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Frusciante è IL GRANDE LEBOWSKI? Cioè un idolo assoluto?


01 May

lebowski giflebowski arancia meccanicaTutte le boiate e le bazzecole, quisquilie e baggianate oppure genialate di F. Frusciante, il grande Lebowski livornese?

Benvenuti in via Magenta, 85 a Livorno, è il vostro Frusciantone che vi parla dalla sua epica e oramai leggendaria Videodrome. Lui è l’ultimo dei videotecari e adora Michael Mann assieme a L’ultimo dei Mohicani!

Sì, nell’ameno entroterra toscano, nella città che diede i natali ad Alessandro Benvenuti, no, Alessandro nacque a Pelago vicino Firenze, dicevo… nella cittadina capoluogo di provincia e natia di Francesco Nuti, invero pratese… Scusate, Ad ovest di Paperino, c’è Athina Cenci.

Ah, Caruso Pascoski, Charles Bukowski e il suo alter ego Henri Chinaski, The Big Lebowski e forse c’entra perfino Big Whiskey…

No, mi son perso lungo la mia retta via che ho smarrito e chiedo dunque venia, no, informazioni a una donna figlia della regione tanto cara a Francesco Petrarca e a Dante Alighieri.

– Scusi, brava signora, vorrei raggiungere la Videodrome. Mi saprebbe indicare la via? Mi perdoni, non ho Google Maps.

– Guardi, la vada in vetta alla strada, la giri a sinistra e la si ritroverà in capo!

 

Sì, a Livorno che fu la città di nascita del grande Amedeo Minghi, no, di Modigliani detto Salvador Dalí, no, semplicemente Alì con Will Smith, no, Modì, ritratto da Garcia Andy nel suo film da regista intitolato I colori dell’anima, sì, Modigliani che per anni Al Pacino, protagonista di S1m0ne, volle interpretare ma non riuscì a girare neppure il progetto altresì di Andrew Niccol, sfuggitogli di mano, cioè Dali & I: The Surreal Story, durante la scorsa estate mi sentii come Owen Wilson in Midnight in Paris di Allen Woody oppure come Adrien Brody!

Ah, son uomo di mondo e un bizzarro girovago che a nessuno deve rendere conto se io sia o meno un fallito perdigiorno o un genio falotico tendente al malinconico, poi al nevrotico, dunque al gotico. Ah ah.

Al che, peregrinando lungo Livorno a mo’ dell’ingenuo, incapace di autodeterminarsi e sprovvisto di libero arbitrio, Jim Carrey di The Truman Show, mi ritrovai per una selva oscura, no, visitai la famosa e celeberrima, succitata Videodrome. Videoteca storica, forse antiquata, vetusta e obsoleta, probabilmente solo un luogo simile a una splendida cineteca diretta, gestita e supervisionata dal Fruscianton’. Uomo annacquato e non più buono come il vino d’annata oppure uno sbruffone autodefinitosi enciclopedia vivente del Cinema ed esperto di Musica senza pari? Chissà…

Voglio qui rendergli pan per focaccia in seguito al suo essersi comportato da baccalà contro di me? No, lo perdono poiché lui, giammai quaquaraquà, per sua stessa ammissione, non sbaglia mai. Perciò, modestamente, mi ritiro in buon ordine e gli auguro soltanto una vita piena di bei giorni. Sì, buonanotte…

Ragazzo tracagnotto, cicciottello o Cicciobello, pienotto o pieno di sé, è costui? Forse solo umile e al contempo comunista con du’ palle così, parafrasando Mario Brega di Un sacco bello, che deve le sue origini, no, i suoi fasti ai Licaoni. Ovvero un gruppo di ragazzoni affascinati per l’appunto, anni or sono, dal Frusciantone. I quali scoprirono, in maniera ignota e occulta, il nostro… così come dice lo stesso Fruscio nelle sue oramai celebri video-recensioni, nientepopodimeno che il Frusciante stesso. E chi sennò?

Perfido, no, fervido, famelico appassionato di Cinema, Musica e scibile toutcourt, sin dalla sua più tenerissima età, il Fruscio prima o poi doveva fare il grande salto ed enorme, qualitativo balzo in virtù della sua indiscutibile presenza scenica assai corpulenta, no, carismaticamente corposa. Attenzione, però. Non è un ragazzo vanaglorioso, bensì a volte sol accidioso e un po’ troppo focoso. Oserei dire permaloso.

Come riportano oramai tutte le bibbie del Cinema, fra cui Variety, il Fruscio, imponendosi fin dapprincipio come l’idolo delle folle amanti del Pop più schietto e ruspante, le spara grosse o solamente sacrosante, emettendo giudizi lapidari con facilità disarmante?  No, semplicemente o da sempliciotto, sentenziando con severità devastante, cioè senza peli sulla lingua, avendo lui il cosiddetto pelo sullo stomaco da topo, no, da tipico e caratteristico, pittoresco e colorito livornese d.o.c. che di certo non le manda a dire.

Egli infatti, senz’alcuna inibizione e remora, da uomo impavido e verace, anzi vorace di fare la sua porca figura, non so se di merda, s’avventò e ancora si scaglia contro l’intellighenzia da lui reputata superata e stantia. In maniera avveduta o soltanto inconsapevolmente avventata da stoico inesperto senza specchio?

Affrontando con strafottenza irrefrenabile, estremamente lodabile o solo incosciente in maniera bestiale, i giganti dell’istituzionale ed editoriale Critica cinematografica oramai consolidata e da lui invece volgarmente, no, di piglio spontaneo e, per l’appunto, non da marchettaro né da laureato, in quanto il Fruscio dichiara orgogliosamente di essere terzo-mediato e odia Luciano Ligabue e una vita da mediano…

Scusate, mi stavo di nuovo perdendo. Se mi perderò, Videodrome ritroverò? Mah, non lo so.

Il Fruscio è un fannullone, no, non se ne fa nulla del money frusciante e, per via della sua spericolatezza indomabile da indistruttibile, infrangibile, irriducibile uomo duro di Livorno che, da piccolo, fu tra le comparse al palazzetto dello sport della sua città che ospitò le riprese, non solo del match contro Rosco Dunn, in Bomber con Bud Spencer, è già entrato nel mito assoluto. Su questo non si discute. Secondo lo stesso Fruscio, il 90% dei film sono opinabili ma non si può opinare in merito al capolavoro kubrickiano dal Fruscio, appunto, incarnato in modo non plus ultra.

Egli mette in guardia i giovani d’oggi e li pedagogizza, infatti, a mo’ di Barry Lindon. Parimenti a Stanley Kubrick, dice loro di avere Eyes Wide Shut e di guardare con gli occhi aperti la realtà.

A suo avviso, se un giovane ragazzo vuole parlare in merito a Full Metal Jacket ma non conosce Arancia meccanica, merita la cura Ludovico.

Il Fruscio è ed ha Gulliver in mezzo ai lillipuziani della Critica. Il Fruscio è Jeff Bridges del capolavoro immortale dei Coen. Jeff beve il latte o lui allatta e alletta i suoi adepti che pendono incondizionatamente dalle sue labbra? I quali forse, mentre vedono e ascoltano le sue monografie sui registi, stanno stravaccati in qualche discopub identico al Korova Milk Bar in compagnia di qualche moldava.

Sostanzialmente lo idolatrano, in realtà se ne fottono…

Egli odia Joker ma è un folle che incita la folla e sprona la follia dei cinefili più underground, saggi, esaltati e/o anarchici, sganciatisi da un sistema laido e bastardo? La gente fa la ola, gli porge reverenza metaforicamente autoriale e il Fruscio se n’imbroda con far volutamente pagliaccesco da cultore del Cinema più romanticamente legato a una visione passatista e nostalgica che spopola, presso i suoi coetanei un po’ andati, da Milano a Palermo andata e ritorno, da Massa Carrara fino alla più bassa massaia e casalinga di Voghera ubriaca fradicia.

Ripeto, il Fruscio è l’irraggiungibile idolo incontrastato delle masse!

Un giorno, la gente dirà osannante in sua memoria… Lo chiamavano Bulldozer. Film di Michele Lupo sempre con Bud e sempre, neanche a farlo apposta, ambientato a Livorno. Per il Fruscio, io sono uno scugnizzo da prendere a ceffoni a mo’ di Piedone. Lo sbirro o l’africano? D’Egitto o a Hong Kong?

