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In My Letter To You, a mo’ di Bruce Springsteen, attraverso i trailer dei film con De Niro dell’ultima decade, vi racconto che (non) sono andato a letto presto


22 May

de niro truffa hollywood

Credo, in tutta sincerità, che l’ultimo album di Springsteen sia molto bello, mai sdolcinato, sempre ottimamente bilanciato fra sana retorica, un pizzico di rabbia da lui giammai persa, sebbene asciugata nella maturità che voi scambiate per patetica vecchiaia che v’induce a brutti, screanzati detti come ok, boomer…

Sì, credo che di Bruce ce ne sia soltanto uno, un po’ forse stagionato ma per niente obsoleto od annacquato.

Bruce Willis gira oramai, infatti, soltanto filmacci dalle trame più prevedibili dei film, per modo di dire, col pornoattore Bruce Venture.

Quest’ultimo non può rivaleggiare con me. Per purissimo pudore e contegno morale, non desidero sfidarlo nelle sue performance ma credo che, da un eventuale confronto nudo e crudo, ne uscirebbe spompato e assai ridimensionato.

Insomma, duri come Mark Wahlberg di Boogie Nights mi fanno un baffo da Tom Selleck d’annata, ah ah.

Ecco, sino a un paio di anni fa, mi misi alla ricerca di Jack Kevorkian, detto Il Dottor Morte, interpretato da Al Pacino in un omonimo (almeno nel sottotitolo italiano) biopic per la HBO.

Ma non si doveva parlare di De Niro?

Sì, scusate. Vedete, a volte il mio cervello abbisognerebbe di essere spento. Staccate la spina, per piacere, ah ah.

Detto ciò, non sono però la protagonista della canzone Janey Needs A Shooter del Boss e neppure Hilary Swank del finale di Million Dollar Baby.

Debbo riconoscere che son un vecchietto niente male, eh già, Walt Kowalski di Gran Torino se la suderebbe non poco contro di me. Ah ah.

Spesso, sapete, ho l’impressione di essere invece il ragazzo che, alla fine del succitato capolavoro ineguagliabile di Clint, malgrado ogni tragedia e tante amarezze occorse a lui e specialmente a sua sorella, memore dei film di Sergio Leone e soprattutto della battuta pronunciata da Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più, ecco, parafrasandolo/a… sei diventato ricco e te lo sei meritato.

Ribaltata, diciamo(la) più francamente: sei diventato povero e non te lo sei meritato, ah ah.

Ecco, nel periodo soprastante, ho volutamente tentennato in merito al perfetto italiano ma, nel periodo riguardante i miei ultimi dieci anni di vita, devo confessarvi che fui estremamente sicuro che mi sarei suicidato. Vedete come passo, con grande facilità, dal passato prossimo a quello remoto? Sono un verbo imperfetto e in me incarnato?

Procediamo con un calmante? No, con tutta calma.

Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster come Henry Hill/Ray Liotta di Quei bravi ragazzi?

No, non volevo essere pazzo ma, a causa di bullismi esasperanti, mi svegliai un bel giorno, insomma, bel giorno un ca… o, eh eh, in una suite del Baglioni di Bologna, no, su uno scassato letto di ospedale.

In quel periodo in cui fui attorniato da infermieri ignoranti e da discutibili medici col camice bianco ma con l’anima poco immacolata, per compensare i miei psicologici scompensi, rividi in continuazione il trailer di Sfida senza regole. Dal primo sguardo rivolto a esso, compresi subito che non mi trovavo di fronte a Heat di Michael Mann. Ma la speranza, come si suol dire, è per l’appunto l’ultima a morire.

A meno che non vedi il suddetto film pronto e impacchettato, malamente doppiato e distribuito, in una multisala dalle parti di Faenza.

Al che, comprendi che tanta febbricitante e delirante (è il caso di dirlo) attesa, potevi risparmiartela. Risparmiando, peraltro, anche gli 8 Euro del biglietto strappato da una maschera più brutta di quella indossata da Robert Pattinson in The Batman di Matt Reeves.

A voi pare figa come una delle attrici con cui lavora Bruce Venture? No, a me pare rifatta. Insomma, è poi la stessa cosa, no? Ah ah. Sì, è tutta plastificata.

