Su Twitter, una ragazza scrive che non sopporta più quei liceali del Classico che si credono superiori e considerano, chi non lo frequenta o non l’ha frequentato, degli imbecilli, degli asini da soma.
Io, avendo molta noia da dissipare, intervengo, scrivendo lapidariamente che ha ragione e questo class(ci)ismo dovrebbe morire, anzi scomparire, essere eliso. Perché tal atteggiamento borioso e derisorio è figlio della solita Italia che punta sempre il dito ove, peraltro, chi è avvocato, medico o ingegnere giudica dall’alto in basso chi non lo è. E ciò mi disgusta, atterrisce e mi riempie di “cordoglio”.
Un ragazzo, che frequenta l’ultimo anno del Classico, allo scoccar delle mie parole dure e un po’ generaliste, accorre in difesa della categoria, provocandomi a man bassa. Ma la discussione, all’inizio leggermente feroce, prende una piega inaspettatamente stimolante. E mi rincresce non essere più giovane come lui che, al di là di qualche frase buttata lì da “classista” irredento e ben fiero di (non) esserlo, possiede un ardore e una freschezza combattiva da vero uomo focoso che, forse leso nel suo orgoglio di studente di liceo, non ha digerito il mio “fare di tutta erba un fascio”. Insomma, scopriamo che entrambi non siamo fascisti, a proposito di (s)fasci, e che amiamo il discorso finale di Al Pacino in Scent of a Woman perché, al di là della sua retorica un po’ di prammatica, ma (s)correttissimo grammaticamente, ah ah, è funzionale all’impianto del film, è moralmente ineccepibile e ottimamente declamato da un Pacino altrettanto grintoso, che però, a nostro avviso, e qui concordiamo splendidamente e in maniera insospettabilmente speculare, avrebbe meritato l’Oscar per altri ruoli. Inutile dire perché…
Lui, in uno slancio di ardore “sprezzante” e forse giusto, sfasa la mia anagrafe e mi accomuna a quei “vecchietti” che denigrano i giovani e li snobbano, sebbene io vecchio affatto non lo sia, soprattutto nell’animo, ed ero stato “elitario” nelle parole perentorie e giudicanti.
Ci salutiamo benevolmente, con me che si congeda allettato da questa (s)piacevole conversazione, in preda alla mia voglia, inaudita, di fumarmi una sigaretta e di ridere in barba a tutto quanto e ai pregiudizi disarmanti entro cui molti si armano di luoghi comuni. Arrivando a criticare me stesso per come spesso anch’io mi lasci andare a frasi troppo frettolose e altezzose. Insomma, credo di essere, nonostante tutto e l’apparenza da uomo “malato” di burbanza, ancora illuminato dalla grazia della giovinezza (in)certa, bruciante, e alle ribalde lor lotte per l’affermazione individuale mi annetto, me, per molto tempo considerato in(f)etto, perfino da me stesso.
Cosa voglio dire con questo? Non ammosciatevi mai, siate sempre vigili, svegli e accorti. Ma non “raddrizzatevi” secondo i parametri di falsi adulti che invero sono preoccupati soltanto dal volervi inquadrare presto e subito in un’etichetta. Rimanete combattenti, creativi, mutevoli nei giudizi, non fate i soldatini soltanto per rassicurare chi preferisce stigmatizzarvi ancor prima che possiate crescere, evolvervi, essere uomini. Altrimenti diverrete uomini cafoni e bifolchi, insensibili e soltanto immolati alla squallida, finto placida tranquillità piccolo borghese, sempre equidistante non per moderazione ma per neutralità da patetici Don Abbondio.
Insomma, rimanete ritti e, se vi diventerà rizzo, le donne ne gioveranno “sensibilissa-mente”. Ah ah.
Vi auguro buon Sabato sera. Vado a mangiare. Ah ah.
di Stefano Falotico