)

I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), di Michael Cimino (1980)

Brivido caldo (Body Heat), di Lawrence Kasdan (1981)

A cena con gli amici (Diner), di Barry Levinson (1982)

Rusty il selvaggio (Rumble Fish), di Francis Ford Coppola (1983)

Il Papa del Greenwich Village (The Pope of Greenwich Village), di Stuart Rosenberg (1984)

Eureka, di Nicolas Roeg (1983)

L’anno del dragone (Year of the Dragon), di Michael Cimino (1985)

9 settimane e ½ (9½ Weeks), di Adrian Lyne (1986)

Angel Heart – Ascensore per l’inferno (Angel Heart), di Alan Parker (1987)

Una preghiera per morire (A Prayer for the Dying), di Mike Hodges (1987)

Barfly – Moscone da bar (Barfly), di Barbet Schroeder (1987)

Homeboy, di Michael Seresin (1988)

Johnny il bello (Johnny Handsome), di Walter Hill (1989)

Francesco, di Liliana Cavani (1989)

Orchidea selvaggia (Wild Orchid), di Zalman King (1989)

Ore disperate (Desperate Hours), di Michael Cimino (1990)

Harley Davidson & Marlboro Man (Harley Davidson and the Marlboro Man), di Simon Wincer (1991)

White Sands – Tracce nella sabbia (White Sands), di Roger Donaldson (1992)

F.T.W. – Fuck The World (F.T.W.), di Michael Karbelnikoff (1994)

Fall Time, di Paul Warner (1995)

Uscita di sicurezza (Exit in Red), di Yurek Bogayevicz (1996)

Bullet, di Julien Temple (1996)

Double Team – Gioco di squadra (Double Team), di Hark Tsui (1997)

9 settimane e ½ – La conclusione (Love in Paris), di Anne Goursaud (1997)

L’uomo della pioggia (The Rainmaker), di Francis Ford Coppola (1997)

A costo della vita (Point Blank), di Matt Earl Beesley (1998)

Buffalo ‘66, di Vincent Gallo (1998)

Thursday – Giovedì (Thursday), di Skip Woods (1998)

Shergar, di Dennis C. Lewiston (1999)

Out in Fifty, di Bojesse Christopher (1999)

Cousin Joey, di Sante D’Orazio (1999)

Shades, di Erik Van Looy (1999)

Animal Factory, di Steve Buscemi (2000)

La vendetta di Carter (Get Carter), di Stephen Kay (2000)

Invasion (They Crawl), di John Allardice (2001)

La promessa (The Pledge), di Sean Penn (2001)

Sola nella trappola (Picture Claire), di Bruce McDonald (2001)

Spun, di Jonas Åkerlund (2002)

Masked and Anonymous, di Larry Charles (2003)

C’era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), di Robert Rodríguez (2003)

Man on Fire – Il fuoco della vendetta (Man on Fire), di Tony Scott (2004)

Domino, di Tony Scott (2005)

Sin City, di Frank Miller e Robert Rodríguez (2005)

Alex Rider: Stormbreaker (Stormbreaker), di Geoffrey Sax (2006)

The Wrestler, di Darren Aronofsky (2008)

Killshot, di John Madden (2009)

The Informers – Vite oltre il limite (The Informers), di Gregor Jordan (2009)

13 – Se perdi… muori (13), di Géla Babluani (2010)

Iron Man 2, di Jon Favreau (2010)

Passion Play, di Mitch Glazer (2010)

I mercenari – The Expendables, di Sylvester Stallone (2010)

Inferno: The Making of ‘The Expendables’, regia di John Herzfeld (2010) – Documentario

Immortals, regia di Tarsem Singh (2011)

Black Gold, regia di Jeta Amanta (2011)

Dead in Tombstone, regia di Roel Reine (2012)

Generation Iron, regia di Vlad Yudin (2013) – Documentario – Voce narrante

Sin City – Una donna per cui uccidere (Sin City: A Dame to Kill For), regia di Robert Rodríguez e Frank Miller (2014)

 

E qui mi fermo… Poi va avanti, non so se io andrò ancora indietro.

