Sì, forse ebbe ragione John Lennon. Quando disse che la gente la dovrebbe finire di guardare film, ammirando le storie altrui. Dovrebbe, più che altro, occuparsi delle sue stories su Instagram.
Poiché pure queste sono magnificazioni di esistenze spesso insulse che compensano il vuoto interiore in selfie autocelebrativi in cui molte donne mostrano solo i posteriori.
Nel mio nuovissimo libro, La vertigine del lieve crepuscolo, svetta il fondoschiena di una donna molto bella ma, ovviamente, il progetto è a più ampio raggio e profuma d’artistico puro.
Detto ciò, nella mia vita anteriore, parecchie volte lo presi in quel posto. Mi pare doveroso e san(t)o sentenziarlo e affermarlo a scanso di equivoci. Poiché, onestamente, non posso rinnegare che vi fu un periodo nel quale rischiai esistenzialmente di annegare. Affogando nell’abisso della mia depressione annale. Ho scritto annale, non azzardatevi a togliere una n poiché a nuoto, con la n di nautico, rimasi miracolosamente a galla e, sebbene m’ammainai, cantando anche La Mer, giammai del tutto mi rammaricai.
Fluttuai a fatica nelle profondità più nere del mare nero di Battisti ma risplendetti malgrado molte patenti da inetto ricevetti.
Mi diedero spesso del poveretto ma, sinceramente, fui solo provato.
Detto questo, allento subito la tensione con una battuta che mette l’acquolina in bocca.
Pura “faloticata” in stile Woody Allen poiché io so sdrammatizzare ogni calarmi le brache. Se invece una bella donna si toglie la gonna, è tutto un (de)col(l)are.
Io so tirare su il morale dopo tante more, no, male. No, mare. Spingendo sul pedalò in una vita riaccesasi di memorabile falò.
In questi passati giorni assai cupi in cui tutti noi sprofondammo spaventati, rividi molti film da me dimenticati e visionai film giammai da me dapprima considerati.
Così come io, rendendomi invisibile, fui soventemente malvisto e accecato dalla sordità di chi non volle starmi a sentire, di conseguenza sottovalutandomi, molte pellicole da me sottostimate io riapprezzai.
Sì, riabilitai e rivalutai sotto una nuova prospettiva.
Ho ancora l’occhio vispo sebbene non abbia mai imparato a guidare una vespa e La vispa Teresa credo che sia una poesiola per campagnole.
Manca la rima baciata col resto del pezzo ma molte monelle non indossano nemmeno i due pezzi…
Sì, passai un calvario, per colpa dello stress inaudito rischiai di diventare calvo ma io amo Italo Calvino e non sarò mai né un Visconte dimezzato né un mezzadro.
Mi do delle arie nonostante non è che si possa uscire molto e, con la mascherina sul viso, stiamo soffocando più di Darth Vader di Star Wars.
Sì, ma io sono forse Batman e, se un uomo viene picchiato da dei bulli soltanto perché è asmatico, io con tali impostori non sarò empatico. Schizzeranno botte ematiche.
A volte faccio il Joker ma finisce lì.
Riguardate Blade Runner. E giudicate giustamente La ragazza nella nebbia. Ridimensionandolo subito. Non è dai colpi di scena a iosa che un film possa considerarsi capolavoro.
E non è da una vita che, per molto tempo, non fu rosea che si giudica una sposa.
Sì, soltanto l’anno scorso credo di aver preso coscienza della mia reale età anagrafica. Ma non mi rispecchia nella maniera più totale.
Poiché girovagai, come Spider di Cronenberg, fra ricordi e frattaglie mnemoniche che riesumai dal mio stesso credermi già cadavere. Quindi, reputarmi steso.
Furono Strange Days alla Kathryn Bigelow, amici. Giorni nei quali capii di essere anche Ralph Fiennes/Lenny Nero.
Devo esservi tremendamente sincero. Spudoratamente spellandomi, eh sì, devo dichiarare la verità.
Il tempo è fuggevole e credo che uno dei compiti primari del Cinema sia rimembrarlo ed elucubrarvi in merito secondo la nostra visione. Spezzettandolo in frammenti, segmentandolo.
Sì, non lo confidai a nessuno ma, nel 2003 circa, dopo essere stato praticamente miracolato, prim’ancora di sverginarmi (verbo che aborro, peraltro, come direbbe Mughini), incontrando una ragazza che forse incontrò me, passai alcune notti a gironzolare in un parchetto dalle parti di casa mia. Situato, per l’esattezza, in via Agucchi. Al centro di esso, si staglia prominente un gazebo.