Comunque, sebbene Righteous Kill sia un film più che mediocre, lo riguardai altre mille volte per convincermi che fosse avvenente come Carla Gugino.

Be’, non si può dire che sia attraente come Carla in Sin City e in Jet.

Però, Sfida senza regole è carino, tutto sommato, come Jessica/Trilby Glover.

La Glover non è sexy come Jessica Alba di Machete, dai!

Inoltre, dalla mia situazione d’impasse, me la cavai come Ed Norton di Stone?

No, fu un periodo di ménage à trois non fra De Niro, Milla Jovovich e Norton stesso. Bensì fra me, la mia immagine allo specchio e un rendervous col prossimo film con De Niro.

Che vita, eh? Ah ah.

Per superare la mia depressione abissale, dovevo assolutamente diventare Bradley Cooper del secondo tempo di Limitless. Comunque, non mi drogai.

Potei solamente duellare virtualmente col mio acerrimo nemico e rivale storico à la Stallone de Il grande Match per illudermi di essere De Niro palestrato, non rovinato, di Toro scatenato.

Comunque, mi assunsero come stagista inaspettato per dare lezioni di vita non ad Anne Hathaway di The Intern (magari, eh), bensì a Jennifer Lawrence di Joy.

Che culo!

No, a parte gli scherzi, per molto tempo pensai di essere un ciarlatano come De Niro di Red Lights, invece, con mio sommo stupore, scoprii davvero di essere un fenomeno paranormale a cui piace Elizabeth Olsen.

Volete, per questo, rendermi cieco? Ah ah.

Sì, lo so, non sono Travis Bickle di Taxi Driver & Rupert Pupkin di Re per una notte, non sono né Bill Murray né Joker. Neanche Franklin Murray.

Forse sono però davvero il protagonista di The Comedian.

Sì, la mia lei è come Leslie Mann.

Quindi, andate a dire a John Travolta di Killing Season che la guerra è finita e non deve portarmi rancore se lui non capisce Il lato positivo di David O. Russell e io dunque severamente lo sgrido.

Presto, uscirò col libro Bologna Hard Boiled & l’amore ai tempi del Covid.

Secondo il mio editor, ho detto editor e non tutor, questo mio libro è qualcosa d’immane. Invero, per far sì che non mi montassi la testa, ho detto testa, mi disse “solo” che è l’opera di un genio.

Sì, credo che sia un grande libro. Io sono però realista… venderà dieci copie.  Dunque, se qualcuno non mi reggerà il gioco, cioè la mia lei o un vero amico, vi scriverò una lettera d’addio…

 

di Stefano Falotico

Il ritorno di Gary Oldman, un mio mediometraggio su Villa Clara e Letter to You di Bruce Springsteen, sempre più misticamente simile a Bob Dylan


23 Oct

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Ne vogliamo finalmente parlare di Gary?

Presto, lo vedremo in Mank nei panni dello sceneggiatore di Quarto potere.

Finalmente, il grande David Fincher è riuscito a realizzare il sogno che covava da tempo immemorabile.

Lavorare con Gary in un film da lui diretto. Inizialmente, al posto del primo Hannibal Lecter del grande schermo, ovvero Brian Cox di Manhunter, in Zodiac doveva esservi Oldman. Il quale però, all’ultimo momento, per ragioni ancora ignote, diciamo non del tutto appurate, all’improvviso diede sorprendentemente forfait.

Nel frattempo, negli anni intercorsi fra Mank e l’Oscar assegnato ad Oldman per L’ora più buia, Oldman recitò sfigurato in Hannibal di Ridley Scott. E Fincher accrebbe la sua fama, ottenendo inoltre un figurone con Mindhunter. Del quale diresse e dirigerà alcuni episodi…

Credo, in tutta sincerità, che Gary Oldman sia stato per molto tempo identificato erroneamente soltanto come villain con indole da Joker. Sebbene, nella trilogia nolaniana di Batman, Oldman fu un buon tenente e non quello di Harvey Keitel nel Bad Lieutenant di Abel Ferrara. Per l’appunto, appuntatevelo, appuntati, carabinieri e poliziotti della Critica superficiale. Non impuntatevi con prese di posizione limitate e fasciste. Gary è la versatilità fatta persona, incarnata, pareva morto e datato, incartapecorito e imbalsamato, invece resuscitò e ringiovanì di colpo come in Dracula di Bram Stoker.