Ma comunque vaffanculo!

di Stefano Falotico

 

Top AL PACINO performances: from The Panic in Needle Park to the IRISHMAN, adesso parla il tenente colonnello Frank Slade


25 Aug

al pacino

Allora, bimbi, bambagioni, direttori e rettori di università e college per liceali farisei che prima studiano teologia e fanno i moralisti, elevandosi a pontefici, e poi guardano segretamente scene non propriamente cristologiche in film non certamente da Oscar con la straordinaria April Flowers di Fast Times at Deep Crack High Vol. 1, ebbene, non venite… a farmi la morale.

Voi non sapete un cazzo della vita vera, sentita, respirata, delle patite inculate e delle grosse scorpacciate di cioccolato/a come dice Al Pacino ne L’avvocato del diavolo. Ah ah.

Voleste addivenire, col vostro presuntuoso discernimento e le vostre malate congetture, alle ragioni che stettero alle origini della mia lunghissima cecità emozionale, faceste dell’insana dietrologia riguardo le mie ansie da lupo solitario che consolò le sue nevrosi, le sue nevralgie, le sue amletiche notti insonni nel perpetuo mutismo di un’auto-segregazione di tutto.

Di tutto… celebrandosi nel buio e nel lutto. Farabutti! Ah ah.

Divenni monosillabico, non spiccicai parola sebbene le due sillabe più importanti che esistono sulla faccia della terra, ah sì, io ho sempre saputo, anzi, seppi quali erano e saranno sempre, cioè FI-GA. Ah ah.

Sì, la mia vita dal rosa virò al colore seppia ma voi di me nulla sapeste. Donna, lo sappia. Ah ah.

Anzi, lo stappi.

Sì, ho sempre saputo, ribadisco, qual era la retta via da imboccare ma, come Alighieri Dante, mi smarrii in una selva oscura. E ad April lo infilerei solo ritto nel retto.

Ah ah.

Sì, sono un amante mai visto di April Flowers, posso regalarvi anche qualche dvd suo di sorca, no, di scorta poiché non mi servono più a un cazzo. Ah ah.

La smettesse perciò quella donna suora a volermi impartire regole. Dovrebbe anche cambiare profumo poiché io voglio solo tirarmela… di più. Ah ah.

Son stanco delle sue reprimende tremende, dei suoi discorsi chiesastici, la sua retorica è solo un’enorme sega che non porta al godimento schietto dell’essere. Ah ah.

Sì, quella donna è frigida soprattutto nel cervello. Sì, è molto colta, intelligente oltre ogni dire ma la dovrebbe finire di redarguirmi ed ardermi. Con qual ardire si permise infatti di guardarmi e di giudicarmi? Perché mai volle farsi gli affaracci miei? Ah ah.

Sì, è arrivato Frank Slade, l’uomo che col solo potere tonante del suo carisma bestiale da uomo che sa il “falò” suo, in pochi minuti distrugge, annienta, annichilisce ogni sconcia, bugiarda castità, ogni falsità di tutte le false zie.

Abbattendo ogni stolta e ottusa ipocrisia.

Faceste le serpi ma io sono Serpico.

Siamo tutti peccatori e io metto, eccome, la lingua nella vostra mela.

Ah ah.

april flowers fast times deep crack high

 

di Stefano Falotico

Io e il mio correttore di bozze abbiamo terminato l’editing del libro monografico su Carpenter, che lavoro! Roba da Jena


13 Aug

Jena Fuga da New York

Ebbene sì, dopo giornate sudate nella fatica più inverosimile, ai limiti del disumano, il libro su Carpenter è finalmente stato editato.

Un lavoro, posso dirlo, davvero strabiliante, entusiasmante, monumentale. Roba che dovrebbero darmi la Laurea ad honorem.

Ora, più si scrive e più s’incappa nel refuso. L’ho detto mille volte e lo ribadisco. Soltanto chi non scrive e, supponentemente, senza aver versato sangue e anima, legge un errore perfino grossolano in un testo e sghignazza, è un mentecatto. Perché nessun uomo è perfetto ed errare fa parte del nostro “lapsus” geneticamente ineludibile.

Al che, come sempre puntualmente accade, ecco che ho consegnato il mio file doc al mio amico, editor di una bravura eccezionale, a cui non sfugge neppure una virgola, come si suol dire. E lui, dopo un’attentissima analisi del testo, scandagliandolo in ogni sua minima frase, rileggendolo infinitamente tante di quelle volte da impazzire, ha ravvisato “ben” 23 refusi.