Sono dunque un bolognese d’azione, d’adozione o di forte reazione, un gigione, un Giorgione o semplicemente, tanto per adottare un’espressione partenopea mai passata di moda, nu bello guaglione?

Bud/Carlo Pedersoli fu di Napoli, mentre il Fruscio a volte fa il bullo oppure è uno sempre carico al massimo neanche se avesse bevuto mille Red Bull? Se qualcuno osa dire che Avengers: Endgame è un capolavoro, egli si arrabbia e delira a mo’ di Daniel Day-Lewis de Il petroliere. È un uomo sanguigno, There Will Be Blood! Non osate contraddirlo!

Frusciante è un pazzo a piede libero assai temibile o punibile? No, figuratevi, è uno stimabilissimo pioniere infatti e siffatto della Settima Arte, a suo modo di vedere e vederla indiscutibilmente, da seguire solamente secondo il suo potente e irrinunciabile, inappellabile volere. Il Fruscio non teme, come detto, chicchessia. Essendo uomo da avanti popolo, Lambretta rossa, soventemente s’accanisce anche contro la Chiesa e la catto-borghesia. Egli, con cipiglio irriverente, ammazzerebbe in tre secondi netti chi ama i cinecomic, spiezzandolo in due con furia violenta. Che drugo, che Ivan Drago! Prima di deflagrare, no, di deragliare la mascella a tutti, però sfodera e sfoggia tutta la sua incontenibile e vulcanica verve, la sua saccente prosopopea da uomo colto o solo rude, soltanto rustico e anti-democratico, ostico e invincibilmente suscettibile e/o presuntuoso a morte?

Ricordate: Frusciante detta legge nella sua contea, egli è forse Gene Hackman di Unforgiven?

Bisogna osservare rigidamente le sue comuniste, anti-capitalistiche o fascistiche, dipende dai punti di vista, regole insindacabilmente, altrimenti il Fruscio vi prenderà a pedate, eh sì, bella gente. Scaraventandovi fuori dal suo locale semplicemente perché Revenant acclamaste o avanzaste delle riserve sul Cinema di Sergio Leone.

A lui non interessa se le vostre ragioni esponeste con ottime argomentazioni ragionate o ragionevoli che dir si voglia. Lui non vuole sentire ragioni e presto, se lo farete incazza’, sragionerà.

Mandandovi in men che non si dica a caga’! Lui pure vi menerà! De’, maremma maiala! Se non siete d’accordo con lui, lui vi stroncherà definendovi un troiaio! Il Fruscio, Per qualche dollaro in più, a Netflix prima o poi si darà? No, giammai.

Egli vende cara la sua pellaccia e non lederà mai la sua dignità. Ci tiene a non essere un edonista pieno di soldi e con la pelliccia. Poiché epocale fu la sua opinione su Essi vivono. Disse pressappoco questo: si combatte finché non si hanno un Rolex e una Rolls-Royce.

Grande, idolo, che boomer! Ah ah. Queste sue sicurezze durissime gli torneranno indietro come un boomerang?

Il Frusciante, un uomo non certamente povero di cuore né emozionalmente avaro. A lui piace Vitali Alvaro. Egli non vuole i danari ma chiede 10 Euro affinché possiate commissionargli recensioni di 8mm, no, 2 min. secchi in cui, in quattro e quattr’otto, impapocchia du’ stronzate per sbarcare il lunario, spacciandosi per luminare.

Il Frusciante, un eterno sognatore e ragazzo bonaccione che adora le topone, sì, le donne bone, il Fruscio è un tesoro e un uomo di buon cuore ammalato fin troppo di cinematografica passione pura intrisa del suo pugnace ardore?

Ammalatosene così tanto da sconfinare nell’ottuso intransigente più radicale da malmostoso birichino e mai cresciuto bambino dall’inguaribile e fiero carattere fumantino?

No, il Fruscio è forse il Dr. Fu Manchu o Shrek! Se lui dà pollice giù a un film che non ritiene meritevole, nessuno può di contro dargli un giusto calcio in cul!

Facciamo du’ parole su questo? Insomma, la mini-recensione Patreon dedicata alla monografia auto-agiografica di Frusciante in carne e ossa, decreterà che Frusciante è un flop o un filmaccio alla Michael Bay?

Domanda difficilissima, riflettiamo con calma in merito a tale uomo emerito o valutiamo con ponderatezza la risposta da rifilargli in modo degno con giustezza.

Nel frattempo, guardiamo un film di Zack Snyder? Quindi, andremo a fumare in terrazza.

Eh già, non possiamo vedere e semmai anche ammirare un film di Snyder perché a Frusciante fa caaaaa’!?

Be’, cazzo, se l’ha detto lui… nessuno può contrastarlo tranne Clint Eastwood de Gli spietati? Ah ah.

Ripetiamolo tutti assieme appassionatamente: il Fruscio detta legge incontestabilmente. Il Fruscio è un bravo ragazzo e nessuno lo può negar, nessuno lo può sfancular’.

Cioè, se lui stronca un film per partito preso, a prescindere che il comunismo non esiste più come lui lo concepisce, lui non sta capito, come si suol dire. Lui non capisce o tutto capì? È un testardo o un cap(r)one?

Sì, lui sa tutto e, se voi direte che Joker è un capolavoro, il Fruscio vi riderà in faccia, replicandovi un grandguignolesco, irriverente e borioso macché.

Il Fruscio se la ride di gusto, lui è l’emblema impersonato da lui stesso del Cinema giusto.

Quindi, non protestate né ribellatevi contro i suoi gusti inviolabili.

Il Fruscio detesta Heath Ledger, no, Hitler e Mussolini ma ama da matto, no, da matti fare il leader. Me fa morì. Ah ah.

Alle prossime elezioni del sindaco di Livorno, io voterò per quello di Bologna. Per forza, non posso votare per il Fruscio, non essendo natio, no, nato nella sua città natale. Altrimenti, ugualmente non lo voterei, ah ah.

Se non gli sta bene, non deve preoccuparsi. Livorno, a livello demografico, ha più abitanti dei suoi iscritti.

Basta che chieda una mano a victorlaszlo per aumentare il numero di seguaci, più che altro ruffiani immani e disumani. Così facendo, probabilmente non solo Livorno, bensì tutto il mondo voterà per lui.

Idolo come Rocky Balboa!

A parte gli scherzi, terminerei con una freddura alla Falò.

Oggi per radio ripassò una canzone sempiterna di Nathalie Imbruglia. Imbruglia non so se sia un cognome della Puglia ma Nathalie, la cui città natale è Sydney (con due ipsilon), da non confondere con Poitier Sidney, fu donna manzoniana.

Sì, dietro quel viso da finta suora e da monaca di Monza, sai quante notti di imbruglie e sotterfugi devono esserci state con Chris Martin? Pare infatti che, ai tempi in cui Martin stette con la Imbruglia, stesse anche con Gwyneth Paltrow. Dunque, questo matrimonio non s’ha da fare, no, non si fece. A Chris non fregò un cazzo se Nathalie e Gwyneth lo mandarono a farsi fottere. Lui difatti lasciò fottersi volentieri da Jennifer Lawrence, Dakota Johnson e Dua Lipa.

E, su questa cazzata o genialata, detta altresì faloticata, vi auguro buona vita- Abbiate fede, miei drughi.

P.S.: Essi vivono è un capolavoro. Però, a proposito di Bud Spencer e Michele Lupo, They Live è posteriore a Chissà perché… capitano tutte a me.

È arrivato ben 8 anni dopo. Infine, Gary Guffey, alias H7-25 interpretò Incontri ravvicinati del terzo tipo prima perfino di Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre.

Film del ‘79, mio anno di nascita. Ah, sto delirando, scusate.

Vorrei essere imboccato dal Fruscio.