Gary, figlio di un saldatore, giammai laureatosi e presto istradatosi da autodidatta.

Un duro, un’anima ribelle, ancora bello nonostante le sue non più freschissime primavere. Ah, incontrò da adolescente molti bulli. Lo so…

Assomiglia a qualcuno di mia conoscenza. Sì, questo qualcuno (che) io vedo allo specchio dalla mia nascita. Non credete?

Sì, come noi uomini sappiamo, non si può mentire dinanzi alla propria immagine riflessa.

Specchiandoci, infatti, cogliamo intimamente il silenzio del nostro vero, vivo, scalpitante e viscerale cuore specularmente simbiotico alla nostra coscienza più inesplorata, riaffiorata dal profondo…

Nella realtà di tutti i giorni, siamo spesso costretti, giocoforza, a indossare delle maschere. Per accontentare il gusto della medietà conformista, adattandoci alla tristizia dei compromessi più puttaneschi pur di essere stimati dal prossimo. Al fine di ostentare, esteriormente, la nostra immagine migliore possibile.

Sto parlando ovviamente di molti di voi. Di mio, non ho mai pensato che un uomo debba svendere la sua dignità per piacere agli altri pur di ottenere la patetica simpatia e un contentino come si fa coi bambini e, semmai, elemosinare piacevolezza da una donna, mostrandosi a lei con un look fintamente perfetto che trasudi impeccabilità morale, invero truccata.

Ma che film sarebbe mai questo che vi siete “sparati?”. Whore di Nicolas Roeg?

Sì, a causa del mio istrionismo personalissimo in linea con la mia autentica unicità indissolubile, i miei coetanei, durante l’adolescenza, credettero che fossi matto e mi consigliarono di vedere Mille pezzi di un delirio.

Essendo taciturno, mi dissero perfino: – Guarda pure Niente per bocca.

 

Al che, ne successero delle belle. Insomma, delle brutte più racchie delle ragazzine da Harry Potter, frequentate da chi mi accusò di essere agorafobico e più incosciente, poco previdente delle conseguenze come Lee Harvey Oswald di JFK.

Se ne fece un caso e voi non fate, per l’appunto, caso se mi va qui di sdrammatizzare sulla situazione assurda che involontariamente innescai, inducendo le persone ad addebitarmi la diagnosi di persona afflitta da disistima, da allucinante atimia affettivamente fredda, forse solo emozionalmente sofferente di tachicardia mancante d’empatia. Ma per cortesia!

C’è da rimanere senza parole. Ah ah. Speechless.

No, al punk di Arthur Fleck, preferisco Sid e Nancy. Mentre, a Nancy Brilli, Gilda Sbrilli. Curatrice di un’edizione dei Promessi sposi.

Ah, Orson Welles ed Hayworth Rita, la leggendaria Gilda.

Mi urlarono… sei Il mai nato. Un film pessimo. Lo andai a vedere solo perché la locandina m’attizzò.

Sì, nel poster originale viene riflessa la strega di Cappuccetto rosso sangue?

No, semplicemente una che fa sesso. Il film invece fa senso e lei non soltanto non si spoglia, bensì non sa aprirsi, a differenza di Oldman, ad una recitazione sbottonata da vetusti codici di rigidità formale assai pallosa.

Adoro Gary. Quest’uomo nevrotico, imprevedibile, che recita col cuore e non a c… o.

Quando carica da matto, no, di brutto-bellissimo da matti come per il suo epocale, gigionesco Norman Stansfield di Léon, è uno spettacolo più eccitante di Monica Bellucci dei tempi d’oro.

Lo amo quando è uguale a me in A Christmas Carol.

E quando se la ride come un pazzo ne La talpa. In cui, degl’ingordi idioti pensarono di aver compreso un mistero alla Rosebud, invece rimasero con un palmo di naso.

Cantando La Mer poiché distrutti e costernati dinanzi alla loro umana miseria oceanica.