Il refuso è sovente figlio della disattenzione. È come quando si svolgevano i temi scolastici. Tu rileggi il testo da te minuziosamente scritto e “redatto”, lo consegni alla professoressa e lei ti segnala in rosso degli errori, delle sbadataggini o dei “granchi” che a te, sinceramente, erano sfuggiti. Il refuso non è quasi mai figlio dell’ignoranza. Anzi. Si dice che la mente umana sia strutturata così: noi, quando leggiamo qualcosa, non leggiamo appunto mentalmente le singole lettere, a proposito di Lettere, ma leggiamo soltanto il concetto che esse esprimono, dando per assodato che quella parola sia stata scritta esattamente, sicurissimi che quella parola sia già stata impeccabilmente messa nero su bianco.

Così, sulla base del ragionamento inconscio, involontariamente acquisito dal nostro DNA, scriviamo incontovertibile e, sebbene leggiamo questa parola più e volte, non ci accorgiamo che mancava una r, incontrovertibile. Pur sapendo, ovviamente, che incontrovertibile si scrive incontrovertibilmente così.

Allora, può succedere che scrivi, nella recensione di HalloweenAnnie capisce che qualcosa non va… e il tuo correttore, una sorta di uomo coi raggi X, ti sgrida e naturalmente ti fa incazzare nel dirti la verità: semmai Laurie, Annie è morta!

Be’, certo, Annie è appena stata uccisa da Michael Myers. È Laurie (Jamie Lee Curtis) a essere l’unica sopravvissuta al massacro e a intrufolarsi in quella casa buia ove il babau Myers la sta aspettando, per una sfida all’ultimo colpo. Prima che sopraggiunga Donald Pleasence a defenestrare lo stronzone.

Allorché, proprio su FilmTv e altrove, nei miei Racconti di Cinema, apporto le doverose correzioni. Chi me la fa fare? Io e soltanto io.

23 refusi, pochissimi. Perché in un testo di circa 100 pagine, 23 refusi così “microscopici” sono nulla, considerando che, trattandosi di una monografia, i nomi propri, le date, etc,, sono tantissimi. Ed era quindi più facile farsi “distrarre” dalla digitazione approssimativa o peccare d’incautezza. Al signor Kurt Russell può succedere, mi perdoni mister Kurt, che una volta gli togli una l, Kurt Russel.

Poi, io sono un maniaco, ma non come Myers. Della forma, della precisione millimetrica kubrickiana. Perciò, se inserisco un termine in corsivo, per evidenziare che è una parola inglese o di derivazione straniera, come può essere suspense, nel corso del testo, dopo la prima volta, non la inserisco più “corsivizzata” per non eccedere in pleonastica ridondanza.

Mentre, nelle recensioni online, essendo ripartite singolarmente film per film, i corsivi vengono ripetuti.

Come dice il grande Chris Walken di Man on Firesa, un uomo può essere un artista in quello che fa. Tutto dipende da quanto è bravo a fare quello che fa. L’arte di Creasy è la morte, sta per dipingere il suo capolavoro.

La mia Arte invece non ha niente a che fare con la morte. È vita, è la mia vita.

E spero un giorno, quando il libro sarà pubblicato, di aver fatto qualcosa che nessuno ha mai fatto.

 

Se a qualcuno non sta bene, vi è sempre la discoteca con quattro bagasce.

di Stefano Falotico

Questo libro su Carpenter mi sta facendo penare ma, si sa, io sono un patito della tribolazione e infliggo punizioni, soprattutto al mio editore, che è sempre me stesso


14 Jul

Carpenter

 

Sì, che fate? Non vi accalorate, non sbracciate, il mio libro monografico su Carpenter, che avrà una copertina realizzata secondo mie direttive da una grafica, che probabilmente è anche una gran figa, è quasi pronto. No, ancora no. Sarà sulle catene librarie verso la fine di Settembre, forse nei primi di Ottobre, o per extrema ratio a Novembre, come in una canzone di Giusy Ferreri. Una ragazza con cui forse feci l’amore si chiamava di cognome Ferraro e ultimamente sto corteggiando una che della mia ex ragazza ha lo stesso nome e cognome. Perché amo le doppiette, i doppioni e forse, se il libro venderà parecchio, potrò trombarmi una della famiglia Ferrero sulla Ferrari.

Ecco, dopo questa stronzata, passiamo a cose serie.

Sì, qui o forse qua, non so dove stia Quo, forse è coccolato da Paperino, troverete già le mie recensioni su questo splendido Maestro. Non le trovate? Cercate allora nel net e scoprirete il mio nettare.