 

di Stefano Falotico

Provocazione di un cinefilo al deodorante, no, provocante: evviva Miami Vice, basta con le lagne di Paul Thomas Anderson e di quel rimbambito di Woody Allen


25 Mar

farrell miami vice

Ora, quando m’impegno e sono volenteroso, memore di essere un falotico, no, ancora un fanatico di quel tamarro di Jean-Claude Van Damme, che comunque definirei superbo dalle acrobatiche movenze assai eleganti in Senza esclusione di colpiKickboxer e Double Impact, muscolosamente molto amante di Mia Sara in Timecop, giustamente ricambiato da lei di amplesso avvinghiante in quanto Van Damme di brutto spingeva… in modo penetrante, oserei dire caliente gemellato non a suo fratello omozigote in uno degli eccitanti film sovreccitati, no, succitati… scusate, mi sono perso. Riprendiamo il filo di discorso o di Arianna? No, sfiliamo del tutto quello di Charlize Theron nella celeberrima, vecchia pubblicità famosa del Martini.

Dicevo, mi fate andare in bestia, zotici come Colin Farrell in Daredevil.

Ebbene, in forma e stato di grazia, sono Daniel Day-Lewis de L’ultimo dei Mohicani, più basso di 20 cm. Forse, però, più lungo di centimetri da un’altra parte. Questa è una battuta da ca(g)ne?

Fa… o sta che Daniel è un beniamino di Paul Thomas Anderson. Per cui girò Il petroliere e Il filo nascosto. Cioè quello della Theron?

Sì, dobbiamo essere sinceri, gli unici film notevoli durati nel tempo di Anderson e di Woody Allen sono rispettivamente Boogie Nights e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere) al regista di Manhattan.

Anche perché non credo che Woody, con tutta la stima possibile per il suo essere sinceramente un tipo/topo che, al massimo, rimediò una bella tipa, no, una topona come Diane Keaton quando lei fu una dormigliona, sarà mai un Colin Farrell di Miami Vice con Gong Li. Per quanto riguarda un’altra sua ex famosa, vale a dire Mia Farrow, lasciate perdere. L’unico che la volle fu quel cornuto del diavolo in Rosemary’s Baby. Va detta senza peli sulla lingua. Polanski è un genio, Tarantino è or un cretino. Sì, s’è ammosciato in maniera horror. Comunque, se dovessi scegliere fra la Sharon Tate defunta, rinata bella come un tempo grazie a un miracolo divino, e la Sharon Stone dei tempi d’oro, la vedo dura. Diciamo che mi diventa duro. Sì, non posso mentire. Le scelgo entrambe. Per questa mia “scandalosa” e… ne, sì, esternazione e Bermuda Triangle, ah ah, vorreste sbattermi… in carcere come Charles Manson? Sì, lo so, non fatemene una colpa. Questo mio scritto è una mezza cazzata, una boiata. Però, diciamocela. Michael Mann spinge di più.

La dovremmo finire di essere dei sofisti come Allen. Ché, non essendo dotato di sex appeal, deve scrivere e dirigere un film per potergliela fare. Altrimenti, hai voglia a sognarsela di Midnight in Paris.

Esistono poche verità nel mondo, cioè queste due:

  1. Tutti i film del mondo più belli sono opinabili. Dunque a me. Anderson e Woody Allen appaiono meno attraenti di Pamela Anderson prima che arrivasse ai livelli di puttanesimo di Jennifer Lopez.
  2. Se non ti piace Jennifer Lopez, sei omosessuale.

 

Sinceramente, non ne vedo altre oltre alla mia lei. Non c’è mai due senza tre? Non ci provare… Assieme, io e lei guardiamo tutti i film di Mann, di Anderson e di Woody Allen. Se non vi sta bene e siete invidiosi, vi obbligherò a rivederli. Anzi, vi giudicherò rivedibili. Ci rivedremo. Intanto, non la vedrete, fidatevi. Secondo me, non avete capito niente del Cinema, della musica e anche di qualcos’altro. Insomma, vi vedo pallosi. Se non vi sta bene e non capite di essere pazzi, vi faccio strapazzare da Will Smith di Alì. Comunque, a parte gli scherzi, riguardatevi. Abbiate cura di voi. Non vi auguro però di avere culo perché tanto sarebbe un augurio inutile. Io vado dritto al sodo, non mi perdo in convenevoli del cavolo…

di Stefano Falotico

Behind the Scenes di una Hollywood ambigua da Woody Allen o invece “pura” da David O. Russell? No, i retroscena della gente “normale”, peggiore degli animali strani e notturni di Taxi Driver


24 Jan

woodyallen

 

 

Ebbene, molti anni fa, nella landa desolata delle mie immani depressioni abissali, in verità vi dico che non fui colto da alcuna follia o da psichico disagio, bensì, in maniera imponderabile e allucinante, profetizzai me stesso, oramai trasfusomi totalmente, anche a livello fisionomico, sprofondando in De Niro di Taxi Driver e assumendone le sembianze. Oramai inequivocabili. Mi pare alquanto evidente che tale messianico, “schizofrenico” De Niro sia io, malgrado lui viva in una lussuosa villa e io in una mezza catapecchia. Però, posseggo uno specchio migliore di Travis Bickle e, ogni mattina, quando (mi) rifletto e mi domando, fra me e me, You Talkin’ to Me?, mi risponde Rupert Pupkin di Re per una notte con una vaga rassomiglianza ad Arthur Fleck di Joker.

Succede, poi spengo lo specchio e riguardo La rosa purpurea del Cairo.

Sì, dopo Taxi Driver, vidi tutti i film con De Niro e divenni la sua versione CGI, in carne e ossa, non utilizzata in The Irishman ove, come sappiamo, si optò per un ringiovanimento di Bob a livello puramente digitale, dunque virtuale.

Bastava chiamare me e avrei recitato meglio di Marlon Brando e De Niro nei primi due padrini, ah ah.

Ora, a parte gli scherzi e i processi d’identificazione, chiamateli anche di alienazione, debbo ammettere che sono un alieno, no, un alleniano. Anche se mi sto orgasmizzando, per dirla alla Bob del capolavoro per antonomasia di Scorsese, no, semplicemente mi sto allenando per non fare la brutta fine di To Rome with Love.

Non l’ho visto e non lo voglio vedere. Mi dicono che sia orrendo, il film più impresentabile di Woody Allen.

Ora, non so se imbarazzante come Woody quando confessò a Mia Farrow che lui fece all’amore con la figlia adottiva di Mia e André Previn dopo averla corteggiata mentre Soon-yi Previn stava guardando Amore e guerra alla tv, comprendendo che, già durante le riprese di questo film, quasi autobiografico, il suo attuale marito, Woody Allen per l’appunto, aveva ricevuto la richiesta di divorzio da parte di Diane Keaton.

Lo so che vi faccio ridere.

Molta gente mi fa piangere. Sostiene di essere intellettuale come Woody Allen e di adorare La dea dell’amore.

Sì, però non questo film con Mira Sorvino oscarizzata. Molta gente va matta, più che altro, per una nera raccattata sui viali che non reciterà mai in un film del maestro di Manhattan. Ve lo posso giurare. Sono uno storyteller come John Cusack di Mezzanotte nel giardino del bene e del male e sono anche Clint Eastwood di Fino a prova contraria.

Vi potrei, per esempio, dire che Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti avrebbe fatto carte false, no, praticato il voodoo a Savannah pur di diventare come Lady Chablis. Mentre Kevin Spacey, attualmente, omosessuale dichiarato e castrato dal sistema, pur di tornare a girare anche solo un film mediocre come The Life of David Gale, lo darebbe via per du’ lire come Jodie Foster di Taxi Driver. Jodie Foster è lesbica e, comunque, Harvey Keitel di Taxi Driver non fu nulla in confronto ad Harvey Weinstein. So che state ridendo, no, dai, continuate.

Secondo me, David O. Russell assomiglia all’ex pornoattore Peter North. Amy Adams sostiene che, sul set di American Hustle, David abusò di lei.

Io non le credo. D’altronde, è per colpa della sua suorina falsa se Philip Seymour Hoffman de Il dubbio fu scomunicato…

A mio avviso, infatti, Jude Law era più figo ai tempi del succitato film di Eastwood, rispetto a quello di The Young Pope. Anche se non sono Gabriel Garko e gli preferisco Marisa Tomei nell’incipit di Onora il padre e la madre.

Sì, devo confessare… i vostri peccati.

In una delle copertine di un mio romanzo noir erotico, la protagonista che risalta in cover, che potrete vedere ma che io non incontrai neppure, pur di guadagnare 50 Euro in più rispetto al suo normale caschetto, no, cachet, permise a un fotografo assai meno bravo di Michael Chapman e di Gordon Willis, di Sven Nykvist e di Vittorio Storaro, di farle l’intero servizio…

Direi che fu immortalata bene. Tant’è che ci prese gusto.