Amo anche da morire La finestra sul cortile ma non so se The Woman in the Window sarà un bel film.

Quello che so per certo è che Amy Adams è più f… a di Grace Kelly.

No, non voglio diventare il Presidente degli Stati Uniti. E non so se sia peggio Donald Trump o se sarà ancora più scemo di lui, eh sì, Biden. Per me, quasi tutti i politici sono sporchi e meriterebbero un bidet.

Non sono comunque un anarchico terrorista come Oldman in Air Force One.

So anche che Mozart fu un genio indiscutibile mentre Oldman, in Amata immortale, sembrò una caricatura di Amadeus, sì, il presentatore televisivo. Mica quello divinizzato da Alex di Arancia meccanica. O no?

Gary sbagliò tante volte nella sua vita da fuori di testa. Perse, sì, la testa per molte donne e pensò che un genio come lui potesse accontentarsi di Uma Thurman ed Isabella Rossellini.

Sì, devo dare ragione al mio amico Ottavio. Lui crede fermamente alla dottrina gnostica. Che suddivide l’umanità in tre categorie.

1) I nani, cioè gli ilici. Il 90% delle persone. Che vivono di gelosie, invidie, corna, tradimenti e oscene competizioni superflue.

2) gli psichici. Categoria nella quale Ottavio mi annette. Cioè persone a un passo da essere elette. Spero non a capo degli States. Ah ah.

La terza categoria, comunque, il mio amico pensa che io possa raggiungere fra circa un mese.

Quando pubblicherò il mio prossimo libro.

Un libro che, alla pari di Orson Welles di Citizen Kane, ribalta la concezione di tempo e lo supera a mo’ dell’Oldman del Dracula. Abbattendo ogni barriera.

Sì, Welles è un gigante del Cinema.

Comunque, penso che questo sia un bel mediometraggio mistico-spirituale, perfino ero(t)ico, e che Bruce Springsteen, col passare degli anni, sia uno splendido fantasma ancora capace di commuovere alla maniera di Bob Dylan.

Insomma, date il Nobel anche al Boss.

Date l’Oscar ad Oldman per Mank o ad Anthony Hopkins per The Father.

A me date un bacino. Mi accontento.

Tanto, qualcos’altro, è la mia lei a darmelo(a)…

Goodnight and good luck.

Presto sarà Natale.

E vi regalerò altri sogni.

Sì, sono Clint Eastwood/Babbo Natale di Fino a prova contraria.

Se non vi sta bene, non pot(r)ete amare Gary Oldman. Dividerete le persone fra sfigati e fortunati, tra fighi e cog… ni, chiamerete l’altro orfano di madre od aborto vivente, vi odierete e non amerete, in cuor vostro, l’immagine di voi stessi che si rifletterà davanti allo specchio.

Mi spiace, non vivrete bene, non amerete non solo il Cinema.

E non sarete mai Gary Oldman, Orson Welles, Bob Dylan e Bruce Springsteen.

Per quanto mi riguardi, mi riguardo sempre per migliorare. Io sono io. Va bene così.

No, sì, no, sì, abbasso gli asini e le teste di mulo.3_Tavola disegno 1 2_Tavola disegno 1 1_Tavola disegno 1

Letter To You, recensione del grande, nuovo album di Bruce Springsteenletter-you-recensione-album-bruce-springsteen-copertina

Ebbene, il Boss è tornato con Letter To You. Un’ode alla più dolce, fosca, tenera e al contempo tenebrosa, malinconica sua reminiscenza monumentale di natura mondialmente musicale, un’epica e soffice raccolta delicata, già d’antologia, incastonata e sigillata eternamente nella mirabilissima sua rocciosa eternità perpetua ed eterea. Una carezza lieve donata alle nostre anime. Alle volte spaurite, melanconiche, altre volte grintosamente auto-echeggianti l’evocativa virtù dell’infinità (u)morale delle nostre stesse accorate sensazioni traballanti, in continuo mutamento e rigenerativa freschezza persino euforica dopo tante eclissi dei nostri cuori spezzati, oscuratisi nel buio e poi, di colpo, risorti magnificamente in gloria.