In quelle nottate nelle quali forse qualcuno mi scambiò per un poco di buono o per uno spacciatore, ricordai tutto. E fui perfino chiaroveggente, probabilmente, come Chris Walken de La zona morta.
Sì, dopo la mia sorta di coma letargico da Risvegli di Penny Marshall, rinascendo, riacquisii un dono.
Non m’interessa se mi prendiate per ciarlatano o buffone, non sono certamente uno stregone. Ma troppe cose non si spiegano nella mia storia e, sicuramente, dev’esservi stato qualche angelo o un furbo, malevolo, bastardo demonio.
Il diavolo probabilmente come il titolo omonimo di un grande film di Bresson.
Sì, l’apatia, la rinuncia alla vita, la spiritualità metafisica. Che è cosa ben diversa dall’essere tacciati facilmente per sfigati o azzoppati. Anche se Walken, nel suddetto film di Cronny, zoppo lo è, eh eh.
Mica però è quello di New Rose Hotel, eh eh.
Un antico, comunissimo proverbio sostiene, secondo me in maniera erronea, che chi cammina/i con uno zoppo, impara/i a zoppicare.
Voglio qui smentirlo completamente.
Come vi dissi, i miei ultimi anni, bando alle ciance, non furono affatto Una passeggiata perfetta. Il titolo del mio primissimi libro edito dalla Joker Edizioni di Novi Ligure. Vedete che fui involontariamente profetico?
Conobbi un sacco di gente cosiddetta storta.
Perfino una ragazza, prima di quella citatavi sopra che con me s’eccitò, conosciuta per caso. Andammo a vedere assieme Kill Bill vol. 1.
Alla fine della proiezione, mi chiese se avessi voluto accompagnarla a casa.
L’accompagnai, mettendo su un cd dei Chemical Brothers.
Lei, entrati che fummo nella sua abitazione, mi disse non tanto innocentemente che i suoi genitori stavano dormendo.
Mi domandò, con estrema gentilezza e qualche vampata bollente, se desiderassi un caffè.
Con enorme incoscienza le risposi che l’avrei voluto macchiato caldo.
Lei scoppiò a ridere. Poi aggiunse:
– In effetti, qui fa caldo, sta venendo già su…
Bene, lei me la servì, no, me lo servì ardente e lo succhiai al dente…
Finito che ebbi di berlo, la salutai, dicendole:
– S’è fatto tardi. Devo tornare a casa per dormire.
Lei, distrutta, mi urlò:
– Credo che tu stia schizzando, no, scherzando! Non farmi scherzi da prete! Dai, su, vieni qui.
Me ne andai, invece, lasciandola riscaldata nonostante non è vero che lì fosse caldo, faceva molto freddo.
Questa fu la mia prima, imbarazzante figura del cazzo che feci.
Mi rifeci e, come detto, un’altra ragazza mi fece. Non so come avvenne ma venne.
Comunque, non fatemi parlare di cazzate. Torniamo a fare i seri.
Sì, non è vero che, frequentando gli storti, si diventa storpi.
Conobbi, recentemente, molta gente fuori di testa. Gente che giudicata precipitevolissimevolmente come valente niente, quindi semi-invalida nel cervello, passa tutte le ore delle sue giornate a rimpiangere sul latte versato.
Ma riconobbi nelle loro apparenti debolezze, sì, un non so che di umanamente stupefacente.
E forse credo che sia giusto che io continui ad amare il Cinema. Poiché, un po’ come Frank Sheeran/De Niro di The Irishman, il segreto deve rimanere chiuso in me.
Ora, Alessio Boni è un bravo attore. Fra gli interpreti de La meglio gioventù e di Quando sei nato non puoi più nasconderti. È anche bello.
Ma, tornando a The Irishman, sì, non è il film che noi tutti aspettammo da una vita. E forse ci deluse.
Ma lo sto rivedendo di continuo. De Niro avrebbe meritato la candidatura agli Oscar.
Ed è un film che mi rievoca nostalgie lontane che credetti, per sempre, fossero terminate.
Invece la vita, nel bene o nel male, va avanti. E questo è quanto.
Anzi no. Ripeto, non piangete sul latte versato. Rimpiangete, semmai, il caffè macchiato caldo lasciato raffreddare, lasciato fermentare solamente in ebollizione.
E ho detto tutto, ah ah.
di Stefano Falotico