Voleva diventare una grande modella e una bravissima attrice ma finirà come Kate Winslet de La ruota delle meraviglie.

Sì, a tredici anni era pura come Mariel Hemingway mentre, a quindici anni, era già Melanie Griffith di Celebrity.

Fra vent’anni, sarà sovrappeso, con un marito giostraio e il sogno mai morto di passare una notte con Justin Timberlake.

E voi dunque vorreste dirmi che già a dodici anni, anziché ascoltare i Backstreet Boys, non dovevo essere fan di Jim Morrison?

Mi spiace avervi deluso.

Scusate, siete tardi, no, si è fatto tardi.

Fra poco sarà mezzanotte e voglio rimanere Owen Wilson di Midnight in Paris.

Se non vi sta bene e mi odiate perché sono ingenuo, sposatevi Rachel McAdams, spendete cinque milioni di dollari per dei gioielli a cui non frega un cazzo a nessuno/a, ma non invitatemi al matrimonio.

Non ho soldi da buttare in regali alle puttane.

Sì, lo so, per molti di voi la vita è brutta.

A sedici anni eravate degli idealisti, a diciotto eravate diplomati, a ventidue laureati. A trenta, invece, sistemati e ben pagati.

A trentacinque, già vecchi e prostituiti.

Guardate me, invece. Non sono pazzo come Buffalo Bill, non sono un cannibale come Hannibal Lecter, non sono Anthony Hopkins di Premonitions ma tutti pensano di fregarmi e invece io sono felicissimo se mi prendono per il culo.

In senso lato?

Quale lato?

Non lo so, di mio, so che lato per lato fa l’area del quadrato.

Se tu vuoi fare il culo all’avvocato, devi studiare legge e non matematica.

Su questa stronzata vi lascio… con un palmo di naso.

Sì, è vero. Ho sempre avuto una faccia da “demente” come quella di Allen. Che vi devo dire?

 

di Stefano Falotico

 

 

Assassinio sul Nilo: cominciate le riprese, sì, sono un Hercule Poirot anche Pierrot, l’Agatha Christie che amò Helena Christensen, Chris Isaak, insomma, Cristo, che la forza sia con voi


05 Dec

death on the nile

Sì, Hayden Christensen/Anakin Skywalker merita il mio Darth Vader. Prendetelo e ficcatelo nel water.

Sì, io adoro Kenneth Branagh.

Lo persi per un po’ quando un mio sedicente amico volle persuadermi che Enrico V fosse un brutto film.

Non dovevo dare retta a quel sedicenne lì…

Mi accusò di essere Johnny Depp/Edward Ratchett di Assassinio sull’Orient Express.

Edward, detto Cassetti, ovvero un lercio farabutto dall’anima sporchissima.

Fui io stesso, dopo indagini e pochi atti probatori a mio favore, a smascherare il vile impostore che indusse, grazie alla sua malvagia manipolazione, tutti i passeggeri della carrozza estemporanea di quella mia adolescenza in viaggio di tal (r)esistenza da carrozzone da zoccolone, eh già, a darmi addosso.

E non fu una singolare tenzone, mica pugnette, solo pugni e calcioni.

No, non soffrii di nessuna teoria del complotto amletica. Purtroppo, tutti quanti presero un abbaglio.

Sì, mi ricordo che, a quei tempi, trascorsi le notti ad ammirare le forme di Shannon Tweed, regina dei softcore e ancora attuale moglie di Gene Simmons dei Kiss.

Quando, al tambureggiare dei miei capricci sessuali e dei miei turbamenti risorti in gloria dopo tante notti in cui ottenebrai i miei ormoni, immalinconendomi disperato, divellendo il mio candore, nel cantare a squarciagola Perdere l’amore, fui anche scambiato per Massimo Ranieri de La patata bollente. Detto il Gandi. Senza h.

Poiché apparve assai strano che, giunto che fui oltre la maggiore età, nel mio lungo peregrinare lungo le strade mal asfaltate della mia città soventemente piena di scostumati, uno come me potesse smarrirsi in qualche bar malfamato, sprecando le sue giornate ad ammirare la venustà altrui da tempo immemorabile oramai esaltate, sputtanandomi ad acclamare gli idoli hollywoodiani, dimenticando invece d’impugnare la mia bella statuina dorata.

Sì, fui costretto a smerigliarla e a non tirarmela più… da anarchico zen. Fui obbligato, giocoforza, a sverginarmi con la prima biondina di Donnie Brasco che mi fosse capitata, per l’appunto, a tiro. Per dimostrare che fossi un uomo e non un cazzone qualsiasi. Ah ah.

Ancora rammemoro quella notte nella quale la mia lei, con ardire della sua f… a ardente, attentò poco delicatamente alla verginità mia e, deflorando il frutto mio prelibato e da lei succhiato, da lei stessa presto sconsacrato, apparendole meritevole di forte svezzamento, in quanto sorprendentemente le fui provetto con far insospettabilmente caliente, urlò piacevolmente e volle di nuovo gustarlo svenevolmente, scopandomi ancora e ancora poderosamente, in ogni senso posteriormente.

Avvenne, eh già, l’indurimento e vi entrai dentro profondamente, oserei dire brillantemente. Sì, all’interno di questa vita carnascialesca che scordai, solamente allo squittire post-puberale della mia superata infanzia oramai andata a puttane, sentii vibrare nel mio animo un irresistibile desiderio di fottermi da solo, platealmente fottendomene, ché non puoi mai dire mai fine alla (s)figa e arriveranno, state tranquilli, altre botte pazzesche, fondendovi e confondendo l’uomo eretto in voi ché credeste d’averla fottuta rittamente, scoprendo invece non lei, bensì denudando la verità inequivocabile d’esser stati inculati bellamente.

Sì, tempi bui ove caddi nella depressione più nera, denominata selva oscura da Dante Alighieri, tempi immacolatamente (im)puri ora deturpati e irrecuperabili, eppur riempiti dal gaudio della mia poesia al(a)ta.

Sì, dopo la prima volta, fu un macello. Soprattutto ai danni del sottoscritto. Soprattutto danni e basta. Colei che mi sverginò, eh sì, dopo avermelo proteso, pretese che usassi il dopobarba e vestissi elegante come un dandy. Insomma, per farla breve, volle precocemente (in)castrarmi negli ingranaggi delle sociali maschere carnevalesche a me da sempre risultate scabrose e scioccanti e, altresì, volle “adultizzarmi”. Adulterando pure l’indole mia eternamente fanciullesca da Johnny Depp di Tim Burton.

Sì, non sposatevi e non figliate, ragazzi. Le donne v’inchiappetteranno, pretendendo da voi lo snaturamento della vostra emozionalità gioiosa, giocosa e intimamente cremosa poiché, dinanzi alle amiche, vorranno vantarsi di aver scelto come compagno un Cicciobello qualsiasi.

Meglio invece ancora perdersi nella notte come Owen Wilson di Midnight in Paris e non seguire più nessuna cura da Franco Battiato.

Non fatevi inculare… dal sistema, rimanete felicemente schizofrenici come Keira Knightley di A Dangerous Method.

Vedeste cosa le combinò quello Jung? Per curarla dalla sua nevrosi, s’incarnò nella fantasia erotica di ogni teenager smorfiosa, sì, Michael Fassbender.

Le donne adorano Fassbender. Lo percepiscono come uomo forte, sicuro di sé, insomma un macho col mascellone da Ronn Moss di Beautiful eppur l’occhio da Shame. Cioè, diciamocela, un bel porcello.

Sì, le donne sono spesso ipocrite, miei fringuelli. A differenza di ciò che affermano nel quotidiano, ove fanno le san(t)e, vanno matte più di Keira… per un uomo dallo sguardo perverso. Lo reputano affascinante se lui le guarda di traverso. Che fesse…

So soltanto che Fassbender, ne L’uomo di neve, è veramente bollito e sexy quanto Val Kilmer dello stesso film. Ho detto tutto…

Di mio, che posso dirvi? Qui, le donne cercano le linguine, non solo allo scoglio, attenti allo scolo, quagliano poco ma vi vagliano e, se non spedite loro molti dispendiosi assegni, al massimo fantasticheranno di amori impossibili come in Uccelli di rovo. Ma, sostanzialmente, poco ovulano e friggono solo le strapazzate uova.