Ogni volta che porto a compimento un libro, è un eccezionale penare. Sì, dopo averlo partorito di tanto pensare, arriva il momento di editare. E allora bisogna ricontrollare tutto il testo con molti test per appurare che il refuso non rovini la magnifica intelaiatura, ma ecco che compare l’inaspettato errore-orrore grossolano e dalla rabbia ti prenderesti a testate, devi notare bene che il discorso fili meglio della racchia che ti fa il filo, perché non è Arianna ma tu potresti essere il Minotauro o forse solo un minorato, e poi ti troverai una figlia minorenne che ti chiederà l’assistenzialismo e voterai per un governo che incita alla libera diffusione della droga.

Scrivere una monografia implica inserire tantissimi nomi, date, durate, dettagli tecnici, parole gergali della cinematografia. Ed è un compito improbo non scivolare nella pecca. Ah, beccata, subito aggiustata.

Carpenter, nonostante non mai abbia fatto mainstream, è uno della Grande Mecca. E tu, donna, lecca…

Ma io sono un perfezionista cosicché, dico cosicché ma potrei dire anche giacché, miei uomini in giacca, se online compaiono giustamente recensioni che, per le parole straniere o di derivazione inglese, usano sempre il corsivo nella dicitura, in quanto recensioni a sé stanti, nella monografia importa soltanto che compaiano una volta e basta in tale grafia, altrimenti sarei ripetitivo. Il libro dev’essere ben assestato.

Avete notato? Prima ho messo l’indicativo compaiono e poi il congiuntivo compaiano. Ma il tuo nome, scusa, in quale enciclopedia compare? In nessuna? Fa lo stesso. Andiamoci a bere un Campari.

Ecco allora che suspense appare, così almen mi pare, due volte in corsivo, e avverto già profonda tensione a prefigurarmi che comparirà in corsivo anche un’altra volta. Ah, spunta quando meno te l’aspetti. Da dietro la virgola e, puf, t’incula.

Al che, l’attrice di Distretto 13 e Halloween, Nancy Kyes, si faceva chiamare spesso Nancy Loomis. Che nome devo mettere? Metto tutti e due. In Halloween tre attori diversi interpretano Michael Myers, ma uno non è un attore, è uno preso dalla strada e in quell’altro film Carpenter fa la comparsata ma non lo si vede in volto. Ah, voglio che questo mio libro sia preciso e non venga inviso. Tu, invece, alla tua amante devi venire sulla faccia. Tanto siete due facce di merda.

A proposito, come mai a distanza di due anni, la Kyes in Distretto 13 è abbastanza gnocca e invece in Halloween fa la bruttina allocca? Ma son cose da fare?

Ah sì, La cosa… glielo ficco… che Morricone ha riutilizzato la sua stessa colonna sonora per The Hateful Eight? No, Tarantino non ci sta in questo libro. Questo è un libro coi contro-cazzi senza citazionismi e omaggi.

E come mai Mereghetti ha fatto lievitare le stellette di Starman da due, da mezza ciofeca, a tre piene, e prima descriveva la pellicola come un melò fantascientifico patetico, adesso come un film che farebbe piangere anche Hitler? Tornando a The Thing, prima gli aveva appioppato due incomprensibili stellette e mezzo, adesso è assurto in cuor suo a capolavoro assoluto.

Fanculo! Tanto Paolo non ci sarà nel mio libro. Lui abbassa e alza tutto ma non si china per alzar la gonna.

Si sa, io sono il signore del male, e infliggo pene… meglio se a una molto bella che mi (di)strugge con qualcosa che, caldo, abbisogna che tu lo eriga. Caldo? No, meglio al femminile, calda.

Sì, sono molto erigente, no, esigente. Ah, in Distretto 13 c’è il nero Tenente del cazzo che vuole il suo caffè…

– Nero?

– Da oltre trent’anni.

– Testa di cazzo?

– Vedrai quindi che alle donne piacerai a prima vista…

 

E sarà SEME della follia o forse solo come te, scemo nella pazzia.

Di mio faccio razzia, perché non son razzista. Anche le mulatte son ottime.

Quindi il libro è pronto?

Are you ready? Quando si può to read? Chiedetelo al nome del personaggio di Kurt Russell… a MacReady?

No, a Jack Burton.

Che Jena che sono! Ah ah.

 

 

di Stefano Falotico

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