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“Paradiso perduto” – Recensione


22 Oct

Gli increspati sogni alter(ati), “Arte-(s)fatti” del fanciullismo spezzato

Ode a John Milton nella “traduzione” italiana di “ric(hi)amo”, il Diavolo assume le sembianze “grottesche” d’un De Niro con lo “scrigno” del “forziere”.
Sì, un (e)vaso “da” Notte che “forza” l’infanzia “fisher” di Finnegan Bell, bellissimo “mutante” poi in Ethan Hawke, bionde speranze dickensiane dell’attimo fuggente, forse che rifulgerà ancora. Un po’ turbato, “frastagliato”, “aggrappato” ad acque salate di come si ricorda questa storia, i suoi gemiti nell’Alfonso Cuarón che “vernicia” e “inquadra” di quadri fotogrammatici enigmatici nell’abisso “roteato” e poi rotto della melanconia giovanile “schiumata”, anche rabbiosamente innervata di docili “schizzi” del “vernissage“.

Nella “flora” marina della floreal ma plumbea Florida, un piccolo pescatore “pescò” il Male, il prigioniero Lustig, ancor “imprigionato” di catene, forse del Cuore, che non “spezza” né mai infrangerà. Che “sterza(no)” riemergendo dagli abissi “mortiferi” d’un incubo che “strozza” la bocca, “cucinandola” nell’Inferno già visto negli occhi “del” bambino. Della prematura “apnea” a interromper il “singhiozzo” dell’adolescenza, ch’é per sua Natura invaghita di celestialità pastellate d’amore anche immaginario, appunto nell'”acquario”, nel fluirsi torbidi, nell’infatuarsi d’un “infarto” al colpo di fulmine, per la Promessa eterna dell’amor perpetuo, da non sperperare nel “perno” delle facili, false ambizioni a incenerir il sentimento “annodandolo”, adombrandolo credendo d'”ambrarlo” e “aggrottandolo” nel perituro, mistificatorio, illusorio “benessere”. Abbellito di mondanità superficiali e tenerezze parventi mai romantiche di “vitrea”, pura languidezza, patti ipocriti al “placido”, monocorde “illiquidirsi” nella vanità dei soldi, del “liquido” frusciante e “abbagliantissimo” da lodi e “allodole”, forse solo estenuarci, sì “noi” tutti, nel dolore “morbido” di tal ingannevole ammorbarsi ma non essere innamorati davvero.

Così, “Finn” fa il grande passo, da squattrinato infante a fantin’ del suo destino. Però “pendente” e deluso. Perché la sua Estella non c’è più, sebbene Finn “brilli” di festa in festa.

La rintraccerà ostinato nei cunicoli della memoria, nella “grotta” d’una “strega” Bancroft delle nostalgiche passioni. Rammemorandosi e “perdendosi” ancora tra le foglie del Tempo riscoccato dall'”amnesia” dell'”amniotica” densità oscurata presto dal taglio inferto. Ferino nel neo-nerità di De Niro “rasato” con le lame “aguzze”.
Un pentito che si convertirà proprio nel suo benefattore, per ridonargli gli iridescenti bri(vid)i che gli “estorse”, (dis)torcendo gli incanti dell’età acerba, già da lui inconsapevolmente esacerbata, “erbissima cattiva” del lupo solo con tanta “fame”.

La favola incompresa di questo film attinge alle lunari lucentezze della giovinezza inafferrabile, così veloce che (non) scorre.

Produce Mitch Glazer, “weirdo” come sempre, virente e artefice di film “strani”. Un po’ molto belli, unici, e un po’ “inguardabili”.

 


(Stefano Falotico)

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