I maschi non stanno messi meglio, oggigiorno. Impazziscono, più della maionese, per la pornoattrice Brandi Love.

Poi, abbiamo pure le psicologhe. Donne che, prima di diventare tali, cioè mai, poiché crebbero solo con cazzi per la testa dopo quelli (ap)presi fisicamente nei liceo pedagogici, ora vogliono curare, cioè inculare i pazienti che guardano i film di Rainer Werner Fassbinder e di Herzog Werner.

Fottendoli a base di pasticche. Intanto, dopo aver sedato i loro pazienti, vanno a ballare col burino che le impasticca. Uomo analfabeta che però può garantire loro la bella villa, la bella vita e un po’ di divertente idiozia, si fa per dire, per far ridere le loro facce dal colore lilla.

Donne di siffatta (s)fattezza giudicano gli uomini come Pasolini non adatti a una società ove il valore maggiore è avere l’addome più piatto da esibire su Instagram.

Gli uomini vanno pure (di)dietro a queste. Poiché così è l’andazzo e allora pensano che sia meglio sbattersene… il cazzo.

Ecco, vorrei concludere con questa mia intuizione ficcata qui come viene…

Una volta, chiesi a un mio amico:

– Mi mostreresti, per piacere, sempre che per te non sia di troppo disturbo, la collezione dei tuoi libri, dei tuoi cd e dei tuoi film preferiti?

– Certo. Perché no? Ma non capisco il motivo di tale tua richiesta. Che vuoi vedere? Cosa vuoi appurare?

– Da ciò che ami, anche virtualmente, capirò com’è la tua anima.

– Suvvia. Che stupidaggine. Sarebbe come dire che, se mi piace Bob Marley, sono uno che sogna pace e libertà utopistica.

– Già, è così. Che poi tu ti trova nelle condizioni, anche economiche, per cui sei diventato cinico e realistico, è un altro discorso. Ma, in cuor tuo, batte la selvaticheria dell’uomo puramente ruspante e speranzoso che il domani sia egualitario e per tutti allegro e migliore. Insomma, scintillante!

– Dunque, seconda questa tua teoria, io sarei come Ryan Gosling di Drive solo perché ne ho il Blu-ray?

– No, in realtà non lo sei. Ma, istintivamente, a livello inconscio, ti sei riconosciuto nelle atmosfere e nella poetica di questo film.

Non sei uno stunt e non sei violento. Ma in te, nel tuo arcano spirito profondo e ancestrale, non v’è un uomo, qual sei, spaurito e forse dimentico della tua grinta oggi sparita.

Quando cala la notte e sarai solo, amico, guardati allo specchio e non mentirti.

Non sei Gosling di Drive, altrimenti ti arresterebbero. Ma in verità lo sei, eccome. Mio scioccone. E non fare lo scroccone.

Lo so. Siamo tutti dei coglioni, non fare neanche il marpione. Io sarò pure un volpone ma tu certamente sei proprio un bambagione.

Ecco, l’artista, bravo o scarso che sia, magnifico o impresentabile, aspirante tale o fallito tal dei tali, è colui che è riuscito, perlomeno ha provato, a scorporare l’interiorità della sua anima e del suo misterioso sentire per ricrearla di flusso estetico-emozionale, forse anche etico, educativo o non, propedeutico o meno, persino nichilistico o apparentemente osceno, a un’altra anima a cui offrire, si spera empaticamente, il suo esser(le) dentro.

– Ah, capisco. Per questo non ha funzionato fra te e quella che t’ha sverginato? Le sei entrato dentro ma, a lungo andare, non hai sentito un cazzo perché tu ami il Cinema di Clint Eastwood mentre lei vuole solo ragazzi con la 44 Magnum.

– La 44 potrebbe esservi stata, anzi, vi stette anche fra le tette, onestamente, ma non sono un tipo da grilletto facile… e mezze calzette.

 

Dopo questa freddura, accendo il termosifone.

Insomma, accendo il mio Falò. Fu solo Molto rumore per nulla.

Nel bel mezzo di un gelido inverno, incontrai Emma Thompson ma lei mi mandò a fanculo.

Al che divenni Charles Bronson e le suonai l’Harmonica da stronzo, giustiziandola nella notte Fonda come Henry, senza però pioggia di sangue, trattandola da Claudia Cardinale de I soliti ignoti.

Poiché in fondo in fondo, sì, posso garantirvi ch’è una mignotta e le preferisco un Gianduiotto.

 

 

di Stefano Falotico

Mezzanotte a Bologna – UNA CITTÀ PIÙ CHE ALTRO SPENTA


05 Jul

Da Caffè Scorretto, uno dei cinquemila siti a cui collaboro. Che non linko apposta.

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Midnight in Paris, film di Woody Allen, narra la storia di uno scrittore e sceneggiatore non molto di successo che vive avventure fantasmagoriche nelle notti più fantasiose e fuori dal tempo di una Parigi da incorniciare, precipitando in una dimensione irreale, anzi surreale come Salvador Dalí, in un intrepido viaggio mesmerico in cui la sua identità confusa, come in un quadro cubista, verrà in contatto persino con Pablo Picasso.

Sì, bel film, non c’è che dire. Forse troppo leggero e scanzonato per i miei gusti, ma dolce come un pasticcino dalla sfoglia delicata.

Ecco, sono qui, in quest’avvicinarsi impertinente di Luglio. O forse è già Luglio e ho perso memoria dei giorni. Il caldo si attacca alle ossa come una sanguisuga e mi spella. Il condizionatore non basta ma, appunto, è comunque più rinfrescante di tanti sbagliati, fuorvianti condizionamenti soffocanti.

Devo uscire di casa. Ma l’ora è tarda. Ho cenato alle nove e mezza, poi ho rivisto questo film di Woody Allen, ho fumato cinque sigarette e, fra una cosa e l’altra, ecco che si son fatte le undici di sera. Il cielo è buio, le nuvole si sono addensate come i miei grigi pensieri nebulosi.

Esco di casa, sì, son ben vestito, sbarbato e ho digerito con gusto quell’ottima cenetta sfiziosa a base di peperoni.

Mi si è rotta la macchina. Eh già. L’altro pomeriggio ha cioccato. Per fortuna a soltanto duecento metri dal parcheggio della mia proprietà privata. Ma è venuto il carro attrezzi e adesso la stanno riparando. Quella macchina non è la prima volta che s’inceppa. È l’incarnazione metallica della mia vita. Pare che riparta e si rimetta in moto, dura qualche mese, poi come i miei ballerini, altalenanti umori claudicanti e barcollanti… fa crack.

Anche la mia mente, in questo tragitto tortuoso ch’è la vita piena di curve pericolose, e non mi riferisco soltanto a quelle delle donne più formose che ti fanno sbandare e che tanto spompano, si spezza, crolla, e il mio corpo perde energia e non più carbura.

Va be’, prenderò l’autobus. Credo che sino a mezzanotte passi ancora da queste parti. Oh, non si vede anima viva, e dire che è venerdì sera e la settimana lavorativa è per molti terminata, dunque dovrebbero stare tutti in giro, euforici, a divertirsi.

Ah, vero, qua è periferia, probabilmente si son già tutti spostati in centro.

Il centro di questa mia città, tetra e piena di portici inquietanti, d’estate a essere sinceri non è che si animi molto. Molti, di questi tempi, son già andati in riviera o forse proprio nella capitale francese a brindare nelle proprie ferie dopo un anno in cui, siamo onesti, non è che poi abbiano lavorato così tanto. Conosco tanti comunali immeritatamente pagati che fanno viaggi extra-statali ed extracomunitari costretti a emigrare.

Eccomi arrivato. Via Rizzoli. Non so ancora perché mi sia recato qui in centro. Ma la notte porterà consiglio. Quel pub è aperto. Mi pare, almeno a giudicare dall’esterno e guardando attraverso le vetrate, che un po’ di mossa lì ci sia. Sì, mi berrò una birretta. E forse di stuzzichini m’ingozzerò.