Quest’uomo immarcescibile, oramai appurata ed incontestabile leggenda vivente incarnata nel suo viso oggi smagrito, nella sua ectoplasmatica sagoma avvolta da una nebbiosa atmosfera nevosa, camminando nell’asperità romantica dei suoi perenni, giammai vinti, crepuscolari e al contempo infuocati dubbi esistenziali, pare che riemerga dalle soffuse penombre di sé stesso, incorporandosi nel revenant cantore delle sue incantevoli memorie magiche. Pietrificate nello splendore dell’adamantino rammemorare il suo e nostro cammino poetico, addirittura ambiguamente ermetico. Sobrio e lucente.

Bruce Springsteen, ladies and gentlemen, che nella copertina del suo nuovo, stupendo album imprescindibile non solo per i suoi irriducibili aficionado, ormeggiando in metaforico the river sulfureo della plumbea, “accordata” mareggiata emotiva della sua carriera oceanica, ci regala un’altra perla piena di canzoni dolcemente lievi evocanti forse A Christmas Carol di Charles Dickens, soavi come un’onirica, atmosfera natalizia, per l’appunto, appaiabile a Paul Auster o, forse, alla squisita amabilità commovente del derivatone, cinematograficamente, racconto vividamente sentito di Harvey Keitel in Smoke.

Letter To You profuma di concettuale spiritualità quasi gospel, sì, di mistica ed avvolgente, allo stesso tempo sanguigna vivacità toccante. Pare, a tratti, addirittura un moderno canto gregoriano.

Dopo Western Stars, elegia dedicata alle anime spare parts dell’infinita, folle e visionaria America forse perduta eppur combattivamente resiliente, a settant’uno il Boss si restaura nel ricordarsi, nel contemplare la bellezza sfuggevole e cangevole del tempo rivisto, introiettato e cantato con la forza ancora gagliarda della sua tempestosa leggendarietà inscalfibile ed immutata.

Cosicché, recuperando dal cassetto dei suoi stessi sogni giammai arenatisi ed assopitisi, alcune canzoni incomplete ed inedite degli anni settanta, alternandole a brani del tutto nuovi, levigati nelle sue vocali corde già, puntualmente, indimenticabili, c’allieta e culla con vibrante, senziente beltà marmorea.

Rilluminando sé stesso, estasiandoci nel far sì che, ancora una volta, possiamo immergerci attraverso lui in un altrove luccicante di lucida, fortemente impalpabile voglia di vivere e rivivere. Di amare e ricordare per rinascere nuovamente intrepidi ed agguerriti. Ancorandoci al passato per rielaborarlo, assieme a lui, in forma catarticamente suadente e morbida.

Con Ghosts supera sé stesso, mormorandoci la levità della fantasia immaginativa e della mnemonica frenesia del suo rispolverare il suo e nostro excursus insuperabilmente, strenuamente agganciato alla purezza dei nostri ricordi riscaturiti vulcanicamente in esplosiva potenza vitale, inarrendevole e, nonostante tutto, ancora intatta. Ripetiamo, immutabile.

Anche se a noi è piaciuta da morire soprattutto Song for Orphans.

Sì, Letter To You non tocca certamente le vette di perfezione stilistica di Nebraska, Bruce Springsteen non è più quel ragazzo strepitosamente e meravigliosamente scalmanato di Born to Run, ma è sempre lui.

In Letter to You aleggia anche la presenza, chissà, di un altro rocker immenso, Bob Dylan.4_Tavola disegno 1

 

di Stefano Falotico

 

LETTER TO YOU: che io mi ricordi, sono sempre stato fan di Bruce Springsteen e di Asbury Park, di City by the Sea e del mio fantasma nella notte


16 Sep

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Ora, non so perché mai, dopo la tragica caduta delle Torri Gemelli, Bruce Springsteen compose l’album The Rising. Per far sì che, assieme appassionatamente, dalle ceneri d’una tragedia senza pari, gli Stati Uniti risorgessero collettivamente, cingendosi in preghiera, a raccoglimento d’un musicale giubileo ove qualsiasi cittadino della Nazione a cinquanta “contee” forse chiese perdono a dio per essere stato un peccatore o, probabilmente, per essersi sentito involontario responsabile di qualcosa di terribilmente nefasto che non poteva comunque essere evitato.