– In quanti siete?
– Solo io.
– Ah, solo come un cane.
– Senta, barista cagna, mi dia una birra.
– Ma che modi sono? Impari le buone maniere.
– Me la dà o no, questa birra?
– Ceres o Heineken?
– No, Peroni.
– Non abbiamo le Peroni. Le Peroni sono per camionisti.
– Io potrei essere un camionista, sa? E voglio la mia Peroni.
– Si prenda questa, e vada a sedersi. In fondo a quel cantuccio, troverà un tavolo con una sola sedia. È riservato ai falliti.
– Quindi lei è un’habitué di quel tavolo.
– No, io la compagnia ce l’ho sempre e non sono una fallita come lei.
– Come si fa a fallire con quelle tette?
– Come, prego?
– Ah, lei prega anche? Non pensavo fosse molto religiosa. Grazie per la birra, gliela pago subito ma da me non verrà mai pagata.
– Come, prego?
– Se lo dice lei che prega, non posso contraddirla. Preghi pure. Fra un bovaro e l’altro.
– Guardi, è un maleducato e anche uno stronzo. Questo è un locale serio. Lei è un tipo da bettole!
– No, sono un tipo e basta. Lei è una bella topa, non vi sono dubbi, ma non so quali topi, no, tipi frequenta.
– La denuncio!
– Non si può.
– Perché mai?
– Perché questa birra è scaduta. Legga qua. Cosa dice la confezione? Sa che non si possono vendere ai clienti le birre avariate? Qualcuno potrebbe dar di stomaco, ci potrebbe scappare il morto e poi saranno solo gatte da pelare. Forza, me ne dia un’altra.
– Scusi…

 

Che pittoresco posticino. Me ne sto qua seduto come un pascià. Questa birra va giù che è una bellezza.

Accanto a me quattro tipi si scalmanano e discutono animatamente ad alta voce.

– Bologna è peggiorata. Non è più rossa come un tempo, un tempo sì che si legiferava come Dio voleva. Che poi, appunto, io son comunista e non credo a Dio e agli angeli. Si è parecchio imborghesita – dice uno dall’aspetto tarchiatello con grande boria, declamando ogni singola parola come fosse il sindaco in piazza.
– Sì, è una città più che altro spenta. Un tempo questa città, fior fiore di artisti e luminari, irradiava gioia di vivere, era una città illuminata. I giovani son stati soffocati da un edonismo tetro, dappertutto impazza il consumismo e vengono bombardati dalla tv con messaggi subliminali che distorcono le coscienze più lucide – aggiunge un altro, magro, emaciato in viso, dai lineamenti spigolosi e cristologici.
– Hai ragione. Bisognerebbe ridipingere questa città. Affrescarla a mo’ di tela e intingervi un po’ di maggiore naturalezza. Siamo schiavi di questi condizionamenti dell’omologazione globale di massa. E abbiamo perduto i colori vivi della nostra autenticità. Sì, noi dobbiamo essere più incisori, no, volevo dire incisivi e infondere freschezza, vitalità e donare migliori prospettive a queste nature morte. A questi zombi ambulanti che non sanno più apprezzare un vaso di fiori e pitturare la realtà con sincera genuinità. Sono tutti, oggigiorno, tristemente in cerca di emozioni artificiali. E vedono il mondo con gli occhi della pubblicità.
– Ah, i vostri discorsi sono campati per aria. Dissennati e confusi. Siate più telegrafici e diretti.
– Scusate, posso sedermi al vostro tavolo? – intervengo io.
– Certo, caro. È il benvenuto. Ha sentito quello che dicevamo? Ho notato che stava origliando. Mi permetta di presentarle la compagnia: Giorgio Morandi, Guglielmo Marconi, Pier Paolo Pasolini. E io sono Gino Cervi. Piacere di conoscerla.
– Ah, ma io vi conosco bene! Ma non eravate morti?
– Morti è una parola grossa. Non si è mai morti, si è sempre vivi anche laddove pare che non ci siamo più. Questa è la versione dei giornali, ma dall’informazione moderna bisogna diffidare. È capziosa e falsa. Noi siamo morti, è vero, ma le nostre anime riecheggeranno nell’eternità, per sempre. È questo il significato della vita stessa. Dare valore alla nostra mortalità col coraggio delle nostre idee, inseguendo i nostri sogni con determinazione e sacrificio – afferma con orgoglio Pasolini.
– Sapete, io vorrei realizzarmi come scrittore ma ho tutti contro. Nessuno mi appoggia.
– Fascisti! Ecco cosa sono! Fascisti e ipocriti moralisti! – urla Gino Cervi. – Io sono Peppone! Basta con questi caffè delle peppine. Questi circoli letterari per snob. Ho ragione, Pier Paolo?
– Vero, non bisogna mai castigare la propria perfino scomoda creatività per far piacere agli altri. Posso leggere qualcosa di suo? – mi domanda Pier Paolo.
– Certo! Magari! Però al momento non ho niente da poterle far leggere. Ah no, scusi, forse in tasca… ho qualcosa… Ecco qua! È l’abbozzo di una sceneggiatura, per ora ho scritto solo il soggetto. Tenga, legga pure.
– Troppo cervellotico. Troppo barocco e complicato. E pessimista.
– Ma lei non era un pessimista?
– No, mai stato tale. Io ero un grande ottimista. La società è spaventosamente difettosa, ma il cancro sociale si deve estirpare per poter rifiorire tutti assieme a nuova luce.
– Lei deve essere più preciso, telegrafico. Le sue idee sono notevoli ma, esposte con tale prosa eccessiva, la rendono di difficile lettura e comprensione. Sia conciso. Senza fili, no, senza filtri. E tutti capiranno chiaramente. E accetteranno ben volentieri la sua visione del mondo – asserisce Marconi.
– Sì, dipinga la sua visione del mondo. In maniera anche rustica e pura.
– Grazie Morandi, grazie a tutti voi, davvero. Buonanotte.
– Che fa? Ci lascia così? Non ci dirà mica che ha già sonno?
– In effetti no. Ma devo sbrigarmi, se no sarà troppo tardi. Devo rimettermi al lavoro. A presto, amici.

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Stefano Falotico

 

I film della Mezzanotte


08 Feb

 

Con questo post, inauguriamo una nuova “sezione”, i film della Mezzanotte, forse.. & dintorni o in essa “in-torniti”.

 

Lancette incardinate in una Mezzanotte lievissima ma incatenata a fantasmatiche, fugaci carrozze d’insipida evanescenza

 

Si stampiglian e “stappan” turisticamente cartoline parigine per uno spettatore inebetito del fascino senz’età d’una città eiffeleggiante delle nostre proiezioni elefantiache.

Scatti inturgiditi di cristallina porpora addolcite da un “dolce” glamour che c’“invereconda” d’irritazione, per com’è inedia d’iridi smaltate nella leccata furbizia ammiccante a chi n’è già in suo tepore, “seralmente” moribondo del vaneggiar fra divanetti di poltroncine ove aleggiare sull’aria, col darsi “arie”, condizionata e una che ti scodinzola di labbra turgidine-umide, arrossite-commosse di rossetto negli slavati primi rintocchi del suo rimmel inebriato, dal sussurrio melodicamente smielato per romanticherie in svenevoli sbaciucchi, un fotogramma “immobile” e un’altra sbirciatina alle monumentali grazie di zuccheroso “occhiolineggiarci”.

Quasi m’addormo ma la candida levigatezza del mio peperin diavoletto, di zolfi sempre desti, si (s)grida per l’immanenza folgore del platino ormonale erettissimo a una smaliziata cerbiatta dalle gambe in ogni mansuetudine che si spelli di sano orgoglio virile, Rachel McAdams, Donna svettante sugli zenith di coloro anche poco spiccati, bocciolo che sboccia floridissima in abiti che non son succinti ma la cingon aderentissima alle “atrocità” del mio desiderio.

Ché, d’innaffiar il mio Sguardo, della sua cremosa meraviglia, non m’asterrei neppur se davvero apparisse il vero Woody Allen, qui “sostituito” da un basta che funzioni ringiovanito, Owen Wilson. Di stessa movenza balbettante e timida palpabilità di puntual piglio nevrotico.

Un po’ di noia si spalma nei nostri neuroni, la cui tempra è solo irrobustita dall’intemperanza che “soffia” per la velata Rachel, di chioma già intrecciata al nostro “cioccolatinar” con Lei nella rosa icara delle fantasie proibite d’illecito Cairo, ché c’auguriam s’“incar-i-ni” ancora durante il film per “biondezze” recettive.

Ma presto se la squaglia, e Owen s’inabissa in un esoterismo del suo tutto ciò che ho sempre sognato ma non ho mai osato “credere”.

Come per incanto scompare, e dunque si sveglia nella… e dintorni, d’onirismo adornata, degli anni 20, prima con Fitzgerald ed Hemingway e poi, nelle altre notti, a smacchiar la sua “insoddisfazione” esistenziale in “combriccole” che ne “bracconeggian” l’umor calante. La Luna… tramontante. A “tramortirlo” in Morfeo.

Il Dalì d’Adrien Brody, cameo declamatorio del suo “rinocerontarla” per surrealismi “animaleschi” a sberla di “burle” con  Luis Buñuel, e una delicata storia d’amore con un’altra “smarrita”, amante del Tempo che non c’è, belle époque di libertine svagatezze ove si sarebbe “dissipata” con meno indagatorie “oculatezze” per la sua perlacea anima e di chi se ne infatua.

A cristallizzar il destino d’eterei, fiammeggianti moulin rouge.

Di sulfurea sua trasparenza, il film s’“enigma” poco, tra battute di programmatico suo bofonchiarle e un Wilson che passeggia ai bordi della Senna, nel sorseggiare aromi malinconici d’un impensierito “esserla” sfuggita.

Addii frettolosi e qualche brillantezza forse senza effervescenze, mentre Manhattan s’issa di suo rammemorarla quando fu davvero, sebben più plumbea, migliore.

E un altro incontro delizioso, appena sfiorato, s’“inoltra” sotto la pioggia.

La delizia non è sempre un complimento.

A volte s’“allenizza” troppo, allenata dal déjà vu francese.

E ora, lo so, mi getterete addosso ortaggi maleodoranti, ma non recedo da quest’ “assurda” convinzione, Capodanno a New York è un film meraviglioso.

In tempi ove, appunto, il cinismo impazza, come abbiamo avuto modo di constatare (leggere sopra il nostro “Polanskiello”), questa “ventata” freschissima di “miele” è un toccasana.

No, non c’è proprio nulla da ridere. La pellicola dell’ottantenne Marshall è stata distrutta pressoché dalla “critica” mondiale e non è neanche andata così bene al botteghino, per un pubblico “natalizio” che pare stanco di “commediole dolcine” e ha disertato quasi in massa, proprio la “massa”. Dunque, qualcosa non torna. Non è un “cinepanettone” e neppure un film “sofisticato”. E allora cos’è? Un UFO che io, e il nostro Simone Emiliani (grande estimatore di quest’opera), abbiamo avvistato nella cecità superficiale e proprio “platinata”.

 

No, non scherzerò affatto su questa strabiliante favola sentimentale di Garry Marshall e, sebben, arcigni, m’ammutinerete con dosi ciniche, fetide di “realtà”  affinché, castrato, io non mi glassi di “pestilenziali zuccherosità”, ma soffra in film “pentecostali”, sarò qui, “impenitente”, a soffiar come tramonti ambrati d’ariosa sensibilità, “malia” del mio charming come un Principe Azzurro in una magica Notte di battiti lievitati nell’amore, nella sua perseveranza e nella sua “illusoria”, febbril attesa spasmodica

 

Poesie nel vento di quella fatalità fatata di nome serendipity

 

Sognante vividezza della floridità

Svelato, d’ogni timidezza a cui fui avvinto, o affumicato dentro asfittiche pareti dalle lagrime quasi bavose, a rapirmi dentro incenerite palpebre che miagolavan pallide al crespo baluginar d’ogni Giorno.

Acrimonie, fratricidi scambi di “cortesia”, bacetti tanto gentili da bruciar di secchezza, d’un claustrofobico, tetro pragmatismo retorico avvezzo alle burle, per schernirci quando si è ilari, o solo nauseabondo, pastoso burro, e ferali se poi infierirai di troppe “amorosità indagatorie”.

È all’indaco, alla tenerezza romantica a cui ci tingiamo per non eclissare, fantasmi, tra le grida di chi, luciferinamente, le ovatterà solo per inteporirle d’una dolciastra patina d’ipocrisia brutale.

 

 

E, come De Niro, lo “stronzo” dal Cuore di marzapane, con la “papalina” dei miei ricordi, sogno d’ansimar per gli ansiti luccicosi d’una sferica palla a Times Square, cristallo delle nostre illusioni-meteora.

Ombra funerea, già appannata, che vien come “folgorata” in viso quando essa s’ “infuoca”, e acceca una dolce morte illanguorita nella frenesia di carnevaleschi festeggiamenti dal rosato, incantato profumo.

Veneri bionde, accoccolate a fidanzatini stizzosi, e intellettuali che si disarman in gioie che dimentican il “patetismo” nel leggiadro corteo che colora ogni dubbio d’un inestinguibile attimo da incorniciar nella viva trasparenza d’iridi-brillantina.

La vita, su dai, è rotear stellari nel mar delle effimere speranze, e nuovi baluardi a cui ancorar, fra dolori e gaudi, la giostra che gira.

È “enigmarci” nel dubbio o esser, ingannatoriamente, divorati da incandescenze che lacerano ogni nostra, sin troppo pacata, flemma. O come, per qualche timore in più, ci “placammo”.

Son i fluorescenti bagliori di torpori che si dissolvon mansueti, l’amicizia, anche nelle sue grigie nervature, la fulva sua femminilità purissima anche se è puttana.

I luccichii glamour di vite che schioccano, spumeggianti di virtù o in un altro rapimento alla propria anima.

È il Tempo, imprigionato in una Mezzanotte dei desideri, che zampilla di champagne “smaglianti”, è come Hollywood nel suo variopinto circo di saggi veterani, “dimenticabili” apparizioni, “maghi in smoking di fresco sex appeal” e nascenti astri per nuove, magnifiche, meravigliose astrattezze.

Sì, bistrattato da una noiosissima “mole critica” per chi imbastirà la battuta più acida a demolirlo.

La più “genial” intuizione della parola “stampata” che mai si stappa nell’evasione, forse “futile” e “dissipatoria” ma di “profumosità” aromaticissima, “romanticheria” d’ingredienti “miscellaneati” con garbo maturo e spruzzi piccanti, come la peperina Sofia Vergara o il “sandwich” Josh Duhamel.

Il discorso, d’autentica commozione di Hilary Swank, e il re dell’elettricità Hector Elizondo, il riparatore d’ogni guasto, Egli stesso interruttore per riaccender speranze affievolite, “lampadine spente”, macchinista o Dio che viene dalla macchina?

Questo Marshall, non son l’unico a pensarla così né è una posa provocatoria, lo stesso nostro Simone Emiliani, l’ha definito “straordinario, forse la sua opera migliore da Paura d’amare”, è “confezione” in apparenza inconsistente, invece d’una esperienza registica che sa “formular” ogni storia da “cremoso”, insuperabile veterano, sa allestirla anche dietro un sorriso o una ruga “smaltita” o unghie laccate, orchestra questa ensemble comedy con la finezza di chi sa che, la frettolosa, superficiale, inappropriata definizione di “cinepanettone”, è un’usanza di chi abusa del “lessico” cinematografico per “telegiornalarlo” in una sbrigativa recensioncina.

Perché, negli sguardi cerbiatti fra Ashton Kutcher e Lea Michele, nei giochetti a distanza fra il grande Bon Jovi e la “tremolante platinatura” disillusa di Katherine Heigl, nel “pattinarla” fra il “Cupido” Zac Efron e la sempre più sbalordita Michelle Pfeiffer, c’è la chimica d’un grande regista che sa come suonar la melodiosa tastiera del Sogno, nelle levigatezze “gelatinose” di storie, in apparenza frivole e “banali”.

Il classico, classicissimo, sì, Marshall lo è, gran bel film.

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

 

Lunare lucentezza, magica fulgidità o fluidità sognante, d’argentato metacinema d’una perlacea “pariginità

Fragranze. S’odon nei gemiti crepuscolari di notti intrise di svagatezze già morbose.
Nei respiri incantatori delle fluorescenze, ch’echeggian a evocar cardiaci liquori d’adamantini ardori.
Nell’assopita nostra “tenebra”, nostre flessuose librazioni d’evanescenza sempre sulfurea ch’orbita “craterica” d’emozioni dalla vaghezza ondivaga, nostro Sguardo di carezzevol liturgia, lisergica, d’inquietudini dalle oscillazioni nerviche.