Dinanzi alla morte per mano altrui, rimaniamo infatti pietrificati, scioccati, oserei dire solamente costernati.

Non fu colpa di nessun americano poiché l’attentato terroristico scagliato contro le Twin Towers fu architettato, diciamo, nei minimi dettagli studiato e orchestrato dalla mente diabolica di Osama bin Laden, appoggiato nella sua imperdonabile, esecrabile malefatta aberrante dai suoi adepti radicalizzati.

Ma forse tutto ciò ebbe inizio a causa della coscienza sporca del guerrafondaio Bush. Che, in Medio Oriente, permise che i soldati statunitensi trucidassero innocenti a raffica, propugnando un osceno culto bellico figlio della più mostruosa, oceanica distruzione delle culture non appartenenti all’edonismo reaganiano. Oggi tornato di moda, a livello planetario, con lo spopolare di Instagram ove chiunque esibisce svergognatamente la sua carne in scatola, anzi in scatti selfie e stories che si autodistruggeranno come le vite di chi le crea a mo’ della fuggevole, stolta vanità estemporanea del suo capriccioso implorare 15 minuti, anche meno, di celebrità warholiana, svendendosi nel suo prodotto da macelleria, mercificando la sua anima in cerca d’un patetico, clemente Mi Piace in più. Elemosinando l’autostima più meschina e vile, pusillanime e priva d’una benché minima, personale dignità, nell’inscenare la nudità del suo essersi disumanizzato ed animalizzato in un prosciutto vivente offerto allo sguardo godereccio e porcellesco di chi, consumandolo, ne trarrà godimento cannibalistico dei più parimenti parassitari. Oramai sono radicale anche se non mi stette mai simpatico Marco Pannella e giammai ne voterò il partito omonimo. E, a tutt’oggi, reputo scandalosa e di cattivo gusto la premeditata mendicità di Marco, ritenendo raccapriccianti i suoi sciocchi scioperi della fame. Un modo forse più puttanesco della prostituzione per accattonare voti elettorali in forma ricattatoria delle più capziosamente orride. Postulando la falsità della povertà, sputando nel piatto di chi non poté davvero mangiare.

Detto ciò, per miracolo mi avvicinai a Springsteen. Dopo che, essendo scomparso durante l’adolescenza nella morte della mia anima forse già ultraterrena, forse solo assai tenera, ne ascoltai al massimo due canzoni, ovvero Streets of Philadelphia e The Ghost of Tom Joad

In data 8 Giugno 2003, come già scrissi, mi recai allo stadio Artemio Franchi di Firenze ad assistere a un suo concerto storico. Io, poco amante dei ritrovi canterini, io, cantore solo delle mie malinconie, ecco che fui in tribuna ad ammirare la folla in delirio, una folla più folle di me.

E, già come Joker, incitai la foll(i)a al ritmo del mio essere Nothing Man.

Peraltro, nel 2002 uscì un film che piace solo a me, ovvero City by the Sea.

E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia…

Perché forse, in quel momento, potevo davvero essere salvato come James Franco. Ma, da allora, invece non mi sentii più giovane, gagliardo e veramente romantico come il Boss di The River. Malgrado, di enorme, monumentale resilienza, stia curando l’editing di un libro di 249 pagine esatte per la Kimerik Edizioni, intitolato La leggenda dei lucenti temerari.

In quanto, prima di morire, voglio citarvi un pezzo celebre di Shutter Island: ricordatevi di noi, perché anche noi abbiamo vissuto, amato e riso.

Aggiungo io, ricordatevi di me. Perché io non ho saputo vivere da idiota come quasi tutti, non ho amato tre donne, sì, solo tre, come un maiale qualsiasi, non ho riso come un pagliaccio.

Perché io sono io. Bruce Springsteen è dio ma anche Jim Morrison non scherza poiché è Satana.

E, quando si arrabbia uno così, il re Lucertola, fatevi il segno della croce.

È arrivato l’Anticristo.

Così come non dimenticherò mai il finale di True Detective.

Errol Childress sostiene di essere molto cattivo.

Dinanzi a lui però ha Rust Cohle.

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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