Melanconia

Un tuffo indietro…

Travis Bickle, vampiro di sonnolente ferocia dall’agguerrita astrazione nella soffusa sua sanguinolenza che urlerà catartica.
Invisibilità, della sua stessa smembrata ombra nella sua mente di “meteoroastronomica”, ma straniera, costellazione metafisica di nervica, agonica perdizione d’una fioca m’abrasiva dissolvenza, enigmatico fantasma che corruga le raggrinzite sue anime nei demoni di riflettenze o d’una cupa messianità di torve (ri)flessioni. Tiepidezze nelle fugacità d’insonne nottambulismo, d’ectoplasmatici asfalti di nostri, tortuosi destini d’abissal plenilunio “nero”.

Cristalli liquidi di pura levità, “acquatica”, nella tonica morbidezza di magnifici fasti sfarzosi, nell’aurea ipnosi di diafana, immacolata ascendenza eterica.
E in essa, ancor, immersa di magma.

I sogni… impalpabilità di voli nel vento, amniotico delirio di sfolgorii dalle fiammeggianti scintille.

Questo è il Cinema, “ispezione” della nostra stessa indagine di meandrica luminescenza nelle reminiscenze.
Di quando, il primo screpolio “addolcì” di furenza proprio altre luminosità, per “svezzarci” moribondi dall’idillica, infantile dormienza, a innocenze già foderate nel Mondo, in questa prigionia, però dorata, di fascinosa licantropia.

Guaine di pelli già martiri, nostre salvazioni senza desideri di redentoria “quiete”.

Martin attinge a se stesso, il suo Canto è vaporosa sinergia di tante sue memorie (auto)biografiche. Del suo Cuore, per com’è favolosa Luce, o nitidi barlumi di sue stesse “oscurità serali” della sua stessa inventiva in questa (re)invenzione della vita. Di sue mnemoniche, libere “allucinazioni”.
Incandescenza dei nostri occhi, nelle diaframmatiche, “esangui” palpebre che s’accecan, sfavillanti, di pindarica Bellezza. Quasi acrobazie, dal nostro primo, silenzioso respiro al torbido poi “svanirci” d’eclissi tenui, poi dentro, vorticose, inafferrabili “repentinità”-serpentine d’ematica limpidezza di nostra quasi ventricolar veggenza dai docili turgori delle vene.

Zoom “innevato” d’un “pallido” Inverno, d’ambrate già meraviglie nelle incatenate telepatie struggenti d’“acustica” cinefilia

Pressapoco, verso la fine della scorsa decade, svenevolmente abbacinata di nuove modernità “millenaristiche”, in un pomeriggio orfano, o forse “orafo”, della mia anonimia di già plumbee vaghezze “omonime”, mi rasserenerai nella lettura d’un futuristico onirismo di là a venire, già di sgorganti, melodici deliqui.

Alla libreria Feltrinelli, acquistai infatti, quasi “in camuffa”, “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret”, libro scritto e illustrato di Brian Selznick, Medaglia Caldecott 2008.
Incuriosito che, questa “lettura per bambini”, fosse stata opzionata con tanta “autorialità” come fonte ispirativa della prossima, annunciata opera di Scorsese.
Nello stupor d’un commesso “sospettoso” che mi “malocchieggiò” con civetteria “affettuosa”.
Forse Sacha Baron Cohen…

La Luna, le luci di una città, una stazione affollata, due occhi spaventati. Le immagini a carboncino scorrono come in un cinema di carta fino a inquadrare il volto di Hugo Cabret, l’orfano che vive nella stazione di Parigi. Nel suo nascondiglio segreto, Hugo coltiva il sogno di diventare un grande illusionista e di portare a termine una missione: riparare l’automa prodigioso che il padre gli ha lasciato prima di morire. Ma, sorpreso a rubare nella bottega di un giocattolaio, Hugo si imbatterà in Isabelle, una ragazza che lo aiuterà a risolvere un affascinante mistero in cui identità segrete verranno svelate e un grande, dimenticato maestro del cinema tornerà in vita. Tra romanzo, cinema e graphic novel, un libro in cui le parole illustrano le immagini.

Queste le testuali parole della quarta di copertina della versione “tradotta” in italiano, per la Mondadori.

Oggi, questo “piccolo” gioiello è un capolavoro, ancor più abbellito d’una “esornazione” di ben 11 nomination agli Oscar.
Nella “stilografica” della trasposizione sceneggiata da John Logan, e nella maestria stilistica di uno dei più grandi registi viventi, qui nella sua magniloquenza più elegantemente “simbiotica” e “appariscente” di dichiarata, “epistolare”, visionaria tatuazione alla Settima Arte.

Cos’è il Mondo, o come c’appare? Nitore che, saltuario, rifulgerà di nostra ludica euforia disciolta.
Nerezza già incupita, che ci mormora di lagrime che, poche volte, danzeran azzurre, raggelate da “grigiezze” nebbiose scremate in turbinii dai foschi veli.

In questo caos, altezzoso e cinico, macchinosità forse solo d’ingranaggi arrugginiti o rotti, c’arricchiamo, e c’arricciamo “intimistici” dentro illusori rifugi, per non “incanutirci”, ma ardendoci per scolpir sempre l’anima, ché si libri briosa.
Per “nevosità” che si scaldino d’una cadenza che s’accalori al gaudio armonioso del sangue.
Per viverla nei sogni, fuoco sacro dell’anima.

“Faro” su Parigi, “orologeria” dei nostri giocattoli, e occhi ammiccanti d’un sorriso prima di  canagliesca impasse e poi da impacciato sorriso “pagliaccio”.

Film che innalza l’estasi della vita e, per non renderci smemorati, ricorda anche la morte e i suoi dolori, come quella, quasi fuori scena, “sfiammata” di Jude Law, il padre di Hugo, Cinema che, poderoso, s’imprime anche per turgidezze sfocate, come nella rochezza alcolizzata di Ray Winstone, l’“ubriacone” zio Claude, per il profumo “polveroso” dello scibile, fulgore  mai a incenerirla, dai contorni suadenti incorniciati nella vivacità eterna di colui che incarna in sé, quasi “fantasmatico”, gli scrigni dell’aromatico sapor antico per la conoscenza, immortalato poeticamente nell’arcana sapienza d’una biblioteca vivente che ha, proprio appunto, le sembianze mistiche d’uno ieratico, ammaliante “spettro”, Christopher Lee, Monsieur Labisse.

Negli occhi neri ma trasparenti, “addolorati” ma “screpolati” di sublime cangevolezza immaginifica di Ben Kingsley, Georges Méliès, e nell’espressività iridescente d’un “folletto” celeste, Asa Butterfield, il “signor” Hugo… Hugo Cabret.

Esco dalla sala, ancor frastornato d’intattezza ammaliata in questo maliardo rapimento, però “impalpabile”, leggera come l’ebbrezza, di tale memorabile, superba avvenenza.
Avvenenza ch’è incanto soave.

Uomini, nel vento.
Osservo un bambino con occhi pieni di gioia, che già si commuove perché, anche lui, vuol vivere una straordinaria, fantastica avventura in 3D.
E, quel gusto dei suoi occhi, so che non s’è, e non l’ho, perduto.

Come Hugo.
Come Martin Scorsese.

(Stefano Falotico)

 

 

Mezzanotte… intorno, con Woody, anche il “wurstel”


30 Nov

 

Sta per debuttare, anche in Italia, l’acclamato Midnight in Paris, nuovo capodopera di Woody Allen che, secondo molti, ha riportato in auge questo “decano”  sublime della Settima Arte che, recentemente, aveva “sublimato” troppo perfino se stesso, tanto da farsi mangiare da autocitazioni sterili.

Un Woody che s’era un po’ appannato e ora, invece, “liquoreggia”, a quanto pare, di gran (ar)dire.

Come un Tempo.

Ho allestito questo video per voi. A ricordarvi che, la vita, è anche giocoso “alcolismo” delle euforie erotiche.

 

 

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